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Autore: Silvar tales    02/10/2015    1 recensioni
[Dorian/Inquisitor] [SPOILER Trespasser !]
Erano due maghi, l'uno apparteneva alle fiamme, l'altro giocava con il ghiaccio e il fulmine. Erano speculari, erano le due facce di una stessa medaglia.
C'erano momenti in cui Tristan vedeva Dorian come un fratello, ma ovviamente questo suo pensiero era del tutto incompatibile con il fatto che fosse irrimediabilmente pazzo di lui.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dorian Pavus, Inquisitore
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Tristan e Dorian'
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Crestwood era stata logorante sia per il corpo che per la mente. Un intero paese soffocato sotto il peso dell'acqua, centinaia di innocenti morti affogati come topi. E ora, quel che rimaneva degli abitanti di questa regione disgraziata veniva schiacciato come in una morsa tra i non-morti e i banditi. Inoltre, a completare questo quadro apocalittico, vi era un ultimo tassello: una viverna, una terrificante creatura volante che solcava i cieli come un'ombra mortifera. La mostruosa bestia alata imponeva ai contadini un tirannico tributo di carne animale, che essi le offrivano ogni giorno su un altare di pietra: era l'unica loro arma di difesa, l'unica cosa che potessero fare nella speranza di placare la sua fame. La povera gente era allo stremo, e l'Inquisizione era arrivata come acqua che sgorga nel deserto. Dopo aver sistemato le carogne ambulanti, sia quelle vive che quelle morte, l'Inquisitore Trevelyan aveva finalmente deciso: avrebbero fronteggiato la bestia, e liberato definitivamente Crestwood dalla tirannia e dalla paura.
Non appena aveva esposto ai suoi compagni di ventura il suo intento, gli occhi del Qunari si erano accesi, mentre Sera aveva fatto una smorfia, carezzando nervosa le piume delle frecce che spuntavano dalla sua faretra. Ma non aveva osato lamentarsi: dopo essere finalmente usciti dall'umida e claustrofobica rete delle Caverne Allagate, tutto sembrava preferibile, persino un abominevole drago sputafiamme. Qualcun altro, invece, aveva provato a sollevare obiezioni.
"Quest'acqua fangosa mi è penetrata fin nelle ossa, e temo che questi stivali non si asciugheranno mai più. Speravo di fare una puntatina a Skyhold, prima di... ah, come non detto, instancabili uomini del Sud", si era arreso Dorian, non appena aveva incrociato lo sguardo intransigente di Tristan.
"So che siete stanchi, tutti voi. Tranne... beh, tranne Toro di Ferro che fra poco invece di camminare aleggia a mezz'aria".
"Puoi dirlo forte boss, andiamo subito a cacciare questo drago femmina!"
"Prima o poi ci spiegherai questo tuo feticismo per i draghi, non è vero? Non riesco proprio a figurarmi una risposta che sia sensata e allo stesso tempo decorosa".
Tristan sospirò e scosse la testa, mentre non poteva evitare che un sorrisetto gli incurvasse le labbra. Lasciò perdere il suo discorso di incoraggiamento. Per ora, ciò di cui tutti loro necessitavano era una bella dormita.
 
Le camerate di Caer Bronach erano ben più comode di una tenda, e indubbiamente più asciutte. Avevano steso i loro vestiti accanto al fuoco, nella speranza di trovarli asciutti l'indomani.
Dormivano tutti e quattro nella stessa stanza. Tristan aveva lasciato a Sera il letto più vicino al fuoco. L'aveva sentita borbottare sottovoce e rigirarsi un po' tra le coperte, ma dopo un attimo non aveva sentito più niente che non fossero i suoi pesanti respiri regolari: aveva impiegato meno di un minuto per addormentarsi, doveva essere davvero esausta. Un po' si sentì in colpa. Sera era la più provata tra loro, Tristan sperava solo che l'indomani si sarebbe sentita sufficientemente in forze per affrontare il duro scontro che li attendeva.
"Buonanotte, Messer Inquisitore", bofonchiò Dorian, prima di infilarsi a sua volta sotto le pesanti coperte di lana.
"Buonanotte, Messer Magister. Ah e Toro, non lottare con il drago stanotte, aspetta domani", disse Tristan ammonendo ironico il Qunari, ma ricevette in risposta solo un ronf.
Con un sospiro, e un altro sorriso divertito, si assicurò che il suo prezioso bastone fosse collocato in un luogo sicuro (dove, ad esempio, non potesse accidentalmente scivolare nel camino. Con una Jenny la Rossa nei paraggi, non si poteva mai dire), poi finalmente si coricò anche lui.
Il Toro di Ferro non passava una notte senza grugnire, starnutire, rigirarsi e conseguentemente cadere dal letto (perché, a suo dire, erano i letti ad essere sempre troppo piccoli, non le sue spalle ad essere troppo larghe, senza parlare delle corna, che sicuramente nessun povero falegname aveva previsto), e Sera parlava nel sonno, quando non deambulava sonnambula per la stanza. Tristan sperava con tutte le sue forze che quella fosse la notte dei miracoli, in cui tutti avrebbero dormito come angioletti.
 
