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Autore: LeoValdez00    07/10/2015    1 recensioni
"Storia partecipante al contest 'Quando il canon non c'è i crack pairing ballano' indetto da LikeALullabyInWonderland sul forum di efp"
What if precedente "La Maledizione del Titano", età dei protagoisti leggermente modificata.
Il Campo Giove si trova sotto attacco e Reyna è costretta a chiedere aiuto alle Amazzoni.
La regina Hylla, però, si trova impossibilitata a mandare parte del suo esercito e perciò si rivolge alle Cacciatrici, approfittando della recente alleanza e dell'amicizia tra lei e la luogotenente Nightshade.
Ma una guerra ha sempre dei morti e dei feriti, e forse questo permetterà a Reyna e Zoe di avvicinarsi.
Il Pretore di Nuova Roma e il Capo delle Cacciatrici.
Praticamente impossibile.
(circa 9100 parole)
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Jason Grace, Phoebe, Reyna, Zoe Nightshade
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nickname EFP: LeoValdez00
Nickname Forum: LeoValdez00
Titolo: Rosso Sangue
Personaggi: Reyna Avila Ramirez Arellano, Zoe Nightshade, Jason Grace, Phoebe
Crack pairing: Reyna/Zoe
Pacchetto: Rosso Sangue/ citazione "Sai qual'è il bello dei cuori infranti? Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi.”
Genere: Introspettivo, Angst, Malinconico
Rating: Arancione
Note e avvertimenti: What if?
NdA (facoltative): Finalmente terminata! Credo (sono certa) che sia la storia per cui mi sia impegnata di più in termini di tempo e di energie perciò spero vivamente che sia venuta bene.
Allora, ho cambiato un po’ il corso degli eventi… la storia è ambientata in un periodo ipotetico prima della Guerra contro Gea e prima de “La Maledizione del Titano”, ma i personaggi sono più grandi (16/17 * ovviamente parlo dei semidei e non delle Cacciatrici perché beh… sono immortali *)
Zoe è andata sul Monte Tam solo con le Cacciatrici, e questo accade in contemporanea alla Guerra contro Gea (si lo so, è un po’ contorto)
 

 

Rosso Sangue

L'esito della battaglia non sembrava certo a loro favore, i romani cadevano sotto l'esercito di mostri come bambole inanimate.
L'indistruttibile falange era ormai a pezzi, sventrata dagli attacchi potenti delle centinaia di creature che minacciavano il loro campo.
Ma i romani non si arrendevano.
Combattevano fino alla fine, fino alla morte o alla gloria.
Reyna era diventata Pretore da poco tempo, non tutti i soldati erano convinti che una donna, per quanto forte e autoritaria, potesse coprire il ruolo più importante dell'esercito.
Lei lo sapeva, fin da bambina aveva dovuto lottare per affermare il proprio valore, per far capire al mondo chi era Reyna Avila Ramirez Arellano.
Ed era una guerriera.
Non era un soldato, che prendeva ordini ed eseguiva senza fiatare, il suo carattere glielo impediva.
Era lei a dare ordini, a decidere, era su di lei che ricadeva ogni responsabilità.
Jason era Pretore insieme a lei, ma era troppo ligio nell'osservare le regole, troppo romano per essere davvero un buon comandante, almeno in quella situazione.
Reyna lo sapeva, non era presuntuosa, non era umile, era solo realista.
Per vincere una guerra bisogna infrangere qualche regola.
La ragazza non osservava la battaglia dall'alto della collina, non era in mezzo ai suoi stessi soldati, lei era in prima fila a combattere con tutta la forza che aveva in corpo per salvare il proprio campo, la propria casa.
Era ferita, sanguinante, a stento si reggeva in piedi, ma era ancora lì davanti a tutti, a dare ordini alle coorti per respingere il più grande attacco che il Campo Giove avesse visto da moltissimi anni.
Una dracena, una stupida dracena la colse alla sprovvista mentre lei salvava la vita al compagno alla propria destra da un mostruoso ciclope.
La lama avvelenata penetrò nella sua carne, nel ristretto lembo di pelle scoperta che la grande e pesante armatura non copriva, fra il torace e la gamba.
Reyna non emise neppure il più piccolo gemito di dolore, benché sentisse il proprio corpo bruciare dall'interno, come se avesse fuoco liquido nelle vene.
La dracena si preparò a colpire di nuovo, stavolta puntando alla gola. Reyna mozzò di netto la testa del mostro, che rotolò nell'erba per pochi secondi, prima di sparire insieme al corpo in piccoli frammenti dorati. La vista improvvisamente si offuscava, i suoni si attutivano, le gambe non la reggevano.
Il Pretore crollò a terra senza un lamento, il mondo che si faceva incolore e silenzioso, mentre il possente esercito romano veniva fatto a pezzi da un'orda di mostri assetati di sangue semidivino.

***

La luce che le feriva gli occhi sembrava insopportabile, tanto che un lieve mugolio lasciò le sue labbra, il braccio corso davanti al viso per proteggersi da quello sprazzo di sole.
I muscoli si contrassero dolorosamente e solo il più ferreo autocontrollo impedì a Reyna di gridare.
Lasciò cadere lentamente il braccio sul proprio fianco, le palpebre serrate.
"Come ti senti?" le chiese una voce familiare, intrisa di preoccupazione.
"Benissimo" rispose automaticamente, la voce roca che le graffiava la gola secca.
Lei non lo vedeva ma sapeva che il ragazzo al proprio fianco sorrideva appena.
"Era una lama avvelenata... potevi morire" riprese l'altra voce, mentre le accostava alle labbra quello che al tatto le sembrò un bicchiere.
La ragazza bevve piano, il dolce sapore del nettare che sfumava lentamente in uno molto più familiare, che la rimandava al passato, alle strade affollate di Porto Rico, al sorriso di sua sorella.
"Possiamo sempre morire Jason, siamo destinati a morire un giorno o l'altro" mormorò lei dopo qualche secondo, aprendo con cautela gli occhi e mettendo a fuoco la figura del ragazzo seduto affianco a lei.
Lui sorrise, un sorriso tirato, stanco, amaro, che non raggiunse gli occhi chiari.
"L'hai tolto? Il veleno" chiese allora lei, la voce che non tradiva la paura presente come un macigno sul suo petto.
"L'ho tolto tutto, sei al sicuro ora"
Reyna sorrise appena e fece per alzarsi, ma un tremendo capogiro la fece desistere.
"Non ci provare neanche, devi rimanere a riposo per un paio di giorni" replicò il ragazzo tenendola giù sullo scomodo materasso, con una presa gentile, ma con abbastanza fermezza da non lasciarla muovere.
"Le truppe? Quanti morti Jason?" mormorò lei, la voce leggermente incrinata.
"Ventidue, abbiamo già bruciato i corpi, eri ancora svenuta mi dispiace"
Reyna scosse piano la testa, come a voler far capire al ragazzo che non le importava, che tanto erano morti lo stesso, che lei fosse stata presente alla pira funebre o meno non cambiava nulla.
"Stanotte attaccheranno ancora" mormorò la ragazza "Non so quanto potremo resistere"
Jason la osservò, notando i segni scuri sotto gli occhi del comandante, il viso sempre contratto in quel cipiglio pensoso, lo sguardo scuro e profondo che rifletteva ogni suo stato d'animo.
"Notizie dalle Amazzoni?" chiese infine, esitante, anche se già conosceva la risposta.
"Niente... assolutamente niente..." sussurrò Reyna con aria afflitta, come poche volte l'aveva vista il ragazzo.
"Riposa, ne riparleremo domani" disse lui con tono calmo.
"Jason... Jason devo combattere stasera..." riprese lei.
"No, devi solo riposare, per una volta posso pensarci io"
Il Pretore voleva replicare, ma il nettare e la piacevole sensazione di tepore che le donava, indussero alla ragazza un’irresistibile sonnolenza.
Chiuse piano gli occhi, le forze che l'abbandonavano di nuovo, la ferita al fianco che si rimarginava lentamente.

