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Autore: Mary P_Stark    05/10/2015    2 recensioni
Lithar mac Lir, gemella di Rohnyn, porta con sé da millenni un misterioso segreto, di cui solo Muath e poche altre persone sono al corrente. Complice la sua innata irruenza, scopre finalmente parte di alcune tessere del puzzle di cui è composta la sua esistenza, ma questo la porta a fuggire dall'unica casa - e famiglia - che lei abbia mai avuto. Lontana dai fratelli tanto amati, Lithar cercherà di venire a patti con ciò che ha scoperto e, complice l'aiuto di Rey Doherty - Guardiano di un Santuario di mannari - aprirà le porte ai suoi ricordi e alla sua genia. Poiché vi è molto da scoprire, in lei, oltre alla sua discendenza fomoriana e di creatura millenaria, e solo assieme a Rey, Lithar potrà scoprire chi realmente è. - 4^ PARTE DELLA SERIE 'SAGA DEI FOMORIANI' - Riferimenti alla storia nei racconti precedenti
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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We came out from the deep

To learn to love, to learn how to live

We came out from the deep

To avoid the mistake we made

That’s why we are here!

-Enigma-

 

 

 

1.

 

 

 

Trovavo inconcepibile che nostro padre potesse aver separato madre e figlia, e subito dopo il loro avvento a Mag Mell, dove i loro antenati erano vissuti.

Sapevo che Tethra era famoso per i suoi inganni e per i suoi voltafaccia, ma avevo sperato che, almeno in quest’occasione, si sarebbe dimostrato più … umano.

Mi era parso di scorgere sincero interesse nei confronti di Fay, in quegli occhi color dell’acqua cristallina.

La sua risata, così come il suo sorriso raro, mi avevano fatto ben sperare per la giovane O’Rourke.

Invece, come sempre, era riuscito a sorprendermi in negativo.

Ma, almeno per una volta, mi sarei realmente resa utile, non sarei stata la silente spettatrice dei drammi dei miei fratelli.

Avrei aiutato anch’io, perché la loro felicità fosse completa.

Intrufolarmi nell’appartamento reale non era esattamente il modo più consono di operare, lo sapevo bene.

Ma sapevo altrettanto bene che, se avessi chiesto un incontro formale con loro, me l’avrebbero negato.

Mi assicurai, perciò, che le cameriere di mia madre non fossero presenti nel gineceo e mi intrufolai all’interno dei loro appartamenti.

A quel punto, mi nascosi dietro una delle tende in mussola di seta azzurro cielo, e lì attesi il loro ritorno.

Avrei preso una lavata di capo, ma poco importava.

Contai il passare dei minuti, scanditi dal battito calmo del mio cuore e, nel frattempo, pensai a Rachel e a ciò che, sicuramente, stava patendo.

Aveva dimostrato coraggio da vendere, trattenendosi dal correre dietro alla figlia, e smentendo di fatto la mia accusa di debolezza.

Era più forte di molte fomoriane che, al momento di abbandonare i figli per le senturion, scoppiavano in lacrime di fronte ai mariti.

Non era cosa che si ammettesse con candore, ma ero stata testimone di più di un pianto sconvolto, nei miei quattromila anni di vita.

Ero, perciò, consapevole di quanto fosse stato onorevole il comportamento di Rachel.

Meritava almeno un tentativo da parte mia, visto quanto poco mi ero fidata – in principio – della sua parola e dei suoi sentimenti per mio fratello.

Quando mi ero recata da lei – dèi, sembrava passato un secolo! – , l’avevo trovata bella e gradevole, ma innocua.

Solo quando l’avevo vista assieme alla figlia, mi ero resa conto della sua forza interiore.

Avrebbe dato la vita - e molto di più - per lei e, a quel punto, anche per Krilash.

In fondo, era questo ad avermi convinta della sua buona fede.

Lo amava con sincerità e passione, e mio fratello amava lei e sua figlia con altrettanta forza.