Tristan Trevelyan era molto affezionato ai suoi compagni di squadra, fatta eccezione per l'eccessiva serietà di Blackwall, e per l'austerità e la miopia di Cullen. Josie aveva ragione: Cullen era un uomo... non di larghe vedute, per usare uno dei suoi amati eufemismi diplomatici. E poi era un Templare. Con l'ex davanti, d'accordo, ma la sua vocazione e la sua indole rimanevano tali. Non bastava diventare improvvisamente allergici al lyrium per smettere di essere un Templare. E, inutile dirlo, Tristan Trevelyan non nutriva particolare affetto nei confronti dei Templari in generale. Il Qunari, invece, era un leader di tutt'altra levatura. Gli aveva insegnato a scendere un po' dal podio del comando, per quanto a Tristan piacesse starci, e a guardare con occhi più umili gli uomini che combattevano per lui. Su questo, Toro di Ferro non la vedeva poi tanto diversamente da Sera.
Sera era una persona fuori dal comune, e si era rivelata un'ottima amica. Una volta che Tristan aveva imparato a guardare dietro il velo della sua stranezza, aveva scoperto quanto forti fossero i suoi principi e la sua lealtà.
E poi c'era Josephine Montilyet. Oh, Josie. Tristan adorava il suo modo di fare, il suo modo di parlare, di muoversi, di gesticolare... un po' meno come si vestiva. Ma con Josie, Tristan giocava soltanto. Sorrisi fascinosi, commenti adulatori, e infine l'arma più letale di cui Tristan disponeva: i suoi occhi. Occhi grandi, di un verde glaciale, messi in risalto da un filo di inchiostro nero. Ricordava un dialogo con Dorian, a proposito.
"Mi togli una curiosità, Messer Inquisitore?" Gli aveva chiesto, così, dal nulla, durante una delle loro incursioni nelle Terre Centrali.
"Dipende da cosa sei incuriosito, Dorian".
"Perché ogni mattina ti annerisci il contorno occhi?"
"E perché lo fai tu?"
"Perché lo faccio io? Miri in alto, Messer Inquisitore, se pensi di raggiungere il mio fascino. Inizia dal taglio di capelli".
"No, tu, perché lo fai?"
"Non saprei, fa parte del mio equipaggiamento".
"Credi che ai miei poveri occhi faccia bene la luce di tutti quei fulmini? L'inchiostro nero mi fa ombra".
"E tu, credi davvero che mi beva una simile stronzata?"
 
Nessuno avrebbe osato negare che Tristan Trevelyan fosse un bell'uomo, con quei capelli castano-ramati, divisi in una riga regolare sul davanti e tagliati corti dietro, in modo da lasciare scoperto il coppetto. Sul mento e sulle guance aveva un filo di barba, era di alta statura e abbastanza muscoloso di corporatura. Il già discusso filo di inchiostro nero che gli circondava gli occhi, beh... non serviva esattamente a proteggerlo dalla luce dei fulmini arcani, quanto più ad indicare al prossimo, casomai non ci avesse già fatto caso da solo, quali miracolosi occhi madre natura gli avesse donato.
Ciononostante Tristan Trevelyan fosse indubbiamente un uomo attraente e sospirato da molte fanciulle, tra lui e Josie non c'era stato niente, niente che fosse andato oltre qualche parola detta con un tono di voce in meno, qualche sguardo nei punti sbagliati, e qualche bacio sulla guancia spostato un po' troppo a sinistra. Lo stesso, tutti erano convinti che di lì a poco l'Araldo di Andraste e l'Ambasciatrice Montilyet avrebbero fatto un annuncio importante. O, quantomeno, di questo erano fermamente convinti i nobili orlesiani che stazionavano nella Sala del Trono di Skyhold, senza avere alcun apparente scopo nella vita, e che non facevano altro che fare a gara su chi avrebbe collezionato prima di cena un maggior numero di pettegolezzi riguardanti gli affiliati dell'Inquisizione.

 
*

 
Lo scontro con la viverna non andò come previsto. Riuscirono infine a sconfiggerla, ma assieme ad essa cadde anche Dorian. La viverna l'aveva preso di striscio: prima di spiccare il volo l'aveva colpito sulla schiena con i suoi artigli, lacerandogli le vesti e la carne sotto di esse. Inoltre, spinto dallo spostamento d'aria causato dallo sbattere delle sue immense ali, Dorian era stato scaraventato contro la parete rocciosa, ed aveva perso i sensi, accasciandosi inerme al suolo. A quel punto, erano stati costretti a chiudere il combattimento in tre soltanto. Non avevano potuto soccorrere Dorian tempestivamente, poiché la viverna non dava loro un attimo di tregua. Nell'attesa che riuscissero a portare a termine lo scontro, Dorian aveva perso molto sangue. Quando finalmente Toro di Ferro, con un selvaggio urlo di soddisfazione, era riuscito a tranciare la testa dell'abominevole creatura, Dorian era bianco come il latte e il suo polso debolissimo.
Lo portarono sino alla vicina capanna di Judith, nella speranza che la donna riuscisse a chiudere le sue ferite. Judith aveva sentenziato giudizi parecchio preoccupanti circa il suo stato, e Tristan non se n'era meravigliato: a lui già pareva un miracolo che Dorian fosse vivo, dopo che l'aveva visto volteggiare in aria per poi andare a schiantarsi con feroce violenza contro le rocce.
Nel breve tragitto per arrivare ai poderi dei guardaboschi, Tristan aveva davvero temuto il peggio: Dorian era pallido come un cencio e inerme come uno straccio, come se fosse stato svuotato dell'aria, del sangue, della vita. Ora giaceva su un povero letto di paglia, accudito dalle premure di Judith e da Tristan, lui solo rimasto a vegliare su di lui. Faticava a stare seduto, o a riposarsi. Spesso camminava avanti e indietro per l'angusta dimora di Judith, cercando di trovare interesse in un quadro, un libro, un alambicco, sorseggiando caldi infusi e talvolta perdendosi nel contemplare il grigio paesaggio uggioso fuori dalla finestra. Nonostante tutto, nonostante Dorian giacesse gravemente ferito, era confortante starsene all'interno di quella modesta capanna di legno e pietra, al caldo, con una bevanda calda stretta tra le mani, con in sottofondo il crepitio del camino e il borbottio della pentola dove bolliva un brodo di carne, con la piacevole e intelligente compagnia di Judith con cui scambiare due parole. Sera e Toro di Ferro, invece, nonostante fuori piovesse, non avevano rinunciato alla loro rituale baldoria post-battaglia, e avevano fatto un giro di perlustrazione nei dintorni, nel tentativo di alleviare la tensione o, più probabilmente, nella speranza di raccattare qualcosa di decente da bere, e che possibilmente fosse anche alcolico e ben fermentato. Tristan era sicuro che sarebbero stati capaci di rastrellare mezzo Thedas, pur di trovare un buon liquore antivano da mandare giù per la gola.
 
