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Autore: Francine    30/09/2015    2 recensioni
Norrgök är sorgegök,
östergök är tröstergök,
södergök är dödergök,
men västergök är bästergök.

(Se il canto del cuculo viene da nord è un canto di tristezza,
se viene da est è un canto consolatorio,
se viene da sud è un canto di morte,
ma se viene da ovest è il canto delle cose belle)
[Filastrocca svedese]
[Spoiler Alert: Soul of Gold]
Genere: Fantasy, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Saori Kido
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Long and Winding Road'
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Ho seguito Saint Seiya - Soul of Gold nonostante tutto. E mi ritrovo, sei mesi e tredici puntate dopo, a chiedermi cosa me l'abbia fatto fare. 
Perché scrivo questa storia, allora?
Perché sono un'inossidabile amante delle cause perse, in primo luogo.
E per far quadrare i conti nel mio personalissimo
headcanon, in secondo.
Buona lettura.

P.S. la filastrocca - e la sua traduzione - l'ho scippata spudoratamente dal blog Diario Nordico, un must per tutti coloro che hanno preso una cotta clamorosa per la Svezia.


 
Norrgök är sorgegök,
östergök är tröstergök,
södergök är dödergök,
men västergök är bästergök.


(Se il canto del cuculo viene da nord è un canto di tristezza,
se viene da est è un canto consolatorio,
se viene da sud è un canto di morte,  
ma se viene da ovest è il canto delle cose belle.)



 
Gökotta



 

«Sei crudele.»

Afferra distratto una ciocca di capelli. Se la lascia scorrere come fili di seta tra le dita. Sono lunghi, lunghissimi. Lisci, come da tradizione. Peccato che non ci sia nulla di tradizionale in lei. Esile. Minuta. Dalla pelle bianchissima. Ma i grandi occhi tradiscono la sua ascendenza greca.

Hai cambiato tutto, ma questo proprio non potevi abbandonarlo, vero?

«Una ragazzina crudele e viziata, ecco cosa sei.»

Lui sospira, e la ciocca di capelli si lascia vincere dalla gravità e raggiunge le sue sorelle. Ci sono particolari cui tutti, uomini e donne, sono affezionati. La predilezione per un colore, ad esempio. Il rosso, per lui. L’azzurro, per lei. Il sangue e l’acciaio. La rosa e la spada.
E via di seguito, fino all’infinito e oltre.

Lei non risponde. Lei, rinchiusa in quella giara dal materiale oscuro. Rossa, come il sangue che le sta stillando via. Piano piano. Una flebo al contrario, pensa lui, accomodandosi su una roccia lì vicino.
Lei non parla. Muove appena le ciglia, un fugace tremolio appena accennato. È stanca. Stanca e provata e l’attesa sa essere snervante, quando sei sola nel fondo dell’Inferno.


«Tu dici che verranno, eh?», le chiede. Conoscendo già la risposta. Sì che verranno. Spalancheranno ogni portone, ogni cancello, ogni portale per raggiungere la principessina da salvare.

Se solo intuissero quello di cui sei capace, Athena…

Alcuni di loro insistono con l’affermare che l’ignoranza che affligge i mortali sia, tutto sommato, una benedizione; un tipo come lui non trova giusto questo stato di cose. Lo trova utile. Meno sanno che esisti, e meglio puoi spendere il tuo tempo come più ti aggrada. Pianificando, ideando, architettando per te stesso, e non ad uso e consumo del Viandante. Il quale doveva una serie di favori qua e là e ha chiamato lui, a risolvere le cose. Come al solito. E chi è stata la prima che si è fatta avanti per riscuotere quanto dovutole? La Gatta? L’Acqua? La Madre? Nossignore, è stata lei. La Fanciulla. Che è arrivata nella quiete dello Skogskyrkogården coi suoi piedini da fata ed un sorriso pericoloso.

