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Autore: CJ only    04/10/2015    0 recensioni
B.R.O.Q., Brevi Racconti di Orrori Quotidiani, è una raccolta di storie di vite vissute; drammi comuni, affrontati da persone ordinarie.
Incanto spezzato è il settimo racconto, forse il più lungo, che narra l'inizio di una storia d'amore tra due adolescenti che viene bruscamente interrotta dal destino.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Cavoli! Sono in ritardo anche oggi: il prof stavolta non me la farà passare liscia!
Arranco sulle scale dell’istituto tecnico, salendo i gradini a due a due, nella speranza di entrare in classe prima del professor Miglio; spintono i ragazzi che sostano nel corridoio, chiacchierando allegramente nonostante le urla del bidello che intima loro di andare in classe, e svolto l’angolo a tutta velocità, sentendo stridere la gomma delle mie sneakers sul marmo grigio. La porta è aperta: forse…SBAM!
Ero talmente concentrata a fissare l’ingresso dell’aula che non ho visto l’armadio che camminava baldanzoso nella mia direzione.
Osservo i libri sparsi sul pavimento, mentre l’ombra del professore si staglia contro i finestroni posti alla fine del corridoio; li raccolgo il più velocemente possibile, mentre le gambe già scattano in direzione della classe. Supero il professor Miglio solo per un soffio, raggiungendo il mio banco ad una velocità tale che quasi lo ribalto.
«Signorina Bertaso! Un po’ di attenzione, diamine!» sbraita l’ometto alle mie spalle.
«Scusi, professore.» replico lasciandomi letteralmente cadere sulla sedia.
L’uomo borbotta e si gira per chiudere la porta; io sollevo lo sguardo e vedo il ragazzo con il quale mi sono scontrata, a cui non ho nemmeno chiesto scusa, che mi fissa sbalordito. Incontro i suoi occhi e rimango senza fiato: ha due smeraldi incastonati nel viso!
Il professore chiude l’uscio e si dirige alla cattedra, dando inizio alla sua barbosa lezione di diritto.
«Per un pelo.» mormora tra i denti Sara, la mia compagna di banco.
Io annuisco impercettibilmente; prima di tutto perché parlare durante le lezioni di Miglio è altamente sconsigliato, e poi perché sono ancora completamente persa nella visione degli occhi di quell’armadio umano contro il quale ho sbattuto.
Non sento un’acca di tutta la lezione; anzi, a malapena respiro. Sono immobile, lo sguardo fisso nel vuoto, le labbra socchiuse, ancora stupite da tanta bellezza, la mente sperduta nei pensieri vorticosi che mi frullano in testa. Ma com’è possibile che io non lo abbia già notato? È un nuovo studente? Sono quattro anni che bazzico in questi corridoi!
Sento suonare la campanella, suono che stranamente riesce a penetrare nel mio canale uditivo, e scatto in piedi.
«Dove vai? Ora arriva la Gobbi!» Sara mi guarda stupita.
«Devo andare in bagno.» mento. La verità è che voglio andare in corridoio, nella speranza di incrociare di nuovo quel ragazzo.
Esco dall’aula e mi guardo attorno; c’è una quantità indescrivibile di ragazzi considerato che è un semplice cambio dell’ora. Sbircio a destra e a sinistra, ma del mio armadio nemmeno l’ombra.
«Non dovevi andare in bagno?» chiede Sara, alle mie spalle.
«Sì, infatti.» ribatto subito, allontanandomi. Anche lei ci si mette? Ma che cavolo vu… I miei pensieri si interrompono bruscamente quando, proprio davanti all’ingresso del bagno delle ragazze, vedo il fulcro dei miei pensieri, serenamente seduto sulla sedia del bidello, con i piedi incrociati appoggiati sulla cattedra e le mani intrecciate dietro la testa.
Quasi inciampo nei miei stessi piedi. È uno spettacolo: ha le spalle larghe, i bicipiti possenti, i capelli biondi, rasati ai lati ma più lunghi sul davanti, un sorriso aperto, artefice di due meravigliose fossette, e quei meravigliosi occhi verdi che mi hanno tolto la facoltà di ragionare.
Lui volta il viso, incrociando il mio sguardo, e si alza; allora riprendo possesso del mio corpo e  scappo in bagno. Mi chiudo nel primo, appoggiando la fronte alla porta, cercando di calmare il respiro e il battito furioso del cuore; quando penso che tutto sia sotto controllo, e soprattutto che tutti siano rientrati nelle rispettive classi, esco.
La Gobbi mi ferma alla cattedra e mi fa una mega lavata di testa.
«Mi scusi prof; il fatto è che mi è venuto il ciclo all’improvviso e…» mento spudoratamente, fingendomi imbarazzata.
«Oh, scusa. Tranquilla, tranquilla. Hai risolto?» mi chiede, cambiando totalmente atteggiamento.
Io annuisco.
«Bene, allora vai pure al tuo posto.» mi congeda con un sorriso cordiale.
Sara mi fissa con gli occhi che sembrano volerle uscire dagli occhi.
«Ma che le hai detto: pensavo ti avrebbe messo una nota e invece era tutta mielosa!»
Non le rispondo, per paura che la Gobbi mi senta e capisca che ho mentito.
Resto in classe per le due ore successive, ma all’intervallo sono costretta ad uscire nuovamente; decido di filarmela di sotto e usare i bagni del primo piano. Ma poi perché ho così tanta paura di incontrarlo?
Mi sto ancora arrovellando quando, svoltato l’angolo, vado a sbattere contro un torace di granito.
«Ma allora il tuo è un vizio!» mi punzecchia l’uomo armadio. Ha la voce bassa, baritonale: la sento rimbalzarmi dentro e far vibrare ogni mio muscolo.
Troppo in imbarazzo, non riesco a trovare una risposta appropriata.
«Non è che lo fai apposta?» insiste.
«Certo che no!» finalmente ritrovo la voce, peccato che sembri isterica.
