_Nightmares come back_
Grida, spari, odore di sangue e di morte. Il
sibilo delle pallottole che sfrecciano ad una distanza minima dal suo viso. Le
gambe che si muovono da sole in una corsa sfrenata per la salvezza. Una figura
che gli si para davanti all’improvviso: un nemico, se così si può chiamare;
poco più che un bambino, ma già abituato ad usare un fucile. Impugnano le armi
contemporaneamente, contemporaneamente le puntano una contro l’altra, ma il
ragazzino tentenna. Passo falso. Spalanca gli occhi. in meno di un secondo è
riverso a terra, un rivolo di sangue che gli esce dalla bocca, l’espressione di
terrore e odio che condanna il suo assassino. Il bianco degli occhi sbarrati
che contrasta con la pelle scura e il rosso della pupilla.
Roy Mustang aprì gli occhi di scatto,
ansimando. Ancora una volta non era stato altro che un sogno, un incubo.
Si
guardò intorno. Il suo ufficio era avvolto nella totale oscurità, fatta
eccezione per la luce della luna che filtrava dalla finestra ed illuminava la
pila di scartoffie sulla sua scrivania, in attesa che il colonnello smettesse
di usarle come cuscino e le firmasse. L’uomo sospirò e prese in mano la penna,
intimandosi di non ricadere addormentato, più per terrore di rifare quel sogno
che lo tormentava da settimane che per senso del dovere. Sempre più nervoso e
sempre meno concentrato, iniziò a firmare uno ad uno quei maledetti documenti,
leggendoli distrattamente.
Un’ora dopo Roy Mustang usciva a passo lento
dal QG di Central City, immergendosi nel caos
cittadino. Le strade brulicavano di coppiette felici che camminavano mano nella
mano cinguettando allegramente. Roy storse il naso in una smorfia poco consona
al più famoso playboy di tutta Amestris. Ecco perché quella mattina aveva
trovato la scrivania letteralmente ricoperta di pacchettini rosa shocking a
forma di cuore ed ecco perché tutte le donne del QG,
dalla prima all’ultima, ogni volta che gli passavano davanti ridacchiavano,
lanciandogli occhiate e sbattendo le ciglia in un modo che avrebbe voluto
essere provocante: era San Valentino. Il Flame Alchemist scosse la testa, quasi
disgustato e si infilò nel primo bar che trovò, si sedette al bancone e ordinò
al barista di portargli il liquore più forte che aveva.
Un
bicchiere dopo l’altro, il colonnello dagli occhi neri trangugiò quasi
un’intera bottiglia di un costoso alcolico. Barcollando, appoggiò il denaro sul
bancone ed uscì.
Vagando
di strada in strada, mentre i passanti lo guardavano con finta compassione e
spingevano dolcemente le compagne lontano da quell’individuo, Roy si ritrovò in
uno spiazzo circondato da condomini. Con un sorriso sghembo, si diresse verso
il palazzo alla sua sinistra, entrò, salì le scale fino al secondo piano,
percorse un lungo corridoio, si fermò davanti alla porta di uno degli
appartamenti e suonò il campanello.
Riza Hawkeye dilatò gli occhi, guardando
incredula il suo diretto superiore che, apparentemente
ubriaco, con la divisa, solitamente impeccabile, sbottonata e spiegazzata, le
faceva “ciao ciao” con una mano.
- Colonnello! Cosa diavolo ha combinato?!
Ripresasi
dallo stupore, il tenente aveva riassunto il suo solito tono severo. Cosa che
in quel momento le riusciva più facile che mai.
Si
poteva sapere che diavolo ci faceva un rubacuori come Roy Mustang, che aveva ai
suoi piedi l’intera città, la sera di San Valentino solo e puzzolente d’alcool
sulla soglia di casa sua?!
Riza
Hawkeye odiava il giorno di San Valentino per principio. Ogni anno vedeva tutto
il corpo femminile dell’esercito fare la fila davanti all’ufficio del suo colonnello ridacchiando e
scrutandola, facendo commenti su quanto fosse frigida. Ogni anno provava l’irrefrenabile impulso di scaricare le
sue amate calibro 9 su quella folla di oche adoranti. Ogni anno la sera del 14
febbraio tornava a casa da sola, con in borsa l’ennesimo pacchettino rosso pieno di cioccolatini, che per
l’ennesima volta non aveva avuto il coraggio di consegnare. Ogni anno si
richiudeva la porta di casa alle spalle, gli occhi lucidi con ancora impressa
l’immagine del colonnello che usciva sorridente dall’ufficio diretto al primo
degli appuntamenti della serata, e lanciava sul divanetto quel pacchettino.
Ogni anno, prima di andare a dormire, seduta sul divano nella penombra della
stanza, mangiava da sola i cioccolatini che non aveva regalato.
In
sintesi, il 14 febbraio era decisamente uno dei giorni che il tenente avrebbe
volentieri cancellato dal calendario.
-
Teneeeeeente! Posso entrare? O ha ospiti? – il moro
fece un sorriso osceno e si sporse dalla soglia, come per controllare se ci
fosse qualcuno nell’appartamento e quasi cadde nel tentativo.
Riza,
accantonata l’abituale pazienza, prese l’uomo per un braccio e lo tirò dentro,
chiudendo la porta. Tentando di mantenere la calma, condusse Roy fino al
divano, dove lo fece sedere.
-
Grasssie, Tenen-hic-te! Le
darò un –hic- giorno di ferie per quesssto!