«Rendimelo!», le ha ordinato il Viandante, sicuro di poterla far capitolare con un tono di voce più severo del solito, quello del padre –
del nonno – che sgrida la nipotina capricciosa;  ma lei ha continuato a dare da mangiare ai corvi come se le sue parole fossero una brezza gentile. Perché lei sapeva quanto il Fuoco fosse importante per il Viandante. Il Viandante rivoleva indietro il Fuoco, per quanto pericoloso esso sia. Lo rivoleva indietro perché è bene tenersi vicini gli amici e ancor più vicino i nemici. E perché è utile avere qualcuno come il Fuoco a portata di mano. Non si sa mai quando possano tornare utili i suoi servigi. Ed è bene sapere quali sentieri stia percorrendo la sua mente, piuttosto che svegliarsi una mattina e scoprire – con disappunto – che la sua astuzia stava rincorrendo proprio te. 
Così si sono messi d’accordo, il Viandante e la Fanciulla, il Nord ed il Sud. E il capro espiatorio è stato lui. Come al solito.
Il Fuoco sospira. Il sangue della Fanciulla goccia nella giara.

«Sei proprio una bambina crudele e viziata.»

 
Il sangue è rosso. Rosso e denso e caldo. Lo può percepire scorrere fuori dalle ferite e galleggiare, lì nello spazio. Dove nessuno può sentirti urlare. Dove non ci saranno testimoni della sua sconfitta. Solo il ritorno dei vincitori. Con qualche graffio in più e l’aria ammaccata di chi ha salvato il mondo per l’ennesima volta.
Il sangue.
Lo vede galleggiare davanti a sé. Un po’ se ne stupisce. Un po’ no. È il sangue di Andreas, quello, non il suo. I prodi Santi di Athena credono che appartenga al dio del fuoco quel corpo che stanno mitragliando di colpi, ringalluzziti dalla vista dei petali rosso cremisi. Invece no. Invece è tutta una farsa. La verità è davanti ai loro occhi, ma loro stanno guardando altrove. Al dito e non alla luna.

Poveri sciocchi.

Andreas è il vero capro espiatorio. Lui sta solo recitando un ruolo in maniera molto, molto convincente. Perché la gente di Asgard deve credere di nuovo in loro. Nel Viandante, nel Tuono, nel Mare, nella Gatta, nel Cinghiale. Deve credere ed innalzare le loro preghiere, cosicché i frutti di Idunn possano maturare e loro possano vivere.
Asgard ha smesso di pregare gli dei dopo la venuta dei Santi di Athena. Ha smesso di pregare delle divinità che non le hanno soccorse quando l’invasore è giunto alle loro porte. Sì, Pegaso ha raccolto tutti e sette gli zaffiri ed ha estratto Balmung dalla sua prigione di roccia gelata. Sì, Athena ha pregato che i ghiacci non si sciogliessero, mentre l’Anello teneva soggiogata la mente della bella Celebrante di Odino . Ma c’è chi in quella guerra ha perso amici, fratelli, sposi. E troppe voci accusano il Viandante di non essere intervenuto in loro difesa.

«Perché Odino non è sceso su Asgard per spezzare l’Anello di Hilda?»
«Perché Odino non ha rivolto la sua lancia contro gli invasori?»
«Perché Odino l’ha rivolta verso i suoi figli?»
«Perché?»
«Perché.»
«Perché?»

Perché gli uomini non devono sapere. Non devono sapere quanto le divinità che essi adorano siano fragili e deboli e antiche. Non devono sapere che anche per Odino giunge il momento del riposo, perché chi crederebbe più in un dio che ogni tanto schiaccia un pisolino? Nessuno. Men che meno delle persone che vivono in un ambiente così ostile e severo, dove ogni giorno è una scommessa con la morte. Che razza di dio è quello che timbra il cartellino e non risponde alle tue preghiere perché sta dormendo, o peggio ancora è uscito a farsi una passeggiata?

Ecco perché ad Odino serve un ritorno in grande stile. Ecco perché Odino ha mandato lui. Falso dio, lo chiamano gli uomini. E in linea teorica hanno ragione, ché non è nato né da Asi né da Vani, lui. Ma i mortali ignorano – o meglio: vogliono ignorare - che lui è diventato una divinità. Per un patto di sangue, certo. Ma è grazie al sangue di Odino se lui può trattare da pari a pari con gli altri, Asi o Vani che essi siano.  Ed è grazie al sangue di Odino che questi scalmanati stanno mitragliando il corpo di Andreas con colpi micidiali. Ed è grazie al sangue di Athena che stanno dando anche l’anima nell’impresa. Sono bastati quattro petali screziati di sangue ed intrisi del cosmo della Fanciulla. E loro, gli umani, sono entrati di loro sponte nel macello.

