Fanfic su attori > Ben Barnes
Segui la storia  |       
Autore: piccolo_uragano_    03/10/2015    5 recensioni
"Ma tu lo avresti mai detto, Ben?"
"Che cosa?"
"Che saremmo finiti con l'amarci sul serio."
Lui sorride, e io, nonostante tutto, non riesco a smettere di stupirmi.
[CROSSOVER GREY'S ANATOMY/ BEN BARNES]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
.
A mia madre,
che mi ha insegnato tutto ciò per cui devo essere grata.

Ad Alessandro e Giorgio,
il mio porto sicuro. 
A Claudia,
la mia persona, la mia Padfoot,
e non c'è bisogno di spiegare perchè o per cosa.





 
Girasoli nella tempesta – Capitolo uno: con dentro il cielo e l’inferno.
“Mamma?”
“Sì, tesoro?”
“Come lo hai conosciuto papà?”

“Sei … sei sicura di quello che stai facendo?”
Le parole di mia sorella mi risuonano in testo ogni volta che metto piede fuori casa.
“Insomma” aveva detto “a Seattle fa freddo!”
Il punto è che mia sorella non aveva mai capito che a me il freddo piaceva molto più del caldo.
Ecco perché amo il piccolo angolo di Seattle in cui sono capitata. Piove, fa freddo, la gente si fa i fatti suoi. Io sono solo la ragazza mezza italiana e mezza francese che vive in una casa mobile nel campeggio sul mare, a mezzo chilometro dall’ospedale. Niente di più. E va bene così.
Esco dal portone e mi metto il cappuccio. Non mi stancherò mai dell’odore della pioggia di prima mattina. Seattle accoglie questo lunedì con il suo solito colorito grigiastro e io sorrido. È bello essere dove nessuno si aspetta nulla da me.
“Non capisco perché tu te ne voglia andare.” Aveva aggiunto mia sorella.
Io avevo scosso la testa. “Non mi aspetto che tu capisca.”

Entro in ospedale, trovando già tutti indaffarati. L’ospedale è come una grande macchina, ognuno di noi è un pezzettino piccolo che fa funzionare tutto. Io, nel mio piccolo, cerco di fare il chirurgo. “Buongiorno!” mi saluta una delle infermiere.
Perché non riesco mai a ricordarmi i nomi della gente?
“Buongiorno a te.” Rispondo, sorridendo e levandomi l’impermeabile.
“Il primario ti ha chiesto di occuparti del pronto soccorso, oggi.” Mi annuncia.
Ah, ecco perché mi ha salutata.
“Nessuno problema, ehm …” mi infilo il camice bianco e guardo l’infermiera.
“Olivia.” Mi dice. “Mi chiamo Olivia.”
“Olivia!” ripeto. “Certo, lo sapevo. Volevo sapere solo se … se c’è già qualcuno di grave in pronto soccorso.”
Lei scuote la testa, muovendo i riccioli scuri. “Non sono nemmeno le otto del mattino.”
“Che specializzandi ho?”
“Grey e Stevens.”
“La Stevens?” chiedo. “Credevo fosse di Burke.”
“La Bailey chiede-“ prima che Olivia l’infermiera possa finire la frase, Miranda Bailey compare al bancone dell’ingresso dell’ospedale.
“La Bailey cosa?”
La guardo e sorrido. Mi diverte questa donna. Ha grinta. “Domandavo perché mi hai dato la Stevens, visto che credevo fosse fissa di cardio.”
Miranda fa segno all’infermiera di passarle le cartelle. “Credo che alla Stevens il paziente del trapianto di cardio piaccia troppo.” Mi dice, passandomi la cartella.
Io sorrido maliziosamente. “Quanto mi divertono questi specializzandi.” Leggo la cartella di Danny Duquette, notando che, dall’ultima volta, le cose sono peggiorate. “Poveretto.” Dico, leggendo che è in attesa di un trapianto cardiaco da quasi tre anni. “Perché Burke si ostina su quest’uomo?”
“Perché Burke crede troppo in sé stesso.” Risponde Miranda, mentre gli specializzandi ci raggiungono.  Io li guardo, uno ad uno. Non lo conosco bene, ma tutto sommato mi sembra di vedere dentro di loro dei futuri grandi medici e delle brave persone.
“Bene.” Dico. “Grey e Stevens, con me in pronto soccorso, grazie.”
La bionda Isobel Stevens mi guarda combattuta. “No, dottoressa, io sono su cardio.”
Meredith Grey, senza dire nulla, si avvicina a me. Mi assicuro che la Bailey si sia allontanata con gli altri tre e poi guardo la ragazza davanti a me. “Se corri veloce arrivi da Duquette prima del giro.” Le sussurro. Lei inizia a correre, e io mi meraviglio di quanto sia disposta a rischiare per un condannato a morte. “Stevens!” dico, girandomi e facendo la voce grossa. Lei si gira. “Ti voglio operativa in pronto soccorso tra dieci minuti.”
Lei sorride, sorride d’amore, annuisce e corre su per le scale.
La sua amica Meredith mi guarda e sorride. “Perché glielo ha lasciato fare?”
Io rispondo al sorriso. “Perché se lo meritano.”

