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Autore: chiara_raose    07/10/2015    1 recensioni
1° premio al concorso Holy ship [ Hetalia + Free contest ] _ AU!Ib _ "Esistono momenti dove accadono cose che la logica non sa spiegare e altri dove la risposta arriva da sola. Gilbert è morto, eppure succede qualcosa di inatteso ed inspiegabile, almeno fin quando..."
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Sorpresa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo Terzo


Lo sguardo d'ametista si perse a lungo sulla camera. Le finestre alte con i tendaggi sostenuti ed un balcone che, ora, non esisteva, affondando nel nero. Il letto, così piccolo agli occhi abituati a vederlo ormai cresciuto, gli fece impressione, ricordando una serie di piccoli eventi, divertenti per lo più. Gilbert notò lo sguardo perso di Roderich, mentre l'idea iniziale era quella di trovare una possibile risposta all'enigma, dentro quella stanza.
« Tutto bene? »
« Sì » si limitò a rispondere l'austriaco « un po' di nostalgia »
« Hai già visto questa stanza? »
« Tanti anni fa, ormai »
L'albino tacque, osservando solamente il modo in cui Roderich si muoveva all'interno dell'ambiente, con calma ed eleganza, come stesse carezzando lo stesso suolo su cui stava camminando. Era sempre stata una persona particolarmente composta, degno risultato di un'istruzione fortemente rigida e da alto borgo. Sapeva, però, che l'austriaco era ben altro che un “signorotto” come il più delle volte si divertiva ad apostrofarlo. Gilbert ripensò alla proposta altrui di uscire di lì assieme, ma era abbastanza certo del fatto che Roderich non era ancora pienamente convinto della situazione in cui versava; per il momento, però, lasciò che l'altro si crogiolasse nella sua convinzione. Lo avrebbe aiutato a superare meglio le cose, ne era sicuro. Osservò la propria rosa e, all'interno della stanza, notò un piccolo vaso. Almeno poteva poggiarla e riposare la mano anziché riempirsi le dita di spine. Bah, Feliciano poteva disegnare un fiore meno spinoso?
« Sai... » la voce dell'austriaco, pacata e bassa, interruppe i suoi pensieri, portandolo a guardare la figura altrui, seduto sul letto con la rosa tra le mani. « Feliciano era appassionato del significato dei fiori, e dei colori, da piccolo. La rosa rappresenta da secoli l'amore, l'ammirazione, la bellezza... ma anche la devozione, il segreto e la capacità di svelare con delicatezza »
« Svelare cosa? »
« Non l'ho mai del tutto capito, ma pensaci... in quest'ultimo significato rientriamo un po' tutti, coi nostri segreti »
Gilbert non potè che dargli ragione, con un sorrisetto spavaldo in viso « Io non ne ho di certo, sono magnifico, limpido e genuino. Non per niente ho la rosa bianca »
« Che indica anche il silenzio » puntualizzò l'austriaco guardandolo in modo particolarmente eloquente, sia per il far tacere il lato egocentrico che stava nuovamente prendendo troppo il sopravvento, sia perchè conosceva fin troppo bene Gilbert per confermare che sì, taceva molte, troppe cose sul proprio conto agli altri. L'albino, comprendendolo, arricciò le labbra infastidito, portando le iridi rosse altrove, nel momento in cui Roderich sistemò gli occhiali con fare vittorioso.
« E la rosa viola? Non esiste in natura, che significato potrebbe avere? »
« Proprio perchè non esiste in natura... non ne ho idea »
La voce si abbassò di tono e si condì di una nota di rammarico. Roderich era consapevole di non essere un padre particolarmente gioviale o simpatico... o dolce... Ha sempre avuto una visione più severa, semplicemente perchè abituato così, lasciando al piccolo la possibilità di crescere da solo senza deviazioni di sorta, pur pronto a porgergli la mano in caso di estremo bisogno. Gli è sempre stato insegnato che ciascuno impara dai propri errori prendendosi le proprie responsabilità ed aveva cercato di abituare Feliciano all'idea, fin da piccolo, così da non restare scottato crescendo. Scosse appena la testa, cacciando quei pensieri e dandosi un po' del romantico oltre che del solito nostalgico.
