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Autore: writersblackout    07/10/2015    0 recensioni
"Ognuna di queste rose esprime qualcosa, ad esempio la rosa rossa simboleggia la passione e l’amore. Sai perché alle spose si regalano le rose bianche?"
"No, non lo so."
"Perché la rosa bianca rappresenta l’amore puro e spirituale."
"Non immaginavo che le rose avessero tutti questi significati."
"E' il linguaggio delle rose."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Din Don, Din Don.Nella stanza echeggiava il rumore delle campane della chiesa accanto casa mia, mi affrettai a sistemare alcuni fogli sulla scrivania, senza neanche pensarci guardai l’orologio e mi accorsi che era tardissimo.
“Caspita, è già mezzogiorno! Devo sbrigarmi.”
Nel frattempo il rumore delle campane era cessato, presi la mia sacca arancione e me la misi in spalla, attraversai il corridoio che mi divideva dalla porta di casa, quando pensai di avercela fatta senza farmi notare da mia madre, la sentii sbraitare dalla cucina alternando il mio nome con varie imprecazioni.
“Andrea, era bagnato, diamine!”
Mi voltai verso il corridoio che avevo percorso e osservai le impronte che avevo lasciato con le mie scarpe da ginnastica, si riuscivano ad intravedere i tacchetti della mia suola.
“Mamma, scusa è che ho fretta.”
Nonostante la mia, più che valida, giustificazione lei continuò a borbottare qualche parola, che a me sembrava aramaico, tra sé e sé e continuò a lavare per terra.
“Prometto che appena torno ti aiuto” dissi uscendo dalla porta di casa mia e riuscii a percepire solo un “non fare tardi” da parte  di mia madre, ma era evidente che sarei tornato tardi dato che era già mezzogiorno e, a meno che io non usassi il teletrasporto per raggiungere la palestra, non sarei tornato prima dell’ora di pranzo. Amavo perdere tempo sotto la doccia dopo essermi allenato per quasi due ore, riuscivo a sentire i miei muscoli poco a poco sempre più rilassarsi sotto il getto caldo, e mi mettevo a pensare a tutte le cose che mi accadevano a scuola, a casa, con gli amici oppure proprio lì, in palestra. E se riuscivo a trovare ispirazione sarei tornato a casa per buttarla su un foglio. Avevo diciassette anni e la mia passione per la scrittura non l’avevo riscontrata in nessun mio altro coetaneo. Qualcuno dei miei amici magari dipingeva, ma a scrivere ero il solo. Mi avviai verso il mercato rionale del mio quartiere che mi collegava alla palestra, vidi gente che contrattava con i proprietari del banco per riuscire a comprare una maglietta a 10 euro invece che 20 euro e non riuscirci, oppure gente che urlava che le proprie mele erano migliori di tutte le altre e non riuscivo a fare a meno di pensare alla bellezza cruda di quel posto. Un luogo dove tutti gli abitanti del quartiere, e non, si incontravano per fare la spesa o magari un semplice giro. Tra gli schiamazzi della gente e il rumore delle macchine, riuscii a distinguere una voce a me familiare.
“Oh Andrea!”
Mi girai scorsi una testa bionda cenere correre per riuscire a raggiungermi.
“Cazzo, ma sei sordo?” mi disse sorridendomi. Quello era Mirko, il mio migliore amico. Io e Mirko ci conoscevamo praticamente da sempre, eravamo andati a scuola insieme da quando, praticamente, ci cagavamo ancora addosso, finché alle medie non avevamo intrapreso carriere scolastiche diverse, ma ci vedevamo comunque quasi tutti i giorni con gli altri della comitiva oppure per andare in palestra insieme.
“Mi avevi detto che non saresti venuto oggi!”
“Sì, lo so, ma c’ho ripensato, mi annoio dentro casa, poi con mia sorella dentro, due coglioni!” disse facendo anche il gesto con le mani
“Hai fatto bene” risposi io.
Quel giorno teoricamente non saremmo dovuti andare in palestra, dato che era un giorno scolastico. Era giorno di scuola ma capitava spesso che si facessero degli scioperi collettivi in quell’anno. Perlopiù si protestava contro le riforme Gelmini, e quel giorno era una di quelle volte.
“Alla fine Zappo ci è andato a scuola?” gli chiese Mirko mentre attraversavano una piccola salita per arrivare all’entrata della palestra.
“Non so, ieri sera aveva detto che doveva andarci per forza dato che è già mancato troppi giorni per saltare le verifiche, anche se credo che lo boccino.”
Senza neanche accorgersene già si ritrovarono all’entrata del centro sportivo, dove si sentivano le voci degli iscritti che parlavano di fronte la porta d’ingresso. Quel centro sportivo era un raduno per tutti quei ragazzi che volevano allenarsi o, anche, socializzare. Ed era proprio per quel motivo che alcuni ragazzi, tra cui Mirko, si iscrivevano, rimorchiavano qualche ragazza, alcune anche belle, se le portavano a casa loro quando i genitori non c’erano, se le scopavano e fine della storia. Le ragazze iscritte erano composte al 90% di troie, all’8% di cessi abominevoli e al restante percento di ragazze mediocri che non te la facevano vedere neanche in cartolina. La nostra era l’età del sesso, l’età di quando smetti di farti le seghe davanti “youporn” e affronti una vagina vera. Io però non ero come Mirko, cioè anche io ero un habitué di video porno, però non volevo scoparmi la prima che passava. Volevo scoparmi quella giusta, oppure, illudersi che quella che si scopasse per prima fosse quella giusta. Una voce mi assolse dai miei casti pensieri.
“Questo è tutto, se ti senti pronta da domani puoi già iniziare.”
“Va bene, ti ringrazio.”
Riconobbi subito la prima voce, maschile e profonda, era del proprietario del centro sportivo, Rocco, che da giorni si sapeva cercasse una nuova assistente alla clientela dato che quella vecchia si era trasferita a Londra con la figlia che l’aveva invitata a stare lì con lei per sempre. “Beh, tanto meglio.” Pensai io, quella vecchia era antipatica e pure fricchettona.
“Oh, Rocco deve aver preso una nuova, speriamo che almeno ‘stavolta sia bona” mi disse Mirko facendomi spalletta.
“Non credo, conoscendo i gusti di Rocco, me l’aspetto più simile ad un rospo che altro, confido almeno nella simpatia.” Gli risposi ridendo, ma non avevo fatto i conti con il destino infame.
Appena io e Mirko ci avvicinammo alla direzione dallo stesso corridoio di marmo che portava allo spogliatoio, scorgemmo due figure, una alta, piazzata di muscoli e con un ciuffo nero degno di James Dean che dava modo di riconoscere Rocco. L’altra stava di spalle, come se stesse fissando qualcosa, ma ad ogni modo si poteva notare una donna con un fisico abbastanza alto e marmoreo, e questo a me e a Mirko già bastava. Aveva delle gambe che avevano la forma del peccato e del desiderio più ardente di ogni adolescente, capelli rosso mogano con un taglio a caschetto.
“C-ciao Rocco.” Balbettò Mirko, facendo comunque vedere la sua sfacciataggine, era chiaro che il motivo del saluto non era semplice cortesia, ma una Dea alta più o meno 1,75 m.
La ragazza si girò verso di noi, e con due occhi color smeraldo che non ci eravamo neanche mai sognati, incurvo quelle labbra carnose in un sorriso, un sorriso abbastanza grande da far spalancare le porte dell’inferno, dove io non esitai neanche un minuto a scavalcare l’uscio.
   
 
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