“Dottoressa Martin?”
“Dottoressa Grey?” rispondo, girandomi verso di lei.
“In base a cosa crede che Izzie e il paziente di cardio se lo meritino?”
Io sorrido di nuovo, seduta dietro al bancone del pronto soccorso, con i piedi sulla scrivania e una biro a sfera che sto continuando a far scattare. “Perché tutti meritano una possibilità.”
“Izzie è il suo medico.”
“Io me ne sono sempre sbattuta delle regole, dottoressa Grey, soprattutto se mi impedivano di amare.” Rispondo nuovamente, sicura.
“E sulle seconde possibilità, che mi dice?” chiede di nuovo la ragazza.
L’hanno sentita tutti la storia della Grey mollata da Sheperd per tornare con la moglie adultera.
“Dico che Addison non se la meritava.” Scherzo. Lei sorride tristemente. “Indubbiamente è una brava persona, non sto dicendo questo. E non so molto sull’amore, ma so che tradire non è ammesso.”
Meredith scuote la testa. “Se le ha dato una seconda possibilità, forse significa che la ama.”
“O che è troppo orgoglioso per ammettere che il suo matrimonio è al capolinea.” Suona il telefono, e io alzo la cornetta senza smettere di cercare di decifrare l’espressione della Grey. “Sì?”
“Ambulanza in arrivo, dottoressa.”
“Okay, grazie.” Abbasso la cornetta. “Chiama la Stevens!”
Quanto mi diverto a fare la voce grossa.