La sera del secondo giorno, Dorian aveva nuovamente aperto gli occhi sul mondo e, oltre ogni più rosea speranza, sembrava stesse bene. Subito aveva tentato di mettersi a sedere, benché ogni minimo movimento gli procurasse un dolore insopportabile. Trattenne tra i denti due o tre imprecazioni nella sua lingua natale, e accettò di buon grado l'acqua che Judith si affrettò a porgli.
"L'ennesimo miracolo. Voi dell'Inquisizione siete davvero... una sorta di emissari divini, o qualcosa del genere. Bisognerà stare attenti a pronunciare il vostro nome invano, d'ora in poi", disse ironica, ma il sorriso sulle sue labbra non trasmetteva altro che gioia e gratitudine.
Non appena seppe del suo risveglio, Tristan, che stava dormendo nella stanza accanto, si affrettò a raggiungerlo, per sincerarsi di persona delle sue condizioni di salute.
"Magister del Tevinter, eh? E non sai schivare un attacco prevedibile come quello?" Esordì entrando nella sala dove Dorian era stato medicato, con un sorriso ironico e una risata che gli premeva sulle labbra. Dorian parve avere le forze persino per indispettirsi: si era ripreso anche fin troppo velocemente.
"Non sono un Magister, e in quanto al Tevinter, anche noi abbiamo i nostri draghi, ma non volano, sono fatti di pietra e rimangono generalmente buoni e zitti senza far niente nei giardini assieme alle altre statue".
"Hmpf, sbruffone", rise Tristan.
Dorian si fermò un attimo e lo guardò storto, cercando di dare un significato a quel sorrisetto ebete inciso a fuoco sulle labbra dell'Inquisitore. Era semplicemente felice di vederlo vivo, o c'era qualcos'altro sotto?
"Quel drago ha quasi ucciso me, e fatto ammattire te, Messer Inquisitore? E cos'altro ha fatto, pasteggiato con Sera? Tanti bambini con il bestione cornuto?"
"E pensare che sei vivo da neanche cinque minuti e dici già queste stronzate. Era una viverna, Dorian".

 
*

 
Una stagione era passata. L'estate era lentamente morta assieme al caldo afoso e alla polvere. Al suo posto, l'autunno era entrato in scena su un cielo terso e freddo, con un coro di venti ad accompagnarlo e vortici colorati di foglie secche. La luce del sole si era abbassata, e man mano che i giorni passavano era diventata sempre più pallida, sempre più fredda e sterile.
L'autunno era la stagione perfetta per un'incursione nelle Sacre Pianure di Orlais, o almeno così sosteneva Tristan Trevelyan. A Sera non andavano a genio quei boschi per via delle sporadiche tribù di Elfi Dalish che abitavano laggiù, ma d'altronde, c'era un luogo in questo mondo - a parte Val Royeaux - che a Sera aggradasse?
Stranamente però, questa volta, non fu Sera a lamentarsi per prima, bensì l'orchestratore dell'intera faccenda. E le sue lamentele erano tutt'altro che infondate, anzi erano del tutto legittime e riguardavano un fatto molto, molto importante.
 