«Ah. Allora parli. Temevo fossi muta: stamattina mi hai travolto e non mi hai nemmeno chiesto scusa e adesso…»
Continuo a fissarlo. Anche lui mi sta studiando, ma non ha l’espressione da pesce lesso che ho io! Anzi: ha un meraviglioso sorriso; sì, beh, i denti non sono proprio perfetti, perché l’incisivo superiore destro è leggermente spostato in avanti, ma nel complesso è proprio uno schianto!
«Ho passato l’esame?» mi chiede.
«Come?»
«Mi stavi studiando…» mi fa notare.
Sento le mani sudate e le infilo nelle tasche posteriori dei jeans. Ma che diamine mi prende? Da quando in qua un ragazzo ha il potere di mettermi in difficoltà?
Raddrizzo le spalle, sollevo il mento, dato che mi supera di almeno venti centimetri, e lo fisso dritto negli occhi.
«Scusa. Per stamattina: ero in ritardo e non ti ho visto. Per il resto, non so a cosa ti riferisci.»
«E adesso?»
«Cosa?»
«Mi sei venuta addosso nuovamente. E non rispondi alle mie domande. Ti metto a disagio?»
«Chi? Tu? Per niente. Stavo solo pensando ad altro. Ero concentrata e non guardavo dove mettevo i piedi, altrimenti ti avrei evitato.» dico in tono arrogante  «Buona giornata.» gli giro attorno e mi allontano a grandi falcate.
Mi sento soddisfatta; finalmente mi sono ripresa: questa mattina non sembravo proprio io.
Vado al bar e ordino una spremuta d’arancia.
«Fai due per favore!» sento alle mie spalle. Non ho bisogno di girarmi: la sua voce mi è entrata dentro e non credo la dimenticherò mai.
Lui allunga la mano e paga le due spremute.
«Che cosa stai facendo?» gli chiedo, il tono rigido e sprezzante.
«Ti offro da bere. Non è evidente?»
«Non è necessario.»
«Oh, suvvia! Non fare la sostenuta. Ti ho solo pagato una spremuta, che sarà mai? E se vuoi chiedermi perché l’ho fatto, la risposta è che vorrei conoscerti.»
La sua sicurezza mi lascia quasi senza parole.
«Grazie.» sibilo tra i denti.
Prendo la mia spremuta e mi allontano dal locale, seguita a stretto giro da lui.
«Prego, è stato un piacere.» sogghigna «Mi chiamo Andrea Sirtoli, e tu?»
«Alice.»
«Sei in quarta, giusto?» insiste.
«Credo tu lo sappia bene che classe frequento.» lo rimbecco.
«Sì, hai ragione. Hai battuto il professor Miglio per un nanosecondo.» scoppia a ridere «Non ho mai visto nessuno correre così veloce.»
Sento le guance pizzicarmi; non capisco se sono lusingata o imbarazzata.
«Ero in ritardo.» mi giustifico seccamente.
Lui beve un sorso di spremuta, poi torna alla carica.
«Di dove sei?»
«Di qui.» non ho intenzione di stare al suo gioco. Sicuramente è abituato ad avere un sacco di ragazzine ai piedi, ma io non sono una sciacquetta qualunque.
«Abiti a Gengoriate?»
«Sì.»
«Anche io. Dove di preciso?»
«Senti… non sono proprio il tipo che dice il suo indirizzo ad un perfetto sconosciuto. Dimmi cosa vuoi e facciamola finita.»
«Oh-oh. Non ti scaldare; te l’ho detto: vorrei conoscerti. E poi non sono un perfetto sconosciuto: sai come mi chiamo e che frequento la tua stessa scuola.»
«Non ti ho mai visto prima.»
«Non sarai stata molto attenta.» stavolta è lui ad usare un tono duro.
Finisco la spremuta e getto il bicchiere nel primo cestino.
«Probabile: non sono la classica svampita che pensa solo ai ragazzi.»
Lo vedo sorridere con la coda dell’occhio. Arrivo alla porta della mia classe proprio mentre squilla la campanella che segna la fine dell’intervallo.
«A dopo, Alice.» mi saluta.
«Ciao Andrea.» ricambio entrando in classe.
«W O W!» esclama Sara quando la raggiungo al banco «E quello chi è?»
«Boh… mi ci sono scontrata stamattina, nella fretta di entrare prima di Miglio. Si chiama Andrea, penso faccia la quinta ma non ne sono sicura.»
«Non potevi chiederglielo?» interviene Linda «È proprio uno sballo.»
Tempo zero, mi trovo attorno una decina di ragazze, tutte infervorate per il nuovo arrivato.
«Di dov’è? Di Gengoriate? Ma da quando è in questa scuola?» domanda Anna.
«Voi siete delle allucinate: Andrea frequenta il quinto anno perché è stato bocciato. Come avete fatto a non notarlo prima?» interviene Sonia, guardandoci con il suo bel nasino puntato in aria.
«Probabilmente perché non vivo la mia vita in funzione dei ragazzi.» replico acidamente.
L’ingresso del professore interrompe la discussione.
Cerco di concentrarmi ma oggi la mia testa proprio non ne vuole sapere di economia. Quando finalmente la campanella suona per indicare la fine delle lezioni, tiro un profondo sospiro di sollievo. Raccolgo tutte le mie cose, infilandole alla bell’è meglio nello zaino e mi alzo.
«Vieni al gruppo di studio oggi?» mi chiede Sara accostandosi a me per uscire dall’aula.
«Sì, certo.»
«Bene: ho dei problemi con un passaggio di matematica, ma con gli altri non mi trovo.»
«Tranquilla, dopo lo vediamo assieme.»
«Ciao.» sento la sua voce come se partisse dal mio ventre.
Mi volto.
«Ciao.»
«Posso accompagnarti a casa?» mi domanda.
«Grazie, non è necessario.»
Sto per imboccare le scale quando mi prende per un gomito, fermandomi. Mi irrigidisco.
«Per favore.» insiste.
Lancio un’occhiata a Sara che lo fissa come se fosse un’apparizione.
«Mi spiace, sono con lei.»
«Posso accompagnarvi entrambe.»
