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Autore: WindWater    02/10/2015    1 recensioni
"Nel nulla." nasce come racconto breve scritto in una serata d'inverno, sarete voi a dargli un genere ed un'interpretazione. Tutto comincia in una notte burrascosa con un uomo al volante...
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel nulla.

Solo. E’ notte fonda. Il cielo si lamenta e piange. La luce dei fari è tagliata dalla pioggia. Navigo, come perso, tra le acque urbane, evito le cascate, poi freno. Il colore del sangue, degli inferi, dei dannati mi ferma. E’ solo al colore dei verdi prati che riparto nell’oscurità. Mi ritrovai in una zona buia della città, tutto era grigio,  i fari illuminarono un’insegna, vecchia, ma così ben tenuta da sembrare di vivere in un suo eterno presente. Ciò che era scritto al di sopra lo riuscivo a leggere a mala pena, avevo lo sguardo offuscato come in quei sogni che si cercano di ricordare, ma una sola parola compresi: taverna.                                                 
E così come gli ignavi inseguono un cartello, così io seguii la direzione indicata dall’insegna alla ricerca del nulla. Mi ritrovai in una stradina di periferia altrettanto sudicia e polverosa come, dopotutto, l’intera città. La strada era compresa tra due alti edifici la cui sommità era impossibile scorgere, soprattutto in condizioni del genere. E proprio lì nel fondo, nel buio, come si scorge la luce al di là di un cannocchiale, intravidi che vi era una taverna d’altri tempi, bassa, in legno, utopica per una città moderna come quella in cui mi trovavo.
Parcheggiai l’auto all’inizio del vicolo, il cielo aveva smesso di sfogarsi e così, fendendo l’aria umida, conducevo il mio corpo stanco e confuso, cercando di evitare le pozzanghere disseminate nella stradina.   
Poi arrivò lei. La grigia dama, alleata delle tenebre, una delle tante maschere del cielo, bianca, grigia, che porta l’uomo allo smarrimento: la nebbia. Ero già confuso, la testa mi doleva e non riuscivo a non sprofondare nelle braccia di Morfeo quando le palpebre calavano, con l’arrivo della nebbia la situazione peggiorò, iniziai a barcollare, sentivo tutte le mie ossa pesanti, sentivo il peso di ciascuna di loro, una stanchezza immane come quella che si puo’ provare solo nei sogni.
Non avevo bevuto, non avevo cercato di dimenticare, non ero stato un codardo, avevo solo perso la diritta via. E nel mezzo di questo mio cammino, mi ritrovai all’entrata della locanda. Dal di fuori, tramite le finestre, potevo scorgere la luce, potevo già immaginare il calore interno pronto ad abbracciarmi, ad avvolgermi, potevo finalmente pensare di aver ritrovato la strada. Con uno sforzo fisico immane per la mia condizione, tentai di aprire la porta, ma fu inutile.
Alcune persone dall’interno, visi dai lineamenti sereni, con un sorriso che quasi tendeva all’idiozia, iniziarono ad affacciarsi alle uniche due finestre quadrate che dall’interno davano sulla stradina in cui mi trovavo io, capii che quello non era il mio posto, che il mio momento non era ancora giunto e forse non sarebbe mai arrivato.                                                                  
Appoggiai la mia fredda mano al vetro della finestra ed altrettanto fece l’anima che mi osservava dall’interno.  Questa riuscii quasi a trasmettermi il calore che avrei potuto provare se fossi stato con lei, dall’altro lato, mentre la realtà era che un gelido e resistente vetro ci divideva.        
Con le mani umide mi presi il capo in segno di disperazione.
Ritornai in me, e con la coda dell’occhio notai qualcosa di lungo e geometrico alla mia sinistra, e poi compresi che a noi peccatori era destinata una panca in legno scuro posta proprio al di fuori della locanda, così mi sedetti e continuai a guardare con sguardo assente all’interno.
Tuttavia decisi di non demordere, mi alzai, sentendomi come una divinità preistorica che si era appena destata, e tentai un’ultima volta di aprire la porta, tirai la maniglia, riponendo tutte le speranze in questo sforzo, ma fu ancora una volta inutile, la porta non aveva intenzione di aprirsi.                                  
Non era ancora il mio momento; potevano volerci giorni, mesi, anni, chi poteva dirlo, e così tornai a sedermi sulla panca e continuai a guardare all’interno, immaginandomi proprio lì, tra i beati, volevo piangere, sfogarmi, cacciare fuori tutto il dolore ed il rancore che avevo dentro, ma a cosa sarebbe servito? Qualcuno mi avrebbe ascoltato? Probabilmente solo la nebbia, che da fedele compagna avvolse la mia figura, ed io chiusi gli occhi, accettando la mia sorte. 
   
 
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