"Due tende.
Due sole tende.
Perché due sole tende, ricognitore? Siamo l'Inquisizione che salverà il mondo dall'imminente sciagura, o una delegazione di venditori ambulanti?"
Il povero, giovane ricognitore iniziò a sudare freddo, colto del tutto alla sprovvista.
"Io... Io..."
"Tu?"
Dorian scoppiò a ridere senza ritegno. Lui solo poteva sapere il vero motivo per cui il sommo Inquisitore desiderava così ardentemente una tenda tutta per sé.
"Quella nana so-tutto-io questa volta mi sente. Oh, se mi sente. Dunque, piano notturno. Sera, tu dormirai in questa tenda vicino al fuoco, assieme a Toro di Ferro. Dovrebbe essere la più calda, sei contenta? Dimmi che qualcosa ti va bene, per una volta, una volta sola, ti prego...!"
"Boss, da quando abbiamo bisogno di un piano notturno? Per quanto mi riguarda, potrei appoggiare la schiena contro il tronco di un albero e svegliarmi otto ore dopo fresco come una violetta".
"Perché proprio io con questa sottospecie di bue?" Protestò Sera, "e se mi infilza girandosi nel sonno? Lui si gira sempre nel sonno".
"Così mi ferisci, Sera".
"Non hai appena detto che ti bastano i tronchi? Allora sceglitene uno e sogni d'oro!"
"Quello era... uhm... nel caso di un... uhm. Piano di emergenza".
Sera incrociò le braccia e lanciò un'occhiata demoniaca a Tristan. Toro invece si tormentava le corna, perplesso e assorto, come se qualcosa gli sfuggisse. Tristan non si arrese e continuò imperterrito nella sua opera di convincimento, nel tentativo di far ragionare l'ostinata Jenny la Rossa.
"Ma è la scelta più logica, Sera. Toro è il più ingombrante, e per risparmiare spazio deve stare in tenda con la più piccola. Mentre noi..."
"Mentre a voi non serve molto spazio, visto che starete l'uno sopra l'altro. Anche se non voglio sapere chi dei due".
"Cos...!"
Il Qunari era riuscito finalmente ad afferrare quel pensiero che gli volteggiava già da un po' in testa, e non si era fatto troppi scrupoli ad esprimerlo al alta voce.
Tristan divenne una statua di ghiaccio, mentre Toro sogghignava, compiaciuto di quel colpo basso andato perfettamente a segno. Il Qunari afferrò Sera di peso e se la issò in spalla come fosse un sacco di patate. L'elfa, troppo impegnata ad affogarsi di risate, non oppose resistenza e si lasciò collocare nella tenda che Tristan le aveva destinato. 
La risata di Dorian fu come un chiodo conficcato nella corazza di ghiaccio che aveva avvolto l'Inquisitore, un chiodo che la fece andare in frantumi. "Certo che te le cerchi, io non avrei saputo dirlo meglio", rise divertito, toccandogli la schiena e dandogli un veloce bacio sulla tempia. Tristan sorrise guardandolo entrare nella tenda che era rimasta libera, sentendo l'imbarazzo svanire. Aveva dato a Sera e al Qunari un interessante argomento di discussione, che li avrebbe sicuramente tenuti impegnati tutta notte. Ma cosa poteva importagliene, dal momento che lui avrebbe avuto Dorian tutto per sé, fintanto non fosse sorto il sole?

 
*
 

Dorian Pavus e Tristan Trevelyan. Qualcuno avrebbe potuto dire che formavano una coppia insolita, qualcun altro avrebbe potuto sostenere che erano talmente simili e sincronizzati da rasentare l'incesto.
L'intesa c'era tra loro, c'era eccome.
Erano due maghi, l'uno padrone delle fiamme, l'altro manipolatore del ghiaccio e del fulmine: due facce di una stessa medaglia. Entrambi studiavano l'arte della Necromanzia, era stato Dorian ad insegnare a Tristan alcuni dei suoi fondamenti, a prestargli i tomi su cui aveva studiato, a svelargliene i segreti.
Erano due uomini, il loro era un rapporto speculare.
Si assomigliavano persino di carattere: entrambi baravano a scacchi (ci teneva a precisare il Comandante Cullen), entrambi avevano una particolare predisposizione ad infilare battutine di spirito pressoché in ogni situazione, entrambi sostenevano con fervore la libertà dei maghi, e forse erano anche fin troppo clementi nei confronti della magia del sangue, e di chi si lasciava soggiogare dalla brama di potere.
Come se non bastasse, le loro famiglie erano imparentate, anche se alla lontana. C'erano momenti in cui Tristan vedeva Dorian come un fratello, ma ovviamente questo suo pensiero era del tutto incompatibile con il fatto che fosse irrimediabilmente pazzo di lui.
Bastava che Dorian lo sfiorasse e la sua pelle diventava di fuoco. Bastava che Dorian lo guardasse in un modo più coinvolto del necessario e, come avrebbe elegantemente detto il Toro di Ferro, sentiva una scomoda ed esaltante pressione contro il cavallo dei pantaloni. A dirla tutta, per quello bastava la sua spalla sinistra, perennemente scoperta.
Avevano lasciato trascorrere due o tre baci, giusto per esaurire del tutto il brivido dei primi contatti, ma poi non avevano impiegato molto per iniziare a perdersi tra le coperte, in quel confortevole nido che erano gli appartamenti di Tristan.

 
*

 
All'esterno, la neve fioccava placida, ma dentro le stanze dell'Inquisitore una coppia di bracieri era sufficiente a scaldare tutto l'ambiente.
"Quel fuoco non era del tutto normale, vero Dorian?" Fantasticò Tristan, osservando languidamente le braci rosse che continuavano ad emanare calore, nonostante fossero sotto la cenere ormai da un giorno intero. Il rosso intenso quasi arancione dei tizzoni si rifletteva nei suoi occhi lucidi, esaltava ancor di più il verde cristallino delle sue iridi. Le dita della sua mano destra erano immerse nei neri capelli di Dorian, e li spettinavano più di quanto non lo fossero già.
"Verissimo. Per caso hai qualcosa contro i fuochi del Tevinter?"
"Affatto, altrimenti non passerei tutte le mie notti con uno di loro", rispose Tristan, strappando a Dorian una lunga risata. Si strinsero ancora di più, e Tristan allungò un braccio a circondargli il torace, reclinando appena la testa sulla sua spalla. Prese un profondo respiro, come avesse un peso che gli gravava nel cuore.
"Mi dispiace per come è andata a finire con tuo padre, Dorian".
"Oh, non pensarci, io non ci sto pensando".
"Questa è una stronzata".
Dorian sospirò. "La numero?"
"Da quando ci conosciamo? Ventiquattro. Tante quanti gli anni che sono venuto al mondo. Fra poco divento santo".
"Come se non lo fossi già abbastanza. Aspiri a succedere a Justinia? A diventare il primo Divino? Svelami i tuoi oscuri piani, o potente Inquisitore Trevelyan".
"Io? Io che ho sempre considerato la Chiesa un mucchio di merda? Certo che diventerei il primo Divino, per raderla al suolo".
"Blasfemo e incazzato", gli scostò i capelli per dargli un bacio sulla fronte, "ti adoro".
Per un po' rimasero in silenzio, a contemplare il piacevole contrasto della neve che cadeva fuori dalla finestra sul blu della notte, e la calda discreta luce che emanavano i bracieri e le ultime scintille del camino. Tristan si beava della sua posizione di potere, non poteva negarlo a sé stesso. Gli piaceva stare seduto su un trono, gli piaceva decidere le sorti di uomini e paesi, gli piaceva brandire un bastone, manipolare il mondo che lo circondava e stroncare vite, oppure risparmiarle. Gli piaceva possedere un'ancora di salvezza nel palmo della propria mano, un'ancora che poteva però diventare anche una terribile arma. A volte sentiva i brividi percuotergli la spina dorsale, quando si soffermava a pensare, e soppesava l'enorme portata del potere che gli era stato concesso.
Eppure, quando era con Dorian, quando era stretto al suo fianco, avvolto nel caldo nelle coperte, non desiderava più di questo. Avrebbe rinunciato a tutto per lui, senza pensarci due volte.
 