***

Quando Reyna aprì gli occhi, la tenda era ancora buia, un pallido raggio di luna filtrava dal tessuto scuro, illuminando a malapena la figura in piedi davanti a lei.
"Non è Jason" pensò immediatamente la ragazza.
Era troppo bassa, troppo minuta ed era certamente una donna.
"Nessuno entra nella mia tenda, se non Jason"
Senza nemmeno pensarci, il Pretore afferrò il proprio gladius dal fianco del letto, sedendosi di scatto e ignorando le fitte che partirono dalla nuca arrivando fino alla base della schiena.
La figura avanzò lentamente verso di lei, le mani alzate.
"Non sono un nemico, Romana" disse seria la voce di una ragazza accendendo la lanterna poco distante da lei, mentre il comandante teneva la spada ancora alzata contro l'intruso.
La luce inondò la piccola tenda illuminando l'altra persona all'interno della stanza spartana.
Era una bellissima ragazza dai capelli scuri, molto più dei suoi, raccolti in una treccia con sottili fili argentati e occhi neri, ancora più profondi di quelli che era abituata a vedere ogni giorno nel proprio specchio.
Indossava un completo, anch'esso argentato, quasi come il colore della luna, e teneva sopra ai capelli una piccola tiara.
Il Pretore abbassò lentamente l'arma, continuando a guardare l'altra ragazza con fare guardingo e dubbioso.
"Chi sei? Cosa ci fai nella mia tenda?" chiese, più brusca di quanto credesse, ma in quel momento non le importava.
"Mi chiamo Zoe, Zoe Nightshade, e siamo venute per salvarvi" rispose con freddezza, piantando il suo sguardo in quello incredulo del comandante.
I rinforzi.
Hylla aveva ricevuto la loro richiesta di aiuto.

***

Cacciatrici.
Reyna non sapeva nemmeno chi fossero, sembravano tutte delle ragazzine inesperte, con qualche arco e freccia argentati.
Nulla di concreto nell'esercito romano.
"Non siete Amazzoni" disse il Pretore non appena riuscì ad alzarsi dal letto e uscire dalla tenda.
Le Cacciatrici la guardarono con sufficienza, come se con quel commento le avesse offese.
"No non lo siamo. La regina Hylla ci ha avvertito che il vostro campo aveva bisogno di aiuto e, poiché lei non aveva forze libere sufficienti, ha contattato noi. Non siamo felici di collaborare con voi, Romani, ma la nostra signora ha insistito, perciò vi daremo tutto l'aiuto necessario"
Ancora lei, la ragazza della tenda. Parlava a nome di tutte, Reyna immaginò che fosse il capo, oltre a quella che chiamavano 'la loro signora'.
"Sapete combattere?" chiese il comandante, guardando scettica le piccole e delicate armi che impugnavano alcune ragazze.
Un lieve sorriso di scherno increspò le labbra dell'altra ragazza.
"Questo lo lasceremo giudicare a te" rispose fredda, ma i suoi occhi esprimevano un divertimento trattenuto, come se si fosse promessa di non esprimere alcuna emozione.
"Vi manderò in campo ora, se siete così abili come lascia intendere lei" disse alle Cacciatrici alludendo alle parole di Zoe, ancora vicina a lei con una mano ferma sull'arco "Ma non voglio dovervi salvare dopo, non credo sappiate come sia una vera guerra"
Stavolta la ragazza dagli occhi scuri lasciò che il proprio sorriso si allargasse fino a lasciare intravedere una fossetta a lato delle labbra.
"Non credo proprio che saremo noi quelle da salvare, Romana"

***

Reyna capì molto presto che la ragazza dagli occhi scuri aveva ragione.
Le Cacciatrici non erano soldati romani, ma con le loro frecce abbattevano gran parte dell'esercito nemico e i lupi argentati che avevano richiamato dal bosco finivano i mostri feriti.
I Romani avanzavano rompendo le linee nemiche ormai sfinite dagli attacchi delle ragazze argentate e l'esito della guerra sembrava ormai certo.
Jason osservava il Pretore dallo schieramento della quinta coorte, la preoccupazione ben visibile sul suo volto.
La ragazza attaccava con ancor più foga del giorno prima, i colpi meno precisi ma più potenti, la ferita al fianco che tirava ad ogni passo e a ogni movimento.
 Anche Zoe la osservava dall'alto della collina, scoccando frecce argentate che colpivano e abbattevano ogni volta un mostro.
Ammirava le tecniche del comandante romano, anni e anni di addestramento che erano visibili nei muscoli forti della ragazza, nella quasi inesistente esitazione di fronte al pericolo e nello sguardo concentrato che aveva sul campo di battaglia.
Ma non ammirava solo quello, il suo sguardo finiva inevitabilmente sulle curve pronunciate del Pretore, sui capelli lucenti raccolti in quella treccia tanto simile quanto diversa dalla sua, sul suo sguardo di ossidiana che aveva qualcosa di feroce.
La Cacciatrice scosse piano la testa, come a voler scacciare un brutto pensiero dalla mente.
Per lei il comandante romano non significava nulla, era solo una bella ragazza e una grande guerriera, la sorella di un’amica.
"Zoe, possiamo ritiraci?" chiese Phoebe lanciando un'occhiata a ciò che rimaneva dei due eserciti.
I Romani avrebbero vinto nel giro di pochissimo tempo, era palese.
"Certo, ci accamperemo ai margini del bosco" rispose la ragazza con fare sbrigativo, rimettendo l'arco sulla schiena e richiamando i grandi lupi argentati che stavano ancora sul campo di battaglia.
Un urlo improvvisamente squarciò l'aria, un urlo palesemente mortale, l'urlo di una ragazza innocente. L'urlo di Reyna mentre si accasciava al suolo, trafitta dalla coda di scorpione di una manticora.

***

Stavano per vincere, nessuno dei semidei del campo Giove sarebbe morto invano perché i Romani stavano vincendo.
Reyna continuò ad attaccare i mostri rimasti, con forza, con ostinazione, con coraggio.
Ma era debole, ancora troppo debole per affrontare la battaglia, Jason aveva ragione.
Il Pretore però non poteva abbandonare i propri uomini, doveva guidarli alla gloria o alla morte, e la gloria sembrava così vicina da poterla sfiorare con la punta delle dita, ancora poco e sarebbe stata loro.
Il fianco non del tutto rimarginato bruciava, le forze scemavano lentamente.
Parate, affondi, stoccate.
Un mostro era morto.
Parate, affondi, stoccate.
Un ciclope, due dracene, qualche centauro e mostri che non aveva mai visto in vita sua.
Parate, affondi, stoccate.
E un urlo trattenuto al suo fianco, una ragazzina che arretrava, lo sguardo di puro terrore, mentre una manticora le si parava davanti, la coda pronta a colpire.
Reyna era già davanti a lei, per proteggere il proprio commilitone, con la vita se necessario.
Parate, affondi e stoccate non sarebbero serviti, una volta che l'ago avesse toccato la pelle scura del comandante.
Non sarebbero serviti, una volta condannata la ragazza a dolorosa morte certa.
Con una mossa fulminea, la manticora fece scattare la coda verso Reyna, puntando alla tenera pelle del collo.
Lei colpì il mostro con forza, con la forza della disperazione, e lo uccise riducendolo a fini pagliuzze dorate. Nemmeno si accorse di stare urlando, nemmeno si accorse del dolore che esplose nel suo corpo, nemmeno si accorse di essere caduta a terra con un tonfo, un profondo taglio fra il muscolo della spalla e il collo, il rosso del sangue che si mescolava al nero del veleno.
Parate, affondi e stoccate non servivano più.

***

Jason accorse immediatamente al corpo inerme del Pretore, trascinandolo lontano.
Lontano dalla battaglia, lontano dai mostri, lontano dal pericolo.
Prese il suo corpo, improvvisamente così fragile, fra le braccia e corse via.
Il sangue della ragazza scendeva inesorabile, macchiando la sua armatura e il terreno sotto di loro.
Il veleno veniva lentamente assorbito, spandendosi nelle vene del comandante.
"No no no... non ora... Reyna... Reyna ti prego resta con me..." mormorò il ragazzo correndo a perdifiato fino alle tende adibite ad infermeria.
Ad aspettarlo lì davanti, il capo delle cacciatrici.