«Oh, sì: grazie mille. Che gentile.» Sara coglie al volo l’occasione e a me non resta altro da fare se non seguirli «Io sono Sara, piacere di conoscerti.»
Iniziano a chiacchierare, mentre io mi estranio e cerco di pensare ad altro.
Andrea ha una Clio argento, ben tenuta.
«Dove abiti Sara?» le chiede mettendo in moto.
«In via Tonelli: esci dal parcheggio, svolti a destra, superi il cavalcavia e dopo trecento metri c’è casa mia.»
«Ah. Proprio ad uno sputo: sei fortunata.»
«Già. E tu?»
«Dall’altro lato del paese, quasi a Sentriano.»
Loro continuano a chiacchierare e io resto chiusa nel mio silenzio; raggiungiamo casa di Sara in un attimo.
«Grazie mille, Andrea. A domani. Ciao, Alice.»
«Ciao, Sara.» solo quando lui riparte mi rendo conto che ora siamo soli in auto. Sarei dovuta scendere con Sara, con una scusa qualunque.
«Allora? Dove ti porto?»
«Continua dritto fino al semaforo, poi svolta a destra.» mormoro.
«Sei di poche parole.» mi fa notare.
«Sì, beh… di solito non parlo a meno che non ho qualcosa da dire.»
Lui sorride, mettendo in mostra le fossette.
Dopo un paio di minuti di silenzio imbarazzante, Andrea riprende a parlare.
«Senti, io non scherzavo stamattina: vorrei davvero conoscerti.»
Mi fisso le unghie, non sapendo cosa rispondere. Non mi sono mai sentita così: questo tipo mi mette addosso un’agitazione che non ho mai provato e non riesco a capire perché.
«Ti andrebbe di uscire con me una sera?» continua, visto il mio silenzio.
Per tutti gli Dei dell’Olimpo!
«Io… »
«Ti prego: dimmi di sì.»
«Sì.» Non posso resistergli, quindi è inutile tentare.
Il suo sorriso si apre ancora di più e gli occhi di smeraldo brillano di una luce intensa.
«Devi svoltare a sinistra: abito in quel palazzo verde.» lo avviso.
«Scusa, ma volevi venire a casa a piedi?»
«Sì, perché?»
«Saranno almeno cinque kilometri.»
«Lo so.»
«Io… se vuoi posso passare a prenderti domattina.»
«Sei molto gentile, ma non credo sia il caso.»
«E perché no?»
«Dovresti allungare il percorso solo per me, una che nemmeno conosci, non ha senso.»
«Ha senso per me. E poi ormai ti conosco Alice Bertaso di quarta B.»
Sento le guance colorarsi.
«Ok. Ti aspetterò su quella panchina.» accetto alla fine, indicando una delle tre panchine di pietra  del piccolo parchetto antistante il mio condominio.
«Perfetto. A domani allora.» e si allontana con un’espressione soddisfatta.
 
Passo la giornata su una nuvola. Ma che mi ha fatto quel tipo? Non sono mai stata tanto presa da qualcuno.
Anche la sera, a cena, sono totalmente nel pallone e mia madre se ne accorge.
«Alice? È tutto a posto?» mi chiede, passandomi il piatto con la carne.
«Oh, sì certo mamma.» annuisco senza alcuna convinzione.
«Alice?» mia madre insiste.
«Mmhh?» sollevo lo sguardo e mi accorgo che mi sta fissando intensamente «Scusa, mamma. È solo che oggi a scuola ho conosciuto un ragazzo.»
«Alice si è innamorata! Alice si è innamorata! Alice si è…» mia sorella Gioia inizia a cantilenare per prendersi gioco di me.
«Non dire fesserie!» urlo quasi, interrompendola.
Adesso ho la totale attenzione di tutti; quattro paia di occhi azzurri come i miei mi stanno fissando sgranati. Anche la nonna, che normalmente vive in un mondo tutto suo, ora sta guardando me.
Mia madre e Serena, l’altra mia sorella, sorridono. Gioia invece sembra sul punto di piangere.
«Raccontaci un po’ di lui.» mi invita mia madre.
«Non c’è molto da dire: ultimo anno, ripetente, carino.»
«Tutto qui? Dai: sai fare di meglio.» ribatte mia sorella. Ha tre anni meno di me, ma una vita sociale decisamente migliore della mia: io a diciassette anni sono uscita al massimo cinque volte con un ragazzo e non mi sono mai fidanzata; lei invece a quattordici ha già fatto strage tra i suoi coetanei.
Nonna batte le nocche sul tavolo, come a volermi spronare a parlare.
«Sì, beh… non so molto di lui, davvero. Non l’avevo mai visto prima di stamattina, quando ci siamo scontrati nel corridoio; si chiama Andrea e vive in paese; mi ha accompagnato a casa e domattina mi verrà a  prendere per portarmi a scuola.»
«Davvero? Allora si è preso una cotta per te!» esclama mia sorella.
«Non dire sciocchezze: nemmeno mi conosce.»
«Cos’è che ti turba, Alice?» domanda mia mamma.
La fisso, notando i segni profondi sul suo viso; fa due lavori per cercare di portare avanti casa e famiglia, da quando papà ci ha lasciate. Io tento di darle una mano, ma non è mai abbastanza.
«Sinceramente non lo so, mamma. Andrea mi agita; non mi sono mai sentita così prima. Non ho mai dato nessuna importanza ai ragazzi, ma con lui è diverso: dal momento in cui l’ho visto non sono più riuscita a togliermelo dalla testa.»
«Ti sei innamorata.» sentenzia Serena.
«Ma…» sto per replicare ma mi blocco.
«Ma, cosa?» insiste mamma.
«Oggi non mi ha mollato un attimo, perché sono il nuovo giochino, perché non sono caduta ai suoi piedi, ma quanto ci vorrà perché si stanchi di me? È troppo carino, troppo popolare… gli girano tutte attorno come api sul miele. Non credo che riuscirei a fidarmi.» ammetto.