"Raccontami qualcosa di te, ti va? Voglio dire, tu sei l'Inquisitore, l'Araldo di Andraste, praticamente il re di questa fortezza leggendaria - e non a caso hai l'attico, lo sapevi che di solito lo riservano alle persone importanti, sì? Hai assistito a una patetica scenata familiare che teoricamente doveva riguardare solamente due persone: me e me stesso. Per molti sei una specie di manifestazione divina, anche se credo che i tuoi seguaci adoranti si ricrederebbero sulla tua presunta natura divina se sapessero le cose che accadono in questa stanza. Ti fai scopare da me una sera sì e le altre due anche, e io so a malapena come si pronuncia il tuo nome di famiglia".
"Un momento, Dorian Pavus, ti fai scopare da me non è del tutto esatto".
"Va bene, Tristan Trevelyan, diciamo... una volta sì, una no. Ma non è questo il punto. Parlami di te. Conosco ben poco che vada oltre a questo", gli prese la mano e gli aprì le dita. Gli toccò dolcemente il palmo, e subito guizzi verde acceso gli pulsarono sottopelle. La famigerata Ancora, l'arma sottratta a Corypheus. "Oltre a questo, e oltre i tuoi invidiabili occhi, s'intende".
Tristan rise, allungò il collo e gli baciò il mento, poi la bocca, inspirando a fondo, afferrandogli i capelli sulla nuca. Dopodiché si decise a prendere sul serio la sua richiesta.
"Non c'è molto da dire, mia madre era mia madre, mio padre Karl Trevelyan, e io... un mago nato in una famiglia nobile. Non sei l'unico qui dentro a non intrattenere buoni rapporti con la propria famiglia. Solo che io, a differenza delle tue sfuriate", rise bonario, "faccio in modo che tutto quanto mi scivoli addosso.
Sono riuscito ad evitare il Circolo fino all'età di quattordici anni. Un nobile può permettersi lussi simili. Esaurivo a casa le mie poche ore di studio giornaliere, e per rispettare l'etichetta c'era sempre un Templare con me. Beh, chiamarlo Templare mi ripugna. Era prima di tutto un amico di vecchia data della mia famiglia. Caro vecchio Ser Adan, ho un bel ricordo di lui. Era un brav'uomo, non nutriva paure o pregiudizi nei confronti dei maghi, ed è sempre stato gentile con me. Per me, era una sorta di nonno adottivo. Indossava l'uniforme soltanto quando veniva a farci visita il Primo Incantatore. Le sue visite sembravano amichevoli, ma in realtà il sovrintendente del Circolo di Ostwick bussava assiduamente alla nostra porta per controllare che Ser Adan stesse svolgendo il suo lavoro, che rispettasse alla lettera i dettami dell'Ordine, e che io non rischiassi di diventare il migliore amico di un demone. Un altro uomo spregevole, spregevole insulso e codardo, come molti uomini che hanno le mani impastate negli affari dei Templari, o della Chiesa.
Ma la mia libertà ebbe fine quando mio padre venne a sapere di una scappatella con una ragazzina del volgo, di un anno più grande di me. Lei si chiamava Lilian, aveva i capelli neri e gli occhi blu. Era molto giovane, ma era già prosperosa e sviluppata, il suo seno e i suoi fianchi avevano già acquistato le loro forme... mi piaceva. Da un punto di vista puramente carnale, d'accordo, ma mi piaceva. Era stato mio fratello maggiore ad incitarmi a spingermi oltre, e così, volendo emularlo, feci precocemente le mie prime sciocche esperienze. Esperienze che mi costarono caro. Mio fratello non mi aveva certo parlato delle possibili conseguenze, forse credendo che fossimo entrambi troppo acerbi per concepire. Invece Lilian rimase incinta, e mio padre la costrinse ad abortire, minacciandola di rivelare tutto quanto alla sua famiglia. Lilian, ingenua, giovanissima e spaventata a morte dall'onta della vergogna che incombeva su di lei, cedette al ricatto, e dopo un aborto compiuto barbaramente in un fienile, divenne sterile. D'altro canto, io fui subito mandato al Circolo. Non riuscivo a capire la gravità delle mie azioni, benché passassi notti intere a pensarci".
Dorian rimase in silenzio per un attimo, nel tentativo di elaborare l'enorme peso che le parole di Tristan recavano con sé. Non si sarebbe aspettato che dietro quegli occhi candidi e quella costante ilarità si nascondesse anche in lui un passato doloroso. Forse erano stati i suoi occhi a trarlo in inganno: erano belli, ma a guardarli meglio anche abissalmente freddi.
"Eri un ragazzo precoce nel basso ventre, ma non nella testa. Possibile che non capissi che significato poteva avere un bastardo all'interno di una corte?"
"Non lo capivo. Avevo quattordici anni, e non vivevo nel Tevinter, grazie ad Andraste.
Ricordo gli anni del Circolo come un passato da cancellare. Ero un cane che era stato appena bastonato, che sarebbe rimasto per lungo tempo alla catena. E avevo quattordici anni, ero un ragazzino frustrato che doveva sfogarsi, in ogni modo possibile. Sfogarsi sui ragazzini più piccoli, sui nuovi arrivati, su quelli più spaesati di me, o addirittura su quelli meno bravi di me con la magia. Nonostante ciò, il mio carattere estroverso e il mio rango nobiliare mi aiutarono con le amicizie, anche se i farabutti con cui trascorrevo il tempo non erano dei veri e propri amici, erano più... degli autentici stronzi. Non che mi meritassi di meglio, anch'io a quel tempo ero più stronzo che simpatico".
"Perché, ora?"
"Che ne dici di andare a farti fottere?"
"Già fatto, uomo del mi-dimentico-di-aver-scopato, esattamente mezz'ora fa", ribatté Dorian con la sua consueta tagliente ironia, che non mancò di strappare a Tristan l'ennesima risata.
"Se lo vuoi sapere ero peggio che stronzo, ero cattivo. Compivo azioni di un'immotivata cattiveria. Facevo del mio branco il mio scudo, nella crudele logica del branco tutti sono innocenti e nessuno è colpevole. Chi agisce in branco, finché non assume il comando del branco, è quasi certo di essere scagionato, si sente giustificato a fare qualunque cosa gli passi per la mente. Noi perlopiù facevamo a gara su chi si portava a letto più ragazzine, e ci divertivamo a tormentare i novizi. Non c'era solidarietà all'interno del Circolo, non in quello di Ostwick almeno. Grazie ad Andraste, è stato l'unico che ho sperimentato.
Un giorno prendemmo di mira un ragazzino che avevamo sorpreso in bagno, nudo, assieme a un altro ragazzo. Tutti lo prendevano per il culo e lo emarginavano, ma noi eravamo arrivati a picchiarlo e ad insultarlo fuori dalle classi; una volta lo abbiamo accerchiato, e lo abbiamo costretto a fare un pompino ad ognuno di noi. Per rincarare la dose, agli altri del nostro corso l'abbiamo raccontata diversamente: abbiamo detto loro che era stato lui ad implorarci di lasciarcelo fare. Gli altri studenti avevano riso talmente forte che i Maestri erano accorsi a vedere cosa stesse accadendo. Se ripenso ora all'espressione dipinta sul viso di quel ragazzo, in quel momento, vorrei sbattere la testa contro il muro, ma non servirebbe a molto. Il mio più grande rimpianto è stato quello di non avergli chiesto scusa".
