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Autore: _StBerry_    06/10/2015    3 recensioni
“Non sarò la ragazza figa di cui potrai parlare ai tuoi amici.
Non sarò la ragazza con un culo da farti perdere la testa.
Non sarò la ragazza col sorriso bellissimo per il quale tu possa vantarti con gli altri.
Non sarò la ragazza più dolce del mondo, e nemmeno quella con cui litigherai perché sei geloso, perché non mi caga nessuno.
Non sono la ragazza che vorresti, ecco. Ma fidati che l'amore che ti posso dare io non te lo potrà mai dare nessuno.
Io non voglio un mazzo di fiori. Non voglio un profumo costoso. Non voglio uno striscione sotto casa con scritto quanto mi ami. Non voglio nemmeno la casa piena di candele o una cena romantica.
Io voglio i tuoi occhi che guardano dritto dentro i miei. Voglio un abbraccio che sia talmente vero da permettere alle nostre anime di toccarsi. Voglio un bacio che mi faccia venire la pelle d'oca. Voglio il tuo calore che si mischia al mio.
Io non voglio me e te, io voglio un noi.”
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leon, Ludmilla, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando perdi qualcosa che non
puoi rimpiazzare.
Quando ami qualcuno ma finisce
male.
Potrebbe andar peggio?
                                     
-Coldplay

Due cuori non si incontrano per caso. Quando l'amore ci raggiunge questo “folle” sentimento entra nella nostra vita, lo fa senza chiedere il permesso. C'è sempre una fessura, un piccolo spazio aperto in noi, ed è proprio lì che due anime si riconoscono. In quel momento senti che tutto il tuo mondo prende la giusta forma dentro al cuore. Perché l'amore s'impossessa di tutto, l'Amore è vita nella vita stessa e inevitabilmente ci pervade in ogni direzione. Sapete qual'è il problema? Il saper distinguere “l'essere felici” dal “convincerci di esserlo”. Perché spesso è più facile spiarla la felicità che avere le palle, e cercare di viverla. Io ad esempio, le palle le avevo perse per strada.
Erano due mesi che ci eravamo lasciati eppure io ero ancora fermo a quel maledetto giorno. Ero a pezzi, sembravo un vegetale: non parlavo, non ascoltavo e non uscivo dal mio guscio. 
“Sii la tua ancora”, mi dicevano. Ma sanno cosa significa? Sanno che le ancore, una volta gettate in mare, toccano il fondo? Sanno cosa vorrebbe dire per me? Che se mi aggrappasi troppo a me stesso per essere la “mia ancora” potrei trascinarmici da solo in fondo, rischiando di non aver più le forze per risalire.
Era una stronza. Una stronza dalla chioma bionda, la più bella che abbia mai visto. Lei era speciale: era arrogante ma sincera, non aveva peli sulla lingua, aveva un carattere forte e deciso. Lei era Ludmilla Ferro, ed io ero ancora perdutamente innamorato di lei.
E quanto coraggio ci vuole a lasciar andare qualcosa che vorresti a tutti i costi? Tanto, peccato che io ero un vigliacco. Lei era cambiata, o perlomeno era cresciuta. Ci conoscemmo in quarta elementare e da quel momento non ci separammo più, fino a novembre quel mese fu l'inizio della fine.
Divenne, fredda, insensibile, apatica. Potevi dirle qualsiasi cosa, ormai non gliene importava più. Certe persone sono così: potresti urlargli che le ami, e loro risponderebbero di non urlare. Aveva la strana abitudine di non raccontare nulla, aveva dentro una tempesta e nessuno lo notava. “E' difficile dimenticare qualcuno che ti ha dato tanto da ricordare”, diceva John Green. Ed infatti non si dimenticano le persone che ti hanno scosso il cuore.
Ti manca, non la cerchi e la perdi. Vince l'orgoglio. Perdono tutti.
Chi ama apprezza ogni vostro difetto e non ve li rinfaccerà dopo un anno dicendovi “Una volta eri diverso!” aggiungendovi pure un bel “stronzo” chi vi ama non da conto a ciò che ha dato e ciò che ha avuto. Lei me lo rinfacciava ogni giorno, ed io rimanevo lì ad ascoltare i suoi insulti senza fiatare. Avevo paura che se le avessi risposto l'avrei persa per sempre ma poi la persi comunque. Mi stavo rovinando, e lei era la causa della mia rovina.
Stringevo lo zaino in una mano, mentre con aria afflitta la fissavo mentre ficcava la lingua in gola ad un altro.
Dovevo giocare col fuoco perché se non mi sarei bruciato avrei continuato a farlo.
Decisi che da quel momento avrei smesso. Tutto quanto. Avrei smesso di parlare con qualcuno, di affezionarmi al punto di credere di non poterci vivere, di innamorarmi, di tenere tanto a qualcuno da far di tutto per quella persona. Avrei smesso di farmi troppi problemi, cercare una via di mezzo per non far star male nessuno, avrei smesso tutto quanto, persino di abituarmi a certi abbracci o a certi sguardi. Decisi di rinchiudermi in me stesso. E chi se ne frega se poteva essere sbagliato.
Avrei potuto spendere le serate a distruggermi d'alcool e fumo e non mi importava, perché era sempre meglio che farsi distruggere da qualcun' altro. Decisi che niente più poteva toccarmi, sfiorarmi. Nessun complimento, nessun giudizio, nessun bacio. Volevo spegnere le emozioni e, semplicemente, vivere.
Vivere anche senza vivere davvero. Ma andava bene così.
Ma star male per qualcuno, no.
Non mi andava più.

   
 
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