Deve finire così?, gli domanda Andreas, sull’orlo dell’oblio. Ha visto tutto. Ha sentito tutto. Ma se ne è rimasto lì, sul fondo dell’anima, ad aspettare la fine. L’inevitabile. Il sacrificio.
, gli risponde, mentre la Lama Sacra fende in due lo spazio ed il tempo. Deve finire così perché da che mondo è mondo serve del sangue per mondare i peccati. Sangue d’uomo per peccati terreni. E questo Saga di Gemini dovrebbe saperlo bene. Ma per i peccati commessi dagli dei, serve del sangue divino. O qualcosa che gli assomigli parecchio. Il sangue di uno jotunn, ad esempio. Magari qualche goccia appena in un lago di plasma mortale. Ci sono convenzioni da rispettare nei rapporti tra uomini e dei. Far scorrere il sangue non cancella i problemi, né ripara i torti. Il sangue è solo sangue. Non ti rende il vitello rubato o il fratello ucciso. Ma agli uomini piace un certo gusto per la teatralità. Credere ad una bugia manifesta. Quale delizioso paradosso! E chi meglio di lui, un attore di razza, può esaudire i desideri dei mortali?

Coraggio, ragazzo. Manca poco, dice Loki, mentre la Freccia del Sagittario gli sfonda il busto – il busto di Andreas – e il potere dei Gemelli giocherella coi suoi atomi come un bulletto di quart’ordine farebbe con un mazzo di chiavi.
Sente Andreas sorridere. Sa che ci sarà un posto per lui alla mensa del Viandante; ma Loki non è stato del tutto sincero. Ci sarà un posto solo se il Viandante lo reclamerà per sé. E il Viandante reclama guerrieri, uomini avvezzi a mulinare la spada e a spaccare i crani dei nemici, non i medici di corte. Non ci sono ferite da sanare nel Valhalla. Questo Andreas dovrebbe saperlo da sé. Eppure ha scelto di credere alle sue parole. Eppure vuole credere che una bella Valchiria lo isserà sul suo cavallo bianco e che Odino lo accoglierà a braccia aperte nella sua reggia.
Così sia, pensa Loki, mentre Gungnir va in mille pezzi. E il fiato della Gatta gli solletica il collo.
 

«Siamo stati fortunati. Poteva finire nelle mani del Mare. E allora? Cosa sarebbe successo allora

Il viso del Viandante è molto, molto pallido.

«Quale follia! Per fortuna non se n’è accorto nessuno! Sai cosa avrebbe potuto farne la Fanciulla se il Mare non l’avesse rapita?! Rivolgerla verso di noi, ecco cosa! E chi ci avrebbe salvato? Balmung, nella mani di quel moccioso? O forse Mjolnirr?»

Il calice è colmo di idromele, ma è intatto. Le vecchie mani del Viandante si chiudono appena attorno al metallo incastonato di gemme. Sono mani da vecchio, le sue. Mani stanche, nodose, piene di rughe e cicatrici, ma che sono ancora in grado di stringere una spada e di calartela sul cranio quanto basta per farti rimpiangere di aver tirato troppo la corda. Lui lo sa. Ma serve che il Viandante faccia qualche altro passo ancora, o non farà mai quello che lui desidera. Non lo vorrà mai. Gungnir è troppo preziosa perché il Viandante decida di distruggerla con le sue stesse mani. Ma Gungnir è troppo pericolosa per essere lasciata intatta. Ha sete del sangue degli Jötunn. E un giorno il Viandante potrebbe decidere di rivolgerla contro di lui. No, meglio che quell’affare scompaia per sempre da tutti e nove i Reami. Meglio che si disperda nel vento, come un brutto sogno al risveglio. Meglio che sia il Viandante stesso a decretarne la fine.