« Non importa. Tanto, presto, non avrò certo più bisogno di questa rosa. » si incoraggiò, non palesando se stesse parlando a se stesso o all'albino che lo osservava in silenzio, pensando che l'austriaco, a volte, era proprio uguale a lui: taceva le cose tramutando il proprio malessere o i propri pensieri in un inguaribile -anche se rigido- ottimismo. « Mettila qui un momento » lo invitò ad inserirla nel vaso e, dopo qualche riluttanza, Roderich seguì il consiglio, osservando le due rose. « Mh... »
Roderich guardò l'albino corrugando la fronte, notandolo analizzare le due rose come stesse guardando un'opera d'arte. « Cosa c'è ora? »
« Non stanno male affiancate -confessò- anche se la mia è più bella in ogni caso »
« Idiota » risposte Roderich trattenendo a malapena un sorriso alla sua ironia palese, alzando le iridi al cielo e, una volta ripresa la rosa, avviandosi lungo la stanza a cercare qualcosa da cui cominciare le possibili ricerche.
La sua mente fece riecheggiare più volte quella breve frase, rigirandola anche più volte. Ad occhio e croce non poteva essere così lungo il titolo di un'opera, sarebbe stato quantomeno strano. Doveva significare qualcosa di specifico quella frase, condurli da qualche parte come le chiavi, come le orme che avevano trovato o qualsiasi altro indizio. A meno che fosse tutto un complotto per farli perdere -cosa che a lui riusciva anche fin troppo bene-, qualche significato doveva averlo. Tutto quel mondo immaginario pareva avere un filo conduttore con qualcosa che Feliciano aveva creato, per quanto inconsapevolmente; eppure, alcune cose, non erano da lui. Se era inconsapevole di quel che aveva creato, dentro le sue opere, come poteva aver organizzato indovinelli, trappole, labirinti? C'era qualcos'altro... e all'austriaco non riusciva a venire in mente una risposta plausibile e, senza quel collegamento, come avrebbe potuto indovinare, a caso, dove andare per uscirne?
« Secondo te, seguendo i vari indizi, usciremo di qui? »
« Immagino di sì o il percorso fatto finora sarebbe stato una noiosa perdita di tempo »
Non aveva tutti i torti. Si osservò attorno, in cerca di... qualcosa. Per un attimo pensò che dovessero tornare indietro siccome, a conti fatti, era l'unica porta presente nella stanza. Probabilmente Gilbert ebbe la stessa idea dal momento che si avvicinò per provare ad aprirla. Il fatto che non ci stesse riuscendo ed il fastidio che vedeva dipinto sul suo viso, gli fece ben intendere che fosse chiusa. Provò a ripetersi ancora quella frase, girando per la stanza e notando, tra i vari disegni, uno che non tornava.
Chiamò l'albino a bassa voce, sostenendo quel foglio di carta tra le dita. Erano lui ed Eliza il giorno del loro matrimonio, ma qualcosa non tornava...