Apro lo sportello dell’ambulanza, notando un uomo dai capelli scuri contorcersi sulla barella.
“Jack Barnes, ventisette anni, caduto dal tetto della casa. Contuso lungo tutto il lato destro del corpo con tagli e ustioni.” Comunica il paramedico.
“Ustioni?!” chiedo, stupita.
Mi risponde una voce calda e sensuale, accanto al mio nuovo paziente. “È caduto sulla griglia.” Alzo gli occhi verso di lui. Ha dei folti capelli neri che arrivano alle spalle, due giganteschi occhi scuri profondi e spaventati, labbra sottili e due larghe spalle possenti. È evidentemente preoccupato, ma riesce ad apparire calmo e freddo, mentre mi scruta. Io ho la netta impressione di averlo già visto da qualche parte.
“Sulla griglia!” rispondo, a mo’ di rimprovero, facendo del mio meglio per distogliere gli occhi da quell’uomo accanto a Jack Barnes. “Portatelo in trauma uno. Grey, dove è la Stevens?” chiedo, con aria furiosa.
“Non lo so.” Mi risponde lei.
“Dille che se non si presenta qui entro trenta secondo Danny Duquette lo ammazzo a mani nude. E vammi anche a prendere il kit di sutura e quello delle ustioni, per favore.” Poi guardo i paramedici, mentre mi metto i guanti sterili. Devono spostare Jack dalla barella al lettino. “Al mio tre.” Mi avvicino e prendo un lembo del lenzuolo. “Uno, due, tre!”
Mi avvicino al viso del paziente. “Oh, ma allora lei è sveglio, signor Barnes.” L’uomo mi guarda impaurito. “Come si sente?” domando di nuovo.
“Come se fossi caduto sulla griglia.” Mi risponde lui, cercando di sorridere.
L’uomo che mi aveva risposto prima si avvicina. “Sei un cretino, Jack.”
Jack ride ancora. “Sono tutto intero, almeno?”
“Così pare.” Rispondo, compilando i primi dati della cartella. “Si è solo un po’ ammaccato.” Aggiungo, decidendo di stare al gioco.
“Oh, le donne amano le cicatrici!”ironizza di nuovo lui.
Io scuoto la testa, sorridendo. “Molte di noi si.”  Inizio a guardare le varie ‘ammaccature’, individuando almeno due ustioni non troppo gravi e una serie di ferite profonde e contusioni. “Allora, signor Barnes …”
“Il signor Barnes è nostro padre, dottoressa.” Mi corregge lui. “Mi chiami tranquillamente Jack.”
Io sorrido di nuovo, mentre la Grey fa il suo ingresso con la Stevens. Guardo la bionda con rimprovero. “Bene, Stevens, non avrai il mio permesso di andare da Danny fino alla fine del turno.” La rimprovero. “E non dire alla Bailey che ti ci avevo mandato, o mi farà passare un brutto quarto d’ora che non merito, visto che non sai nemmeno rispettare gli orari!”
Lei abbassa la testa. “Mi scusi, dottoressa.”
Io annuisco. Non riesco ad essere cattiva per troppo tempo. “Okay, ora Jack, vorrei il tuo permesso per usarti come materia di studio per le mie specializzande. Non ti faranno del male.”
“Peggio di così?”
“Lei mi piace, Jack, ha la capacità di riderci sopra.” Sorrido, poi mi rivolgo di nuovo alle due ragazze. “Allora, quest’uomo non solo è caduto dal tetto, ma è pure caduto sulla griglia accesa.” I due uomini annuiscono. “Che cosa vedi, Stevens?”
“Contusioni, graffi, ustioni di secondo grado sul braccio e sul fianco destro.”
“E come procederesti?”
“Farei una tac, suturerei le ferite e tratterei le ustioni.”
“Perché una tac, Grey?”
“Per conoscere i danni interni.”
“Perfetto.” Rispondo. “Stevens, prenota la tac. Grey, aiutami con le ustioni.”
Girandomi, incrocio di nuovo lo sguardo impaurito di quell’uomo. “Starà bene, vero?” mi chiede.
“Oh, mi scusi. Io sono la dottoressa Martin. Lei è il fratello?”
Lui annuisce. “Ben.” Mi comunica. Ben Barnes. Perché non mi è nuovo? “Starà bene?” mi ripete.
“Come nuovo.” Lo rassicuro. “Intanto, se deve avvertire qualcuno, lo …”
“Oh, insomma, lo ha visto? È un donnaiolo, non abbiamo nessuno da avvertire!” Ben cerca di scherzare, ma non è abile quanto il fratello.
“Non gli dia retta, dottoressa. È colpa sua se sono un donnaiolo.” Risponde l’altro, mentre mi siedo e apro il kit delle ustioni. “Scusi, mi sfugge il suo nome.”
Sorrido. Il mio nome lo sanno in pochi, qui dentro. Forse perché nessuno me lo aveva mai chiesto. “Julie Martin.” Rispondo, certa che ogni persona in quella stanza stesse registrando l’informazione.
“Julie? Che nome è?” chiede di nuovo Jack.
“È francese, ignorante.” Replica l’altro, che sembra meno abile a ridere delle disgrazie.
“Oh, lei è francese?” chiede, interessato, e io sono sicura che lo faccia per ignorare il dolore della medicatura delle ustioni.
“I miei genitori lo sono. Io e le mie sorelle siamo nate e cresciute in Italia.”
“Oh, l’Italia! Io e Ben siamo stati lo scorso anno.” Cerca di girarsi verso suo fratello. “Non è vero, Ben?”
“Oh, si. Meravigliosa.” Ben non sembra molto interessato all’argomento. Se ne sta con le braccia muscolosa sul petto, mentre con una mano si copre il viso.
“Lei cosa ci fa qui, dottoressa Julie Martin?”
Lo guardo, sorridendo sotto i baffi. “Ci lavoro, no?”
“In Italia non hanno ospedali?”
In Italia ho perduto tutto, in Italia non avevo più carte da giocare, in Italia ho perso l’unico uomo che mi sia stato concesso di amare veramente, vorrei rispondere. “Jack, lei è mai stato innamorato?” chiedo, in risposta.
“Un paio di volte, e non mi  piaciuto.” Questa volta non riesce a nascondere una smorfia di dolore.
“Ecco, quindi sa che intendo quando dico che quando una storia finisce dopo tanto tempo per una cosa più grande di noi si ha il bisogno di ricominciare da zero?”
“Ricominciare da zero dall’altra parte del pianeta? Lei ha grinta, Julie.”
Io allargo il mio sorriso. “Può essere.”