Ma il Viandante tace. Tace e rimugina, lo sguardo di ghiaccio che spicca a confronto con la benda che copre la sua menomazione. Tace e osserva. I Reami, il futuro, il destino… chi lo sa? Il fuoco crepita nel camino e proietta ombre sinistre sulle pareti di roccia. Ombre lunghe e sottili, dalle estremità appuntite come punteruoli per rompere il ghiaccio. Il Tuono ha il buon senso di tacere. Ringhia basso, come un cane alla catena che vede sfilare a distanza di sicurezza un gatto. Non osa fiatare. Si rende conto, pur nella sua stupidità, che le sue parole sono vere. Che nelle mani sbagliate Gungnir può rappresentare un pericolo per la sua razza. Glielo sta dicendo il suo sangue. Il Fuoco lo sente scorrere piano, lento, cheto nelle vene robuste del Tuono.

«Gungnir deve essere protetta.»
La voce del Viandante risuona di polvere e foglie secche e vento del sud.
«Gungnir mi sarà accanto durante il Ragnarök.»
Il suo unico occhio lo sfida. E il Fuoco sa che dovrà mettere tutto se stesso in quest’inganno.
«Così è scritto.»

Scritto? Dove? Da chi?, pensa lui. Assumendo un’espressione seria. «Lo so», ribatte. Calmo. Pacato. Come un laghetto di montagna. «Ma se il destino non si può cambiare, lo si può sempre ingannare.»
Il Tuono lo guarda come se stesse vomitando il proprio senno sui suoi stivali.
Il Viandante socchiude la palpebra, rugosa e pesante.
«Ingannare? Il Fato, dici? È questo quello a cui punta il Fuoco?»
Un sorriso, un alzata di spalle, un gesto complice, e i palmi delle mani rivolti verso il vecchio. A dimostrargli la sua completa innocenza. La sua sincerità. «Sarebbe la beffa suprema. Te lo concedo.» E una risata gli increspa appena le labbra.
«Tu sei pazzo!!», esclama il Tuono, dando un pugno poderoso alla tavola e rovesciando il suo boccale.
«Raccontami qualcosa che non so», ribatte lui. Come se quelli seduti all’altro capo del tavolo non siano coloro che combatteranno contro Fenrir e Jörmungandr, contro i suoi stessi figli, fino all’ultimo respiro.
«Padre! Tu
non puoi

Il Viandante fa un gesto, come a scacciare una mosca fastidiosa, un cenno appena.
«Ingannare il destino…»
Il Fuoco sa che è fatta nell’istante stesso in cui sente queste parole scivolare fuori dalle labbra secche del vecchio guerriero. Che è sempre stato curioso. Assetato. Di donne, di battaglia, di sapere. Dell’ebbrezza che regala lasciarsi alle spalle il proprio io ed accettare qualcos’altro. Anche a costo di rimetterci un occhio.
I mortali la chiamano dipendenza, vecchio. E coloro che ti servono e ti adorano non sono poi tanto diversi da te.
«E come vorresti fare, di grazia?», si sente chiedere il Fuoco.
«Con un’altra lancia», ribatte. «I figli di Ivaldi saranno ben capaci di riprodurre una copia, no?»
«Gungnir è unica. Così come Mjolnirr», commenta il Tuono. «Cosa potrebbe farsene il Viandante di una
copia
Ha pronunciato quella parola strascicandola tra i denti. Come se gli facesse schifo. Mettendo in quelle due sillabe tutto il disgusto che prova per lui.
«Ma che il Padre brandirà una copia, lo sapremo solo in tre. Io, tu ed il Padre stesso. E se tu terrai la bocca chiusa, nessuno dei nostri nemici lo saprà mai…»
«Una copia…»
La voce del Viandante arresta le proteste di suo figlio.
«Basta che non se ne accorga nessuno. Non è importante l’arma, Padre dei Molti, ma chi la brandisce. Sbaglio?»
Il lampo divertito che attraversa l’occhio azzurrissimo è la conferma che il Fuoco stava aspettando.
«Avanti. Raccontami che cos’hai in mente, di preciso…»