« Perchè avete le facce tristi? »
Roderich si voltò verso il viso di Gilbert, come in cerca della domanda che lui stesso aveva posto. Pareva esser perso a sua volta nel disegno, prima di allontanarsi, infastidito. « Bah, si sarà ispirato al divorzio »
« è strano... è disegnato a pastelli ed era chiaramente troppo piccolo. Quando divorziammo era più grande »
« Che fosse volontario? »
Poteva essere, ma a che pro se erano nella stanza di quando Feliciano era piccolo? Quel disegno pareva stonare su tutto in quel piccolo angolo di paradiso e silenzioso rifugio. « Non torna... è come se mancasse qualcosa »
« E cosa dovrebbe mancare mai in un matrimonio perfetto, con un tempo perfetto, con una famigliola perfetta, un bouquet perfetto, un vestito perfetto...? »
« Gli anelli » lo interruppe in quella lista. Gilbert non aveva tutti i torti siccome in quel disegno c'era tutto, dal sole al vestito, dal velo al fazzoletto del proprio smoking; ma non le fedi alle loro mani. Che Feliciano pensasse davvero al divorzio? Già da così piccolo? La cosa non quadrava né aveva senso. « Secondo te possiamo completare, da qui, un suo disegno? »
Nel dire quelle poche parole, osservò l'albino, immobilizzato, a guardarlo. Si sentì quasi gelare il sangue nel modo in cui Gilbert lo osservava, perso probabilmente in chissà quali pensieri. Quegli occhi rubino puntati addosso con tanta forza ed intensità, capaci di trapassarlo, stavano mostrando troppo chiedendogli se, davvero, non aveva notato qualcosa di importante. Roderich deglutì in silenzio, sistemando gli occhiali con la mano e prendendo la propria decisione per tornare alla situazione in cui stavano.
« Cerchiamo il pastello giallo »
Fu il primo, dopo quell'affermazione, a mobilitarsi a cercare tra i vari pastelli sparsi sul tavolo quello del colore desiderato. Gilbert si mosse lento, quasi stesse portandosi dietro un peso troppo grande; movimenti stanchi, quasi inesorabili che sfruttavano la scarsa attenzione austriaca. L'albino si diede dello sciocco, scuotendo il capo e ripetendosi cento e mille volte che non poteva fare così dinanzi a lui. Lui non avrebbe mostrato debolezza di alcun genere e non doveva lasciarsi smuovere. Maledetti indovinelli e giochini stupidi!

« Trovato qualcosa? »
« Niente... C'è qualsiasi tipo di colore immaginabile, ma non il giallo. Assurdo » borbottò l'albino infastidito. Roderich si osservò nuovamente attorno. La stanza era enorme e, per un momento, rimpianse di aver concesso all'italiano una stanza tanto ampia. Era peggio che cercare un ago in un pagliaio. Sospirò profondamente mentre sentì Gilbert allontanarsi verso le rose a controllarne lo stato.
« Non ci credo » lo sentì dire e, rivolgendogli lo sguardo e vedendolo col pastello giallo in mano, non ci mise molto a comprendere che l'avevano avuto finora sotto il naso, di fianco al vaso. Nella stanza calò un'imbarazzante silenzio, dove entrambi si stavano rendendo conto di esser due poveri idioti -e meno male che l'austriaco aveva gli occhiali. Poco dopo, Gilbert scoppiò inspiegabilmente a ridere, rigirandosi il gessetto tra le dita. La risata contagiò leggermente l'austriaco che scosse il capo e gli prese il pastello, così da avvicinarsi al disegno e poter marcare una linea dorata sulle dita dei due protagonisti. « Ecco fatto... »
Sollevando il disegno tra le mani e sentendo l'albino avvicinarsi, notò le figure muoversi, come stesse vedendo un cartone animato. Arrossì appena, nel momento in cui vide i due personaggi sorridere e darsi un bacio, finalmente uniti e finalmente in un matrimonio felice. Si sistemò, nuovamente e nervosamente, gli occhiali in un moto di lieve imbarazzo, mentre la scena mostrava il classico lancio del bouquet. I chicchi di riso che venivano lanciati parevano uscire dal foglio, investendo anche loro due e fu un attimo dopo il quale, al posto del foglio, l'austriaco si ritrovò col candido bouquet in mano. Entrambi dilatarono gli occhi per un momento, alzando lo sguardo contemporaneamente, in quello altrui. Si resero ben presto conto della situazione imbarazzante che si stava creando.