«Il fatto che tuo padre sia scappato con un’altra donna, non deve condizionarti la vita. Tuo padre ha fatto una scelta, giusta o sbagliata che sia era la sua scelta; non è detto che questo ragazzo faccia lo stesso.»
Annuisco ma le sue parole non mi danno alcun conforto.
 
Passo una notte pressoché insonne e al mattino mi alzo prestissimo; mamma è già andata a lavorare. Mi trucco con maggior cura del solito, preparo la colazione per le mie sorelle, poi le sveglio e aiuto Gioia a lavarsi e vestirsi.
La signora Lia, la badante della nonna, arriva proprio mentre stiamo uscendo di casa. Accompagno le mie sorelle alla fermata del pullmino scolastico e torno verso casa, per aspettare Andrea.
Lo trovo già lì ad aspettarmi, appoggiato al cofano della sua auto.
«Buongiorno.» mi saluta con un sorriso a trentadue denti.
«Ciao.» il mio sorriso è un po’ più tirato.
«Allora sai faro anche tu! Avevo quasi perso le speranze…»
«Cosa?»
«Sorridere. Non te l’avevo ancora visto fare.»
Sento le guance pizzicarmi e chino il viso.
«Scusa: non volevo offenderti.» mormora, poggiando l’indice sotto al mio viso e sollevandolo.
«Non sono offesa. Hai solo detto la verità; mi spiace: non mi sono comportata molto bene ieri.»
«Nemmeno io, se è per questo; temo di essere stato un po’ assillante.» sorride di nuovo.
Stavolta il mio sorriso è più spontaneo.
«Dovresti farlo più spesso: sei bellissima quando sorridi.»
«Grazie.» mormoro appena.
Per la prima volta da quando papà se n’è andato e mamma ha dovuto cominciare a fare due lavori, arrivo in orario a scuola. Sembra quasi strano non dovermi scapicollare per le scale.
«Buona giornata.» mi saluta Andrea quando arriviamo davanti alla porta della mia classe.
«Grazie, altrettanto.» ricambio entrando in aula.
«Oh-oh-oh!» mi apostrofa subito Sonia «Ieri volevi farci credere che non ti interessava e oggi arrivi in macchina con lui!» il suo tono acido mi indispone.
«Non hai una vita tua di cui occuparti?»
«Uhhh che paura: la gatta ha tirato fuori gli artigli.» scoppia a ridere lei.
«Ehm.» un colpo di tosse dalla porta ci fa voltare di scatto. Andrea, appoggiato allo stipite, ci squadra con malcelata ironia «Alice, posso parlarti un attimo?»
«Certo.» lascio lo zaino vicino al banco, schivo Sonia e lo raggiungo.
«Che succede?»
«Niente. Volevo salutarti un’altra volta: i miei compagni mi hanno ricordato che nelle prossime ore avremo la verifica di italiano e il pensiero di non poterti vedere fino all’intervallo mi ha intristito.»
Allunga una mano e mi accarezza una guancia. D’istinto chiudo gli occhi.
Lui si allontana di scatto e io sollevo le palpebre, tornando ad incrociare lo sguardo con il suo.
«Tutto bene?» chiedo in un sussurro.
Lui scuote il capo ma si vede lontano un miglio che è turbato: i suoi occhi sono scuri, le labbra tirate e il respiro corto.
«Ho fatto qualcosa che non va?» domando ancora.
«Oh, scricciolo; assolutamente no. È solo che…» si blocca.
«Cosa?»
«Avrei voluto baciarti.» ammette a voce talmente bassa che quasi stento a sentirlo. Ma lo sento. Lo sento eccome: le sue parole riecheggiano più forte di un urlo nelle mie orecchie. Sento le guance andare in fiamme.
«Ali?» Sara mi fa segno dalla porta, indicandomi la professoressa in arrivo.
«Devo andare. A dopo.» lo saluto scappando via.
Il tempo non passa più, i professori sembrano lenti e logorroici; ad ogni campanella scatto nel corridoio, ma la porta della quinta è sempre chiusa e torno al mio banco avvilita.
Finalmente, all’intervallo, la porta si apre. Andrea è il primo ad uscire e viene dritto verso di me.
«Andiamo.» dice, afferrandomi per un gomito e trascinandomi giù per le scale.
Non si ferma finché non arriviamo in un angolo appartato del giardino.
«Non è così che avrei voluto che andasse…» mormora, voltandosi verso di me.
«Cosa?»
Ma lui non risponde; non a voce almeno: mi afferra il viso con una mano mentre appoggia l’altra dietro la nuca, bloccando ogni mio movimento; si china lentamente su di me e, con una dolcezza infinita, appoggia le labbra sulle mie.
Io rimango immobile, paralizzata. Il mio primo bacio. Nel giardino della scuola. Con un ragazzo che ho conosciuto appena ventiquattro ore fa. E non so assolutamente cosa fare!
Le sue labbra sono calde, morbide e umide. La sua lingua si insinua tra le mie; sa di liquerizia.
È inebriante e, finalmente, mi lascio andare.
Socchiudo le labbra, lasciandogli libero accesso, e allaccio le braccia intorno al suo collo. Le gambe iniziano a tremarmi, mentre nello stomaco esplode la battaglia degli sbandieratori d’Italia.
Andrea mi lascia il viso e mette il braccio intorno alla mia vita, stringendomi a lui.
Non so da quanto tempo siamo qui, il mondo sembra essersi fermato.
Piano, così come ha iniziato, lui stacca le sue labbra dalle mie. Non parliamo, restiamo così, abbracciati, occhi negli occhi, in silenzio, per almeno un altro paio di minuti.
«Dovremmo rientrare.» mormoro alla fine.
«Già.» annuisce, ma non mi lascia.
Io aspetto, senza pressarlo. Quando si sente pronto, scioglie il suo abbraccio e mi afferra una mano, incamminandosi verso il nostro piano.
«Scusa.» dice sulle scale.
«Di cosa?»
«Avrei voluto che andasse diversamente; avevo pensato di invitarti a cena, comprarti dei fiori, portarti lungo il fiume di Genzano e solo allora, sotto le stelle, alla luce della luna, ti avrei baciato. Ma non ho saputo resistere.»
