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Autore: tiny_little_bee    02/10/2015    1 recensioni
Gendry si trova a Braavos da sei anni, ormai, quando un pezzo del suo passato torna alla riscossa come un uragano, scuotendolo e rendendolo finalmente completo e felice.
dal testo:
"Gendry la guardò dormire, le palpebre che si muovevano piano, le mani sotto la guancia a farle da cuscino, gli abiti appallottolati tra esse. La giacca di Gendry le copriva il corpo minuto quasi interamente, e lei, rannicchiata sotto quel riparo di cotone, giaceva immobile a sognare. Lui non era riuscito a prendere sonno, e aveva continuato a guardarla dormire, colmo di una sensazione di pace che gli mancava da tempo. [...] La strinse piano, avendo cura di non svegliarla. Appoggiò la fronte alla sua e scivolò infine nel sonno, sereno e rilassato."
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Gendry Waters
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gendry rimase a guardarla dormire. La luna era una falce, e la sua luce tingeva la loro pelle di una tonalità pallida e magica. La guardava incantato, temendo che quella scena potesse dissolversi come cenere in un alito di vento. Riportò alla mente tutto ciò che era avvenuto in quel giorno.

 

Aveva bussato alla Casa del Bianco e del Nero trasportando il debole corpo di un ragazzo tra le sue braccia, un ragazzo malato e in fin di vita. Sapeva cosa accadeva a chi chiedeva aiuto a quell’ordine, ma il ragazzino era debole e lui sperava soltanto che le sue sofferenze potessero finire presto, lì dentro.

Anni prima aveva viaggiato verso Braavos, fuggendo da Stannis e dalla donna rossa, e nella città libera aveva trovato lavoro come fabbro in una modesta fucina, lavoro che gli permetteva di mangiare e di avere un tetto sulla testa. Il proprietario di quella fucina era morto circa tre anni dopo che lui si era presentato in città e il figlio del fabbro, che aveva ereditato l’attività dal padre, l’aveva implorato di rimanere, aumentandogli, sebbene di poco, lo stipendio. Il ragazzo non sapeva nulla sull’arte del padre, avendo preferito andare per mare con lo zio piuttosto che imparare il mestiere paterno, così Gendry era divenuto il mastro fabbro di quella fucina e aveva accettato un apprendista dal “Fondo delle Pulci” di Braavos. Proprio quel povero ragazzo, di soli quattordici anni, adesso era gravemente malato, non si sapeva di cosa, e non aveva altri che lui al mondo. Era suo dovere portarlo alla Casa del Biano e del Nero e affidarlo alle cure di chi sapeva come aiutarlo, sebbene il suo cuore sembrasse tremare all’idea di ciò che stava per fare.

Aveva bussato alla grande porta, aspettando che venisse aperta, e aveva portato dentro il corpo incosciente e scosso dai brividi di febbre del ragazzo. Una ragazza minuta e bassa di statura gli aveva fatto strada per i corridoi e quelle stanze antiche e cavernose. I suoi occhi, così grandi e limpidi, gli avevano ricordato qualcosa, anche se non sapeva esattamente cosa. Avevano instillato un seme di malinconia e nostalgia, quegli occhi grigi,  dentro il suo cuore. Sapeva di conoscere quella ragazza ma non riusciva a capire dove l’avesse già incontrata. L’aveva studiata con interesse mentre si occupava del suo apprendista, quei modi di fare così teneri, quei sorrisi così ampi e rassicuranti, quegli occhi, quelle ciglia lunghe che si abbassavano veloci, folte, e che incorniciavano i profondi pozzi color fumo delle sue iridi.

Quando gli uomini della Casa erano entrati per portare via il ragazzino, la ragazza gli si era avvicinata.

-Adesso finalmente riposerà- aveva detto in un sussurro, abbassando lo sguardo nel parlare, atteggiandosi in una posa che aveva ripetuto già migliaia di volte in precedenza e che aveva quel sapore di vero accordato solo dalla consuetudine.

-Io ti conosco- aveva replicato secco lui, dimentico del povero apprendista senza vita che giaceva sulla lettiga che due ragazzi di poco più vecchi di lui stavano trasportando attraverso una porta sul fondo della stanza. Gli occhi della ragazza si erano sollevati su di lui, colpevoli, consapevoli, in quell’espressione tipica di chi sa ma non osa rivelare.

-E tu conosci me!- aveva esclamato lui come una fosse stata una rivelazione. Le guance della ragazza si erano tinte di rosso. Quel suo modo di arrossire e distogliere lo sguardo, l’aveva già visto: la sua Lady arrossiva nella stessa identica maniera.

Arya.

Ricordare a cosa aveva scelto di rinunciare per la fratellanza senza vessilli, che l’aveva tradito per un po’ d’oro, era un colpo nello stomaco e un colpo al cuore, un pensiero che gli mise tristezza e gli riportò alla mente i vecchi tempi, quelli in cui aveva visto più morte e violenza che ad Approdo del Re ma era davvero felice.

In qualche modo, era riuscito ad associare a quella ragazza il visino sudicio della lady di tredici anni che aveva lasciato in occidente e, finalmente, aveva capito.

