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Autore: VirginiaGinC    04/10/2015    1 recensioni
Arrivarono in breve tempo. Il piccolo paesino siciliano assistette inerme all’orda di parenti che sciamava da ogni direzione verso la casa dalle persiane rosse, a piedi o in auto, lungo le strade ricoperte di sampietrini, con in mano il proprio omaggio.
Una processione di dolcetti, vini, piante ornamentali e cesti di vimini si protrasse per tutta l’ora successiva. Rosalia correva ad accogliere gli ospiti e poi sbizzarriva la propria maestria nell’incastrare gli omaggi fra mensole e ripiani del frigorifero. [...]
Il campanello del forno trillò e le lasagne emersero in tutto il loro splendore. Lucia e la fidanzata polacca -di cui Rosalia non riusciva a ricordare il nome- erano venute ad aiutarla. Ognuna di loro portò a tavola una teglia, poi Rosalia tornò a prendere il piatto vegano. Si sedette a capotavola e passò la triste spaghettata con zucchine fritte alla polacca.
La zia Elena rise di gusto, soffiando e ansimando dopo lo sforzo. « Ma mangia, ragazza, non sarai a dieta? »
Franca la zittì, piena di vergogna per quel comportamento così poco mondano « Non è a dieta, è vegana »
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL PRANZO DI FAMIGLIA


I

I riflessi dorati del sole di Maggio filtravano attraverso le tende semitrasparenti illuminando la piccola cucina in disordine. Un intenso miscuglio di odori si accendeva tra le pareti tappezzate da mattonelle azzurre e poi correva a invadere le altre stanze della modesta casa dalle persiane rosse che sorgeva timidamente in via della Barca, a pochi metri dalla distesa per la spiaggia, dove qualche intrepido autoctono stava già intingendosi nelle acque tirreniche, assaporando con quel primo bagno l'inizio di un'estate di noia e sudore.

Quel giorno, però, il ristretto gruppo di abitanti di quel piccolo paesino sulla costa siciliana non aspettava soltanto la venuta della bella stagione: tutti -chi per affetto, chi per curiosità – attendevano invece l'arrivo della piccola Lucia, che tutti avevano visto correre sulla spiaggia indossando soltanto il pannolino e che adesso faceva qualcosa di importante e prestigioso in Germania. Lucia, la figlia maggiore di Rosalia, a cui forse cominciava a mancare – a quasi sessant'anni- la forza di rincorrere la progenie seminuda sulla spiaggia, ma non l'energia di svegliarsi all'alba per preparare la besciamella per le lasagne.

Lo stretto chignon in cui Rosalia aveva stretto i radi capelli grigi stava cominciando a dare i primi segni di cedimento. Dopo quattro ore di lavoro, però, il pranzo era quasi pronto e la cucina rimessa in ordine non appariva più come un campo di battaglia.

Rosalia alzò faticosamente il braccio e afferrò la forcina cadente fra le dita grassocce, conficcandola per bene fra le ciocche, con un lieve sospiro. La pelle screpolata delle sue mani bruciava a causa dell'abbondante utilizzo del succo di limone per l'aroma delle sarde a beccafico.

Con un gesto stizzito scrostò l'ultima, appena percettibile, macchia di unto dalla piastrella.

Tutto era andato come previsto: il signor Antonio le aveva portato i migliori frutti del suo raccolto, quell'altro vecchino di cui non ricordava mai il nome le aveva persino fatto uno sconticino sulle uova fresche e i formaggi. E il latte, poi: come appena munto. Il macellaio, inoltre, era probabilmente riuscito a estinguere il mutuo grazie alle quantità industriali di carne che le aveva venduto il giorno prima.

Tutto era amalgamato, condito, speziato e assaggiato, e mancava ancora un'ora all'arrivo di Lucia. Dopo un anno lassù in Germania, doveva essere denutrita. Dopo averla accolta, avrebbe già infornato le lasagne. E poi la carne, la salsiccia, il polpettone. Avrebbe tirato fuori gli antipasti, l'insalata di polpo, i salumi e i formaggi ben incastrati nel frigorifero e avrebbe apparecchiato il tavolo di mogano allungato per l'occasione, pronto a ricevere l'orda di parenti.

Eppure, Rosalia non poteva ancora darsi pace.

In piedi, le mani sui fianchi, la forcina che si conficcava fin dentro al cervello.