«Sei stato meraviglioso.»
«Io? Il bacio lo è stato.»
Non rispondo. Era il mio primo vero bacio e non sono poi tanto sicura di aver fatto le cose correttamente: per almeno metà sono stata ferma come una statua di sale e per l’altra non ho fatto altro che aprire la bocca…
«Alice?» si ferma, fissandomi «Non sei d’accordo?»
«Io…» cosa dovrei dire? «Tu… tu pensi sia stato bello?»
Lui aggrottare la fronte, irrigidendosi.
«Non so a che standard sei abituata, ma credevo lo fosse stato, sì. Evidentemente mi sbagliavo.»
«No. Mi hai frainteso…» dico, senza osare guardarlo «Io non ho nessuno standard… io…» e mi blocco, mentre sento le mie guance diventare color porpora.
«Non ci credo: ripeti.» mi ordina, afferrandomi per le spalle.
«Cosa?»
«Quello che hai appena detto.»
«Ho detto che hai frainteso.»
«Dopo.»
«Ho detto che non ho alcuno standard.»
«E cosa vorrebbe dire che non hai alcuno standard?»
«Oh, beh… io…»
«Non hai mai baciato nessuno prima?» chiede lui, togliendomi d’impaccio.
Scuoto il capo, negando.
«Stai dicendo sul serio?»
Annuisco.
«Mi stai dicendo che non avevi mai baciato un ragazzo prima di stamattina?» la sua voce è roca, affannata.
«Non così.»
«Mio Dio, Alice… io…» prima che possa terminare la frase, mi libero dalla sua stretta e raggiungo il mio posto, in classe.
«Tutto bene?» mi chiede Sara.
«Sì, grazie.» mento, mentre dentro di me si scatena l’inferno.
Alla fine delle lezioni, lo trovo appoggiato al muro del corridoio. Appena mi vede scatta in avanti.
«Ti porto a casa.» dice in tono teso.
«Guarda che non sei obbligato.»
«Tranquilla: non lo farei se non volessi farlo.»
Saliamo in macchina in silenzio, ma appena usciti dal parcheggio lui inizia a parlare.
«Perché sei scappata?»
Non rispondo.
«Alice, perché sei scappata via in quel modo prima?»
«Ho pensato che venire a conoscenza della mia totale inesperienza ti avesse fatto passare la voglia di uscire con me.» ammetto.
«Non pensare più al posto mio: lascia che sia io a dirti cosa sto pensando.» ribatte in tono duro «E, per la cronaca, non ho mai pensato una cazzata simile!»
«Scusa, non era mia intenzione farti arrabbiare.»
«Arrabbiare? No, Alice, tu non capisci…» sibila.
Parcheggia sotto casa mia e si volta a guardarmi.
«Hai deciso per me; hai deciso che fossi una persona così superficiale da non voler stare con te perché sei - come hai detto? - totalmente inesperta; mi hai piantato in asso nel bel mezzo di una discussione senza darmi la possibilità di difendermi, di contestare… ma non è solo questo. Io sono più che arrabbiato, Alice. Non solo con te, ma anche con me stesso per non aver capito che eri così innocente… per non aver letto i segnali: ero troppo preso da te per farci caso.»
«Segnali? Quali segnali?»
«Beh, ieri hai detto che non sei interessata ai ragazzi, che non sei il tipo che “da il suo indirizzo” ad un perfetto sconosciuto; e quando ci siamo scontrati? Mi hai guardato in un modo così spaesato; la stessa cosa quando ti ho preso il gomito: ti sei irrigidita; così come quando ti ho baciato…»
Giro il volto verso il finestrino.
«Alice, guardami.»
Stringo i pugni; mi sento così inadatta e infantile, come posso guardarlo negli occhi dopo che ha ammesso che ero ingessata mentre ci baciavamo?
«Alice?» mi chiama ancora «So cosa pensi e stai sbagliando: non ti ritengo un’inetta. Il nostro bacio è stato sensazionale, non ho mai provato nulla di tanto intenso. Avrei solo voluto fare le cose come si deve, soprattutto adesso che ho scoperto che era il tuo primo bacio. Ora ogni volta che ci penserai, ricorderai che è avvenuto in un angolo del giardino scolastico: che squallore!»
«Squallore?» mi volto di scatto a guardarlo «Io non ricordo alcuno squallore: ricordo l’odore dell’erba appena tagliata, il sapore della liquerizia, la morbidezza delle tue labbra, la solidità delle tue braccia… il resto del mondo? Per me era sparito.»
Lui mi fissa, sorpreso; poi scatta in avanti, prendendomi le braccia e tirandomi verso di sé.
Questa volta il nostro bacio ha ben poco di tenero; le sue labbra sono esigenti, le mie lo accolgono con piacere. Andrea mi morde il labbro inferiore, poi torna a esplorare la mia bocca con la lingua, alla ricerca della mia. Sento un fuoco esplodermi nel petto, fatico a respirare e il cuore mi pulsa ferocemente nelle orecchie. Di nuovo gli sbandieratori usano il mio stomaco per allenarsi.
Quando ci separiamo, faccio fatica a respirare.
«Solo per dimostrarti che ho gradito molto il tuo bacio.» sussurra a mezza voce Andrea, sorridendomi dolcemente «Io non voglio mentirti, Alice. Non sono come te: a me piace uscire e lo faccio quasi tutte le sere; nel fine settimana vado a ballare, fino a prima di conoscerti rimorchiavo una ragazza diversa ogni sera. Non posso prometterti grandi cose, ma tu mi piaci davvero moltissimo e vorrei provare. Quindi… usciresti con me stasera?»
La sua sincerità mi spiazza.
«Io… non so se posso: devo chiedere a mia mamma.»
Lui solleva un sopracciglio, stupito e mi sento in dovere di dargli una spiegazione.
«Mio padre se n’è andato e mia madre fa due lavori; mia nonna ha l’Alzheimer e ho due sorelle più piccole. Se mia madre non è di turno posso uscire, altrimenti devo restare a casa.»