"Perché non gli hai chiesto scusa? Suppongo che tu abbia abbandonato la pubertà, a un certo momento. Ne avrai avute di occasioni, prima della caduta del Circolo".
"No Dorian, quella fu l'ultima occasione. Quel ragazzo, di cui nemmeno ricordo il nome, morì la notte di quel crudele episodio. In sogno, venne preso dai demoni, e divenne un abominio. I Templari furono costretti ad ucciderlo. Ancora oggi sono sicuro che fu colpa nostra. Forse aveva chiesto l'aiuto di un demone per vendicarsi, o forse nei sogni aveva trovato l'unico amico, l'unico conforto. O ancora forse, semplicemente, le continue umiliazioni l'avevano reso debole di volontà, e vulnerabile.
Dopo quell'episodio, iniziai a sentire meno il fascino del branco, anche se continuavo a frequentare le stesse persone cercavo di non prendere parte a tutte le loro malefatte. Poi accadde che, all'età di diciassette anni, mi lasciai per la prima volta andare con un ragazzo. Era un ragazzo che faceva parte della nostra indegna combriccola di bulli, e tutti noi lo chiamavamo 'Gully', un altro accolito del culto del branco. Lui non aveva mai preso parte a nessuna azione malevola, tutto ciò che faceva era guardare e ridere, ridere e guardare. Aveva i capelli rossi e qualche lentiggine sul viso, era alto e snello. E insieme scoprimmo qualcosa di nuovo. E io scoprii che mi piaceva, mi piaceva più farlo con lui che con tutte le ragazzine con cui ero stato.
Continuavamo a frequentarci, di nascosto da tutti. Finché, quando raggiunsi i diciotto anni di età, mio padre volle ritirarmi dal Circolo e organizzarmi la vita, in qualità di suo secondo erede, partendo ovviamente dal matrimonio. Ma i suoi progetti andarono in frantumi quando venne a sapere della mia condotta poco esemplare. Si infuriò con i miei maestri, poiché aveva creduto, nella sua ingenuità, che confinandomi al Circolo avrei messo la testa a posto, mentre invece nulla di tutto ciò era accaduto, anzi, forse la testa l'avevo persa del tutto. Decise dunque di lasciarmi al Circolo per altri due anni almeno, ma poi scoppiò la ribellione e sappiamo tutti com'è andata.
Gully si arrese ai Templari pur di avere salva la vita, ma io... io fuggii. C'è chi dice che rimasi neutrale. Quante necessarie falsità che si scrivono sui libri di storia, pur di tutelare a tutti i costi il buon nome delle famiglie nobili. È vero, non combattei i Templari a viso aperto, non mi schierai in prima linea a favore dei ribelli, ma scappai, e guardando da lontano le fiamme divampare e il fumo alzarsi verso il cielo, risi. Risi di gioia, una gioia che non riuscivo a contenere dentro di me. Dopo tanto tempo respiravo la libertà. Anzi, forse era la prima volta in vita mia che ero veramente libero. Avevo sempre odiato il Circolo. I Templari erano persone spregevoli, e lo erano ad Ostwick come in qualsiasi altro Circolo. Si sentivano i nostri padroni, e per questo anche il più infimo di loro, con in mano il guinzaglio di un mago, si sentiva onnipotente. Perché in realtà quelli che rasentano l'onnipotenza siamo noi, Dorian, i maghi! Noi che giochiamo con gli elementi, noi che camminiamo nei sogni. I Templari ci minacciavano ogni volta di sottoporci al Rito della Calma, se non eravamo disciplinati. Sulla testa di ognuno di noi pendeva sempre questa costante, terrificante minaccia: la Calma. Se il Circolo non era una prigione, non saprei in quali altri termini definirlo".
"E così hai preferito toglierti dai guai, piuttosto che impegnarti a costruire il mondo che sognavi. Piuttosto codardo, da parte tua".
Tristan non rispose, e per un po' calò il silenzio. Rievocare quei ricordi aveva riaperto vecchie ferite, ma dopo che erano entrati così in intimità, e soprattutto dopo quello che era successo a Redcliffe, si sentiva in dovere di condividerli con Dorian.
"Codardo..." ripeté Tristan, e la sua voce ebbe un tremito. Dorian gli circondò le spalle con un braccio, e lo baciò sulla fronte. "Scusami".
"No, non scusarti. Codardo è la parola giusta. Sono stato un codardo".
"E ora stai salvando il mondo. Essere un codardo e uno stronzo ti ha fatto bene".
"Ti annoia, vero, non sentire il suono della tua voce?" Lo provocò Tristan, cercando di spazzare via quella nube di tristezza che gli aveva oscurato la mente.
Il mago del Tevinter rise. "Mi affligge, piuttosto. La mia voce è infinitamente più bella della tu-"
Tristan prosciugò quel fastidioso fiume di parole con un altro bacio, un bacio breve ma intenso, un bacio bagnato. "Venticinque", disse, sorridendogli a fior di labbra. Dorian ridacchiò, poi tornò a stendersi sui cuscini, allungando le braccia verso la testiera del letto.
"Voi del Sud dovete essere pazzi ad ingabbiare i maghi in quel modo, a metterli costantemente sotto tensione, metterli costantemente alla prova, reprimerli con la minaccia di tramutarli in manichini ambulanti. È come rinchiudere un grande drago in una piccola gabbia, e stuzzicarlo ogni giorno con scosse, punture, bruciature. A quel punto, bisogna pregare che il drago non si liberi".
"E quando invece il drago fu finalmente libero, iniziò a vivere la sua vita. Ho iniziato a girovagare per il vasto mondo, con la folle illusione che, assieme ad Ostwick, mi sarei lasciato alle spalle anche il nome dei Trevelyan. Ovviamente mi sbagliavo, perché il passato continuò a rincorrermi, benché non alloggiassi mai nella stessa locanda per più di una settimana, benché non dissi mai a nessuno il mio vero cognome. Un giorno venni fermato da un gruppo di energumeni che pretendevano di riportarmi a casa. Quello che sembrava il loro capo mi mise sotto il naso un documento sigillato con lo stemma della mia famiglia, e firmato da Bann Karl Trevelyan in persona. Quando gli dissi che avrebbero dovuto riportare a casa il mio cadavere se volevano adempiere al loro mandato, i mercenari sfoderarono le loro armi. A quel punto, anch'io sfoderai le maniere forti.
Sui loro cadaveri, lasciai un eloquente biglietto indirizzato ai miei familiari:
Cara mamma, caro papà, cari fratellone e sorellina. Ora che ho bruciato tutti i vincoli che mi rendevano infelice, sto bene, sono al caldo, ho la pancia piena e sono felice. Non vorrete rovinare tutto, vero? A mai più rivederci! Il vostro adorato secondogenito, Tristan".
 