« … No. »
« Proprio no, decisamente. »
« Esatto, insomma; me n'è bastato uno. »
« Sicuramente! Povera donna... »
Roderich si voltò di colpo verso l'albino, perdendo il rossore sulle gote che lo aveva colto impreparato, fissandolo con gli occhi sottili, mentre Gilbert alzò le mani coi palmi verso l'alto e strinse appena le spalle con aria interrogativa. « Che c'è? »
Roderich alzò gli occhi al cielo in un moto di esasperazione, prima di cercare un posto dove posare il bouquet. Optò per il vaso, togliendo le due rose ed inserendovi quel mazzo decorato ed ebbe il tempo di posarlo, prima di sentire un suono, come un meccanismo, una chiave che girava, alle proprie spalle. Si voltarono entrambi verso la porta e, mentre Roderich restituiva la rosa candida al legittimo proprietario, quest'ultimo fu il primo ad aprire la porta, rivelando un corridoio completamente spoglio. Poco più in là, il corridoio compiva una deviazione a novanta gradi dove, nell'angolo, pareva riposare qualcosa. Gilbert esitò e fu l'austriaco il primo ad avviarsi ed avvicinarsi, notando l'ennesima scritta col gessetto su quella parete grigia.
“ Chi SiEte? Da doVe VeniTe? PossO veNiRe Con vOi? ”
I due si guardarono, non capendo da dove venisse quella scritta o a chi si riferisse. Dopo la curva, il corridoio continuava e fu lì che videro un quadro; l'unico quadro di quel corridoio prima di vederlo nuovamente svoltare. Il quadro rappresentava uno dei tipici costumi carnevaleschi che ti osservava, ti sorrideva.
“ SarA' DiveRtenTe e nOn Vi daRò FasTidiO! ”
Roderich era poco propenso a credere ad una cosa del genere e Gilbert, a quanto pareva dal passo accelerato, altrettanto. Il corridoio continuava a guidarli in un percorso che pareva non terminare mai e, ogni volta che si svoltava l'angolo il quadro dietro di loro scompariva, mentre ricompariva dietro la svolta successiva.
“ EhY! PercHè mI igNoraTe? Mi oDiaTe? ”
Quadro dopo quadro, quella maschera dal lungo naso si avvicinava. Solo alla fine del percorso i due si trovarono dinanzi all'ennesima porta, dove la maschera era lì, appesa, a fissarli con i fori degli occhi scuri e profondi come pozzi ed un sogghigno che tirava il materiale in un sorriso sinistro. Roderich sentì l'albino deglutire e nuovamente ignorare la scritta sotto la porta, aprendola. Chiusa la porta alle loro spalle, ebbe l'impressione di sentire una risata acuta, stridula, seguita dal suono delle campane.
“ ALlORA Mi DIVErTIRò IO COn VOI!!! ”

Si ritrovarono all'interno di quello che pareva essere uno studio vero e proprio. Tele bianche, incomplete, colori ed attrezzi di ogni genere, sgabelli e piedistalli vari; tutto pareva mostrare il tipico retrobottega di una mostra. Il problema consisteva nell'immensa quantità di scatole e scatoloni che impedivano il passaggio fin dall'altra parte della stanza.
« Non ci resta che scavalcare »
Roderich non potè che esser d'accordo; non potevano fare altrimenti. Sospirò e si avviarono lungo la stanza, scatolone dopo scatolone, almeno fin quando l'austriaco non sentì affondare la gamba dentro uno di quest'ultimi. Trattenne un'imprecazione, mentre Gilbert non si trattenne dal scoppiare a ridere. « Idiota dammi una mano!! »
Non seppe neanche come, ma riuscirono poco dopo a liberarsi di quello scatolone e Roderich diede un'occhiata in giro dato che, nella caduta, gli era sfuggita di mano la rosa. Notandola al sicuro, vicino a Gilbert che stava andando a riprenderla, si perse a lanciare uno sguardo dentro la scatola dov'era caduto. C'era un solo quadro, una sola tela e, incuriosito, decise di estrarla, notando lo stesso paesaggio che aveva visto alla mostra, dove al centro si trovava l'albino... e lì non c'era. Osservò Gilbert per un momento, preferendo rimettere il quadro dov'era e non farglielo vedere, pur non capendo egli stesso realmente il motivo per cui avrebbe dovuto celargli quella tela. Forse, in questo breve tempo passato assieme, lo sentiva vicino a sé in maniera particolarmente reale e non voleva ricordare a nessuno che, in realtà, lui non c'era più. In fondo, voleva credere alla storia che gli aveva raccontato e che, in qualche modo, sarebbero usciti di lì, entrambi; insieme. Un colpo contro la porta fece sobbalzare entrambi.