Andrea mi accarezza il viso.
«Ok. Fammi sapere se riesci ad organizzarti: ti lascio il mio numero.»
Ci scambiamo i numeri del cellulare e ci salutiamo. Mi sembra di camminare sulle nuvole!
La sera arriva dopo lunghissime e interminabili ore; mia madre lavora fino a tardi e domani c’è scuola, quindi mi vieta di uscire. Prendo il telefono e compongo il suo numero.
«Finalmente!» esclama.
«Ciao. Scusa, sono riuscita a parlare con mia mamma solo ora. Purtroppo dovrà coprire anche il turno serale e non posso uscire.» dico tutto d’un fiato.
Dall’altro capo del filo, sento solo un respiro profondo.
«Stavo pensando… e se venissi da te? Pensi che per tua madre sarebbe un problema? Potremmo chiacchierare o guardarci un film…»
«Certo.» esclamo subito «A che ora arrivi?»
«Dammi cinque minuti.» lo sento sorridere.
 
Il tempo passa e il nostro rapporto si approfondisce sempre più. Oramai ci frequentiamo da tre settimane e mia mamma mi ha proposto di invitare Andrea a mangiare da noi la vigilia di Natale.
Avrei voluto dirglielo stamattina, ma era molto teso a causa di un compito in classe e ho preferito rinviare all’intervallo. Quando lascio l’aula, lo vedo uscire dalla sua classe con una sua compagna; è bionda, alta e con gli occhi azzurri: una vera bellezza. Gli si è appesa al braccio e sta ridendo allegramente. Andrea china il capo, avvicinandosi di più a lei e le sussurra qualcosa all’orecchio; lei si volta a guardarlo stupita, poi scoppia nuovamente a ridere strusciandosi al suo braccio.
Incrocio le braccia sul petto e mi appoggio al muro, guardandolo in cagnesco; in quel momento, Andrea solleva il viso e mi nota; sempre sorridendo, saluta la ragazza, liberandosi dalla sua presa e mi raggiunge.
«Ciao, piccola.» mormora, appoggiandosi al muro accanto a me.
«Ciao. Carina la tua amica.»
«È una mia compagna di classe, stavamo parlando del professore di tecnica.»
«Sì, beh… non m’importa.»
«Senti Alice, tu mi piaci, sto davvero bene con te, ma non puoi pretendere che cambi completamente la mia vita per stare con te.»
«Non te l’ho mai chiesto, Andrea. Anzi, non ti ho chiesto proprio nulla: se non ricordo male, sei stato tu ad insistere affinché uscissi con te.» gli faccio notare.
«Vero, ma non ho avuto l’impressione che la cosa non fosse di tuo gradimento.»
Lo fisso un istante, seria, poi gli volto le spalle e rientro in classe.
Al suono della campanella dell’ultima ora, esco in fretta dall’aula, imbocco il corridoio e mi fiondo giù per le scale; continuo a correre fino al cavalcavia e rallento solo quando entro nel sottopassaggio che sbuca proprio di fronte al parco antistante il condominio in cui vivo.
Il cellulare inizia a squillare nel momento stesso in cui rientro in casa. È Andrea, naturalmente.
Spengo il telefono, prendo una mela in frigo e vado in camera a leggermi un libro. Leggere è l’unica cosa che mi consente di non pensare a nulla.
Sono talmente immedesimata nel racconto che, quando Serena entra in camera, faccio un balzo, strillando.
«Hey! Ma sei matta?» urla a sua volta mia sorella.
«Scusa, mi hai spaventata.»
«Sì, beh. Comunque di là c’è Andrea che vuole parlarti.»
«Andrea?» Non credevo che sarebbe venuto qui a casa.
Metto il segno al libro, passo le mani tra i miei lunghi capelli castani per dar loro un po’ di volume e raggiungo Andrea in salotto.
«Ciao.» lo saluto «Come mai qui?» fingo una totale indifferenza, mentre dentro di me sta scoppiando il finimondo; mi sforzo per mantenere il respiro regolare.
«Sai perché sono qui: dobbiamo parlare. Puoi uscire?»
Guardo l’orologio; sono quasi le quattro: Lia resterà con nonna almeno un’altra ora.
«Sì, tanto devo andare a prendere Gioia.» dico facendo spallucce. Non voglio fargli capire minimamente quel che provo.
Ci incamminiamo verso la scuola primaria, vicini ma distanti.
«Non ti ho mai mentito, Alice. Sai benissimo che mi piace fare lo sbruffone, è nel mio carattere. Non ho fatto nulla con Clelia: è solo una compagna di classe ma non hai alcun diritto di trattarmi in questo modo.»
«Non ti ho trattato in nessun modo, Andrea. Non ti ho proprio detto nulla.» gli faccio notare.
«Già: hai detto bene. Mi hai evitato, non hai voluto parlare con me, sei scappata via.»
«Come hai detto tu, non posso cambiare la mia vita solo per te: sono semplicemente andata a casa a piedi come facevo prima di conoscerti.» alle mie parole si irrigidisce.
Fa male, vero? Si prova un dolore intenso quando qualcuno a cui tieni ti dice una cosa simile: è come se tu, per lui, contassi meno del due di picche. Vorrei dirgli, ma mi mordo il labbro: se lo facessi capirebbe quanto soffro.
«Forse abbiamo semplicemente corso troppo.» esclama.
Il mio cuore sembra fermarsi al centro del petto: lo sento, svuotato ma pesante come un macigno.
«Già; per fortuna non ci siamo spinti troppo oltre e nessuno si farà male se facciamo un passo indietro.»
Mi fermo davanti al cancello della scuola, le mani in tasca per non fargli vedere che tremano, lo sguardo fisso sul caseggiato per evitare che noti che ho gli occhi lucidi.
«Già, bene. Allora ci si vede.» esclama.
«Sì, certo. Buona giornata.» ribatto senza voltarmi.
Lo sento allontanarsi, sento il rumore dei suoi passi sul selciato, mi rimbombano dentro al petto.