Guardando nella tac di Jack Barnes, vedo una macchia che conosco troppo bene e che questo uomo non si merita. Scuoto la testa, indicando il punto sullo schermo con la biro. “Stevens, lo vedi questo?”
“Santa pace.” Mi dice lei, sconvolta.
“È un tumore?” mi chiede la Grey.
“È un tumore.” Confermo. “Ecco cosa odio di questo lavoro. Dare cattive notizie a chi non lo merita.”
“Quest’uomo è un donnaiolo, vive sui guadagni del fratello famoso. Sicura che non se lo meriti?”
Guardo la Stevens con aria di rimprovero. “Che importa come vivono?! Sono persone felici.” Alzo gli occhi al cielo. “Non importa se vivono sui guadagni del fratello.  Hanno meno di trent’anni, la possibilità di viaggiare e di essere felici. Il fatto che non si spacchino la schiena dovrebbe renderli meno felici?”
Izzie annuisce. “Chiedo scusa. Non ci avevo pensato.”
Io annuisco.
“Che tristezza.” Sussurra Meredith.
“Martin!” sento urlare dal corridoio.  Mi spingo più in là con la sedia e noto i capelli rossi di Addison Sheperd che si muovono fluenti verso di me. “Martin, è vero che hai Ben Barnes?!”
Io aggrotto la fronte. “Anche a te sembra di averlo già sentito, vero?”
Lei allarga le braccia, come se fosse ovvio. “Santo cielo! Ben Barnes!” Io continuo a guardarla senza capire. “Il principe Caspian di ‘Le cronache di Narnia’!”
“Oh!” esclamo, poggiandomi la mano sulla fronte. “Ecco dove lo avevo già visto! Le mie sorelle mi hanno fatto guardare quel film mille volte, tanto ne erano innamorate!”
“E avevano ragione!” esclama Addison. “Tu … non hai nessuno, vero?”
“Addison!” la richiamo.
“Facci un pensierino!” mi sprona lei.
“Oh, lo faccia!” la sostiene la Stevens.
Addison e Izzie mi guardano con due sorrisetti maliziosi. “Pensate alle vostre, di vite. Io sono sola per scelta.”
“Ma questo non vuol dir che tu non possa fare un pensierino su quell’uomo!” ripete Addison.
Alzo gli occhi al cielo. “Vado a dire a quell’uomo che suo fratello ha un tumore al pancreas.”
“E quindi dovranno rimanere qui ancora un bel po’!” replica Addison con lo stesso sorrisetto.
In piedi, sono alta quanto lei con i suoi tacchi a spillo. “Pensa a salvare il tuo matrimonio, piuttosto.” Esco, trionfante, e lei mi segue furiosa.
“Il mio matrimonio-“
“Sta andando a fare in culo, Addison. Ora scusa, vado a parlare con Ben e Jack.”

“Un … un tumore?”  Non avrei mai voluto vedere nei loro occhi tutto questo dolore.
“Mi dispiace davvero moltissimo. Ma lo posso operare, lo posso togliere quasi del tutto, e poi si tratterà solo di qualche seduta di chemio. Sarai come nuovo, Jack.” Gli poso una mano sulla spalla. “Hai la mia parola.”
Lui alza gli occhi, rivelandoli pieni di lacrime. “La tua parole, Julie?”
Lo fisso intensamente. Un chirurgo non dovrebbe mai promettere niente, ma so che quest’uomo starà bene.
E oggi mi sento di promettere anche se io nelle promesse non ci credo più.
 “La mia parola, Jack.” Lui afferra la mia mano, la stringe e si permette di scoppiare a piangere.
Prima che possa farlo io, Ben scatta in piedi e gli posa la fronte sulla sua. “Non fare brutti scherzi, fratello.”
Jack, arrivato ai singhiozzi, si appoggia alla spalla del fratello, e io rimango a guardare quei due fratelli abbracciarsi e fondersi. Per un attimo, sento pesare sullo stomaco la distanza di mezzo pianeta con la mia famiglia. Volto la testa, e mi guardo riflessa nella vetrata della porta principale dell’ospedale. Il camice bianco mi fa sembrare ancora più stanca, con la carnagione pallida e questi capelli biondi. La sola cosa che ho ereditato da mio padre sono due occhi azzurri, che, ora come ora, sono sottolineati da due pesanti occhiaie. Il naso sottile e le labbra carnose, le spalle sottili e quel metro e settantasei per cui mi hanno sempre consigliato di giocare a pallavolo. No, io ho sempre voluto salvare delle vite.
Ora anche Ben sta per piangere, e io rimango impietrita da come una maschera da duro possa essere tolta con così poco.
Scuoto la testa e mi avvio verso il bancone degli infermieri. Prendo la cartella e chiedo che Jack abbia una stanza molto luminosa.

