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Autore: Fannie Fiffi    02/10/2015    7 recensioni
[Elliot Alderson; post 1x10]
«Ti chiedi se la consapevolezza della schiavitù possa in qualche malsano modo renderti di conseguenza un po’ meno schiavo, ma supponi che non avrai mai la risposta. L’unica differenza fra te e il resto della media mondiale è che tu sai che niente di tutto quello che potrai mai fare, conoscere, inventare, pensare di amare o di possedere è reale. »
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Parto dal presupposto che questa è una follia. Ma mi sono innamorata di Mr. Robot, e di Elliot Alderson, e di tutto quello che lo riguarda, quindi eccomi qui.
Prendetelo come un esperimento. Spesso, nella serie, Elliot si rivolge al pubblico come un amico immaginario. Ecco, questo è quello che l'amico immaginario potrebbe rispondergli.

Buona lettura!


 
 


R.I.P 2 My Youth





 
Sei lì? Sono qui per te, rispondi. Mi hai chiamato, no?

Svegliati. Sei sveglio? Sei veramente sveglio?

Forse dovresti chiederlo alla Fsociety. Forse loro hanno le risposte che cerchi.

Aspetta, tu sei la Fsociety. Tu sei Mr Robot. Tu sei Elliot Alderson, Edward Alderson, Mr Robot, la Fsociety, la Allsafe, la rivoluzione che cammina silenziosa e anonima fra le strade di New York, nelle metropolitane di Parigi, attraverso le pagine Facebook di prodotti cosmetici sottocosto di una delle tante ditte in espansione.

Tu sei il re del nulla e il tuo regno è fatto di stronzate e il tuo trono è il cumulo di bugie che ogni persona racconta a se stessa prima di entrare in un McDonald’s, prima di comprare un paio di Nike, prima di accendere la famosa ultima sigaretta che un attimo prima dell’ultimo tiro diventerà la penultima.

Tu sei il re dell’ultima striscia di morfina e delle pillole mancanti di Suboxone e delle paranoie degli altri e delle ansie sociali che si annidano ad ogni angolo buio, ad ogni raggio di luce, ad ogni cubicolo del tuo posto di lavoro.

Tu sei il prodotto delle domande commerciali delle multinazionali, il risultato di un’equazione imperfetta, il frutto delle insicurezze dell’uomo medio che si chiede se sua moglie sia venuta davvero o se quella sia stata solo una delle tante finzioni del proprio matrimonio.

Come se l’idea che sia l’amore a tenere due persone insieme possa davvero essere la spiegazione adatta a tutto quello.

Come se le persone possano ancora fingere di essere in grado di amare qualcuno oltre se stesse.

Come se tu fossi diverso e non la macchina egoista e ossessionata dal desiderio di essere sedata in cui il mondo ti ha trasformato fin dal primo momento che hai aperto gli occhi.

Sei sveglio da soli sessantacinque secondi e hai già perso il controllo dei tuoi pensieri. Sei così incapace.

WhiteRose direbbe che qualche ingranaggio nel tuo orologio naturale si sia incastrato. Ti direbbe che tu non hai posseduto mai niente nella vita, né il pallone che tuo padre ti ha comprato quel giorno sulla spiaggia né la tua capacità di volere, ma una cosa puoi averla: il controllo del tuo tempo.

Ogni secondo della tua vita è unico, irripetibile rispetto al precedente e incompatibile con il successivo, e tu devi fare in modo che ognuno di questi secondi valga qualcosa. Che conti. Altrimenti non ne meriti neanche uno.

La voce nella tua testa – la tua voce, non quella di tuo padre, né quella di Angela, né quella di Shayla – invece ti dice che tu non sei altro che un loop infinito, un codice sorgente infranto, un linguaggio di markup che anche un ragazzino in fase preadolescenziale potrebbe risolvere con una mano sola.