***

Zoe aiutò Jason a portare la ragazza all'interno della tenda, adagiandola con delicatezza sulla branda.
"Sai come curarla? Hai mai guarito qualcuno ferito da una manticora?" chiese il ragazzo guardando la Cacciatrice con uno sguardo pieno di paura.
"No, ma sono la sua migliore possibilità di sopravvivenza, perciò lasciami fare ed esci da qui" disse lei atona mentre esaminava con lo sguardo la ferita del Pretore.
"No! Io rimango con lei!" quasi urlò Jason, guardando la figura stesa sulla branda, il panico che si faceva strada nel suo cuore.
"Ti ho detto, esci da qui! Ora!" ringhiò Zoe, con un tono talmente perentorio e definitivo che il ragazzo gettò un'ultima occhiata a Reyna per poi alzarsi e uscire irato dalla tenda.
La Cacciatrice esalò un lievissimo sospiro di sollievo e tornò a concentrarsi sulla ragazza davanti a lei.
Aveva un cipiglio sofferente sul volto, gli occhi ostinatamente chiusi, il petto che si alzava e si abbassava sempre più lentamente.
"Resisti stupida Romana"

***

Il veleno della manticora provocava potenti allucinazioni, che fecero desiderare a Reyna di essere già morta.
Sentiva delle mani su di sé, un tocco leggero, quasi esitante, che ben presto però si trasformò in violenza. Sentiva dolorosamente ogni schiaffo, spinta o pugno e riuscì ad attribuire un volto al suo carnefice.
Suo padre si stagliava su di lei, una bambina di soli otto anni, che arretrava verso il muro guardandolo con gli occhi pieni di paura e di lacrime.
Hylla non c'era, era fuori casa, non poteva proteggerla.
Reyna era sola, sola con suo padre.
La bambina si alzò di scatto e corse via piangendo, più veloce che poteva.
"Basta... Basta..." singhiozzò scappando.

***

Zoe aveva fatto tutto il possibile, aveva rimosso il veleno, forse non tutto, ma il vero problema rimaneva il profondo taglio.
Le aveva dato dell'ambrosia e del nettare, aveva invocato Artemide perché le dicesse cosa fare, ma Reyna continuava a tenere gli occhi chiusi, il respiro affannoso.
Con la punta delle dita sfiorò la pelle slabbrata e la ricucì con attenzione.
Sperò di aver fatto abbastanza.
La regina Hylla non le avrebbe mai perdonato di aver lasciato morire sua sorella, Zoe aveva il dovere di salvarla.
La Cacciatrice si fermò a guardare il Pretore, osservandola indisturbata.
Le assomigliava, le assomigliava moltissimo, sembrava che Reyna fosse la versione migliorata di sé stessa. Era una combattente più abile, un comandante migliore e una donna certamente più bella.
"Basta... Basta..." mugolò la ragazza di fronte a sé, il solito cipiglio mutato in una maschera di terrore.
"Reyna" sussurrò allora lei, appoggiandole delicatamente una mano sulla guancia, anche se era quasi certa che non potesse sentirla.
"Reyna, è solo un sogno"
La ragazza continuò a ripetere la stessa parola, il tono sempre più terrorizzato, mentre una lacrima le solcava il viso terreo.
Zoe le accarezzò gentilmente i capelli nel vano tentativo di calmarla, rimpiangendo di non poter vedere quegli occhi di ossidiana che l'avevano tanto stupita.
Perché per lei era come se già conoscesse il comandante Romano, Hylla le aveva parlato così tanto di lei, così a lungo.
La regina delle amazzoni era diventata un'amica per lei, data l'alleanza che avevano sancito non molto tempo prima, ed era diventata la sua confidente.
Sapeva molto di Reyna, del suo passato, delle sue paure.
Le sembrava di conoscerla da sempre.
"Basta...ti prego..." sussurrò la ragazza, le lacrime che ormai scendevano copiose.
Prima che potesse pensarci, Zoe appoggiò le labbra sulle sue in un casto bacio che non fu ricambiato, ma che sembrò calmare il Pretore.
"Ti prego" mormorò sulle sue labbra "Non farmi male..."

***

L'aria profumava di erbe, di alcol e di qualcosa che la ragazza non riuscì a identificare.
Si svegliò lentamente, tenendo gli occhi chiusi, provando a ricordare.
La battaglia, la ragazza spaventata, la manticora.
Reyna aprì gli occhi di scatto e una semplice frase le uscì dalle labbra.
"Non sono morta" sussurrò.
"No non lo sei, per ora" disse una voce femminile all'interno della tenda.
Il comandante la riconobbe senza voltarsi.
"Zoe... sei stata tu a guarirmi?" chiese guardando il soffitto della tenda.
"Guarirti? Ci ho provato, ma ti ho salvata non ti ho guarita... hai avuto delle allucinazioni vero?" replicò la Cacciatrice pestando delle erbe.
Reyna annuì lentamente, il suo corpo percorso da un brivido al pensiero del padre.
"Non ho potuto togliere tutto il veleno, ne avrai altre, forse per molto tempo, ma è poco, non sei in pericolo di vita" disse Zoe e si avvicinò a lei mettendo l'unguento verdastro che aveva preparato sulla spalla del Pretore, che si morse forte il labbro per non farsi sfuggire un lamento.
La Cacciatrice la guardò negli occhi con aria seria.
"Non c'è nessuno qui e io ti ho già sentita gridare. Non trattenerti se ti fa male, è inutile, non devi dimostrare niente a nessuno" Reyna chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo e Zoe le passò lentamente l'unguento su tutta la ferita.
Il Pretore gemette di dolore stringendo piano i pugni, il taglio che le bruciava terribilmente.

***

"Zoe, quando ce ne andremo?" chiese Phoebe con aria seccata, rigirandosi una freccia argentata fra le dita. "Quando il Pretore guarirà" rispose lei atona stringendosi nel giubbotto chiaro, rimanendo seduta su un cuscino bianco all'interno della loro tenda.
L'altra Cacciatrice sospirò e si fermò a guardarla.
"Hai già fatto fin troppo per i Romani e Reyna guarirà solo col tempo, non le serve una balia"
Zoe si morse nervosamente il labbro togliendosi la tiara e appoggiandola in bilico sopra l'arco.
"È la sorella minore di Hylla, mi ha fatto giurare sullo Stige di proteggerla" disse seria stendendosi nel sacco a pelo argentato, l'ululato dei lupi di guardia fuori dalle tende che in qualche modo la confortava.
Phoebe continuava a guardarla scettica, per poi stendersi affianco a lei, dandole volutamente le spalle.
"Non è Ercole, Zoe..." mormorò l'altra ragazza prima di chiudere gli occhi e spegnere la lanterna.
Anche l'esperide chiuse gli occhi, ma non si addormentò.
Nella mente, solo la sorella del capo delle amazzoni.

***

Quando Reyna aprì gli occhi, si stupì di non trovare nessuno al proprio fianco.
Jason non c'era, non lo vedeva da prima della battaglia, ma nemmeno Zoe era lì.
Si mise lentamente a sedere, la spalla che doleva a ogni più piccolo movimento, e si guardò attorno prendendo un respiro.
Guardò la ferita, che lentamente si rimarginava, e controllò anche quella al fianco, ormai ridotta quasi a una cicatrice grazie alle attenzioni della Cacciatrice.
Reyna si alzò a fatica, la testa le girava, le gambe non erano stabili, ma s’impose di andare avanti.
Prese la spada da vicino la branda e uscì dalla tenda con passo malfermo, guardandosi in giro alla ricerca di una faccia amica.
Non c'era nessuno nell'accampamento.
Nessuno fra le vie di Nuova Roma o al di fuori del Senato.
Il campo era deserto.
La città bruciava.