“Gin tonic.” Dico a Joe.
“Chi devi dimenticare?” mi domanda lui, divertito.
“Una vita!”
Mi porge il mio bicchierino serale e io rimango a fissarlo.
 Bella vita, Julie, davvero bella la tua vita.
Con la coda dell’occhio, noto un’ombra occupare lo sgabello accanto al mio, sentendo odore di menta, di ospedale e shampoo. Incontro di nuovo quei due grandi occhi scuri gonfi e stanchi. “Buonasera dottoressa.” Mi dice, con lo stesso tono dolce e sensuale che mi ha colpita questa mattina. “Beve per dimenticare?”
“Bevo per brindare.” Rispondo, alzando il bicchierino.
Ben, lentamente, fa segno a Joe. “Un altro giro per me e Julie, per favore.” Prima che io possa protestare, lui sfoggia uno sguardo troppo sexy per permettermi di formulare una frase di senso compiuto. “Brindiamo, allora.”
Davanti a noi, tre gin tonic.
Davanti a me, l’uomo più bello che io abbia mai visto.
Alzo il mio bicchiere. “A Jack, direi.” Sorrido.
“A Jack.” Ripete. Senza prendere fiato, trangugia il gin tonic. “Posso ricordarti, dottoressa” esordisce poi “che un medico non dovrebbe mai fare promesse?”
“Non ho mai promesso nulla a nessuno, Ben Barnes.” Rispondo a testa alta. “Mai, nulla. Oggi ho dato la mia parola a tuo fratello perché è stato il primo paziente in tutta la mia carriera che meritasse veramente una mia promessa.”
Lui mi scruta. “Quanti anni hai, bionda?”
“Secondo te quanti anni ho?”
Lui mi squadra, e un brivido mi attraversa la schiena. “Ventotto.”
Io sorrido. “Acqua.”
“Di più o di meno?”
“Di più, di più.”
Lui sogghigna. “Trenta. Mi rifiuto di pensare che tu sia più vecchia di me.”
Sorrido, di nuovo. “Temo di non poter accettare il tuo rifiuto, Ben Barnes.”
“Dimmi quanti anni hai, Julie Martin.”
Io sospiro. “Trentatré.” Ammetto.
“Giuro che ne dimostri ventotto.”
“Anche tu, se ti consola.”
Lui sfiora il mio gin tonic per avvicinarmelo. “Devi ancora fare il tuo secondo giro.”
“Non farmi bere da sola!” protesto. “Joe, offro un altro gin tonic al mio amico Ben.” Joe annuisce e Ben sorride.
“Perché offri tu?”
“Perché tu non sei di Seattle.”
“Nemmeno tu, se è per questo.”
Scuoto la testa. “In effetti è vero, ma mi diverto a fare la padrona di casa.” Joe gli allunga il suo secondo gin tonic.
“A Seattle!” esclama Ben, alzando il bicchiere. Io alzo il mio e ripeto, bevendone il contenuto, certa che a farmi girare la testa non sia l’alcol, ma gli occhi di Ben.

“Ma davvero?”
Seduta fuori dalla mia casetta mobile, mia sorella, dall’altra parte del telefono, scoppia a ridere. La voce di mia sorella riesce ad essere dolce anche attraverso un telefono quasi scarico. “Non dirlo alla mamma, però. E nemmeno a Isabelle.” La rimprovero.
“Oh, io devo dirlo al mondo intero!” esclama lei, mentre io sento dei movimenti dietro di me. “Che ore sono lì?”
“Quasi mezzanotte.” Rispondo, alzandomi e andando a controllare la siepe, senza trovare nulla. “Ci sono dei rumori, qui.”
“Magari è un topo.” Ipotizza lei.
“No, santo cielo!” esclamo. “Oddio, no, che schifo!”
Mia sorella Nicole non riesce a smettere di ridere. “Salvi vite umane e hai paura di un topo?!”
“Gli umani che salvo io non hanno la coda, cazzo.”
“Però hanno fratelli sexy.” Contesta lei.
“Senti, non ti racconto più nulla, se fai così!”
“Oddio, no, ti prego. Voglio arrivare al punto in cui tu e il principe Caspian scappate insieme su un cavallo bianco!”
“Ecco, lo vedi? Sei una cretina!” rientro nella casetta, terrorizzata dall’idea del topo. “Che schifo, che schifo, che schifo!” esclamo.
“Devo andare a scuola, Julie.”
“Odio quel topo. Ciao, piccola, fai la brava.”
“Ciao, Julie. Ti voglio bene.” E attacca. Io guardo la foto sullo sfondo del telefono. Noi tre, abbracciate. Io sono la più grande, quella che è scappata in America. Sei anni più giovane di me c’è Isabelle, fotografa di successo, sposata con Marco, bancario pieno di ambizioni. Quando avevo quattordici anni è arrivata il miracolo: Nicole. Io e lei siamo sempre stata molto legate, e questo dava davvero fastidio a Isabelle. Frequenta l’ultimo anno del liceo scientifico, ed è la sola persona che mi manca tremendamente. Lancio il telefono sul tavolino, mentre mi sfilo la maglietta che ho tenuto sotto al camice e mi metto una vecchia maglia degli U2 che uso brutalmente come pigiama. Sfilo i pantaloni, rimanendo in mutande.
“Tanto non devo fare colpo su nessuno.” Borbotto. Tanto la maglia copre tutto. Tanto sono sola come un cane. E l’ho scelto io.
Fuori ricomincia a piovere, e io ormai non mi stupisco nemmeno più. Qui piove sempre, e non mi aspetto che sia diverso. Le stelle non si vedranno mai, il sole sarà sempre un miraggio e non potrò mai aspettarmi di andare in giro senza felpa.
Si soffre di meno se non ci si aspetta nulla.
Mi butto nel letto e crollo addormentata.