Draupnir si avvicina sempre più velocemente.
Lui c’era quando i figli di Ivaldi lo trassero fuori dall’oro fuso. C’era perché aveva scommesso con loro che non sarebbero mai riusciti a forgiare qualcosa di altrettanto prezioso come Skíðblaðnir, la nave che ha il vento sempre in poppa e che riposa nella borsa del Cinghiale.  Eitri e Brokkr rilanciarono. Tre ne avrebbero costruiti, di oggetti meravigliosi. Ma poi avrebbero diviso il giaciglio con la Gatta.
E?, gli domanda la voce di Andreas, mentre il Leone si prepara a scaricare su quelle quattro membra distrutte tutta la potenza del fulmine.
E io accettai. Il Padre aveva bisogno di quegli oggetti. Ma non avrebbe mai acconsentito che la Gatta giacesse con quei luridi nani. Così…
Così?
Un sospiro. Perché quando si recita i tempi e le pause sono tutto.
Così mi tramutai in una mosca. Ed interruppi più e più volte il loro lavoro. Ronzando loro attorno. Posandomi sul loro sudore, sulla loro fronte, sulla loro pelle. E finì che i figli di Ivaldi produssero tra oggetti meravigliosi. Ma quando l’ultimo fu pronto, il sole era ormai declinato da un pezzo…
Sente Andreas sorridere. Meglio così. Meglio che le vittime urlino e strepitino mentre il boia le lega ai pali, o stringe attorno al loro collo il cappio. O mentre i cavalli tirano entrambi in direzione opposta. Non è questo il caso. Qui deve esserci un agnello sacrificale. Un essere remissivo. Che acconsente a farsi scannare dai suoi simili per lavare il peccato che l’umanità ha commesso. Anche se agli occhi dei mortali sono gli Asi ed i Vani a doversi far perdonare il loro silenzio. Ma gli uomini non hanno forse volto i loro occhi altrove, verso la prima divinità disponibile a farsi mantenere dalle loro preghiere? Non hanno innalzato loro stessi l’Yggdrasil – la brutta copia dell’Yggdrasil – e lo hanno nutrito con le loro preghiere?
Un sorriso amaro arriccia le labbra di Andreas, mentre un suono trillante raggiunge le sue orecchie. Il canto del cuculo. È l’alba del giorno dell’Ascensione, dopotutto. E la voce di Andreas ripete quella vecchia filastrocca che i bambini del sud ripetono giocando nei cortili.

Norrgök är sorgegök,
östergök är tröstergök,
södergök är dödergök,
men västergök är bästergök.



Da dove arriva il canto del cuculo, mio signore?
Da sud per te. Da ovest per me,
risponde il Fuoco. Poi Draupnir impatta contro il viso di Andreas. E il mondo si distorce, e la realtà si piega, e la sua anima abbandona quelle spoglie mortali. I Regni esplodono e collassano e il potere di Odino risuona nello spazio siderale. Poi, solo il silenzio. Ed il vento che soffia da sud. Per tutti i mortali.

 
«Tu sei pericolosa.»

Il silenzio sa essere una piaga da sopportare. Meglio non pensare che prima o poi toccherà anche a lui una prigione simile, da condividere con la Sposa ed  il veleno del serpente. Sarà quello l’inizio della fine. Un passaggio obbligato che i mortali sono sicuri avverrà e che lui spera di saltare. Le profezie dicono altro. Il Seiðr gliel’ha confermato. Ma i cuori e le speranze degli uomini sanno plasmare la realtà fino a riscriverla. Sono loro quelli da temere. Sono loro quelli da incatenare al muro e da cui spremere ogni energia come si fa con i limoni maturi. Invece no. Invece gli dei hanno paura che gli esseri umani li abbandonino. Come mangerebbero, poi? Di che si nutrirebbero? Da dove arriverebbero loro le invocazioni preziose che li sostengono?


Da sud, assieme al canto del cuculo. E alle schiere della Fanciulla.

«Sì, tu sei dannatamente pericolosa», mormora il Fuoco, le mani abbandonate nelle tasche e gli occhi verdi, come cocci aguzzi di bottiglia in controluce, che osservano le rocce cupe sopra la loro testa. Senza avere il coraggio di confessarle che lei rappresenta un pericolo anche per lui. Perché lei, coi suoi occhi d’acciaio e la pelle di seta e la chioma lucente come un lago di notte, è come lui. Ma lei è donna, anche se non ha ancora conosciuto un uomo. E una donna vede più in là. Sa da dove si viene, sa dov’è che si va. Una donna padroneggia il Seiðr molto meglio di quanto un maschio riuscirà mai a fare. Perché il Seiðr scorre nelle sue vene, nei suoi atomi, nel suo mestruo.