E, davanti a lei, uno schieramento di ortaggi e foglie di lattuga. Quelle melanzane intrepide che sembravano fissarla con aria di sfida, la zucca arancione che che faceva così tanto Halloween. Il terrore puro, insomma. Ricordava ancora quella chiamata di Lucia, ogni volta che guardava quelle zucchine beffarde.

Al telefono, la voce stridula della figlia che le comunicava l'aggiunta di un'ospite: la sua coinquilina tedesca, o francese, non ricordava bene. Meraviglioso, avere ospiti era un vero onore per Rosalia: pensava già al menu italo-filo-tedesco-francese e alle bandierine da conficcare nei tramezzini al salmone.

Un secondo dopo, però, la precisazione: la coinquilina in questione era vegana.

In che senso?” aveva chiesto. Cosa poteva essere? Una malattia?

Nel senso che non mangia carne, salumi, formaggi, pesce, uova, latte, burro ...”

Sì, probabilmente era una malattia.

E che mangia allora?”

Verdura, legumi, pasta. Cose così.”

Cose così. Continuava a ronzarle nella mente quel Cose così, mentre la lattuga cominciava ad avere un'aria un po' scoraggiata.

Le sembrava di dover preparare un banchetto per un pappagallino.

Setacciò le lenticchie con inaudita lentezza, mentre il suo cervello cercava di pensare a come impiattare quella roba senza che apparisse come un pranzo servito all'ospedale.

Guardò l'orologio: le undici.

L'auto con le due migranti doveva già esser stata immessa nel traffico della strada statale, sotto la prudente guida di Pietro, il suo caro figlio minore. Pietro, un così bel paffuto bambino, sempre messo un po' in ombra dall'ingombrante figura della sorella perfetta, era diventato un panciuto venticinquenne con la passione per i modellini delle navi, intento a coltivare piccole ambizioni, come quella di fuggire dalla vita sociale e rimanere a casa di mamma Rosalia il più possibile.

I tre giovani sarebbero presto arrivati, e poi anche gli altri invitati si sarebbero presentati, con le mani piene di altro cibo di cui Rosalia, onestamente, non sentiva il bisogno. Al solo pensiero dei bignè fatti in casa dalla cugina Franca le venivano dei lievi brividi sulla schiena.

Durante il lungo anno passato lontano dalla figlia, i parenti avevano cercato di farla sentire meno sola, attraversando fin troppo spesso i pochi metri che separavano le case basse di via della Barca.

Un anno intero. E adesso che il ritorno di Lucia era così vicino, Rosalia non riusciva a pensare ad altro se non a quei broccoletti dall'odore nauseante.

Improvvisamente, però, tutto quel dramma ortofrutticolo non fu più importante: il rumore di un'auto che attraversava il vialetto invase il silenzio meditativo della cucina di Rosalia.

La donna abbandonò le carote appena sgozzate al loro triste destino, e corse verso l'adorata figliola.

La vide mentre tirava giù un'enorme valigia verde dal bagagliaio dell'auto. I capelli ricci erano scompigliati come sempre, ed erano diventati lunghi fin quasi al fondoschiena. Era più magra. Proprio come aveva sospettato! Denutrita! Ci avrebbe pensato lei, adesso, a farla stare meglio. L'abbracciò, evitando di farle notare il tacco della scarpa posizionata proprio sul mignolo del piede destro. Valutò il livello di dimagrimento e pensò a quale dose di polpettone potesse essere adatta alla risoluzione del problema. Poi Lucia indicò l'altra giovane donna dai lunghi capelli biondi, alta e robusta, che barcollava sui tacchi incastrati fra la ghiaia del vialetto.

« Lei è Eleanor, la coinquilina polacca di cui ti parlavo »

Ah, era polacca. Sarebbe stato meglio andare subito a togliere le bandierine tedesche dai tramezzini, prima che fraintendesse i suoi ideali politici.

« Ah, quella vegana » disse, senza riflettere. Le capitava sempre più spesso ultimamente. Stava forse diventando bisbetica?

Lucia sorrise con un lieve imbarazzo «Eh, sì, quella vegana »

La ragazza polacca masticava un italiano poco apprezzabile, ma conosceva le buone maniere. Forse avrebbe perfino finto di apprezzare realmente quei tristi pisellini bolliti.


   
 
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