I miei fratelli meritavano di essere amati da donne di tal risma.

Quanto a me…

Il suono dei passi dei miei genitori mi mise in allerta e, quando percepii l’aprirsi della porta d’ingresso dei loro appartamenti, mi rattrappii.

Dovevo capire esattamente quando uscire allo scoperto, non un attimo prima.

A prendere la parola, al loro rientro, fu Tethra, apparentemente irritato o, forse, esacerbato da qualcosa.

Si servì da bere – o così intuii dal tintinnare dei bicchieri nel salottino – e lo sentii asserire: “Ci manca soltanto che ora, i miei sudditi, si mettano sulle tracce di tutti i discendenti umani delle dinastie perdute!”

“Non puoi fare una colpa a Krilash di aver desiderato portarla qui. Sarà un’ottima compagna, visto che la parvhein si è destata in lui, e Faélán renderà onore a lui e a noi tutti.”

Mio padre rise con tono stranamente orgoglioso, a quel commento, e replicò: “La piccola ricorda molto Niamh, vero? Mi è quasi venuto un colpo, quando l’ho vista.”

“Sì, si somigliano molto” mormorò Muath, con tono stranamente dimesso.

Che mai le era capitato? Perché, la vista di quella ragazzina, l’aveva turbata tanto?

“Il fatto che si somiglino, però, non vuole necessariamente dire che avrà le stesse capacità di mia cugina. E’ cresciuta in mezzo agli umani, e questo non depone certo a suo favore. A ogni modo, io le ho concesso di restare, perciò nessuno le torcerà veramente un capello, visto che è sotto la mia ala protettrice.”

“Anche Litha è nata sulla terraferma, e con questo? E’ diventata un’ottima guerriera, e una fomoriana dallo spirito indomito! E senza il nostro aiuto! Senza il tuo aiuto!” protestò con veemenza Muath, mettendomi subito in allerta.

Quel nome, così simile al mio, mi fece rabbrividire, portando a chiedermi di chi mai stessero parlando.

Chi altri era nato sulla terraferma, oltre a Rachel e alla figlia, ed era poi giunto a Mag Mell per crescervi?

Tethra rise sprezzante, ora nuovamente irritato, e replicò: “Ancora mi sfidi, Muath, dopo quattro millenni? Sai che trovo di pessimo gusto il fatto che tu continui a chiamare Lithar con il nome che le diede sua madre.”

Cosa?!, pensai sconvolta, chiedendomi di cosa diavolo stessero parlando.

Mi irrigidii tutta, tremando come una foglia, ma ancora non volli rendere evidente la mia presenza.

Volevo sapere, conoscere ogni cosa, perché quelle parole potevano contenere il segreto alle mille domande che avevo posto, nei secoli, a Muath.

Senza aver mai, peraltro, ricevuto alcuna risposta in cambio, se non uno sguardo accigliato e severo.

“E io trovo che ricordare con tale tono discriminante la donna che venne uccisa per mano nostra, quella notte, sia quanto meno ingiusto” replicò aspra la moglie.

“Era una Tuatha de Danann. Meritava la morte, anche se fu fatto per uno stupido errore di superficialità da parte nostra” ribatté Tethra, sempre più furioso. “Ma bada…, se ti sentirò ancora chiamare Lithar con il suo antico nome, la pagherai cara. Ho risvegliato il suo sigillo perché suo padre era fomoriano, mio cugino di primo grado, ma non chiedermi di ricordare le origini impure di sua figlia una volta di più.”

Subito, mi toccai la rihall sul collo, la stella a punte di freccia che, fin dall’inizio, era parsa così differente da quella dei miei fratelli.

Muath aveva sempre detto trattarsi di uno scherzo del destino ma, alla comparsa dei primi glifi sul corpo, le mie domande erano venute di pari passo.

Lei mi aveva sempre negato qualsiasi spiegazione, ma ora… ora…

Tremai sempre più forte, fino a far battere i denti, e quel suono mi smascherò.