***

Zoe uscì dalla propria tenda a notte fonda e raggiunse quella dell'infermeria in poco tempo.
Si sedette vicino a Reyna e la osservò dormire.
La ragazza si agitava debolmente nel sonno, dei leggeri lamenti uscivano dalle sue labbra carnose semidischiuse e la Cacciatrice ebbe un colpo al cuore.
Se il comandante stava male, era solo colpa sua.
Non era riuscita a togliere tutto il veleno e l'aveva condannata a centinaia di incubi e allucinazioni.
Vide improvvisamente Reyna calmarsi e voltare il viso verso di lei come se stesse cercando qualcosa.
"Jason..." mormorò il Pretore, la voce quasi spezzata.
La Cacciatrice sentì una stretta al petto che s’impose di ignorare e le accarezzò lentamente i capelli con fare dolce.
"Z-zoe..." sussurrò il comandante, con voce triste, quasi spaventata.
Per un attimo la ragazza credette di averla svegliata, ma Reyna continuò a dormire, un cipiglio sofferente sul viso.
La Cacciatrice si avvicinò lasciandole un lungo bacio sulla fronte.
"Andrà tutto bene" mormorò e rimase seduta vicino a lei tutta la notte.
Era suo dovere proteggere la sorellina di Hylla, glielo aveva promesso, ma Zoe sapeva che quella ragazza aveva acceso qualcosa in lei dopo moltissimi anni.
"Lei non è Ercole" le aveva detto Phoebe.
Aveva ragione... lei era una guerriera, testarda, ostinata, coraggiosa.
Ma non era solo questo, al comandante romano mancava una serie di cose fondamentali per poter essere come Ercole.
Egoismo. Avidità. Immoralità.
No, Reyna Avila Ramirez Arellano non sarebbe mai stata come Ercole.

***

"Zoe...?" chiese il Pretore con aria quasi esitante, guardando la figura dell'altra ragazza che le dava le spalle armeggiando con qualcosa di appuntito e rigirandoselo fra le dita.
La Cacciatrice si voltò subito verso di lei e si sedette al suo fianco, rimettendo l'arma nella cinta dei pantaloni.
"Cosa c'è?" chiese con tono leggermente preoccupato incatenando il proprio sguardo con quello di onice del comandante.
Il Pretore chiuse gli occhi di scatto.
"Non ce la faccio più..." sussurrò scuotendo appena la testa.
Zoe le accarezzò lentamente i capelli con un gesto delicato e protettivo.
"Di cosa parli?"
Il comandante la lasciò fare, le palpebre serrate.
"I-i sogni... Zoe non ce la faccio più... tutte le notti... non riesco a sopportarlo..." mormorò con voce spezzata.
La Cacciatrice fece per parlare ma fu interrotta.
"Preferirei non avere più un braccio, una gamba... preferirei essere morta..."
La ragazza argentata sentì il cuore stretto in una morsa dolorosa alle parole dell'altra.
Era colpa sua, solo colpa sua.
"Guarirai... serve solo tempo... il veleno sparirà e con lui anche i sogni..." rispose in un sussurro.
"Quanto? Quanto tempo? Non ne è già passato abbastanza?" chiese Reyna, la voce ridotta ad un mugolio.
"Non lo so... il tempo necessario..." mormorò senza smettere di accarezzarle i capelli.
"Reyna... non vuoi parlarne? Dei... dei sogni intendo..." continuò la Cacciatrice guardando il lato più fragile del Pretore venire alla luce e sentendosene direttamente responsabile.
Il Pretore scosse velocemente il capo, quasi spaventata da quell'idea.
"Potrebbe aiutarti... parlarne.... potrebbe aiutarti a capire cosa è realtà e cosa no" insistette Zoe sentendosi in colpa.
"No. Perdonami, sono stata una stupida. Sto bene. Serve tempo? Aspetterò" disse il comandante riprendendo a fatica quella sua freddezza e ostinatezza di fronte al dolore, tipica dei romani.
"Bene" mormorò la ragazza argentata allontanandosi di poco da lei "Se cambi idea, io sono qui"

***

"Basta! Basta!" urlò Reyna nel cuore della notte, rannicchiandosi su sé stessa come a volersi coprire e proteggere.
Iniziò a piangere sommessamente, lei che non versava una lacrima da anni, e strinse il cuscino con forza. Zoe si svegliò immediatamente e guardò il Pretore con aria spaventata.
"Ti prego! Papà! Non farmi male..." continuò a singhiozzare il comandante.
La Cacciatrice vide la vera età di Reyna impressa sul suo volto.
Il suo viso non più corrugato in quel cipiglio pensoso, la voce non più fredda e controllata, le emozioni non più soppresse e relegate.
Il Pretore era solo una ragazza, una ragazza con un brutto passato, un difficile presente e un ancor più arduo futuro.
Le lacrime le rigavano copiosamente le guance, il viso contratto in una smorfia di dolore e paura.
"Ti prego basta!" gridò ancora arpionando il sottile lenzuolo con le dita fino a far sbiancare le nocche.
"Reyna... Reyna è solo un incubo..." sussurrò Zoe coprendo la sua mano con la propria e intrecciando le loro dita.
Il comandante quasi non se ne accorse e continuò a piangere.
"Perché mi fai male?" mormorò il Pretore stringendo la mano della Cacciatrice.
"Reyna nessuno ti farà del male... è solo un incubo...Reyna non è reale" sussurrò la ragazza argentata.
Continuando a tenere la mano del comandante romano, si alzò dalla scomoda sedia per stendersi sulla branda accanto a lei.
"Va tutto bene... non sei sola" Zoe abbracciò l'altra ragazza, le loro dita ancora intrecciate, e chiuse gli occhi con un sospiro.
Il Pretore smise di urlare e si accucciò al suo fianco stringendosi alla Cacciatrice.
L'Esperide accennò un sorriso e si addormentò lentamente, la ragazza stretta fra le sue braccia che riposava in silenzio.

***

Quando Reyna aprì gli occhi, vide il viso della Cacciatrice a pochi centimetri dal proprio e sussultò appena dalla sorpresa.
 Zoe non sembrava essersene accorta e continuava a dormire placidamente, una mano sulla spalla dell'altra per tenerla vicina a sé.
Il Pretore si prese tempo per osservare il viso dell'altra, ora rilassato e dall'aria quasi delicata.
Erano giorni che non portava più la tiara, era ancora vestita con la tenuta da cacciatrice, i fili d'argento sempre intrecciati con cura nei suoi capelli.
Le venne voglia di rimanere stretta a lei, in quell’abbraccio confortante, per sempre.
Perché Zoe in quelle ultime settimane si era comportata da vera amica con lei, l'aveva aiutata senza chiedere nulla in cambio, l'aveva calmata quando si svegliava urlando, in quel momento era nella sua stessa branda a stringerla dolcemente.
Il suo interesse per lei sembrava quasi come quello di Hylla, estremamente protettivo.
Ma, ancora una volta, Reyna credette che Zoe non avesse nulla a che fare con sua sorella.
O quantomeno che i suoi sentimenti per le due ragazze fossero completamente differenti.
Sentimenti.
Quelli che il Pretore aveva cercato di soffocare negli ultimi anni per fare meglio il proprio lavoro, quelli che la Cacciatrice sembrava attirare come una calamita.
La ragazza affianco a lei si mosse piano con un lieve sbuffo e la abbracciò più stretta nel sonno.
 Reyna s’irrigidì appena, non era abituata a un contatto fisico così ravvicinato.
Quello che poteva assomigliarci di più erano i brevi abbracci con Jason, ma di certo non le facevano provare quello che provava in quel momento.
Reyna. Pretore. Leader
Il comandante si allontanò piano da Zoe, con un'immane fatica, e scese lentamente dalla branda sebbene sia il suo compagno Pretore che la Cacciatrice non le permettevano di alzarsi quasi mai.
Una lieve fitta al fianco, un dolore sordo e persistente alla spalla, un leggero capogiro.
Tutto sopportabile.
Fece qualche passo verso la sedia che l'altra ragazza era solita occupare e le prese la giacca bianco argentea, indossandola sopra la maglia viola del campo.
Diede un'ultima occhiata a Zoe, che dormiva serena nella sua branda, e uscì dalla tenda con un lieve sorriso sulle labbra.