 
I giorni seguenti fingo che tutto vada bene, ma eseguo ogni movimento come un’automa, in totale apatia. Solo quando vedo Andrea mi rianimo e fingo di essere allegra come non mai.
Anche lui sembra felice: scherza con i compagni, abbraccia le amiche, non mi degna quasi di un’occhiata.
Ma va bene così: sapevo già che tipo di persona fosse, meglio adesso che più avanti, quando sarei stata irrimediabilmente innamorata e avrei sofferto molto di più. Ma chi voglio prendere in giro? Io sono già irrimediabilmente innamorata di Andrea; io sto già soffrendo molto.
Esco dal bagno sovrappensiero e vado a sbattere contro qualcuno.
«Mi sembra una scena già vista.» mormora Andrea.
«Scusa, ripassavo per il compito in classe.» mento e faccio l’errore più grande della giornata: sollevo lo sguardo e incrocio il suo. Tutto quello che avevo cercato di nascondere, tutto ciò che avevo relegato in un angolino, tutto quello che avevo compresso nel più profondo del cuore, all’improvviso sembra voler uscire fuori, di botto: gli occhi mi si riempiono di lacrime e un singhiozzo mi sfugge dalle labbra. Mi volto di scatto, per allontanarmi, ma lui mi afferra un braccio e mi tira verso di sé, stringendomi al petto.
«Mi sei mancata da morire, scricciolo.» sussurra fra i miei capelli.
China il viso e mi prende le labbra con le sue, strappandomi un bacio intenso. Il cuore sembra riprendere a pompare all’istante, martellandomi forsennatamente nel petto. Avvolgo le braccia al suo collo, stringendolo a me, sollevandomi sulla punta dei piedi per avvicinarmi ancora di più al suo viso.
Ogni sensazione sembra amplificarsi, il petto quasi mi esplode per la gioia, e commetto il secondo errore della giornata.
«Ti amo.» sussurro quando le nostre labbra si separano.
Andrea sgrana gli occhi, fissandomi sorpreso; i due smeraldi così scuri da ricordarmi il muschio selvatico.
Il suono della campanella lo salva. Mi volto a guardarla con odio: quel piccolo oggetto di ottone appeso proprio sopra all’orologio rotondo che scandisce le nostre ore scolastiche, in questo momento ha tutto il mio disprezzo!
Mi rendo conto di averlo spaventato e decido di far finta di nulla, per non pressarlo troppo. E lui ne approfitta.
Riprendiamo a frequentarci e i mesi si susseguono senza ulteriori cambiamenti: ci vediamo quasi ogni giorno fuori da scuola, lui viene spesso a casa durante la settimana e quando possiamo usciamo insieme, sia da soli che in compagnia; siamo anche andati in discoteca qualche volta. Il problema nasce ogni volta che io non posso uscire nel fine settimana: lui vuole comunque andare a ballare con gli amici e questo mi infastidisce parecchio. Stasera ad esempio, lui andrà al XX Secolo, una grossa discoteca del Bergamasco, mentre io me ne resterò a casa.
«Devi proprio uscire?» gli chiedo.
«Sì, scricciolo. Abbiamo avuto un sacco di verifiche questa settimana, senza contare le prove per gli esami: ho proprio bisogno di svagarmi un po’.»
«Mandami un messaggio quando torni.»
«Ma farò tardi.» ribatte.
«Non importa, lo leggerò domattina. Sarai il mio primo pensiero appena sveglia.»
«Ok, piccola, cercherò di ricordarmi.» mormora strofinando il naso contro il mio.
Sollevo il viso e le nostre labbra si sfiorano; automaticamente schiudo le mie e lui intensifica il bacio. Senza staccare le labbra dalle sue, mi alzo dal divano e mi risiedo cavalcioni sulle sue gambe; lui mi afferra i fianchi, strusciandosi contro di me.
Mi sfugge un gemito.
Andrea sposta una mano, accarezzandomi la pelle della schiena, poi del braccio, del ventre, fino a fermarsi sul seno. Mi sfugge un altro gemito.
«Se è un tentativo per non farmi uscire, ti avviso che potrebbe funzionare.»  
«Non mi abbasserei mai a tanto, ma se servisse a tenerti a casa con me stasera… potrei farci un pensierino.» sorrido.
«Alice! Accidenti: sai benissimo che non sono più stato con un’altra da quando ci frequentiamo. Rispetto i tuoi desideri, ma anche io ho le mie esigenze: non girare il coltello nella piaga.» borbotta.
«Scusa, hai perfettamente ragione. E penso che tu abbia portato abbastanza pazienza…»
Lui solleva il viso, fissandomi intensamente.
«Stai dicendo…?»
«Sì, magari settimana prossima potremmo organizzarci: mia madre dovrebbe essere di riposo, quindi io dovrei poter uscire…»
Andrea mi stringe tra le braccia, affondando il viso nell’incavo del mio collo e respirando affannosamente.
«Beh… è meglio se me ne vado, ora. Questa notizia mi ha mandato in estasi e non vorrei fare qualche stupidaggine.» ammette.
Se ne va, ma non del tutto: ricevo continuamente messaggini da parte sua. Mi scrive quanto è felice, mi scrive per dirmi come si sta vestendo, mi scrive per farmi sapere con chi sta uscendo, mi scrive che canzoni stanno mettendo in disco. Mi scrive in continuazione.
  • Perché? Perché hai cambiato idea?
E ora cosa gli rispondo? Opto per la verità.
  • Perché ti amo.
  • Allora me lo hai detto davvero? Mi ero convinto di averlo solo sognato.
  • Sì. Ti amo. Te l’ho detto allora e te lo confermo adesso.
  • Torno a casa. Puoi scendere al parchetto?
  • Penso di sì. Mamma è tornata. Perché?
  • Voglio venire a dirti una cosa.
  • Cosa?
  • Voglio dirtelo di persona <3. Sarò là tra mezz’ora.
Sento le gambe cedermi e gli sbandieratori iniziare le loro acrobazie all’interno del mio stomaco.