“Buongiorno Jack!” esclamo, entrando nella stanza del mio nuovo paziente. Jack è pallido, e ha attaccato al braccio una flebo, ma sorride.
“Buongiorno Julie!” risponde. “Dormito bene?”
Io gli faccio segno di aspettare, e mi giro verso i cinque specializzandi che mi stanno seguendo. “Chi espone il caso, dottori?”
Izzie si fa avanti. “Jack Barnes, ventisette anni, ricoverato ieri per ustioni e contusioni, sarà operato domani per la rimozione di un tumore al pancreas.”
Prima che io possa controbattere, sento due occhi che mi trapassano la nuca e dei brividi lungo la schiena. Lentamente, mi giro,trovando gli occhi di Ben già pronti a tuffarsi nei miei. “Buongiorno, dottoressa.” Sogghigna.
“Buongiorno, Ben.” Rispondo, inclinando leggermente la testa. È pallido e ha due occhiaie gigantesche, ma è ugualmente bellissimo.
Gli specializzandi seguono la Bailey verso la prossima, stanza, verso il prossimo caso. Io rimango a fissare Ben. “Posso chiederti dove hai dormito, Ben Barnes?” domando.
“Non chiedere e io non ti dirò bugie, Julie Martin.”
“Secondo me hai dormito in auto.” Ipotizza Jack. “O no hai dormito affatto.”
Io lo guardo con aria di rimprovero. “Hai dormito in auto?”
“Sai che bella, l’alba sul mare, Martin?”
Io lo incenerisco con lo sguardo. “Non voglio credere che tu non abbia i soldi per un albergo, Ben.”
“Forse non voglio che la gente sappia che sono qui?” replica saccente.
“Forse sei solo troppo orgoglioso per mostrarti vulnerabile.” Rispondo. Poi guardo Jack. “Di dove siete?”
“Di Londra.” Risponde lui. “Siamo a Seattle perché amiamo lo stato di Washington.”
“E quando avreste intenzione di tornare in patria?” domando, di nuovo.
“Mai.” Risponde Jack.
“Tra un’ora chiamo la mamma, sappilo.” Minaccia Ben, mentre io controllo la cartella. “Deve sapere di questa cosa.”
“Salterebbe sul primo aereo, non puoi farlo!” protesta Jack.
“Con tutto il rispetto, Jack, tuo fratello non potrà farti da badante in eterno, e vorrei che le chemio le facessi qui, così che io ti possa tenere d’occhio.” Mi intrometto. “E per quanto riguarda te” E picchietto la biro sul petto di Ben. “Devi trovare un posto dove stare. Il tetto dal quale sei caduto, Jack, che casa era?”
“Casa in affitto di nostra cugina Amy, che è ripartita per New York. Volevamo fare un barbecue ed invitare le due vicine prima di chiudere la casa e restituire le chiavi.”
Prima che io possa rispondere, Ben mi attacca nuovamente.
“Dove dovrei stare, scusa? Non posso andare in albergo.”
Scuoto la testa. “Non sei così famoso, Ben.” Contesto.
Lui sembra offeso. “E allora, dove dovrei stare, sentiamo: in una casetta mobile parcheggiata in un campeggio, forse?” è quasi come se sputasse, mentre parla, e il suo ego mi soffoca, mentre il suo atteggiamento mi da sui nervi, il suo bell’aspetto mi fa girare la testa e mi accorgo di tenere a lui già troppo.
“Come sai della mia casetta mobile?” chiedo in un sussurro.
Lui alza le spalle. “Non sono così famoso.” Incrocia le braccia sul petto. “Con chi parlavi al telefono ieri sera?”
Io gli sbatto istintivamente la cartella clinica sul braccio. “Tu mi hai seguita!” strillo. Jack scoppia a ridere.
“Non sei molto astuta, per essere un medico.”
“E che hai fatto? Mi hai guardata dormire attraverso la finestra?”
Sul suo viso appare un sorriso quasi divino, e io capisco di avere fatto centro. Esco dalla stanza con aria infuriata, sentendo i due scoppiare a ridere, e trovando Addison fuori dalla porta con gli occhiali sul naso che mi guarda cercando di non ridere.
“Non dire niente.” Le dico, probabilmente con Satana negli occhi.
Lei scuote la testa. “Non lo trovi estremamente sexy, però?”
Io decido di rispondere attaccando. “Pensavo prediligessi gli amici di tuo marito!”

