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Autore: Greta Farnese    02/10/2015    2 recensioni
La mia prima storia su EFP! Premetto che è tutto inventato di sana pianta, tutto frutto della mia mente malata (xD). La storia si ispira alla serie canadese "The Borgias", e in particolare ai personaggi di Cesare e Lucrezia; e ho scelto di raccontare un episodio della loro infanzia. Cesare deve svolgere un lavoro per Rodrigo, pertanto deve allontanarsi da Roma per due settimane, e diciamo che il tema della storia è il saluto tra Cesare e Lucrezia prima della sua partenza.
Spero vivamente che vi piaccia, se volete, potete lasciarmi una recensione, ne sarò felice! Kisses,
Gre
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cesare Borgia, Lucrezia Borgia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai di soprassalto. Il piede e gran parte della gamba si erano intirpiditi mentre dormivo. Mi stiracchiai. Le spesse tende di velluto erano ancora chiuse, ma potevo percepire il cinguettio degli uccellini. Mi stropicciai gli occhi, in un attimo ero sveglia.
Scivolai giù dalle coperte. Uno degli innumerevoli motivi per cui mi piaceva tanto far parte della famiglia Borgia era che i servitori erano nient'altro che delle presenze nell'ombra. Potevamo trascorrere molto tempo da soli, senza i loro occhi curiosi puntati addosso. Io, ad esempio, in quel periodo trascorrevo con la domestica solo l'ora in cui mi facevo il bagno e mi preparavo. Potevo alzarmi dal letto, dunque, indisturbata.
Aprii le tende e detti un'occhiata fuori. E ciò che vidi mi raggelò. Mio fratello Cesare stava abbracciando nostra madre. Fuori al cortile c'erano, oltre loro due, nostro padre, Rodrigo Borgia, cardinale della Santa Chiesa di Roma, e il nostro altro fratello Juan, appoggiato alla finestra. C'erano persino alcuni domestici.
Quel mattino Cesare sarebbe dovuto partire per un viaggio di due settimane in compagnia di un cardinale per studiare non so quali cose. Sarebbe stato via per sole due settimane, era vero, ma non riuscivo a credere che nessuno mi avesse svegliata. A quanto pare, mancavo solo io, io e Goffredo, che però aveva due anni e quindi praticamente non contava. Volevano farlo andare via senza che io potessi salutarlo? Probabilmente stavo ancora dormendo.
La porta si spalancò e la domestica entrò. - Signorina Lucrezia... Ben svegliata - mormorò dolcemente.
Ma io mi ero trastullata fin troppo. Corsi verso la porta, buttai letteralmente a terra la povera domestica e mi precipitai giù per le scale. Una figurina con indosso solo la camicia da notte, i piedi scalzi e i capelli scompigliati dal sonno. Correvo velocissima, incurante delle reazioni scandalizzate di chi mi vedeva. Nella mia mente, solo un pensiero: mio fratello stava partendo, dovevo salutarlo. 
Arrivai in cortile. - Cesare! - urlai, con tutto il fiato che può avere una bambina di nove anni. La ghiaia mi feriva i piedi, ma non mi importava. Lui era già in sella quando mi vide e scese, con la mia stessa foga.
- Sorellina! - mi tuffai tra le sue braccia. Una lacrima mi scivolò lungo la guancia. Per il sollievo, per la paura che non avrei fatto in tempo a salutarlo.
- Ho avuto tanta paura! - sussurrai al suo orecchio. Profumava di incenso, quel suo profumo così particolare. Ci stringevamo talmente forte che avremmo potuto soffocarci, ma tra noi eravamo abituati a quei gesti.
Cesare si scostò quel tanto che bastava per guardarmi in volto. - Non potevo sopportare di andarmene senza rivedere questo viso.
Già a dodici anni, Cesare ci sapeva fare con le parole. E io avevo tante, tante parole da dirgli, che non potevo bisbigliargli davanti a tutta quella gente. Lo fissai, sperando che capisse.
- Padre - disse infatti. - Concedeteci un momento da soli, vi prego.
Fu nostra madre a darci il permesso di allontanarci, con un gesto. Presi mio fratello per mano e lo trascinai dietro ad una colonna.
- Sono solo due settimane, Lucrezia - mi ricordò lui.
- Sarò terribilmente sola! - adesso stavo davvero per mettermi a piangere. - La mia giornata non avrà fine. Saranno i quindici giorni peggiori della mia vita. Già salterò il pranzo, perché per venire a salutarti ho gettato in terra la domestica - gli confidai.
Cesare non nascose il suo divertimento. - Sarò lasciata sola a badare a Goffredo, che ride solo senza fare o dire niente - continuai facendo il broncio.
- A due anni sorellina, anche tu ridevi solo senza dire o fare niente - mi ricordò Cesare. - Ma io passavo il mio tempo con te lo stesso. 
Conoscevo bene quella storia. - Avevi cinque anni, era diverso. Io ne ho nove.
- Sì, infatti sei una gran donna di mondo! - cercò di farmi il solletico, ma io lo fermai.
- E se Juan mi dovesse tirare i capelli?
Quella era una cosa che realmente mi spaventava. Juan non era mai stato particolarmente gentile nei miei confronti. Sebbene avesse solo un anno più di me, si divertiva a farmi ogni sorta di dispetti. Quello che più temevo era il tirarmi i capelli. Mi faceva male, per poi ridere e bersagliarmi di parole che non conoscevo, ma che credevo non fossero troppo cortesi. Juan aveva come amici ragazzini provenienti dai bassifondi.
Cesare era a conoscenza di tutto ciò. Quando c'era lui, Juan non osava farmi nulla, e alla minima minaccia, io correvo subito da mio fratello maggiore. Ricordavo che un paio d'anni prima Juan si era addentrato nella mia camera di notte mentre dormivo e mi aveva legata e imbavagliata. Uno scherzo stupidissimo, a ben pensarci, ma che allora, a sette anni, mi aveva fatta tremare di paura. Avevo richiesto di dormire con Cesare per una settimana intera, tanto era grande il timore, finché non era intervenuta nostra madre.
Ma ora, lui non ci sarebbe stato.
- Pensi davvero che non abbia pensato a quest'eventualità?
Sorrisi, poi tornai seria. - Non andartene, Cesare.
- E' solo per quindici giorni, Lucrezia. Ti scriverò ogni volta che potrò. E ti porterò dei regali. Dimmi, cosa ti piacerebbe avere?
- Te -risposi. 
Lui si chinò. - Ascoltami, non devi pensaci. Cioè, devi pensare a me, non ai quindici giorni. In mia assenza, impara bene ad andare a cavallo. Così al mio ritorno potremo andarci insieme. Prova nuove attività, e le giornate voleranno. Adesso devo proprio andare.
Tornammo nel piazzale. Cesare riabbracciò nostra madre, strinse la mano di nostro padre, diede una pacca sul braccio di Juan. Io gli saltai al collo e stavolta lui mi prese in braccio.
- Se al mio ritorno mi diranno che sei stata triste tutto il tempo, mi arrabbierò e ti farò il solletico - mi minacciò scherzosamente.
- Torna presto. Non mi sentirò al sicuro finché tu non sarai tornato a casa - replicai.
Quindi mi riappoggiò a terra e mi diede un colpetto con il naso. Ricambiai, cercando di trattenere le lacrime per renderlo fiero di me.
Mio fratello montò in sella, e galoppò via. Non si voltò mai a guardare indietro. Due minuti dopo, singhiozzavo già accasciata al suolo. Nessuno poteva capire come mi sentissi.
   
 
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