***

"Oh Zoe, meno male che sei qui! La divina Artemide è arrivata poco fa e voleva parlarti" disse Phoebe con aria sollevata, prima di riconoscere i tratti della ragazza che si avvicinava.
Reyna guardava la Cacciatrice in lieve imbarazzo.
"Dov'è la luogotenente Nightshade?" chiese allora freddamente al comandante romano.
"Sta dormendo" rispose lei lapidaria, stringendosi nel giubbotto argentato.
"Non puoi indossarlo. Non sei una di noi" commentò Phoebe con una lieve smorfia.
Reyna ignorò l'ennesima prova di non essere simpatica alla seconda in comando e proseguì senza esitazione.
"Cosa siete voi Cacciatrici? Semidee?" chiese il Pretore, avendo capito da giorni che non sarebbe riuscita ad obbligare la luogotenente a dirle nulla, poiché trovava sempre il modo di cambiare discorso.
Phoebe accennò un lieve sorriso di scherno.
"Zoe non ti ha detto nulla vero? Non siamo tutte semidee, ci sono anche semplici mortali o... altri tipi di ragazze. Facciamo un giuramento ad Artemide, per voi Diana, e promettiamo di rinunciare per sempre alla compagnia degli uomini, in cambio lei ci dona l'immortalità, a meno che non veniamo ferite in battaglia" rispose la seconda in comando con aria saccente.
"Cos'è Zoe?" continuò Reyna senza perdersi d'animo, ormai decisa a scoprire tutto sulla sua salvatrice.
Phoebe la guardò attentamente, come se stesse prendendo una decisione importante.
"Zoe Nightshade non è né una semidea né una mortale...è una delle Esperidi, figlia del titano Atlante"
Il Pretore rimase in silenzio, aveva creduto che quella che ormai considerava come e più di un'amica fosse una semidea.
Di certo non avrebbe mai immaginato una simile natura divina.
"E comunque, Romana, ti consiglio di non affezionarti troppo a lei. Artemide le vuole parlare e questo significa che dovremo ripartire presto, molto presto" continuò la seconda in comando delle Cacciatrici, la voce fredda e un sorriso soddisfatto appena trattenuto sulle labbra.

***

Quando Zoe si svegliò, notò immediatamente di essere sola sulla branda e si alzò di scatto osservando preoccupata l'interno della tenda.
Reyna era sparita e con lei la sua giacca da Cacciatrice.
In quel momento le si pararono davanti terribili scenari, dove il comandante veniva rapito sotto la sua sorveglianza o si alzava nel sonno in preda alle allucinazioni.
S’impose di rimanere calma e uscì di fretta dalla tenda portandosi dietro arco e frecce, per ogni evenienza.
Non sapendo dove poterla cercare, si recò dall'unica persona oltre a sé stessa che poteva dire di conoscere il Pretore.
Arrivò davanti alla tenda di Jason ed entrò senza avvertire, trovandosi immediatamente una spada alla gola.
"Pessima ospitalità Romano" sibilò lei visibilmente nervosa, abbassando la lama dorata.
"Un avvertimento sarebbe stato gradito" rispose lui rimettendo l'arma nel fodero.
"Cosa vuoi?" continuò Jason senza prestarle davvero attenzione.
"Reyna. È scomparsa" disse Zoe lapidaria, sperando di non avere impressa sul viso tutta la preoccupazione che sentiva.
"Cosa? Eri tu a doverla controllare! Avevi detto che saresti rimasta con lei tutto il giorno!" rispose il ragazzo, improvvisamente attento e vigile.
"Mi sono svegliata stamattina e lei non c'era" replicò la Cacciatrice, per nulla intimorita dal tono di Jason.
Lui non le rispose nemmeno, le diede le spalle uscendo dalla propria tenda con l'intenzione di scomodare l'intero campo se necessario per trovarla.

***

Reyna aveva salutato freddamente Phoebe e aveva deciso di farsi un giro all'interno del piccolo bosco ai margini del campo.
Era da prima di ricevere la carica di Pretore che non si concedeva una passeggiata da sola fra gli alberi, uno dei pochissimi luoghi di Nuova Roma che non fossero affollati.
Si arrampicò su una delle alte e frondose querce, le ferite ormai cicatrizzate che tiravano a ogni movimento, finché non riuscì a sedersi su di un solido ramo, nascosta tra le foglie.
La giacca argento di Zoe era calda e comoda, il vento soffiava piano e nell’aria aleggiava un profumo di terriccio ed erba.
Il Pretore ci mise poco ad addormentarsi, la nuca appoggiata alla corteccia spessa, la mente piena di dubbi e domande cui non riusciva dare risposta.

***

Le labbra di Zoe erano morbide e calde sulle sue mentre riceveva quel bacio che da sempre sperava.
Infilò la mano fra i capelli scuri dell’altra, morbidi come seta, sciogliendole la treccia, i fili argentati che cadevano a terra dimenticati, le mani della Cacciatrice che vagavano sul suo corpo invitandola ad avvicinarsi ancora e ancora.
Le sembrava di stare nell’Elisio, nelle isole dei Beati, in qualunque posto paragonabile solo al Paradiso, perché quella sensazione non poteva essere altro.
Quando, dopo quella che a Reyna sembrò un’eternità o nemmeno un secondo, Zoe si allontanò per riprendere fiato e posò lo sguardo su di lei, il Pretore credette ardentemente che quelle parole sarebbero arrivate.
Che la Cacciatrice le dicesse cosa provava per lei.
E lei avrebbe sorriso, rispondendo con lo stesso ‘ti amo’.
Zoe riavvicinò le labbra alle sue, sfiorandole appena, inducendo il Pretore a desiderare il successivo bacio più di qualunque altra cosa al mondo.
E la ragazza argentata parlò.
“Addio, Reyna”

***

“REYNA!”
La Cacciatrice continuò a urlare il suo nome, preoccupata, correndo veloce nel bosco.
Il Pretore le aveva detto pochi giorni prima che le mancava camminare lì da sola e Zoe sperò con tutta sé stessa di trovarla lì da qualche parte, possibilmente in buona salute.
All’improvviso sentì un leggero rumore, qualcosa che si spostava sopra di lei.
Alzò di scatto lo sguardo, per incontrare quello di Reyna, appollaiata su di un ramo e con un’espressione atterrita, quasi terrorizzata.
“Per tutti gli dei, cosa credevi di fare? Andartene senza avvisare nessuno! Non hai pensato che mi sarei preoccupata? Non credi che, se solo me lo avessi detto, sarei venuta con te?” sbottò la Cacciatrice, senza dar particolare peso allo sguardo dell’altra ragazza, che la fissava come a volerla studiare, come a volersi accertare che fosse davvero lì.
Respirò lentamente per calmarsi.
“Reyna scendi per favore…” la pregò avvicinandosi all’albero.
Il Pretore annuì lentamente e si strinse nella giacca argentata, scendendo facendo attenzione a non cadere e a non forzare i muscoli lesi.
Non appena i suoi piedi toccarono terra, Zoe si fiondò addosso a lei abbracciandola stretta, tentando in ogni modo di non farle male, immensamente sollevata che non le fosse accaduto nulla di grave.
“Prova solo un’altra volta a uscire senza avvertirmi e giuro che ti uccido” sussurrò la Cacciatrice al suo orecchio.
Reyna ricambiò l’abbraccio rimanendo in un ostinato silenzio, i pensieri che faticavano a chiarirsi.
Perché quell’incubo? Perché Zoe invece di suo padre?
Per quanto all’inizio il sogno fosse così piacevole, la ferita inflitta al suo cuore per il finto abbandono della ragazza argentata era ancora più profonda di quella per suo padre.
Un abbandono che sarebbe comunque accaduto, si ricordò con una stretta al cuore.
“Reyna che ti prende?” mormorò la Cacciatrice staccandosi piano e guardandola preoccupata.
Da quando la chiamava per nome e non più ‘Romana’ o ‘Pretore’?
Perché la trattava così bene? Perché le rimaneva accanto anche quando non ne aveva bisogno?
Perché la illudeva, se sapeva che avrebbe dovuto andarsene con Artemide?
Doveva aspettarselo.
Che cosa credeva? Che sarebbe rimasta sempre con lei? Che avrebbe abbandonato le Cacciatrici per lei?
Era stata solo una stupida.
“Nulla, sto bene” rispose a bassa voce, cercando di mantenere un tono freddo e distaccato.
“No, non è vero” replicò Zoe con serietà e le prese il viso con una mano per guardarla negli occhi.
“E’ vero, lasciami” disse allontanandosi in fretta da lei.
“Phoebe ha detto che Diana ti sta aspettando” continuò con un finto tono indifferente togliendosi il giubbotto “Oltre ad aver detto che non posso indossare questo”
“Phoebe dovrebbe farsi gli affari suoi certe volte” mormorò Zoe in risposta riprendendo il giubbotto, mentre il Pretore rimaneva in silenzio.
“Ti accompagno in tenda e poi vado a parlare con la Divina Artemide. Appena finisco torno da te” continuò allora la Cacciatrice prendendola delicatamente per un braccio incitandola a camminare.
‘Appena finisco torno da te’
Per quanto? Un giorno? Un’ora? Il tempo necessario per dirle addio?