O due! Oppure un’intera settimana! Eh? Non le piacereb-hic-be
una bella vacansssa al mare? Si fanno incontri interessssanti al mare, gliel’hanno mai –hic-
detto? – riprendendo il sorriso di poco prima, il colonnello scoppiò a ridere
sguaiatamente.
-
Roy Mustang! – l’uomo smise di ridere e fissò il tenente che, in piedi davanti
a lui con le braccia incrociate, lo fissava severa – La smetta di fare lo
stupido! Si vede benissimo che finge! O vuole farmi credere che una bottiglia
di una qualche schifezza è in grado di far crollare il grande alchimista di
fuoco?
Roy,
punto nel vivo, assunse un’espressione più seria ed una posizione più compita. Non
sarebbe riuscito ad ingannare Riza Hawkeye nemmeno se fosse stato un attore
professionista. E questa era una vera sfortuna: fingere una bella sbronza
rendeva tutto più facile.
-
Mi dica una cosa tenente. Perché processiamo e condanniamo tanti criminali se
siamo noi stessi i primi a commettere i crimini più atroci? – chiese, gli occhi
di un bambino che cerca rassicurazione.
Il
tenente, compresa subito l’allusione, addolcì la sua espressione.
-
Non deve darsi la colpa di quanto è successo ad Ishbar. È stata solo
un’orribile tragedia. Siamo stati tutti vittime dei piani del comandante
supremo.
-
No! Abbiamo scelto noi di combattere!
Abbiamo scelto noi di uccidere! – il
colonnello si prese la testa fra le mani – Abbiamo scelto noi di puntare i fucili contro donne e bambini! L’abbiamo
scelto noi!
Riza
si chinò appoggiando una mano sul ginocchio del superiore.
-
Lei ha semplicemente eseguito gli ordini. Non è una scusante, certo. Però dopo
ha cercato in tutti i modi di riscattarsi, si è prefisso un obiettivo: impedire
che quel massacro si ripetesse. Ha messo tutto se stesso in questo sogno. E c’è
riuscito.
Roy
scuoteva convulsamente la testa.
-
No. No! Ogni volta che chiudo gli occhi rivedo i volti delle persone che ho
ucciso, ogni volta che sono solo risento le loro grida di disperazione che mi
maledicono.
-
Ha bisogno di dormire, colonnello. È stanco.
Roy
scosse la testa con più violenza.
-
Non riesco più a dormire, Riza. Gli incubi mi tormentano. I ricordi mi
tormentano. Il buio mi terrorizza, ci credi? Perché nel buio si nascondono i
ricordi peggiori. Sono patetico, vero?
Stavolta
fu Riza a dissentire.
-
No, è semplicemente più umano di tutti quanti hanno combattuto ed ucciso
accanto a noi ad Ishbar e sono in grado di andare avanti come se niente fosse. È
un uomo vero che non ha paura di ammettere le sue paure e le sue debolezze. È
un uomo da ammirare.
-
Da ammirare? Riza, perdi il tuo tempo. Sono ridotto all’ombra di me stesso. Ho
terrore persino dell’avvento del sonno. – disse con tono rassegnato.
Riza
si alzò, si sedette sul divano accanto a lui e gli prese una mano.
-
Allora lascia che ti guardi le spalle anche dai sogni. – sussurrò.
Roy
sorrise lievemente e l’abbracciò, poggiando la testa all’altezza del suo cuore.
Riza
si irrigidì, arrossendo, poi, notando l’espressione calma e rilassata
dell’altro, lo abbracciò a sua volta, cercando di combattere l’imbarazzo.
Dopo
un paio di minuti Roy si riscosse improvvisamente, come punto da uno spillo.
Prese fra le sue le mani della donna, puntò le sue iridi nere negli occhi
chiari dell’altra e sorrise.
-
Buon San Valentino, Riza. – sussurrò dolcemente, concludendo con un bacio.
Riza,
con le guance che avvampavano, sorrise a sua volta, probabilmente il primo vero
sorriso che Roy le avesse visto fare, per poi abbracciarlo ed affondare il viso
nell’incavo della sua spalla, rimirando i riflessi argentei della luna sui
capelli neri dell’alchimista, mentre questi la stringeva forte tra le braccia.
Lo
sguardo di Riza, che ancora sorrideva, vagò per la stanza e si fermò sul
divanetto vicino all’ingresso, dove giaceva abbandonata la solita confezione di
cioccolatini. Magari li avrebbero assaggiati la mattina dopo per colazione. Il
suo sorriso si allargò: dopotutto, doveva ammettere che San Valentino non era
poi un così brutto giorno.
Roy,
sempre tenendo stretto il suo tenente, chiuse lentamente gli occhi, sicuro che
quella notte, né le seguenti, nessuno incubo sarebbe tornato a perseguitarlo,
perché gli incubi tormentano gli uomini soli... e lui non era più solo...
#OWARI#
Ok, lo so,
fa decisamente schifo, con la S maiuscola. Però è il massimo che sono riuscita
a fare alle 9 e mezzo di sera. Volevo fare una fic Royai da un pezzo e quindi
ho adattato la mia idea al tema di San Valentino... Però mi sa che facevo
meglio a non scrivere niente... L’idea di fondo era buona, ma non mi convince
per niente come l’ho sviluppata. Spero che tutti i fan Royai (e i fan di FMA in genere) non inorridiscano troppo. ^^’
Se qualcuno
avrà il coraggio di leggere (e commentare) questo piccolo esperimento grazie
infinite in anticipo!!!
PS: (pubblicità occulta XD)
entro pochi giorni dovrei aggiornare “My Little Star” ^-^
See You!!!
_Erica_