Ben se ne sta in piedi, con le mani in tasca. I capelli corvini gli accarezzano il collo e sfiorano le spalle con delicatezza, mentre lui muove automaticamente i capo per non permettere ad un ciuffo ribelle di coprirli gli occhi. Sono così magici, quegli occhi. Scuri, profondi, come l’abisso dell’oceano. Portamento perfetto, spalle larghe e muscolose, t-shirt che mette in mostra i bicipiti, camminata regale. Fa avanti e indietro, lentamente, da dieci minuti, e non c’è infermiera che non si sia girata per guardarlo meglio, ma tutti i loro sguardi gli scivolano addosso, come se non esistessero.
Tutti, tranne uno. “Perché mi guardi?” domanda.
Io sorrido. “Perché mi va di guardarti.” Rispondo. E per precisare, io non lo stavo guardando. Io lo stavo ammirando.
Lui si avvicina a me, ma io sono ancora furiosa con lui. “Chi è il dottor Stranamore?” chiede, sorridendo.
Stamattina si rivolgeva a me come se fossi a malapena degna di vivere, e ora mi sorride. Quanto può essere lunatico?
“Perché me lo chiedi?” domando, socchiudendo gli occhi. “Pensavo mi odiassi.”
“Mi sono ricreduto. Alla fine, potresti quasi piacermi.”
Piego gli angoli della bocca e alzo le sopracciglia, in attesa che aggiunga altro.
“Quindi, chi è il dottor Stranamore?”
La sua voce è calda, dolce e sexy. Come lui. “Chi ti ha parlato del dottor Stranamore?”
“Le tue specializzande sono state dieci minuti al bancone degli infermieri a parlare di chi avrebbe fatto la craniotomia con Stranamore.”
Io scoppio a ridere. “Perché ti ostini a spiare la gente, Ben?”
Lui continua a sorridere. “Per capirla.” Risponde, serio.
Io sorrido sinceramente “Alla fine, potresti quasi piacermi.” Dico, ripetendo la sua frase.
Faccio per allontanarmi, ma lui mi richiama. “Julie!”  Io mi volto. “Trovo davvero dolce l’idea della casetta mobile.” Dice, abbassando il tono.
Io scuoto la testa. Non amo la parola ‘dolce’, soprattutto se abbinata a ‘davvero’, ma amo il modo in cui l’ha detta lui. Il modo in cui ha piegato le labbra in un sorriso seducente mi fa parlare ancora prima di pensare. “La casetta mobile ha due piccole stanze da letto, se non vuoi che la gente sappia dove sei, e io non ci sono quasi mai.”

Sorrido senza accorgermene, guardando la Volvo di Ben entrare nel parcheggio del campeggio, stonando accanto al mio vecchio pick-up scolorito. Avrei voluto sistemarmi in modo decente per accoglierlo, ma ho avuto a malapena il tempo di fare una doccia, e mi sono resa conto che non ho nulla di ‘carino’ nel mio piccolo armadio da sfoggiare. Così, mi sono infilata una vecchia maglia della nazionale italiana con i pantaloni di una tuta grigia, pensando che, in ogni caso, a quest’uomo non piacerò mai quanto lui piace a me.
Lui scende dalla macchina. Con una borsa da calcio in spalla e una felpa rossa, e io mi dimentico del freddo, del temporale in arrivo e anche dei capelli umidi nel momento in cui lui mi sorride. “Ciao, bionda.” Io sorrido e alzo la mano in segno di saluto. “Mi sa che ti devo ringraziare.” Dice, mentre ci avviamo verso la casetta. “Non eri tenuta ad ospitarmi.”
Mi fermo in veranda, sulla porta di vetro, con la mano sulla maniglia. “La parolina magica?”
Grazie, Julie.”
Sorrido e apro la porta. “Benvenuto nel mio mondo, Ben.”
Prima che lui possa replicare, lui osserva il portatile acceso sul tavolo. “Ti stanno chiamando in Skype, Martin.” Mi informa, appoggiando la borsa.
“Oh, ma tu i fatti tuoi non te li fai mai, vero?”
“No, mai.” Risponde ridendo. “Hai intenzione di rispondere a ‘Nikki’ o la lascerai ad attenderti in eterno?”
Io rido. “ ‘Nikki’ è mia sorella.” Mi siedo sul divanetto, e gli faccio segno di sedersi accanto a me. “E mi ha costretta a vedere ogni scena del principe Caspian almeno venti volte!” sussurro, come se fosse un crimine. È la prima volta che gli nomino un suo film – che è anche il solo che io abbia mai visto. “Quindi, ti va di farle uno scherzo e di risponderle tu?”
Lui sorride, si siede e preme con il mouse sul tasto verde.  Appena la webcam si apre, e mia sorella lo mette a fuoco, strilla.
Lui continua a sorridere. “Che piacere vederti, Nikki.” Esordisce. “Tua sorella è una vera rompiscatole.”
Lei pare sotto shock. “S-si, si, lo è. Ma … che ci fai nel suo computer?”
Il suo inglese impacciato e goffo mi fa ridere. Lui sfoggia uno sguardo da serial killer. “L’ho rapita!” sussurra.
Nicole non smette di ridere. “Oh, sweetheart, te la puoi anche tenere!” esclama lei. “Isabelle!” urla, poi. “Isabelle, vieni a vedere!”
Lui approfitta della sua temporanea distrazione per guardarmi. “Chi è Isabelle?”
“La sorella numero due.” Rispondo, alzando due dita come in segno di pace.
“Isabelle, c’è il principe Caspian in videochat!” Nicole sa quanto me che Isabelle correrà in camera della terzogenita come se fosse una questione di vita o di morte.
“Che cosa?!” sento dire da Isabelle, e poi la sento strillare quando guarda nel computer. “C’è scritto il nome di Julie!” esclama, poi.
Ben ruota leggermente il computer in modo da inquadrare anche me. Io, con il mal di pancia per le risate, la saluto con la mano.
“JULIE!” strilla lei. “Sei lì con Ben Barnes e la maglietta dei mondiali?!”
Ben scoppia a ridere. “Ne ho una simile pure io, Isabelle.” La tranquillizza. Poi, si gira di nuovo verso di me e mi guarda.
E il mondo si ferma, perché sta tutto nel suo sorriso.