Muath si levò in piedi, guardinga, e raggiunse subito le tende dietro cui mi ero nascosta.

Le scostò con violenza, forse pensando di trovare una cameriera curiosa ma, quando vide me, sgranò gli occhi e si fece pallida, quasi cerea in viso.

“Litha…” esalò, gli occhi color acquamarina sgranati e colmi di panico.

Mi levai in piedi in preda ai tremori, mentre anche Tethra - colui che, per una vita, avevo considerato mio padre - si avvicinava a noi con aria preoccupata.

“Cosa… cosa significa?” balbettai, tremando così forte da avere difficoltà a rimanere in piedi, o a parlare coerentemente.

Muath cercò di toccarmi, ma io indietreggiai, colma di dolore e collera.

Mi avevano mentito per tutto questo tempo, e niente di quanto avevo creduto, saputo, era mai stato vero!

“Lithar, ascoltami… non devi pensare che…” tentò di parlare Tethra, ma io lo bloccai con un’occhiata terrificante.

“Avete veramente ucciso mia madre? Una… Tuatha?” gli urlai contro, ormai ai limiti del pianto.

“Eravamo in guerra… non potresti capire” si limitò a dire lui, allungando una mano verso di me. “E, dopotutto, tu sei in parte fomoriana, perciò meritasti di sopravvivere.”

Indietreggiai ancora, finendo con l’urtare la finestra alle mie spalle.

“Cosa dovrei capire, allora? Cosa?!”

La mia respirazione si fece irregolare e in un attimo seppi che, se non mi fossi calmata, sarei certamente svenuta per mancanza di ossigeno al cervello.

Stavo rischiando il collasso e, mai e poi mai, avrei accettato di crollare ai loro piedi, inerme e ferita.

Non avrei concesso loro un simile lusso.

“Ti portammo con noi… ti salvammo la vita…” mormorò Muath, cercando di sorridermi per rabbonirmi.

Le lacrime iniziarono a correre acide sulle mie gote, segnandole come lame di spada e, al limite del controllo, gracchiai: “Fu solo per pietà…”

“Non fu mai per questo, Litha!” replicò la donna che, da sempre, avevo considerato mia madre.

Mia madre…

Colei che mi aveva curato in gran segreto, nel recinto delle senturion, che aveva corrotto più di un soldato perché mi portassero cibo sufficiente, acqua o generi di prima necessità.

Colei che mi aveva spinta a migliorarmi sempre, in ogni attività, qualsiasi essa fosse.

Colei che mi aveva sostenuta, a ogni millennio, quando il mio corpo era cambiato in modo diverso dagli altri, dandomi coraggio e sostegno,… ma non risposte.

“Non avvicinatevi... non avvicinatevi!” gridai, in preda alla confusione più nera.

Chi ero, a quel punto? Una trovatella? Una spoglia di guerra? Cosa?!

E i miei fratelli... le persone che più avevo amato, e amavo, nella mia vita, erano una menzogna!

Sapevano anche loro? Mi avevano mentito fino a quel momento?

“Devi capire, Lithar, che...”

“Come mi chiamo veramente!?” sibilai, tenendoli a distanza con una mano levata verso di loro.

Muath sospirò, reclinò il capo e mormorò: “Tua madre ti diede il nome Litha, in onore della festività celebrata il giorno in cui nascesti.”

Inspirai con forza, cercando di rammentare quel nome e, sempre più agitata, domandai: “Dove? Dove mi avete trovata?!”

Fu Tethra a rispondere, stavolta.

“Fu durante una delle prime guerre tra noi e i Tuatha, Lithar, e noi non... non sappiamo bene dove...”

Risi sprezzante, interrompendo quell’inconsueto balbettio, e sibilai: “Certo, perché i fomoriani sono capaci solo di uccidere, ma non badano al dove, al come e al perché.”