Tu sei il fallimento della voce della ragione e la vittoria della morte delle emozioni. Sei la nemesi del prototipo di protagonista del nuovo libro di Nicholas Sparks, l’alter-ego di Tyler Durden, la calma piatta e i lampioni fuori uso durante un temporale.

Sei la paura del buio di un bambino di sei anni e l’ombretto nero spalmato sulle palpebre del ragazzo punk che abita al piano di sopra.

Sei il pianto silenzioso di tua sorella quando tua madre le diceva che non ci sarebbe mai stato niente di bello in lei, niente che un uomo avrebbe mai potuto amare.

Tua sorella, che ha trascorso la notte con te, al tuo fianco su quel materasso usurato dal tempo e dalle follie.

Tua sorella, a cui è sempre stato vietato di toccarti, perché ormai tutti sanno che Elliot Alderson non vuole essere toccato, semplicemente non vuole, ma che alla fine ha poggiato la testa sulla tua pancia e ha lasciato che i suoi capelli si intrecciassero alle tue dita.

Darlene, la piccola e triste Darlene, con le sue urla incontenibili e il suo cuore infranto e i suoi occhi curiosi e le sue gambe magre, sempre troppo, troppo magre.

Darlene, che fuggiva di casa e che sognava di non ritornare mai più, ma che aveva troppa paura di restare sola per farlo. Lei che entra ed esce dai tuoi ricordi con una facilità disarmante, come un taglietto che non riesce a rimarginarsi, come la canzoncina che continui a canticchiare nel retro della tua mente senza nemmeno accorgertene.

Il suo trucco forma un mosaico di malinconia nei punti in cui si è mischiato alle sue lacrime e le è colato ai lati del volto.

È avvolta in una delle tue felpe nere e la tua mano è ancora nei suoi capelli, immobile, come se quello fosse il suo posto, e il suo respiro regolare ti fa venire i brividi lì dove la tua maglietta è sollevata e il vostro sangue uguale è vicino, troppo vicino perché possa farvi bene.

Non hai il coraggio di allontanarla, però. Non ora. Non ora che il tuo mondo si è rivelato pazzia, caos al suo stato più puro.

Non ora che tutto quello che credevi fosse reale in realtà non è nient’altro che quello che altri hanno voluto farti credere, e che non c’è niente che tu possa fare per liberarti dalla schiavitù in cui tutti ci siamo autoindotti lentamente e senza possibilità di ricompensa.

Perciò rimani lì, sdraiato sul tuo vecchio materasso, nel tuo vecchio appartamento, con tua sorella fra le tue braccia e il vostro passato schiacciato in un angolino fra di voi, proprio nel tessuto cerebrale che  non potete dimenticare. Che non potreste dimenticare nemmeno in un altro universo, in un'altra versione parallela di voi stessi.

Una parte di te, quella che è rimasta cosciente e silenziosa per tutto questo tempo, si ritrova pigramente cullata nel viale dei ricordi, quando tu e Darlene eravate solo due bambini e vostro padre era lì con voi ed eravate amati, scaldati da quel calore che tante volte, da grandi, avete ricercato in corpi nudi e lenzuola fredde. Quel calore che mai nessun altro è stato in grado di darvi.

In quel momento, in quell'esatto istante della tua vita, con tua sorella che dorme su di te e la rivoluzione fuori dalle finestre, sei consapevole. Lo sei come mai prima d'allora, come se per un attimo potessi davvero avere il controllo su te stesso e sulla tua vita e su quello che si suppone tu debba provare, su ciò che la società vuole che tu provi.

Su quello di cui scriveresti su un blog di Tumblr se fossi come loro ti vogliono, schiavo e suddito e inebetito dalla nuova falsa intimità di internet.

Sei consapevole che non è così che sarebbero dovute andare le vostre vite, che lei avrebbe dovuto trovare un marito che riuscisse ad amarla e che entrambi sareste andati al college e avreste avuto degli amici e sareste stati normali.

Normali nel senso di frappuccini da Starbucks e foto delle domeniche in famiglia su Instagram.

