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Autore: ElyJez    05/10/2015    1 recensioni
E così, come vinta da qualche forza superiore, scivolai lì, su quella tomba a me cara, per chiudere gli occhi e morire, o forse, tornare a vivere realmente.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il bosco non era mai stato così silenzioso come allora, o forse ero soltanto io a giudicare silenzioso quel fruscio del vento tra gli alberi di castagno, e lo scricchiolio delle foglie secche e ruvide che a ogni mio passo mi faceva compagnia.
Non tornavo da moltissimo tempo in quello che era stato il mio piccolo angolo di paradiso in terra per pochi mesi, e una landa deserta che mal mi accompagnava con ricordi intrisi di una felicità agognante per troppi anni.
Era come se la vita presente, troppo ricca di novità, popolata da nuovi affetti, mi impedisse di fare un passo indietro in quello che aveva segnato i momenti più belli ed atroci della mia giovane esistenza.
Tutte le innocenti risate, le parole appena sussurrate e le poesie di lui volate via nel vento rimbombavano in un'eco eterno tra quei rami, arbusti e fiori appassiti, strattonandomi via dal tempo reale e riportandomi in un’era dove io, appena ventenne avevo conosciuto l’amore, che era entrato dentro me con passi così silenziosi da neanche rendermene conto.
Quell’amore, l’amore ingenuo fatto di sguardi timidi, dove gli occhi con le palpebre semichiuse non potevano far altro che cercare il suo viso e una volta trovato, scappare via per evitare di essere visti.
Quell’amore che riempiva il petto e le guance di imbarazzo e così tanta gioia da volere abbracciare l’intero creato e cullarlo, con le dolci labbra dischiuse in un tenero sorriso.
Quell’amore … quell’amore strappato via troppo bruscamente da lacerare l’anima e lasciare un corpo inerme che non poteva far altro che ripercorrere i passi di quando era ancora in vita.
Ed ora, dopo tutti quegli anni, dopo che all’ingenuità era subentrata la maturità e l’austerità, dopo tanto tempo dalla morte di lui e dopo aver ceduto il suo posto ad un altro, ero lì.
Forse la vecchiaia faceva riaffiorare pensieri antichi e impronunciabili, che solo l’imminente morte poteva dare il coraggio di rivelare, ma questo non lo sapevo con certezza.
L’unica cosa che conoscevo era che in quel momento, seguita dalle foglie calpestate, dalla pioggia ottobrina, dal cielo basso e greve, mi stavo recando nel posto in cui lui giaceva.
Lasciai che le mie ginocchia ossute, gravate da tanti anni e dalla malattia, cadessero sul terreno bagnato e fertile, mentre le mie mani riponevano su quel mucchio di terra, che dentro di sé avevano ospitato le ossa del mio amato, dei rami di rosa selvatica.
E così, come vinta da qualche forza superiore, scivolai lì, su quella tomba a me cara, per chiudere gli occhi e morire, o forse, tornare a vivere realmente.
  
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