“Ti abbiamo cresciuta noi, accudita noi, protetta noi... non credo siano cose così secondarie. Avremmo potuto benissimo lasciarti lì a morire!” sbottò a quel punto Tethra, mettendo nella voce tutto il suo astio non più trattenuto.

“Forse avreste dovuto. In fondo, sono solo una sporca Tuatha!” lo irrisi, sfoderando la spada che tenevo al fianco.

Sia Muath che Tethra si allontanarono in ansia, essendo disarmati e io, nel farmi largo, ordinai loro: “Non provate neppure a seguirmi... non voglio più posare lo sguardo su di voi!”

Ciò detto, corsi fuori dai loro appartamenti e, senza più guardarmi indietro, uscii da palazzo con l’intenzione di non tornarvi più.

Superai la barriera che proteggeva Mag Mell dai mari e dagli sguardi curiosi, ben decisa a non mettere più piede in quel luogo di traditori.

In lacrime, mutai forma e risalii per raggiungere la terraferma.

Non badai ai branchi di delfini che mi affiancarono, preoccupati, né all’approssimarsi della tempesta che mi accolse in superficie.

Nulla importava più, in quel momento.

Emersi nei pressi della casa di Rohnyn e, camminando lesta sulla spiaggia, raggiunsi il cortile in selciato.

Lì, presi la chiave dallo stipetto nascosto sotto una mattonella e aprii il garage, dove si trovavano i nostri guardaroba.

Quando accesi la luce, le lampade mi ferirono gli occhi, ma lasciai correre.

Avevo bisogno di vedere dove mettevo i piedi, se non volevo fare dei danni.

In fretta, presi uno dei borsoni di Rohnyn, di quelli che usava per la palestra, e vi infilai dentro i miei abiti e la mia pelle di delfino ancora umida.

Guardai fuori dalla finestra, torva e determinata e, nel notare quanto le nuvole nere all’orizzonte, afferrai un poncho e lo infilai per precauzione.

Una lacrima ribelle sfuggì ai miei occhi, ma io la scacciai con cattiveria.

Non era più il tempo di piangere. Mai più.

Avevo bisogno di pace, di allontanarmi da coloro che avevano tradito la mia fiducia e forse, così, avrei trovato le risposte che cercavo.

Richiusi tutto e, dopo un ultimo sguardo alla casa di Rohnyn, mi allontanai a piedi, lasciando alle mie spalle il mare, le mie misere certezze, i miei sogni.

***

Cá fhad é ó

Cá fhad é ó

Siúil trídna stoirmeacha.

Siúil trídna stoirmeacha.

Cá fhad é ó

An tús don stoirm.

Cá fhad é ó

An tús go deireadh.

Tóg do chroí.

Siúil trídna stoirmeacha.

Tóg do chroísa.

Dul trídna stoirmeacha.

Turas mór.

Tor trídna stoirmeacha.

Turas fada.

Amharc trídna stroirmeacha.1

 

La voce melodiosa di Enya mi accarezzava le orecchie mentre, con passo placido, camminavo sul ciglio della strada.

Sembrava stesse cantando per me, e questo mi fece quasi sorridere.

Gli auricolari ben infilati, per evitare che scivolassero a causa del vento, e il capo basso – coperto dal cappuccio del poncho – avanzavo senza meta.

Avevo solo scelto di andare in direzione opposta a quella che conduceva a Dublino.

Da lì in poi, tutto sarebbe andato bene, per quel che mi importava.

Una donna umana non si sarebbe mai sognata di fare una cosa simile in una notte di tempesta, anzi. Non sarebbe neppure uscita di casa.

Io, però, non avrei avuto problemi a difendermi da eventuali malintenzionati e anzi, forse avrei anche trovato soddisfazione in una bella scazzottata.

In quel momento, le mani mi tremavano così tanto che avrei potuto perdere la presa sulla mia spada, se l'avessi avuta con me.

Quel pensiero mi ferì, perché avevo fatto confezionare quell'arma con specifiche uniche.