Sei consapevole che avresti potuto amare Angela. Lo sai, è dentro di te come un peso che ti trascini aggrappato al cuore giorno dopo giorno.

Lo sai che se fossi stato diverso, se tuo padre non ti avesse lasciato e il mondo non avesse avuto bisogno di essere salvato – salvato da te – tu avresti potuto amarla.

L'avresti amata e avresti fatto con lei l'amore per la prima volta e lei sarebbe stato il tuo primo  “ti amo” e poi l'avresti sposata, perché non c'è nessun altro che ti ami come ti ama lei, senza etichette o ricette mediche o fobie o stupide, stupide follie.

Se tutta la tua esistenza non fosse stata una fuga continua da quello che sei stato e da quello che loro vorrebbero tu sia, tu sai che lei sarebbe stata l’unica con cui saresti potuto essere sincero. L’unica che conosce la parte più pura di te, l’unica che ogni tanto senti il malsano desiderio di abbracciare, l’unica che avrebbe potuto curarti, se le circostanze fossero state diverse.

E non c’è nessuno che sia disposto a fare per qualcuno quello che lei ha fatto per te, sei consapevole anche di questo, ma non è sufficiente. Non lo sarà mai. Non è stata la tua prima volta e non potrai mai amarla, né sposarla, né donarle la vita felice che merita.

Tu lo sai e lei lo sa e non c’è compromesso su questo, non c’è punto di incontro, non c’è strada a metà. Ci sono solo tutte le cose che non le hai detto, il muro di bugie e menzogne che hai tirato su fra di voi e che i suoi occhi dolci e i suoi abbracci e i suoi capelli biondi non potranno mai oltrepassare.

Ti torna alla mente il giorno del funerale dei vostri genitori e il suo volto da bambina attraversato da tante lacrime, così tante da colarle sul mento e sotto al collo del maglione nero, giù per la pelle, così tante da appiccicarsi alla sua faccia e farle bruciare gli occhi chiari, e tu che non potevi fare niente per aiutarla, per farla smettere di piangere, per assicurarle che sarebbe andato tutto bene.

Che tuo padre e sua madre erano felici in cielo e vi proteggevano da lassù.

Mi senti? Sto raccontando la tua vita perché tu possa trasformarla in una storia, Elliot. Perché tu possa finalmente dimenticarla.

Il volto di Angela si dilegua dai tuoi pensieri in un attimo. È sempre così. Ferisci quelli che ami di più perché loro sono gli unici che hanno il vero potere di distruggerti.

Ed è quando pensi al potere che arriva anche un altro paio di occhi. Non blu, non azzurri. Glaciali.

Tyrell Wellick. Il tuo peggior nemico. Il tuo peggior incubo: Evil Corp.

Non tremare. Non temere. Siamo soli, adesso. Puoi pensarci. Puoi permetterti di ricordare come ti sei sentito quando è entrato in casa tua come se gli appartenesse, come un dio torna alla sua santa creazione originale. Come se non ci fosse altro di più naturale che essere lì, in quel momento, con te.

“Ho aspettato fuori dal tuo appartamento.”

E ti chiedi perché Tyrell Wellick, il quasi CTO del centro di tutto il tuo odio, il ricco, arrogante, peccatore di ubris Tyrell Wellick abbia aspettato così tanto fuori dal tuo appartamento. Perché ti abbia voluto con sé fin dall’inizio.

Perché ti turbi e sconvolga a tal punto da non riuscire nemmeno a respirare quando si fa così vicino da poter contare le crepe di colore nei suoi occhi sempre fermi e attenti.

Ti chiedi perché tu non riesca a trovare dentro di te un motivo sufficiente per volerlo distruggere. Per annientarlo così come il suo posto di lavoro ha annientato te, e Angela, e tutti gli altri nomi che ormai hai imparato a memoria.

C’è qualcosa che ti urla di farlo a pezzi ogni volta che siete insieme – e ancora non riesci a spiegarti cosa possa farci il vicepresidente di una corrotta multinazionale con un semplice impiegato che di notte è un hacker pronto a farlo crollare – ma che non urla mai abbastanza.