-Arya- aveva sussurrato dolcemente, in un soffio, incredulo. Era rimasto senza fiato dall’emozione e dallo stupore. La ragazza che aveva davanti non era affatto come ricordava la sua Lady, ma poteva chiaramente riconoscere il volto, ora pulito e adulto, della ragazzina proveniente dal nord, e quegli occhi grigi, che lo fissavano allo stesso modo di sei anni prima.

-Gendry- aveva risposto lei con gli occhi lucidi. Si era poi voltata, fuggendo il suo sguardo, portando velocemente le mani ad asciugare le lacrime che si erano formate agli angoli degli occhi.

-Sei davvero tu! Non posso crederci! Finalmente…- aveva continuato lui, facendola voltare nuovamente ad incontrare il suo sguardo e portandola ad abbracciarlo. Erano rimasti stretti l’uno all’altra per non sapevano quanto tempo e infine si erano separati con imbarazzo e tensione.

-Mia lady, non puoi capire quanto tu mi sia mancata- disse lui in un soffio, il suo volto a pochi centimetri da quello di Arya.

-Non sono una lady- aveva replicato lei, richiamando alla mente ricordi dolorosi di quando avevano viaggiato insieme e lui aveva scoperto la sua vera identità. Aveva nuovamente scostato lo sguardo, ma lui aveva posto un dito sotto il suo mento e le aveva fatto alzare il volto.

-Sì che lo sei… sei la mia Lady- aveva mormorato lui. La tensione era troppo forte per resisterla e Arya colmò la breve distanza che separava i loro volti baciando le labbra carnose del ragazzo, ormai divenuto uomo. Un bacio timido, breve, tremante, che entrambi volevano ma che solo il più coraggioso dei due aveva osato dare. Arya si era separata in fretta da lui, imbarazzata dalla sua debolezza, e aveva guidato Gendry fuori dalla Casa. Insieme si erano diretti alla locanda dove Gendry solitamente andava a bere un boccale di birra quando calava la sera. Avevano passato il tempo a parlare dei continenti occidentali e di quello che era successo in quegli anni in cui erano stati separati.

-Hanno usato il mio sangue per una qualche stregoneria, poi un certo Davos mi ha fatto fuggire dalle prigioni. Sono riuscito ad arrivare in un villaggio dove ho chiesto un passaggio per le città libere e sono qui da allora. Davos mi aveva detto di andare ad Approdo del Re, ma io non volevo tornare lì, solo per essere di nuovo ricercato dai Lannister.- le aveva raccontato, evitando la parte in cui la sacerdotessa l’aveva sedotto e ingannato. Quel colpo ancora bruciava e feriva il suo orgoglio, l’unica volta in cui aveva assecondato la sua debolezza di ragazzo e i suoi impulsi libidinosi.

Lei aveva ascoltato con interesse ciò che lui aveva da dire, ed era felice di raccontare come era andata a lei, in quegli anni, di come era divenuta parte della Casa del Bianco e del Nero.

Avevano parlato molto, troppo, fin quando si erano accorti che la locanda era quasi vuota e che chi rimaneva ai tavoli o erano mezzi ubriachi o totalmente ubriachi, alcuni perfino addormentati col volto riverso scompostamente sul tavolo di legno.

Gendry non sapeva bene come, ma si erano ritrovati in strada a camminare senza una meta precisa, parlando del più e del meno come se non si fossero realmente ritrovati dopo anni di nostalgia e tristezza. Erano arrivati fino alla spiaggia e avevano iniziato a passeggiare sulla sabbia umida e fresca, ammirando il paesaggio che sembrava incantato alla luce del chiaro di luna. Arya, protetta dall’oscurità, l’aveva spintonato e l’aveva fatto cadere sulla sabbia ruvida. Lui si era ritrovato con gli abiti bagnati e appesantiti da migliaia granelli di sabbia, e l’aveva fatta ruzzolare a sua volta. Era seguita una lotta, come quella che avevano fatto tempo prima nella fucina del palazzo delle ghiande, e si erano ritrovati a baciarsi, il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia e il bagliore tenue della luna che bagnava i loro volti colorandoli di bianco e argento. Gendry l’aveva fatta stendere sotto di lui e l’aveva amata, quella notte, più volte, e lei aveva sempre tentato prendere il controllo, senza troppo successo. Svestiti, sulla sabbia graffiante, si erano rotolati e avevano lottato più e più volte, trovando l’amore e la pace dopo anni di solitudine e malinconia.

 

Gendry la guardò dormire, le palpebre che si muovevano piano, le mani sotto la guancia a farle da cuscino, gli abiti appallottolati tra esse. La giacca di Gendry le copriva il corpo minuto quasi interamente, e lei, rannicchiata sotto quel riparo di cotone, giaceva immobile a sognare. Lui non era riuscito a prendere sonno, e aveva continuato a guardarla dormire, colmo di una sensazione di pace che gli mancava da tempo. Era finalmente soddisfatto, l’aveva finalmente trovata. Erano passati sei anni, ma sembrava solo il giorno prima che avevano affrontato la fratellanza con Frittella armati con dell’acciaio che non sapevano maneggiare, e sembrava solo il giorno prima che l’aveva persa, aveva creduto, per sempre.

La strinse piano, avendo cura di non svegliarla. Appoggiò la fronte alla sua e scivolò infine nel sonno, sereno e rilassato.

 
   
 
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