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Autore: ninety nine    08/10/2015    8 recensioni
[Famiglia Hawthorne - Pre saga/ Missing Moment Mockingjay]
''Non ti credo, sai?''
Gale aveva sollevato il mento con fare orgoglioso, cercando di far sì che lo sguardo colmasse la differenza di altezza che c'era tra loro.
Osservandoli così, in piedi l'uno di fronte all'altro, la stessa espressione testarda dipinta in viso e gli occhi fissi l'uno in quelli dell'altro, padre e figlio non erano mai sembrati così simili.
''Mi sa tanto che le ali ti stanno già crescendo, ometto. Vieni dentro, dai.''
''Mi racconterai cosa è successo veramente?''
Ian sollevò un sopracciglio osservando il ragazzino che indugiava, con le braccia conserte e il viso ostinato.
''Se non entri non lo saprai mai. E oltretutto ti prenderai un bel raffreddore.''
''Magari ci vorrà del tempo, magari ci vorranno un po' di ossa rotte, ma io spero che tu riesca a costruire la tua vita in modo da poter dire, un giorno, senza rimpianti o senso di colpa, io ho vissuto.''
'Tornerò' si disse 'E quando lo farò insegnerò loro a volare'.
''Giuro che tornerò, Posy'' [...]
Era una promessa, quella, fatta al sangue del suo stesso sangue. Sarebbe tornato e avrebbe donato loro la vita, quella vera.
Genere: Slice of life, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Mr. Hawthorne, Posy Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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            I swear I lived



                                                            





 

Hope when you take that jump

You don’t feel the fall

Hope when the water rises

You built a wall

Hope when the crowd screams

They’re screaming your name

Hope if everybody runs

You choose to stay

Hope that you fall in love

And it hurts so bad

The only way you can know

You gave it all you had

And I hope that you don’t suffer

But take the pain

Hope when the moment comes,

You’ll say

I did it all

I owned every second that this world could give

I saw so many places, the things that I did

Yeah with every broken bone

I swear I lived

 

Il bambino sedeva a gambe incrociate fuori dalla porta di casa, ignorando la pioggia che scivolava insolente giù dal cielo grigio come i suoi occhi e gli schizzi di fango che sollevava con il suo continuo dondolare avanti e indietro.

Aveva sette, forse otto anni e la tendenza a dover muovere sempre almeno un muscolo, ma i suoi occhi rimanevano fissi e concentrati sulla strada deserta che conduceva alla miniera.

La sera era arrivata da un po', ma con lei non era ancora giunto il padre del bambino.

Ian* Hawthorne faceva il minatore da tutta la vita, non che al Dodici si potesse fare molto altro, quando si nasceva poveri, e cercava sempre di arrivare a casa il prima possibile per stare con la famiglia più che poteva, cosa che il suo primogenito Gale sapeva bene.

Infatti aveva preso l'abitudine di attenderlo fuori casa, sorridendo fiero quando lo vedeva arrivare. Agli occhi di tutti gli altri, l'uomo poteva sembrare soltanto uno dei tanti abitanti del Giacimento con le mani rovinate dal lavoro, ma per il figlio la divisa sporca e il caschetto da minatore erano motivo di orgoglio più della corona di un re.

''Mamma?''

La voce del bambino suonava lievemente tesa, anche se suo padre gli stava insegnando ad essere paziente e a non lasciare che la paura o l'ansia lo dominassero.

Le tue radici sono qui, Gale. Rimarrai legato per sempre a questo posto, perché è qui che sei nato e che stai crescendo. Non è un gran bel posto, lo so, ma tanto vale che io cerchi di regalarti qualcosa. Le tue radici affondano in questa terra, tu cerca di estrarre quello che puoi. Per farlo, sii paziente. L'ansia e la paura aiutano soltanto chi ci governa a sottometterci. Sii paziente e un giorno riuscirai a compiere il salto che ti farà diventare l'uomo che vorrai. Spero che quando lo farai non sentirai la caduta, perché vorrà dire che io e mamma ti abbiamo aiutato ad aprire le ali.

Spesso il bambino non capiva il senso di quei discorsi che suo padre gli faceva in serate particolarmente fredde, o tristi, o quando il cibo in tavola scarseggiava, ma ne serbava il ricordo nella sua mente, pronto a farne tesoro in caso di necessità.