"Precocemente stupefacente, uomo del combattiamo-un-drago-anche-se-siamo-tutti-mezzi-morti".
Dorian allungò un braccio, nella foga del suo solito gesticolare, e buttò a terra il candelabro appoggiato sul tavolino di fianco al letto.
"Ho capito che non ti piace il mio arredamento, ma c'è davvero bisogno di darci fuoco? Con me dentro?"
"Cazzo..." Imprecò il mago del Tevinter, starnutendo per l'acre odore di fumo che subito si spanse per l'ambiente. Scese dal letto, nudo, mettendo a dura prova i nervi di Tristan.
"Almeno una cosa che ti piace".
"Un'osservazione molto acuta, complimenti. No, non ho intenzione di dare fuoco al tuo amato appartamento. Ci sono anch'io dentro, uomo del proviamo-a-dare-i-miei-compagni-di-squadra-in-pasto-a-un-drago", obiettò Dorian mentre allungava il collo sotto il letto per sincerarsi che le candele si fossero spente, e che il tappeto non stesse effettivamente andando a fuoco. Ripose quindi il candelabro sul tavolino, ma non sprecò tempo ad accendere nuovamente le candele. Tornò a infilarsi nel tepore del letto, a fianco del corpo bollente di Tristan Trevelyan, l'uomo che amava. Un giorno o l'altro avrebbe dovuto dirglielo, giusto per eliminare ogni possibile equivoco. Ti amo Tristan, erano tre parole, sarebbero passate in fretta.
"Hmpf. Tu, un mago del fuoco? Scommetto che hai una specie di immunità", disse Tristan riprendendo in mano il discorso, mentre Dorian tornava ad adagiarsi al suo fianco.
"Parla l'uomo che è quasi riuscito a farmi finire nella pancia di una viverna".
"Ancora con quella storia?"
"Dovrei provare ad appenderti al pinnacolo più alto di Skyhold, a fare il portabandiere o il galletto segnavento, durante una tempesta estiva. Vediamo se l'uomo del tanto-i-draghi-sono-bestiole-innocue è immune ai fulmini".
"Non ho mai detto che i draghi sono bestiole innocue!" Protestò Tristan, facendo finta di essersi indispettito.
"Ah no?" Lo rimbeccò Dorian, guardandolo in tralice. E quella che avrebbe dovuto essere una risata venne soffocata da uno sbadiglio. Tristan notò solo in quel momento che i suoi occhi erano lucidi, e che faticavano a restare aperti. Doveva essere molto tardi. Gli diede un lieve bacio sulle labbra, poi tornò a sistemarsi sotto le coperte.
"Magister Pavus, il fatto che le candele si siano buttate sul pavimento indica che è giunta l'ora di dormire?".
"O, di fare un altro giro?" Lo provocò Dorian, rotolandogli sopra e guardandolo malizioso. Tristan rise, e Dorian soffocò la sua risata nell'ennesimo bacio.
All'occasione, le forze gli ritornavano in fretta.



