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Autore: ValorosaViperaGentile    30/09/2015    6 recensioni
{centric!Tifone; Zeus; Demetra; Ade; Persefone}
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Sotto la florida Trinacria, Tifone-dalle-Cento-Teste, il Mostruoso, Sconfitto-da-Zeus, meditava vendetta.
Prigioniero nel pelago – per colpa del Re celeste che s'era proclamato padre degli Dèi.
Schiacciato dalla terra prediletta della divina Demetra.
Sognava dolore, quel gigante ferito.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Altri, Demetra, Persefone, Zeus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Premessa:
Mi sento in dovere di aprire una parentesi, prima di lasciarvi leggere questa mia fic. Soprattutto nei confronti di chi ama col cuore la mitologia greca e la conosce abbastanza bene, o magari anche di più.
Sebbene da piccola avessi una fame spropositata di miti antichi, fame che saziavo molto di frequente con l'acquisto di nuovi libri sul tema, crescendo mi sono allontanata dalle vicende di Zeus e compagnia bella, sino a dimenticare praticamente ogni cosa, o quasi, letta da bambina.
Pensavo di aver chiuso, per così dire, con la mitologica greca ma alcuni scritti meravigliosi che ho trovato nella sezione mi hanno interessata a tal punto da indurmi a tentare questo primo approccio alla materia, tanto intricata quanto affascinante. Mi ritrovo quindi quasi a chiedere "scusa" a tutti quelli che potranno rimanere un po' urtati dai eventuali errori presenti e dalla mia, forse non troppo aderente, ma che ho tentato di spiegare in fondo, nelle note, interpretazione del ratto di Persefone – so per esperienza, in quanto fanatica di scritti storici, quanto possa essere irritante trovare autori che trattano in modo piuttosto superficiale il periodo da me amato e ben studiato.
Detto questo, vi auguro una buona lettura, sperando di non deludervi troppo con questo "esperimento"!


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   Sotto la florida Trinacria, Tifone-dalle-Cento-Teste[1], il Mostruoso, Sconfitto-da-Zeus, meditava vendetta.

   Desiderava tornare alle eterne sedi, farle proprie.

   Invece si trovava prigioniero nel pelago, per colpa di quel Re celeste che s'era proclamato padre divino; atterrato dall’ultima delle sue folgori, schiacciato per l’eternità dall’isola dove la sorella Demetra, sua antica sposa, aveva per prima solcato le zolle coll’adunco aratro, generando dal ventre di quel triangolo [2] messi abbondanti, gemmando i suoi alberi e le sue siepi con mille e più fiori profumati e frutti succosi.

   Fremeva di rabbia, il gigante-schiavo, avverso degli Dèi vincitori, compresso sotto quella massa imponente – gli pesava sul petto, premendo la schiena alata sul fondo del mare, facendo ora latrare, ora ruggire i cento serpenti attorcigliati sulle spalle; pesava, l’odiata Trinacria, sulle smisurate mani, che pure erano capaci d’afferrare le stelle, e sulle membra, groviglio di spire, che avevano attraversato in soli quattro balzi l’intero Egeo, quando era libero, dalla montuosa Eubèa sino alle spiagge di Troia.

    Schiaffeggiato dalle correnti marine, circondato dal blu freddo e perenne, bramava calore. Ricordava Vento, l'arrogante e capricciosa creatura di cui era padre [3]: sentiva nelle orecchie asinine le sue furiose grida, percepiva quelle sue dita di bambino dispettoso che gli tiravano barba e capelli con ostinata violenza.

    Quando accadeva, Tifone provava ancora una volta a scrollarsi di dosso quella prigionia. Si agitava così forte che tutta la terra tremava, dalla cima dei monti sino al fondo delle valli. Tanto si dimenava da far credere agli abitanti di sopra che la crosta del mondo stesse per spaccarsi in due, mostrando un’altra via per il regno nascosto, governato dall’Invisibile, fratello di Zues Keraunios.

    Li sentiva urlare, i mortali, piangere, invocare gli Dèi – la disperazione degli Uomini lo rallegrava, ma non era che un misero velo di rugiada per le labbra bruciate dalla sete. 

    Eppure, tanto a lungo prigioniero, Tifone infine comprese. E le preghiere degli isolani, allora, divennero per lui annuncio di ambrosia [4]. Attese, aiutato in pazienza dall'immortalità – quieto quanto era possibile esserlo per un nervoso vulcano[5]: per intere stagioni studiò divini e mortali, i loro cicli che sempre si ripetevano; ascoltò l'eco dei passi, pizzichi di lira che si propagavano lungo la spina dorsale della terra come cerchi nell'acqua; memorizzò sulla pelle ogni rotolare e battere di pietre, ove i templi sacri erano stati eretti.

    Percepiva la preoccupazione dei tre guardiani a quel subbuglio, e come Lilibero che gli pesava sulla testa, Peloro che gli stava seduto sopra la mano destra e Passero sulla sinistra, anche gli Olimpi tutti si agitavano, lo sapeva bene.