''Come mai il papà è in ritardo?'' domandò dalla soglia di casa.

Dall'interno giunse la voce della madre, impegnata probabilmente ad allattare il fratellino più piccolo, ma Gale non distinse le parole.

Non gli servirono, perché la figura di Ian si delineò all'orizzonte.

Scattò in piedi, pronto a corrergli incontro e a farsi raccontare qualcosa prima di andare a dormire, come quella volta in cui alla televisione avevano sentito che nel Distretto Cinque la rottura di una diga aveva causato un gran numero di morti e gli occhi di Ian si erano accesi d'ira.

Era successo un paio di anni prima, ma lui era rimasto profondamente scosso da quella vena che aveva intravisto nel padre.

Chissà come mai si arrabbia così si era detto, anche se la risposta l'aveva sentita, la sera, quando i suoi genitori credevano che dormisse e parlavano dell'accaduto, e tra le frasi che più suo papà aveva ripetuto c'era qualcosa che aveva a che fare con la schiavizzazione e i poveri utilizzati soltanto come oggetti da lavoro o, nel caso specifico degli abitanti del cinque, da costruzione per le chiuse.

Quelle parole avevano colpito il bambino, che era rimasto ad osservarsi una mano chiedendosi come potesse trasformarsi nel mattone per una diga. Era piuttosto certo che non lo intendesse letteralmente, ma si immaginava il dolore di una tale mutazione.

Ian l'aveva trovato così, qualche minuto dopo, immobile seduto sul letto matrimoniale che ancora poteva usare da solo, dato che Rory non era nato.

''Cosa vuol dire che siamo solo oggetti?'' si era sentito chiedere.

Un padre normale probabilmente sarebbe rimasto attonito, cercando una risposta per quella domanda così complessa, ma lui aveva sorriso e si era seduto accanto al figlio.

Gale ricordava i suoi occhi, più calmi di quando era arrivato a casa, scrutare le pietre che formavano le pareti della stanza e poi poggiarvi una mano con una strana solennità.

''Se proprio dovrai essere un oggetto, sii come una di queste pietre. Forte e robusta, così non dovrai aver paura dell'acqua. Oggi, nel Cinque, dei bambini come te sono rimasti senza un papà o una mamma perché un muro non ha retto, ma spero che tu potrai costruirne uno capace di resistere a qualsiasi cosa, per tenere al sicuro le persone che ami.''

''Ma se le persone che amo siete voi due, allora al muro hai già pensato tu.''

La semplicità di quelle parole avevano fatto sorridere Ian nuovamente.

''Tu non sai nemmeno quanto bene voglio io a te. Ma chissà, molto probabilmente tu quando sarai un po' più grandicello ti innamorerai. E' successo anche a me e a Elle**, altrimenti tu non saresti qui con noi. Io spero che ti succederà, anche se l'amore a volte fa male. Un po' mi sento in colpa a dirtelo così, ma è la verità ed è giusto che tu lo sappia.''

Il piccolo aveva fatto un faccino buffo, che ora che era cresciuto non riusciva più a replicare. Chissà come mai suo padre si era sentito in colpa a fargli quel discorso sull'amore. Gli era piaciuto ascoltarlo, tanto che se ne ricordava anche ora che era passato un po' di tempo.

''Fa male come quando cadi e ti grattugi*** le ginocchia?'' aveva chiesto.

''No, causa una altro tipo di dolore.''

Ian sembrava divertito in quel momento, mentre portava l'indice sul petto del bambino.

''Si sente qui.''

''Sul cuore?''

''Sì, ed è per questo che è una sofferenza necessaria. Serve per capire che hai trovato qualcuno, o qualcosa, o magari entrambi, sai, perché ci si può innamorare sia di una persona che di un'ideale, a cui dedicare tutto ciò che di importante hai, ovvero il cuore. Quando regali il cuore in automatico regali anche la mente e il corpo.''

Come ci si innamora di un'idea?

Anche se ancora non lo sapeva, in quella sera piovigginosa a distanza di due anni, un po' lo avrebbe compreso.

Perché suo padre zoppicava. Non era il suo solito avanzare stanco, quello, ma qualcosa di peggio.

''Pà?''

Gale gli si avvicinò piano con gli occhi preoccupati e spaventati, anche se tentava di nasconderlo.