Non avrei comunque potuto portarla con me, sulla terraferma, dove le spade erano poco più che cimeli da arredamento, o utilizzate per hobby o per sport.

Proseguii per un tempo indefinito, con la pioggia che picchiettava sul tessuto impermeabile del poncho, finché un camionista non si fermò poco distante.

Si sporse per farmi segno di avvicinarsi e, con un gran sorriso, mi disse di non aver paura.

Lo raggiunsi di corsa e, nel ringraziarlo, aprii la portiera sul lato passeggero e salii.

Lì, mi accomodai sul comodo sedile, e assaporai un po’ di calore per la prima volta da ore.

L’interno era accogliente; asciutto e pieno di colori.

“Che ci fa una ragazza tutta sola, e sotto un diluvio simile?” mi domandò con gentile cortesia l'uomo, che dimostrava più o meno una cinquantina d'anni.

Sorrisi a mezzo, mormorando: “Devo allontanarmi dalla città.”

“Sei nei guai con la polizia?” si preoccupò subito, accigliandosi.

Risi mesta, e scossi il capo. “No. Niente del genere.”

“Beh, ragazza. Io posso portarti fino a Harrisgrove, nei pressi di Cork. Devo consegnare degli attrezzi agricoli, poi tornerò indietro. Ti può andare bene?”

“Quanto dista da qui?” mi informai, non avendo la minima idea di dove si trovasse Cork.

Vagamente sorpreso dalla domanda, l'uomo fu comunque così gentile da rispondermi e, nel riavviare il mezzo, mi disse: “Sono quasi duecento miglia, ragazza. E, se devi mettere dello spazio tra te e il tuo innamorato, bastano e avanzano.”

Feci tanto d'occhi, pronta a smentirlo, ma mi azzittii un attimo dopo. Come scusa, poteva andare bene.

Visto quello che era accaduto a Rachel, potevo dare per scontato che fosse una cosa abbastanza comune, tra gli umani.

Se avessi avuto più esperienza con le faccende dei terreni, non avrei avuto tutti questi problemi ma, per il momento, poteva andar bene, come espediente.

“Grazie. In effetti, più mi allontano da lui, meglio è.”

Raddolcendo lo sguardo, l'uomo mormorò in risposta: “Non è mai bello, quando si litiga, eh?”

“Già” assentii, sospirando.

“Riposa un po', ragazza. Mi ci vorrà del tempo, per arrivare, e tu mi dai l'idea di una che ha passato davvero un brutto quarto d'ora.”

“Non ne ha idea” ammisi e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dall'andamento ondeggiante del mezzo.

Ovunque stesse andando, mi stava conducendo lontano dalle uniche certezze che avevo avuto nella vita.

In quel momento, però, niente di tutto quello che conoscevo, che amavo, avrebbe potuto aiutarmi.

Ora, avevo bisogno di allontanarmi da tutto. Da tutti.









Note: Ed eccoci arrivati alla storia di Lithar. Finalmente si è scoperto cosa ci sia che non va - per modo di dire - nella più giovane dei figli di Muath e Tethra. Ora, rimarrà solo da capire come affronterà questa soncertante notizia e come, i suoi fratelli (se non nel sangue, per lo meno nel cuore) reagiranno alla sua scomparsa. 
Buona lettura e grazie per essere passate anche qui!


 

Traduzione Storms in Africa (part 1) – Enya –

Quanto lontano bisogna andare?

Quanto lontano bisogna andare?

Cammina attraverso i temporali

Procedendo attraverso i temporali

Quanto lontano bisogna andare?

L’inizio dei temporali

Quando lontano bisogna andare?

Dall’inizio alla fine

Alza il tuo cuore

Camminando attraverso i temporali

Prendi il tuo cuore

Procedendo attraverso i temporali

Un lungo viaggio

Vieni attraverso i temporali

Un lungo viaggio

Guarda attraverso i temporali

 

  
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