« Eh no, eh! » sentì dire all'albino poco prima di sentirsi afferrare il polso dalla mano fredda altrui. Si sollevò a fatica, inciampando inizialmente prima di lasciarsi trascinare da Gilbert. Ebbero il tempo di notare gli scatoloni volare e schiantarsi contro la parete ad un soffio da loro, ma nessuno dei due osò voltarsi verso chiunque o qualunque cosa fosse stata. L'urgenza di chiudere la porta ebbe il sopravvento e mentre Gilbert teneva le spalle pressate contro la porta, Roderich trovò una sedia con cui bloccare momentaneamente l'ingresso. « Andiamo » lo incoraggiò l'albino tornando a prendergli il braccio, così da non correre il rischio di perderselo per strada. La stanza buia, però, aiutò poco l'avanzamento e Roderich ricorse presto alla torcia.
« Che fatica... »
« Cos'è non ti sei allenato in questi anni? » lo prese in giro l'albino con un sogghigno, celando il fatto che anche lui stesse riprendendo fiato. Roderich si sedette un momento, poggiando la schiena contro la parete. « Spero solo che finisca presto quest'incubo »
Gilbert si chiuse in uno strano silenzio per qualche lungo istante, mentre l'austriaco si rese conto che la luce della torcia era diventata più flebile rispetto a come la ricordava.
« Roderich? »
« Sì? » rispose portando le mani nelle tasche alla ricerca di una delle pile che aveva indebitamente rubato dal bancone all'inizio di quella sorta di storia.
« Posso chiederti un favore? »
« Strano da parte tua... dimmi » aggiunse dopo un momento, dove si rese conto che non era il momento di prendersi in giro a vicenda come facevano di solito. La luce si spense e l'austriaco trattenne un'altra piccola imprecazione. « Ora trovo la pila, un momento... »
« Non dimenticarti mai questo sogno »
« Eh? »
Roderich non comprese né vide nulla in tutto quel buio. La cosa che distinse fin troppo chiaramente, fu un sapore fresco sulle labbra, leggero, incerto in un certo senso, paragonabile al tocco d'ali di una farfalla. La sensazione di calore che lo pervase subito dopo lo disorientò un po' e, pur consapevole di aver le palpebre aperte, non riuscì a distinguere nulla di quel che stava accadendo. Solo il silenzio, solo il battito cardiaco che riecheggiava nelle tempie... e poi più nulla. Fu qualcosa di effimero e rapido dove anche il respiro pareva essersi interrotto. Non seppe quanto tempo dopo sentì le dita dell'albino schioccare dinanzi al viso, segno di volerlo risvegliare da chissà cosa, mentre gli chiedeva se era tutto okay e quanto ci metteva a cercare una pila. Ridestatosi come da un lungo sogno, l'austriaco sentiva ancora il cuore tamburellare con forza e con le dita molli riuscì a cambiare la pila alla torcia e poterla accendere. Investì la figura altrui con la luce, sentendolo lamentarsi prima di illuminare quello che, ai loro fianchi, si rivelò essere un corridoio familiare.