    Quindi soffiava più forte che poteva, eruttando cenere e lapilli dalle bocche segrete del terreno, sollevando fumi stupefancenti che caliginavano il sole. Prometteva di sommergere ogni cosa con la terribile bava rossa, mettendo in fuga la vita, timorosa di quel fiume igneo che anneriva campi, boschi e valli, riduceva in polvere città brulicanti.

    Tanto minacciò, Tifone, rendendo quel paradiso verde e giallo una terra d'umori tempestosi e di fiamme, che con boati e col fuoco riuscì infine a stanare Khthonios[6], ridurlo a una bestia in preda alla paura: la terra sputò fuori il Re del silenzio, che mal sopportava risalire in superfice, coi suoi neri cavalli ed il dorato cocchio.

    Khthonios spronò le bestie, facendole correre lungo i campi di Demetra, controllando che la luce non penetrasse il suo regno, che non venisse scoperto ciò che doveva restare oltre il velo, badando che i raggi del sole non arrivassero agli occhi delle pallide ombre tremanti su cui governava.

    Tifone ne seguì ogni giro di ruota, interessato a quel suo frugare, respirando più forte, sino a che l'Invisibile arrivò all'ombellico dell'isola[7], dove guardò le labbra fumanti del suo nemico abbattuto – rassicurato fu il dio da quella vista, perché nessuno stava per sprofondare.

    Ma la trappola era ormai stata tesa, pensava Tifone, perché anche l'altra cacciatrice, Afrodite dalle piume di colomba, che si aggirava sull'isola in cerca di gloriose vittime da trafiggere con le frecce di Eros, puntò la preda. E mentre Khthonios, dimentico della bellezza del mondo di sopra, se ne sorprendeva, nuotando incantato fra gigli e violette, sempre più si faceva vicino alla schiera di fanciulle che avevano risa per le teste e fiori fra le labbra.

    Quando vide Kore di Zeus e Demetra, sembrò perdere il giudizio: il ratto agognato[8] si consumò.

    Presto, rapitore e rapita lasciarono indietro le compagne Oceanine e s'alzarono in volo, coi quattro cavalli che galoppavano sulle nuvole. Divennero nulla di più d'un puntino scuro, in alto, mentre fiori bianchi e viola piovevano dal cielo, lasciati cadere dalle braccia della giovane madre di Zagreo, figlio più amato del Signore dei cieli.

    I pianti di Demetra e le urla del padre-amante[9], il sordo rumore dei colpi furiosi battuti sui loro petti, riempirono l’aria, mischiandosi alle acri esalazioni solfuree.

    Tifone smise di lamentarsi, almeno per un poco. Sorrideva appagato, mentre, brevemente sazio, il peso che lo schiacciava si faceva appena più leggero.


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Note:

[1] Così chimato da Pindaro, ma anche altri, fra cui Eschilo ed Esiodo, parlano delle sue cento teste di serpente, o talora si trova scritto che le teste erano quelle di drago.
[2] La Trinacrina, oggi Sicilia, che per l’appunto ha la forma di un triangolo.
[3] Qui ho quasi personificato il vento e fatto Tifone suo padre, per lo meno nel senso di matrice da cui nasce: del resto il gigante fu appunto considerato genitore dei tifoni, che sono venti violentissimi.
[4] Ho qui eletto l’ambrosia a bevanda divina, e non farla cibo come nella tradizione omerica, scegliendo di seguire Alcmane, Anassandride e Saffo.
[5] Tifone impersona allegoricamente le forze vulcaniche.
[6] Altro nome di Ade.
[7] Uno dei modi in cui è stata definita Enna, città dell'entroterra da cui si gode una bellissima vista del vulcano e dove, secondo una delle versioni, Ade rapì la futura sposa.
[8] Da Tifone, che in questa mia interpretazione del mito, ha un ruolo, seppur indiretto, nel rapimento di Kore. Ma in verità ciò che il gigante non sa, poiché dalla sua prigione sotto il mare non ha avuto modo di conoscere, è che il rapimento è agognato anche da parte di Ade, che ha già notato altrove la fanciulla e, interessato a lei, ha preso segreti accordi con Zeus, proprio come vuole la versione ufficiale –  ho immaginato che i due fratelli si siano incontrati da soli, al sicuro, e le visite di Ade non fossero state rilevate perché lui possedeva, come vuole la tradizione, un elmo capace di rendere invisibili.
[9] Questa è una mia variante: non si parla della reazione di Zeus al rapimento, dato che il mito si concentra sul dolore della madre; ma in seguito, quando Demetra gli chiede della figlia, sembra logico supporre che il dio non si sia sbilanciato con un'accorata dimostrazione di dolore. Qui, invece, immagino che, seppur per calcolo e sempre d'accordo col fratello, Zeus abbia inscenato, ai danni di Demetra, una sentita reazione: alla fine, dunque, ad essere ingannato è stato pure Tifone, che invece voleva farsi ingannatore.

   
 
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