C’è sempre questo tic nervoso, questo tassello che non riesci ad incastrare in nessuno dei tuoi vuoti, un punto interrogativo che continua ad assillarti e a venirti a trovare di notte, quando sei più solo e più vulnerabile, appena dopo che l’effetto della morfina è svanito, quando non puoi sfuggirgli.

È come se questa curiosità conoscesse i tuoi momenti deboli e ti venisse a cercare proprio quando si manifestano di più – anzi, come se di questi momenti si nutrisse. La parte di te che non riesce a scacciare Tyrell è quella che viene alimentata dalle tue insicurezze, dalle tue sofferenze. È quella che pensa che sia lui l’unico in grado di risolverle, perché in fondo lui è come te.

Tu sei Tyrell e Tyrell è te in un modo che non potrebbe essere più lontano dal modo in cui tu sei stato tuo padre per tutto questo tempo.

Tyrell non è dentro di te, ma è il riflesso di tutto quello che in te avrebbe potuto funzionare.

Lui è tutte le scelte giuste che avresti dovuto prendere. E per questo non avrai mai pace finché non lo avrai decifrato. Decriptato.

Finché ogni suo codice non sarà per te una parola conosciuta, abituale come la preghiera prima dei pasti della noiosa famiglia media americana e semplice come le partite di baseball che se fossi stato normale avresti seguito anche tu.  

Lo so che non riesci ancora a capire il perché, ma io lo vedo. Sei tu che mi hai chiesto aiuto, no? Questo è il mio aiuto. Questa è la mia mano divina che cala sulla tua testa come una scure e riversa fuori tutti i pensieri al suo interno finché ogni tua emozione non sarà raccolta ai tuoi piedi e tu potrai vederla con i tuoi occhi.

Questa è il mio intervento pronto a salvarti, Elliot.

Darlene si sposta dalla tua pancia e si gira dall’altro lato. Hai poco tempo. Sai che fra poco si sveglierà, e ti trascinerà fuori di casa, e ti comprerà uno stupido palloncino colorato, e la più grande e maestosa rivoluzione avvenuta nella storia dell’uomo vi circonderà e avvolgerà, e Tyrell sarà ancora da qualche parte, lontano da te, e tu aspetterai di rivederlo e al contempo mentirai a te stesso dicendoti che è solo morbosità, è solo la voglia di uscire dagli schemi, di liberarti.

Ma tu sei uno schiavo e la libertà è solo un’ombra sulla parete della caverna. Una proiezione. Un’illusione in cui hai vissuto per troppo tempo, che si è geneticamente insinuata nel tuo sangue e negli infinitamente piccoli solchi delle tue ossa e che invecchierà con la tua pelle, si raggrinzirà e morirà con te.

È solo un peso che volontariamente ogni essere umano si carica sulle spalle la mattina. Doccia calda, caffè, camicia, cravatta e carico di illusioni, pronti per un altro viaggio in metropolitana, un’altra giornata in ufficio, un'altra serata appiccicati allo schermo del computer cercando di vivere una vita fasulla.

Ti chiedi se la consapevolezza della schiavitù possa in qualche malsano modo renderti di conseguenza un po’ meno schiavo, ma supponi che non avrai mai la risposta. L’unica differenza fra te e il resto della media mondiale è che tu sai che niente di tutto quello che potrai mai fare, conoscere, inventare, pensare di amare o di possedere è reale.

Che è tutto basato su una menzogna nata con la prima esplosione primitiva e che morirà solamente quando spariranno le ultime menti in grado di avvicinarcisi.

Flipper si muove furiosamente da un lato all’altro della stanza, fa su e giù davanti al tuo letto, ogni tanto graffia la porta con le zampette, e tu immagini che in tutto questo disordine e incertezza e perpetua perdizione il meglio che tu possa fare è concedere al tuo cane una pisciata.

È solo allora che ti alzi.







 
  
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