« Gilbert! »
esclamò Roderich rialzandosi « Questa è la mostra! »


Esattamente come l'avevano lasciata all'inizio di quella sorta di itinerante viaggio; esattamente come la ricordava, la mostra non pareva esser cambiata di una virgola. Roderich ritornò al banco, cercando l'ingresso per la mostra e, istintivamente, il punto dov'era cominciato tutto. « Gilbert, vieni! Sicuramente manca poco! »
« Roderich... »
« Ne sono sicuro. È cominciato tutto qui! Quella frase aveva ragione, la vita risponde alle domande, bastava avere pazienza e potremo finalmente uscire! »
Roderich ebbe il tempo di compiere un passo e sentì le gambe cedere sotto il peso del proprio corpo. Sentì una forte fitta al petto e la torcia gli cadde di mano, rotolando al suolo ed illuminando a tratti le cose. L'austriaco si ritrovò inginocchiato a terra e, con una mano stretta al cuore, cercò di placare quel dolore che gli fece girare la testa. Che succedeva ora? Si voltò verso Gilbert, illuminato solo in parte dalla luce della torcia e distinse nitidamente alcuni petali viola al suolo, dinanzi all'albino. Sentì un tuffo al cuore alla sola idea, mentre un altro petalo si staccò dal gambo e il pulsare nelle tempie divenne forte, come una martellata. Come un trapano nel cervello, quel dolore fisso iniziò a pulsare con insistenza, portando anche la vista ad appannarsi.
« Che stai facendo? Gil? » gli chiese con una nota di paura nella voce mista a rabbia; mentre un altro petalo gli procurò una fitta allo stomaco, come fosse appena stato trapassato da qualcosa di ardente. Soffocò un gemito, mentre Gilbert si affiancò a lui, lentamente, inesorabile come lo aveva visto nell'altra stanza.
« Cosa stai...? »
« Spiacente, signorino, ma non posso lasciarti andare così in fretta, di nuovo. »
Roderich non comprese a cosa stesse riferendosi, osservando il volto altrui con il respiro affaticato da quei dolori. « Per favore, basta... » faceva male; tremendamente male.
« Allora promettimelo, Roderich. Non lo hai fatto. »
« Ma che cosa? »
« Quel che ti ho detto prima: di non dimenticare questo che tu definisci incubo. »
« Ma cosa dovrei dimenticare se abbiamo la possibilità di uscire di qui insieme? »
« Esattamente come l'altra volta... che adorabile illuso. » Gilbert inclinò il capo, osservando l'austriaco mentre gli carezzò i capelli, così da scostare quelle ciocche scure dal suo viso. « Ho sempre adorato il tuo lato ottimistico. Non è di quelli che ti illudono, ma è oggettivo, critico, se sei ottimista è perchè ci credi davvero e sai che avverrà. Solo che, anche stavolta, speri in qualcosa di impossibile. Qui non sei in un sogno, Roderich, te l'ho già detto. Qui nessuno può uscire se non resta qualcuno all'interno. Questo mondo ha bisogno di qualcuno per rimanere in piedi e nessuno dei due, già la prima volta, ha voluto distruggere la mente di Feliciano o la cosa che, da qui dentro, ha creato tutto questo per aiutarlo nei momenti di bisogno. Questo posto ha bisogno... di qualcuno che ne tiri le redini.»
Roderich stava capendone sempre meno e cercò di rialzarsi, allontanando la mano dell'albino con un colpo secco della propria.