 
*
 
 
 
 
"Non starai mica temendo che non mi farò più sentire, vero?"
Tristan non voleva crederci. Non poteva credere che dopo solo due anni fossero già arrivati alla fine. Aveva accolto le parole di Dorian, del tutto inattese, come una doccia gelida. Per un momento non era più riuscito a muovere un solo muscolo, le orecchie gli ronzavano, e il mondo attorno a sé si era fatto d'un tratto distante. Poi, la rabbia l'aveva sgelato dall'immobilità, una rabbia che gli montava rapidamente nel cuore, come un'ondata di piena.
"Certo, non dubito che mi spedirai qualche lettera, di tanto in tanto. Tu mi stai dicendo addio, Dorian. Dimmi perché non posso venire con te".
"Non ti lascerò rinunciare a tutto quanto per me, amatus".
"Non mi chiamare così, schifoso bugiardo!" Tristan si avventò su di lui, e lo afferrò per il colletto. Si sentiva soffocare, e non era certo di poter dare tutta la colpa all'uniforme che indossava, allacciata fino all'ultimo bottone.
"Io non voglio andarmene", replicò Dorian rabbioso, svincolandosi dalla sua stretta. "Non voglio andarmene, Tristan! Ma non posso lasciar naufragare il nome della mia famiglia nel nulla. Io non sono come te!"
"Grazie ad Andraste no, sono io a non essere come te. Tu... tutte le tue belle parole, tutto il tuo amor proprio... sei solamente un ipocrita. Hai mandato a fanculo la tua famiglia, il tuo paese, tutto ciò che ti era caro te lo sei lasciato alle spalle pur di riconquistare te stesso. E ora che sei finalmente riuscito a vivere la tua vita, vuoi buttarla via per tornare ad essere schiavo del buon nome dei Pavus? Sei ridicolo, Dorian. Tuo padre è sottoterra e non gliene frega un cazzo se tu adesso vai a occupare il suo posto nel Magisterium, e metti il culo su quella sedia con sopra scritto il suo nome. Tuo padre lo dovevi perdonare quando ancora era in vita. È troppo tardi per lavarti la coscienza, ora".
"Tristan aspetta, ascoltami, lo sai che ti amo..." Lo trattenne Dorian, mentre l'altro aveva già iniziato a voltargli le spalle. Lo prese per un braccio e lo voltò verso di lui, e sentì che tremava in modo incontrollabile.
"No io ti amo, Dorian. Io ti amo, e per te avrei rinunciato a tutto, a tutto. Avrei rinunciato cento volte ad essere un Trevelyan, avrei rinunciato alla guida dell'Inquisizione, avrei rinunciato al potere e forse anche alla mia vita. Ti avrei seguito ovunque, avrei supportato ogni tua scelta. Volevo esserci fino alla fine. Non venirmi a raccontare che tu te ne andrai nel Tevinter e io rimarrò a Skyhold, e rimarremo comunque insieme, ci ameremo come prima e faremo l'amore con il pensiero, e altre stronzate. Se ora tu te ne vai, e se non mi vuoi con te, noi la finiamo qui e oggi, Dorian Pavus".
"Tristan...", Dorian fece per carezzargli una guancia, ma Tristan lo spinse via con cattiveria. "Non toccarmi". Poi gli dedicò un'ultima occhiata di disprezzo, e gli voltò le spalle una volta per tutte.
Ce l'aveva fatta, il suo orgoglio aveva trionfato. Non gli aveva pianto in faccia.
Se ne andò a passo svelto, cercando di essere abbastanza forte per lasciarlo andare. Lui evidentemente lo era, visto che non aveva neppure fatto il primo passo per rincorrerlo.
Così, Dorian Pavus sarebbe diventato Magister Pavus. Avrebbe avuto il potere, il prestigio e la ricchezza che gli spettavano. Chissà, forse si sarebbe addirittura sposato.
Forse avrebbe avuto tutto ciò che già aveva prima di unirsi all'Inquisizione.
Tanta strada, solo per chiudere un cerchio.
 





"Bene, sei qui finalmente! Ora mi aiuterai a chiuderlo, non è vero?"

 
   
 
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