***

“Ti rendi vagamente conto di quanto mi hai fatto preoccupare?” continuò Jason senza aspettare alcuna risposta alle domande che lui stesso le poneva.
Reyna rimaneva in silenzio, sdraiata sulla branda a guardare il soffitto della tenda, registrando distrattamente la collera dell’altro Pretore.
“Potevi farti male! Potevi semplicemente cadere e non essere abbastanza in forze per alzarti e tornare al campo! Potevi essere attaccata! Poteva succedere qualunque cosa!” quasi gridò il ragazzo camminando nervosamente per la piccola stanza.
“Potevo essere attaccata da uno scoiattolo al massimo, o devo ricordarti che i confini sono protetti?” sospirò lei senza guardarlo.
“Rimane il fatto che non dovevi”
“Non sei tu a dovermi dire cosa fare o meno” rispose Reyna con stizza, senza nemmeno pensare prima di aprir bocca.
Jason si fermò improvvisamente in mezzo alla tenda guardandola incredulo.
“Certo che no. A quello ci pensa la luogotenente Nightshade” replicò lui con odio.
“Se è lei che ti irrita, non c’è problema. Tra poco se ne andrà insieme alle altre Cacciatrici” disse la ragazza senza guardarlo, il tono freddo che non tradiva alcuna emozione.
“Davvero?” chiese subito Jason, un sorriso involontario che spiccava sulle sue labbra.
“Davvero”
Reyna si chiese come avrebbe mai potuto sorridere sapendo che Zoe se ne sarebbe andata per sempre.

***

“Mia Signora, mi ha fatto chiamare?” chiese la Cacciatrice, abbassando lo sguardo in segno di rispetto di fronte alla dea.
Artemide le sorrise cordiale, i capelli ramati che le circondavano il viso da ragazzina e gli occhi attenti.
“Grazie per essere arrivata presto Zoe” rispose sedendosi per terra, venendo subito imitata dall’altra.
“E’ già molto che siete alloggiate presso questo campo e non vedo più alcun motivo per rimanere, tanto più fra tutti questi maschi”
La Cacciatrice si morse il labbro per impedirsi di replicare, i battiti del cuore che aumentavano.
“Quando partiremo, mia Signora?” disse in un sussurro senza alzare lo sguardo su di lei.
“Stasera al tramonto, ho già fatto richiamare i lupi”
Zoe trattenne il respiro, il cuore che si contraeva in una stretta dolorosa.
Mancavano poco più di tre ore al tramonto.
“Come lei desidera” si ritrovò a rispondere, un peso sul petto che le impediva di respirare, che le impediva di pensare.
“Bene, sarà meglio che vada ora, noi ci rincontreremo domani al solito posto” le disse la Dea con un sorriso, alzandosi con grazia.
Zoe si alzò di scatto, avvicinandosi più del dovuto.
“Divina Artemide aspetti!”
Questa la guardò con malcelata curiosità e sorpresa per quella reazione.
“Dimmi pure, mia Cacciatrice”
“Se una ragazza romana volesse unirsi a noi… potrebbe farlo?” chiese la ragazza con tono basso ed esitante.
“Conosci le nostre regole meglio di qualunque altra Cacciatrice, se ha i requisiti adatti è ben accetta fra le mie seguaci” rispose Artemide con un lieve sorriso.
Zoe chinò il capo in segno di assenso.
“La ringrazio, mia Signora”

***

Reyna rimase sola all’interno della propria tenda, dopo aver convinto Jason grazie al buon umore che aveva suscitato in lui la notizia della partenza.
Il Pretore teneva gli occhi chiusi, si imponeva un respiro lento, un battito regolare.
Solo il lieve tremore delle dita poteva tradire la sua paura.
Perché Reyna, dopo anni, si trovava di nuovo di fronte alla paura, quel panico che irrigidisce le membra, che ti soffoca, che non ti permette di pensare lucidamente.
Quegli incubi che da tempo la affliggevano sembravano una pallida ombra di ciò che stava vivendo in quel momento.
Da quanto la Cacciatrice era diventata una figura così indispensabile nella sua vita? Da quanto, appena sveglia, la prima cosa che voleva vedere era solo il suo sguardo e il suo sorriso? Da quanto desiderava il suo affetto, la sua presenza, i suoi abbracci? Da quanto capiva e apprezzava i suoi studiati silenzi, i suoi fugaci sorrisi, la premura nei suoi confronti?
Da quanto Reyna si era innamorata di Zoe?
Uno sprazzo di luce entrò nella tenda del Pretore, accompagnato da un lieve rumore di passi.
Non serviva aprire gli occhi, la ragazza avrebbe riconosciuto quel suono fra mille.
Reyna. Pretore. Leader.
Innamorata di un’Esperide. Innamorata di una Cacciatrice.
Innamorata di lei.