«Non ti ricordi, vero? » gli disse Gilbert, poco dopo. « Non è la prima volta che veniamo qui, Roderich, assieme. Io non sono morto, sono scomparso, dimenticato e sperso qui dentro. Eravamo entrati assieme, tempo fa e quel misterioso qualcosa ha posto rimedio alla mia assenza con la morte. Per cosa, poi? Incidente? Malattia? Che sia almeno degna del mio nome o la mia reputazione crollerebbe definitivamente a picco, eheheh! » ridacchiò l'albino che abbassò lo sguardo, rammaricato. « Io non voglio che ti dimentichi di nuovo di me; non voglio che dimentichi di nuovo tutto questo o le promesse che ci eravamo fatti. Sono stanco. Non hai idea di cosa voglia dire vedere la vostra vita andare avanti da una finestra incorniciata; non hai idea cosa voglia dire vedere la propria esistenza come spettatore e non poter più farne parte; sentirsi una copia poco gradita di qualcuno a cui tutti state dicendo addio e che lotta con tutto se stesso per riavere, anche se per poco, almeno un po', la compagnia di qualcuno di caro, qui dentro. »
Gilbert l'osservò sospirando, notandolo perplesso, sconvolto, palesemente incapace di concepire tutte quelle informazioni. Non perchè non le capisse, figuriamoci, ma era poco più che sicuro che Roderich faticava a crederci, tornando ad aggrapparsi a quel lato logico e critico che tanto lo caratterizzava in situazioni problematiche. Nuovamente, si rese conto, di non poterlo trattenere, come nelle altre stanze; come in passato, avrebbe nuovamente scelto di sacrificarsi per permettergli di uscire come tanto desiderava. « Promettimelo »
Glielo chiese di nuovo « Promettimi che non dimenticherai, questa volta.»
Roderich non capiva. Non poteva esser già stato lì, se ne sarebbe ricordato e, nel caso, come avrebbe potuto dimenticarsene? « Io ti porterò fuori di qui, lo prometto »
Gilbert sorrise, divertito ed amaro, prima di lasciargli la rosa. « Mi dispiace per il dolore, passerà a breve » mormorò e Roderich giurò di aver visto gli occhi altrui diventare liquidi. « Sogni d'oro, mein liebe »




Fu come un battito di ciglia. L'austriaco riaprì lentamente gli occhi, circondato da una serie di persone e con la nuca sostenuta tra le mani della giovane ex moglie. Sentiva le dita e le gambe formicolare e vide negli occhi altrui un sollievo mal celato, seguito da un sospiro. Il cuore batteva piano, lento, mentre le voci attorno a lui diventavano sempre più distinte.
« Per fortuna ti sei ripreso... »
« Cos'è successo? »
« Devi darmi ragione quando ti dico che non devi esagerare nel stancarti »
A quanto pare, quindi, aveva perso i sensi per l'eccessiva stanchezza? Osservò un momento l'ambiente attorno a lui, riconoscendo la mostra dell'italiano che lo affiancò poco dopo con un sorriso rincuorato.
« Per fortuna stai bene. Mi hai spaventato! Non lo fare più! »
« Promesso, scusami » rispose all'italiano con un sorriso mentre lo rimproverava con gli occhi lucidi dallo spavento. « E dimmi, pà, lo hai visto? »
« … »
Osservò Feliciano a lungo, corrugando la fronte « Visto chi? »


Una volta ripresosi, notò l'angolo della mostra dove aveva avuto un pesante crollo di pressione ed eccessiva stanchezza. Era particolare quell'ala del piano, pareva presentare un solo quadro monocromatico. Un paesaggio che non avrebbe saputo identificare se innevato o annuvolato, con una singola triste e solitaria figura in centro. Si avvicinò al quadro per qualche momento, mirando ad analizzare la figura che vi era ritratta, ponendo le mani nelle tasche. Sentendo una sensazione fresca e morbida sotto i polpastrelli, estrasse cosa conteneva la sua tasca e la sua espressione divenne interdetta, incuriosita. Come erano finiti, nella sua tasca, due petali di rosa?
“ Promettimelo ”
Portò una mano alla nuca, strofinando la tempia con la punta delle dita dopo un improvviso ed anomalo pulsare.
“ Non dimenticarti mai questo sogno ”
Osservò i petali bianchi in silenzio per qualche lungo momento e poi, nuovamente, il quadro. Un sogno? Si sentì strano. Una sorta di nostalgica tristezza lo colse nel petto e non si rese conto di star versando alcune lacrime, se non quando le sentì rigargli le guance.
“ Qui nessuno può uscire se non resta qualcuno all'interno ”

« Gilbert »
Che fosse, davvero, un sogno?
« Pà, tutto bene? »
« Sì... Feli? »
« Dimmi »
« Posso comprare questo quadro? »
   
 
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