Mi alzo dal letto, vado in bagno a fare una doccia veloce, metto una camicia carina e un paio di jeans aderenti; poi infilo le mie scarpe preferite, quelle con il tacco da paura, ma tanto stasera non dovrò camminare molto.
Trenta minuti dopo sono seduta sulla panchina di pietra. La nostra. Un pomeriggio lui ha anche inciso due A intrecciate sul granito.
Mentre aspetto, gioco con il braccialetto che mi ha regalato per il mio compleanno: è semplice, l’ha fatto con le sue mani, intrecciando cuoio e perline. Ad un tratto la chiusura si rompe e le perline cadono in terra. Oh, no. Cavoli. Devo aggiustarlo prima che arrivi, altrimenti ci resterà male.
Ma il tempo passa e di lui nessuna traccia. Provo a chiamarlo ma il suo telefono risulta spento.
Dopo più di un’ora, vedo arrivare un’auto. Non è una Clio, ma forse è uscito con la macchina di qualche suo amico. L’auto allenta davanti al parchetto e si ferma.
Ne scendono Savio e Dennis. Sono pallidi e camminano con passo incerto.
«Ciao, Alice.» mi salutano a fatica.
«Ciao, ragazzi. Che succede?» chiedo, mentre una vocina dentro di me urla: Scappa, vai via! Non ascoltare cosa sono venuti a dirti.
«Alice… c’è stato un incidente…» inizia Savio.
«No. No! Noooo!» inizio ad urlare, infischiandomene dell’orario tardo.
Guardo Savio, poi Dennis, ma nessuno dei due ha l’espressione di chi sta scherzando.
«Mi dispiace. Noi… noi abbiamo visto tutto…» inizia Dennis mentre il mio corpo sembra congelarsi «Ci aveva detto che voleva tornare a casa perché doveva venire a dirti una cosa importante; noi lo abbiamo preso in giro, perché sapevamo tutti di cosa si trattasse, ma lo abbiamo accompagnato volentieri. La sua macchina era davanti alla nostra; ad un tratto ha cambiato corsia, poi ha sbandato ed è finito sul guardrail. Io…» Dennis si ferma, iniziando a singhiozzare, e Savio gli poggia una mano sulla spalla.
«L’auto si è aperta in due, come il burro. Solo il rumore era assordante: l’ho sentito nonostante il fischio nelle orecchie. Lui non ha sofferto. Nemmeno Stefano. Marco invece ha sofferto parecchio: era rimasto incastrato tra le lamiere. Ha detto che dormiva e non sa cosa sia successo: si è svegliato sentendo il botto. Ma i soccorsi sono arrivati troppo tardi e noi non siamo riusciti a tirarlo fuori.» Dennis continua a singhiozzare, mentre Savio mi descrive la scena raccapricciante cui ha appena assistito «Solo Ivan ce l’ha fatta, ma è in prognosi riservata all’ospedale di Bergamo. Gli altri sono morti tutti…» Dennis cade in ginocchio, continuando a piangere. Anche Savio piange.
Io li fisso, mentre la notizia si fa strada dentro di me e sento il mio cuore fermarsi e frantumarsi. Sento ogni piccolo frammento cadere e infilarsi nella mia carne, ferendomi dall’interno.
Poi svengo.
 
Sono passati dieci giorni. Il funerale è stato straziante: la madre e la sorellina urlavano disperate, il corteo era lunghissimo, forse c’erano tutti gli studenti del corso B di ragioneria del nostro istituto, e tutti i professori. La Gobbi mi si è avvicinata, ma l’ho guardata come se fosse un’aliena e non le ho voluto parlare. Non ho parlato con nessuno per giorni.
E ora sono qui, a casa sua, seduta sul suo divano, di fronte a sua mamma e sua sorella, che mi chiedo per quale motivo mi sono lasciata convincere a venire a far loro visita.
«L’ho sognato, sai?» mi dice Tania, la sua sorellina. «A te capita mai?»
«Tutte le notti.» annuisco.
«Era un sogno strano. Mi diceva che mi aveva lasciato un regalo e che lo avrei trovato nella cuccia di Buddy, il nostro cane. La mattina dopo, quando mi sono svegliata, sono andata nella cuccia del cane e ho trovato questa.» mi mostra la sua medaglietta, quella di Sant’Andrea.
«Lo sai cosa significa, vero?» mi chiede sua madre.
Scuoto il capo.
«Sant’Andrea di Avellino è il santo protettore delle morti improvvise. Andrea vuole farci sapere che sta bene.» mi dice. Ok, è ora di andare via.
«C’è un’altra cosa. Nel sogno mi ha detto che stava tornando a casa per dirti che ti amava e che aveva lasciato una cosa anche per te.»
Sento un nodo alla gola. Mi amava, e non ha avuto il tempo di dirmelo.
«Lo troverai presto.» conclude Tania.
Non le chiedo ulteriori informazioni: le persone che perdono i propri cari all’improvviso si convincono di cose impossibili, per superare il trauma.
Torno a casa e mi lascio cadere sul letto. Fisso il soffitto e vedo i suoi occhi; chiudo le palpebre e vedo il suo viso; sento ancora il suo profumo e le sue labbra morbide sulle mie. Inizio a piangere.
Non so nemmeno io quanto ho pianto negli ultimi dieci giorni. Non ho parlato con nessuno ma ho pianto a dirotto.
Apro il cassetto del comodino e prendo l’ultimo libro che stavo leggendo: forse riuscirò a distrarmi un po’ se le lacrime si fermano.
Apro il libro e ne cade qualcosa: vedo un luccichio sulla coperta. È un piccolo cuore d’oro con due A incise sopra, le stesse che Andrea ha inciso tempo fa sulla nostra panchina.
E allora il mio cuore riprende a battere. Per lui. La  nostra storia è stata breve ma intensa, il nostro idillio è stato bruscamente spezzato prima ancora che potessimo avere la possibilità di conoscerci davvero. Ma io non lo dimenticherò mai. Andrea sarà sempre parte di me, sarà sempre nel mio cuore.
   
 
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