Perché resti qui, Fuoco?

Parlare le dà dolore. La Fanciulla è stanca. Tanto stanca.
«Per curiosità. E per solidarietà.»

Solidarietà?

«Solidarietà. Divina. E maschile. Mi fanno pena quei ragazzi, sai?»

Pena?

«Pena, sì. Perché la verità che nessuno dei miei colleghi ammetterà mai è che noi siamo impotenti davanti alle vostre lacrime. Ed è per le tue lacrime che quei poveri ragazzi rivolteranno questo posto. Lo faranno loro. Al posto tuo. E poi sarei io, il bugiardo?»
Silenzio. Altrove le realtà collassano e i mondi si assottigliano. E le divinità muoiono.
«Perché un dio dovrebbe farsi difendere da un mortale, uomo o donna che sia?»

Perché è quello che gli uomini vogliono.

«No, mia bella creatura. Questo è quello che tu vuoi!»

Non hai forse dei guerrieri anche tu, Fuoco?

«Sì. Ma almeno io sono onesto. Sono pedine, per me. E loro sono ben felici di esserlo. Di donarmi la vita.»

Gli uomini non sono tutti uguali. Per questo esistono diverse divinità. Perché ognuno possa trovare la sua, di via.

«Quindi, i tuoi Santi sarebbero diversi perché entrano di loro sponte al macello? Perché sorridono alla vista delle mattanze in cui tu li conduci?»

Sì.

Il Fuoco ha un lungo, intenso brivido che gli accarezza la schiena, giù, fino ai lombi ed oltre. «Parola mia, Fanciulla. Tu sei sprecata per questo…»

E quale sarebbe il mio posto, Fuoco? Tra gli altri olimpi?

«Al mio fianco.»

Il Fuoco la vede sussultare. Per un istante, uno soltanto, Athena – Saori? – socchiude appena gli occhi ed incrocia i suoi.

Vieni via con me. Esci da questa giara. Lasciamoci alle spalle tutto e tutti. Noi siamo uguali. Siamo simili. Potremmo metterci Midgard in tasca senza che nessuno se ne accorga. Saremmo solo tu ed io. In cima al mondo.

Ma evidentemente essere in cima al mondo non è abbastanza per la Fanciulla. Che sorride. E gli risponde: «Non posso. Ho fatto una promessa ai mortali, Fuoco. E che razza di dea sarei se io non la rispettassi?».
«Una dea», ribatte lui, ma quelle parole si perdono sul fondo della sua anima. Gli restano congelate in gola. Athena ha parlato. Athena l’irremovibile. Athena la testarda. Saori forse gli avrebbe detto di sì. Ma Saori adesso è anni luce lontana, finita chissà dove sul fondo della coscienza della dea.

«Contenta tu», le dice. Stringendosi nelle spalle, come se le avesse proposto di passeggiare lungo il lago ghiacciato e lei gli avesse risposto picche.

Athena sorride un’ultima volta, prima di lasciare che la giara torni a succhiarle il sangue. I suoi guerrieri sono a pochi passi. È ora di tornare ognuno alle proprie faccende. Si combatterà l’ultimo atto di una guerra che non gli interessa combattere e a cui sarebbe meglio che non assistesse. Qualcuno potrebbe averne a male, nonostante, per altri mortali, la morte sia sua figlia. Il Fuoco percepisce lo scalpiccio dei Santi di Bronzo avvicinarsi sempre di più, con ansia crescente. E la Giara è quasi cremisi.

«Me ne vado, fanciulla. Ti lascio alle tue scaramucce», le dice. Chinandosi ad accarezzarle il viso all’altezza dello zigomo. Alto e nobile. Come si confà ad una guerriera. «Ma il discorso non finisce qui», le sussurra, il fiato caldo che le increspa la pelle. «Quindi non azzardarti a morire. Intesi, Fanciulla?»


La Fanciulla sorride, un’increspatura appena delle belle labbra esangui. E lui sa che sì, lei non ha alcuna intenzione di morire laggiù, che ci saranno altri dove e altri quando in cui incontrarsi. E in uno di questi, magari, riuscirà a farla capitolare. Magari quando il suono del cuculo arriverà da ovest.
 
 
 

 
   
 
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