Si era promessa che non avrebbe più permesso a nessuno di farle del male, di entrare così a fondo nel suo cuore da ferirla gravemente.
Solo Hylla, solo Jason, le uniche due persone che era certa non l’avrebbero mai tradita per alcun motivo.
Come aveva fatto ad abbassare la guardia?
Sentiva come una leggera risata, lontana, cristallina e frivola, la risata di quella Dea che non aveva voluto lasciarla in pace.
Le sue dita rimasero ferme e rilassate sul lenzuolo, nulla ad indicare che fosse sveglia e cosciente.
Sentì distintamente la Cacciatrice sedersi lentamente al suo fianco, la mano ad accarezzarle dolcemente i capelli, come se fosse delicata, come se avesse avuto paura di farle male.
Il Pretore non si mosse, rimase ferma ad approfittarsi delle sue attenzioni, non sapendo cosa fare.
“Reyna… Lo so che sei sveglia” sussurrò la ragazza argentata senza accennare ad allontanarsi.
Era tutto piuttosto facile, analizzando particolare per particolare.
Lei era innamorata di Zoe.
Zoe non l’amava.
Zoe sarebbe partita presto senza mai più fare ritorno.
Era fin banale, il Pretore lo sapeva, ma non riusciva a convincersi ad aprire gli occhi per salutarla, forse per l’ultima volta.
Preferiva rimanere nel buio ad ascoltare la sua voce, credere che fosse solo un sogno, credere che si sarebbe svegliata presto scoprendo che non esisteva alcuna Zoe Nightshade.
“Reyna, per favore”
Non pensò a nulla dopo quella frase, solo si ritrovò a guardarla da un momento all’altro, il suo sguardo apparentemente freddo specchiato in quello dell’altra.
Zoe ritirò piano la mano dalla sua spalla, provocandole un leggero tremito, però non commentò.
“La Divina Artemide mi ha avvertito che le Cacciatrici partiranno stasera” disse continuando a guardarla.
In quel momento la risatina di Afrodite si fece più insistente nella testa di Reyna.
Quanto aveva? Tre ore? Forse meno.
Lo sapeva, lo aveva sempre saputo in fondo.
Allora perché faceva così male?
Il Pretore non sapeva cosa stesse per dire, la lucidità e l’inflessibile orgoglio scomparsi.
“Sarai contenta di potertene andare finalmente” rispose in un sussurrò, il tono amaro, una lieve smorfia ad incresparle le labbra.
Zoe rimase qualche secondo senza parole.
Come poteva anche solo pensare una cosa simile? Non aveva forse fatto abbastanza per lei da dimostrarle quanto le era affezionata? Non aveva capito quanto tenesse a lei?
La Cacciatrice sentì un moto di rabbia, sapeva che probabilmente sarebbe scoppiata e le avrebbe urlato cose che non pensava davvero.
Ma poi guardò la sua espressione, così diversa da quella fredda maschera di indifferenza che si aspettava.
Reyna era… arrabbiata?
Questo sembrò calmare appena la ragazza argentata.
“No, sai che non è così”
“Non vedevi l’ ora di andartene, siamo solo stupidi romani in fondo. Nulla a confronto con voi Cacciatrici di Artemide” replicò il Pretore con un sibilo che ben poco le ricordava il leale e umile comandante romano.
“Non vorrei andarmene lontano da qui. Lontano da te.” rispose Zoe stringendo appena i pugni.
Questo zittì Reyna, che distolse lo sguardo da lei incrociando le braccia sotto al seno, nel tentativo di riprendere il controllo di sé stessa.
Il Pretore sapeva che stava mentendo, la ragazza argentata non teneva a lei, non nel modo in cui voleva.
Probabilmente la considerava la piccola sorellina di Hylla, la ragazzina stupida che ha rischiato di farsi ammazzare e che ha avuto bisogno delle sue cure.
“Non sei mia sorella, non hai alcun obbligo verso di me”
“Non voglio andarmene Reyna, non senza di te”
Il comandante romano rimase immobile alcuni secondi, faticando a comprendere il senso di quelle parole e portando Zoe all’esasperazione.
“Sei davvero una stupida Romana” sussurrò.
Reyna stava per rispondere a tono a quell’insulto, che aveva perfettamente compreso, ma la sua voce venne bloccata sul nascere mentre le labbra della Cacciatrice si posavano sulle sue.
Stava sognando di nuovo, non c’era altra spiegazione.
Mentre aspettava con ansia lei e il suo addio, doveva essersi addormentata e quello era solo uno dei suoi tanti incubi.
Zoe le avrebbe fatto credere di amarla, per poi andarsene.
Era solo un incubo, non poteva star succedendo veramente.
Il Pretore chiuse gli occhi con l’intenzione di ritrarsi, ma un pensiero le sfiorò la mente.
‘Se è un sogno non c’è nulla di male… se è un sogno posso baciarla’
Reyna allora si avvicinò maggiormente a lei ricambiando, una mano posata sulla sua guancia come ad impedirle di allontanarsi e di interrompere quella sensazione che sembrava mettere tutto al proprio posto.
Era ancora meglio del sogno precedente, sembrava più vivo, più vero.
Come se Zoe fosse lì, come se quel bacio fosse reale e tangibile, come se la pelle della ragazza argentata sotto le sue dita non fosse solo un’illusione.
Le labbra della Cacciatrice schiusero le sue approfondendo quel contatto che la stava quasi consumando.
Aveva l’impressione di non potersi allontanare, come se interrompendo quel bacio sarebbe crollato il mondo.
Quando inevitabilmente finì, sentì improvvisamente freddo, come se la parte più importante di sé fosse irrimediabilmente scomparsa.
Aprì lentamente gli occhi, con esitazione, per paura di svegliarsi, come per paura che fosse reale.
Non se ne pentì però incrociando lo sguardo di Zoe.
Aveva qualcosa di, non avrebbe saputo definirlo altrimenti, luminoso, le labbra socchiuse a formare un lieve sorriso che scaldò il cuore di Reyna scacciando la precedente sensazione di perdita.
Aveva così tanti pensieri, così tante domande, così tanta stupida euforia, da non accorgersi di aver ricambiato quel sorriso.
E la Cacciatrice era certa che fosse il più bel sorriso che avesse mai visto.

***

La verità colpì Reyna come un pugno allo stomaco.
Non stava sognando.
Cercò inutilmente di tornare ad essere amareggiata, arrabbiata, ferita.
La sua parte razionale le gridava di tornare ad essere il Pretore di Nuova Roma, ma quel sorriso involontario non abbandonava le sue labbra.
Abbassò infine lo sguardo, la bocca che tornava in una linea dritta e severa.
Perché Zoe l’aveva baciata?
“Reyna…” mormorò la Cacciatrice alzandole delicatamente il viso con una mano “Devo chiederti una cosa” sussurrò guardandola negli occhi.
Il comandante romano si accigliò, non riuscendo ad immaginare quale sarebbe stata la domanda della ragazza argentata.
“Non… non voglio lasciarti…” mormorò Zoe in imbarazzo “Tu non vorresti diventare una Cacciatrice di Artemide?” finì in un sussurro, la voce che tradiva un minimo di speranza.
Reyna non riuscì a rispondere, gli occhi leggermente sgranati, non riuscendo a credere a ciò che aveva appena sentito.
‘Non vuole lasciarmi… tiene a me…’
‘Io sono il Pretore di Nuova Roma’

Queste due verità si accavallavano nella sua mente, mentre sentiva gli occhi lucidi.
“E tu non vorresti andartene dalle Cacciatrici?” replicò allora, sforzandosi con tutta sé stessa per guardarla negli occhi.
Zoe sembrò essere presa alla sprovvista come se nemmeno l’avesse sfiorata quell’idea.
“I-Io… n-non posso…” mormorò a bassissima voce la luogotenente.
Un lieve sorriso amaro increspò le labbra di Reyna, che distolse lo sguardo dalla ragazza argentata.
“Puoi, solo che non vuoi. Mi stai chiedendo di abbandonare la mia unica casa, il mio unico amico, di rinunciare alla mia vita e di diventare immortale. Mentre tu non ti sei soffermata nemmeno un secondo a pensare di rimanere qui con me” rispose il Pretore, quasi più ferita di quando aveva appreso la notizia della sua partenza.
“Ti amo…” sussurrò Zoe, un ultimo tentativo per non rinunciare per sempre a quella ostinata e testarda ragazza che le aveva rubato il cuore.
Reyna si decise a incrociare il suo sguardo, un lieve sorriso pieno di tristezza.
“Anche io ti amo”

***

Le Cacciatrici se ne andarono non appena il sole tramontò dietro al bosco, tingendo il panorama di un color rosso sangue.
Zoe teneva il proprio arco a tracolla, le frecce ordinate nella faretra, lo sguardo freddo.
Camminava a passo spedito nel folto della foresta, seguita dalle altre ragazze argentate, mentre Phoebe rimaneva fermamente al suo fianco.
La seconda in comando aveva più volte cercato un dialogo, ma, mentre il buio copriva lentamente la loro vista e le stelle spuntavano in cielo, la luogotenente ancora si rifiutava di parlare.
“Zoe ti prego… ti prego dimmi qualcosa” la implorò Phoebe avvicinandosi maggiormente a quella che, ormai da secoli, considerava la sua migliore amica.
Solo in quel momento vide gli occhi lucidi dell’Esperide, il lieve tremito delle dita mentre stringeva l’arco, il respiro pesante.
Se non fosse stata così forte sarebbe scoppiata a piangere ore prima.
La seconda in comando si fermò improvvisamente voltandosi verso le altre Cacciatrici.
“Ci accamperemo qui stanotte!” disse a gran voce per farsi sentire da tutte, che si fermarono con qualche lieve protesta ma che non fecero domande iniziando a montare le tende.
Zoe non replicò, rimase con lo sguardo verso il bosco senza nemmeno accennare a voltarsi, la presa sull’arco sempre più debole.
Phoebe la prese delicatamente per il polso trascinandola via dalla radura, camminando silenziosamente fra gli alberi.
L’Esperide non protestò, seguendola con lo sguardo basso, finché la seconda in comando non si sedette alle radici di un alto faggio, obbligandola a fare lo stesso.
“E ora mi dici cosa è successo” disse la più giovane con fermezza e visibile preoccupazione.
Mai aveva visto l’altra così. Mai, nemmeno dopo Ercole.
Una lacrima sfuggì al ferreo controllo della luogotenente, che portò le ginocchia al petto appoggiando la fronte su di esse cercando di ricordare di respirare.
Nemmeno sentì la mano dell’altra appoggiarsi alla sua spalla in un gesto protettivo, sentiva solo i battiti del proprio cuore e il sapore salato delle lacrime in fondo alla gola.
“Zoe…” mormorò Phoebe cercando di farla parlare.
Per la prima volta odiava sentire quel nome.
Quello stesso nome che pronunciato dalle labbra di Reyna sembrava una poesia, in quel momento era solo una coltellata al cuore.
“Ho sbagliato… ho sbagliato tutto… questa volta è solo colpa mia…” sussurrò a voce appena udibile, come se stesse parlando solo con sé stessa.
Un dito corse fra i propri capelli, stranamente sciolti, arricciandone una ciocca e iniziando a tirarla lentamente ma con incredibile fermezza, quel lieve dolore pungente che sperava potesse distrarla un poco da tutto ciò che sentiva dentro.
“Sta ferma” mormorò Phoebe liberandole i capelli e prendendole la mano fra le proprie “Ti prego, dimmi cosa è successo”
Ma Zoe non riusciva a parlare, sentiva quel peso all’altezza del petto che sembrava non voler nemmeno lasciarla respirare, quell’atroce dolore che si spandeva lento e inesorabile dentro di lei.
Ricordava come si era sentita usata e distrutta dopo l’abbandono di Ercole, ma sembrava solo un’ombra di quello che provava per Reyna.
“Non ho pensato a lei… ho pensato solo a me stessa…”
Era così strano sentire di nuovo le guance rigate dopo millenni.
Era diventata fredda in tutti quegli anni, i mortali che incontrava erano solo comparse destinate presto a scomparire.
Non credeva di essere ancora capace di amare.
“Di cosa parli?” chiese Phoebe confusa, intrecciando le dita alle sue.
Quelle dita pallide e ossute che non avevano nulla a che fare con quelle ambrate e calde di Reyna.
“Lei mi ama… e io non la merito”