“Perché non ti compri un appartamento?”
Ben sorseggia la sua birra, arrivandomi alle spalle, mentre rimango seduta in veranda ad ascoltare il rumore della pioggia. “Perché vorrebbe dire che vivo qui davvero.” Rispondo, rendendomi conto di non essere mai stata così sincera. Non lo guardo, sento che si sta sedendo accanto a me, e so che nota la sigaretta che si sta consumando tra le mie dita.
“I medici fumano?”
“Solo quelli che sono state anche ragazzine ribelli.” Di nuovo, più sincera che mai. Mi allunga la sua birra e io ne bevo un sorso.
“Gli attori bevono?” io gli allungo la sigaretta, e lui, noncurante, fa un tiro.
“Solo quelli che hanno appena passato un provino.” Risponde, sorridendo.
Io mi giro a guardarlo. “Stai scherzando?”
Lui prova a parlare per due volte. “Chiedimi per che ruolo mi hanno preso.” Sento che ha quasi paura nel pronunciare quelle parole.
“Per che ruolo ti hanno preso?” sussurro, dopo aver lasciato passare qualche secondo.
Dorian Gray.” Sussurra, come se non ci credesse.
Sono io a non crederci. “Dorian Gray? Il ritratto di Dorian Gray? Il mio libro preferito?”
Lui scoppia a ridere. “No, sweetheart. Il mio libro preferito.”
Scuoto la testa. Il ritratto di Dorian Gray mi ha accompagnata per tutta la mia adolescenza.
Ognuno di noi porta in sé stesso il cielo e l’Inferno.” Cito.
Viviamo in un’epoca in cui le cose superflue sono la nostra unica necessità.” Mi fa il verso lui. “Io preferivo questa.”
Faccio l’ultimo tiro con la sigaretta. “Si vede che non sai cosa significa vivere con dentro il cielo e l’inferno.” Spengo la cicca e la abbandono nel posacenere.
Per te, io rappresento-“
Tutti i peccati che non hai mai avuto il coraggio di commettere.” Concludo io.
Lui, lentamente, posa le sue mani pallide sul mio viso. Mi perdo nei suoi occhi, e mentre lentamente si avvicina, serro i miei per sentire il suo respiro sulla pelle. Posa, con fare incerto, le sue labbra sulle mie, fregandosene del sapore di sigaretta. Io schiudo le labbra, per lasciare che giochi con la mia lingua, mentre gli stringo i fianchi e cerco di ricordare ogni dettaglio. L’odore della pioggia, i suoi capelli tra le dita, i respiri che si affannano ed il mio cuore in gola, maledicendo il momento in cui, due anni fa, avevo giurato che non mi sarei mai più innamorata di nessuno.
Si stacca da me tanto velocemente che credo sia stato tutto un sogno, ma lo vedo entrare dentro casa e porgermi la mano, per aiutarmi ad alzarmi. Più che certa di essermi immaginata tutto, afferro la sua mano, ma prima ancora che io possa parlare, lui mi sta di nuovo baciando, con più foga e più passione. Io sorrido, mentre mi mette entrambe le mani sul sedere per sollevarmi come se non pesassi nulla. Allaccio le mie gambe e le mie braccia dietro la sua schiena, come un koala si attacca all’albero, mentre lui procede verso la mia stanza senza smettere di far roteare la lingua nella mia bocca.
Si siede ai piedi del letto, e prima di sdraiarsi e farmi stendere su di lui, tiro indietro il collo e lui lo riempie di piccoli baci quasi innocenti, prima di tornare alla bocca e … esitare.
“Non posso.” Sussurra.
Io non capisco. “Che cosa?”
“Non posso fare l’amore con te.”
Sbam. Mi alzo e lo guardo da lontano. Non baciavo una persona da così tanto tempo, che mi sembra di essere appena scesa dalle montagne russe. “Perché?”
“Perché mi piaci troppo.”

 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Ben Barnes / Vai alla pagina dell'autore: piccolo_uragano_