***

Quando Jason era entrato nella sua tenda per portarla con sé a salutare le Cacciatrici in partenza, lei aveva quasi gridato, chiedendogli di essere lasciata in pace fino al mattino successivo, gli occhi velati di lacrime.
Avrebbe avuto tempo nei giorni successivi per scusarsi, ma non le importava più di tanto, il ragazzo avrebbe capito, capiva sempre.
Reyna non si alzò neppure dalla branda, si raggomitolò su sé stessa cercando calore e conforto mentre il profumo di Zoe persisteva ancora nell’aria.
Non ci aveva mai fatto caso, ma ora, senza di lei, sembrava che tutto avesse quel sentore leggero, di bosco.
‘Se ne è andata. Se ne è andata per sempre’
Ed era lei ad averlo permesso, era solo colpa sua, ma non poteva lasciare tutto.
Non poteva abbandonare le proprie responsabilità, non sarebbe mai più riuscita a guardarsi allo specchio se si fosse unita alle Cacciatrici.
L’avrebbe dimenticata, avrebbe preso tutti i sentimenti legati a lei e lì avrebbe nascosti a fondo nel suo cuore.
Sarebbe andata avanti.
Solo in quell’istante Reyna si accorse di non saper mentire nemmeno a sé stessa.

***

Cinque anni dopo

 

Quando Jason scomparve, Reyna si sentì morire.
Stavano insieme da quanto? Tre anni o poco più.
Ma al Pretore non mancava come ragazzo, le mancava come amico, come spalla.
Sembrava che, prima o poi, fosse destinata a perdere tutte le persone a cui tenesse davvero.
Hylla era a capo delle amazzoni, Jason era sparito da un giorno all’altro, Zoe…
Zoe era diventata un argomento tabù per lei, tutte le poche persone di cui si fidava all’interno del campo sapevano perfettamente di non dover mai nominare la luogotenente Nightshade o le Cacciatrici.
Anche se, nemmeno Jason, sapeva davvero cosa fosse successo tra di loro e, in fondo al suo cuore, non voleva nemmeno saperlo.
Reyna non aveva nessun ricordo tangibile di lei, niente che potesse dimostrare quel ‘ti amo’, ma lo riviveva ogni notte, sempre spietatamente reale, tanto da fare lo stesso male a distanza di anni.
Non l’aveva superata, non poteva.
Jason era un bravo ragazzo, era una persona fantastica e le piaceva, ma non ne era innamorata.
L’altro Pretore, una sera dell’anno prima, mentre stavano da soli in uno dei giardini semideserti di Nuova Roma, glielo aveva detto.
Le aveva detto che l’amava.
Lei non aveva risposto, rimaneva sdraiata, la testa appoggiata al suo petto mentre lui le accarezzava i capelli con delicatezza, niente in comune con il tocco di Zoe.
Non si aspettava una risposta, sapeva che Reyna teneva a lui ed era abbastanza.
Sapeva che lei non esternava facilmente ciò che provava.
Però non sapeva che il suo cuore fosse ancora della Cacciatrice che l’aveva salvata anni prima, non sapeva che la ragazza, quando chiudeva gli occhi, immaginava Zoe e non lui.
Quando scomparve, Reyna sentì di aver perso un fratello, il suo migliore amico.
Quando tornò, dopo che lei ebbe quasi perso ogni speranza,  con quella bellissima ragazzina figlia di Venere, non sentì nessuna gelosia, solo un’immensa tristezza a vederlo andarsene e a lasciarla nuovamente sola.
Alla fine, durante quei lunghi mesi d’incertezza, si era convinta di amarlo, se lo era ripetuto milioni di volte iniziando a sentirlo più vero ogni giorno.
Ma uno scrittore mortale che piaceva tanto a sua sorella aveva ragione…
"Sai qual'è il bello dei cuori infranti? Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi"
Jason e la figlia di Venere erano solo un graffio, un graffio che si notava appena sul cuore spezzato di Reyna.

***

Zoe si ricordò improvvisamente di una frase scritta da un mortale.
Un frase che le piaceva, che la tranquillizzava, prima che fosse stata mandata nel campo romano.
"Sai qual'è il bello dei cuori infranti? Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi"
E lei aveva il cuore spezzato dopo Ercole, tanto che per diventare la ragazza determinata e indipendente che era le ci erano voluti secoli.
Reyna aveva rovinato tutto.
Era riuscita a far riemergere la persona dolce e ingenua che era stata millenni prima, quella stessa persona che si era fatta ingannare, ricostruendo lentamente il suo cuore.
La ragazza romana aveva abbassato ogni sua difesa, aveva preso tutto ciò che poteva di lei, era diventata un pensiero costante e fisso.
E si era resa conto di amarla.
Molto più di quanto avesse amato il figlio di Zeus, molto più di quanto avrebbe mai creduto possibile, perché avrebbe fatto qualunque cosa per lei.
Tranne lasciare le Cacciatrici.
I cuori infranti si rompono davvero una volta sola e quello di Zoe si era spezzato cinque anni prima.
Lo aveva spezzato quella ragazza ostinata, che delirava la notte per gli incubi, che non la ascoltava quando cercava di aiutarla, che le aveva confessato di amarla.
L’ultimo volto che vide nella sua mente dopo le stelle fu il suo, mentre rimaneva stesa alle pendici del monte Tam, nell'aria la leggera litania di Artemide che cercava di salvarla.
Prima di diventare la costellazione della Cacciatrice, vide Reyna, in tutta la sua spietata bellezza.
Allora il suo cuore sembrò scendere a patti, smise un attimo di far così male, smise di battere.
E quelle splendide stelle furono sempre visibili dalla tenda del campo romano, tutte le notti.
Per sempre.

***

Quella notte, che dall'esterno poteva sembrare perfettamente uguale a tutte le altre, fu la notte in cui Reyna decise che le stelle fossero ciò che di più bello esistesse.
Rimase sdraiata sull'erba fino all'alba, lo sguardo rivolto ostinatamente verso l'alto.
Non lo sapeva. Non sapeva che la vita di Zoe si fosse spenta poco prima sul monte Tam, a qualche chilometro da lei.
Amare qualcuno non ti permette di saperlo.
La sua anima però apparteneva alla Cacciatrice, e qualcosa dentro di lei la spingeva a osservare quell'allusiva e bellissima costellazione, formata da stelle che avrebbe sempre portato nel suo cuore.

The end.

   
 
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