Gli ci vollero pochi secondi per individuare una macchia più scura all'altezza del polpaccio dell'uomo.

''Che cosa hai fatto?''

Nei suoi occhi brillava prepotente quella scintilla adulta che da sempre lo aveva caratterizzato.

Ian gli passò affettuosamente la mano fra i capelli corvini, ma lo fece in modo distratto, come se gli premesse arrivare in casa il più in fretta possibile.

''Sono inciampato, giovanotto. Nulla di grave'' si lasciò scappare, nonostante solitamente evitasse di mentire, soprattutto al figlio.

Non era nella sua indole farlo ed era fermamente convinto che le menzogne non portassero mai nulla di buono.

Quando si accorse di essere guardato con occhi poco convinti, provò a fare un'espressione rassicurante.

''Non ti credo, sai?''

Gale aveva sollevato il mento con fare orgoglioso, cercando di far sì che lo sguardo colmasse la differenza di altezza che c'era tra loro.

Osservandoli così, in piedi l'uno di fronte all'altro, la stessa espressione testarda dipinta in viso e gli occhi fissi l'uno in quelli dell'altro, padre e figlio non erano mai sembrati così simili.

''Mi sa tanto che le ali ti stanno già crescendo, ometto. Vieni dentro, dai.''

''Mi racconterai cosa è successo veramente?''

Ian sollevò un sopracciglio osservando il ragazzino che indugiava, con le braccia conserte e il viso ostinato.

''Se non entri non lo saprai mai. E oltretutto ti prenderai un bel raffreddore.''

Gale scosse la testa.

''Non mi ammalo io. Sono un Hawthorne.''

''Lo so. Ce l'hai scritto in viso.''

L'uomo accompagnò queste parole indicando con il mento la porta di casa al figlio, poi continuò sottovoce.

''Spera soltanto che quando la folla capirà di che pasta sei fatto decida di urlare il tuo nome per aiutarti, e non per aizzarti contro un paio di Pacificatori.''

 

 

 

Poco tempo dopo Ian, con la ferita medicata da una Hazelle che non aveva reputato necessario scomodare la signora Everdeen a quell'ora, sedeva con il figlio sul materasso che fungeva loro da divano.

''Allora, che cosa è successo?''

La voce del bambino lo raggiunse insistente e lui sospirò.

''Sei proprio testardo, eh?''

Gale fece spallucce.

''Te lo ha fatto un Pacificatore?''

L'uomo si voltò e cercò lo sguardo del ragazzino, che si fece serio.

''Lo sai che non è importante questo, vero?''

''Come mai?''

Dicendo ciò, il bambino storse il naso.

Gli sembrava qualcosa di importante, come mai suo padre si fosse fatto del male, anche se ora sembrava stare bene. Si rimetteva in fretta. Dopotutto, era un Hawthorne e lui era orgoglioso di essere suo figlio.

''Perché l'importante è sapere che mi è successo scegliendo l'altruismo'' sussurrò ''Un ragazzo stava male, in miniera, e io ho deciso di rimanere ad aiutarlo anche quando i Pacificatori avevano ordinato a tutti di andarsene.

Non mi sembrava giusto, così sono rimasto lì, anche quandogli altri gli hanno voltato le spalle.''

Gale annuì.

''Lo avrei fatto anche io.''

''Ci scommetto.''

Il minatore gli poggiò una mano sul braccio.

''Spero che manterrai questo coraggio dentro di te per quando le cose cambieranno.''

''In che senso cambieranno?''

''In meglio. Lo capirai se succederà, anzi, saremo io e te a farlo accadere.''

Hazelle comparve alle spalle di Ian e gli diede uno scappellotto affettuoso sulla nuca, osservandolo a metà fra il divertito e l'ammonitore.

Il marito si sollevò e poggiò le labbra su quelle della moglie in un rapido bacio, ignorando la fitta di dolore alla gamba.

Erano quei piccoli, semplici gesti a sancire giorno per giorno il loro amore. In quei momenti i loro volti si illuminavano e con essi anche quello del figlioletto che spesso li osservava. Erano poveri e se ne rendevano conto, ma le difficoltà sembravano svanire momentaneamente quando erano, semplicemente, una famiglia.

''Questo ometto qui dovrà pur sapere quello che passa per la testa a suo padre, no?''

''Direi che su certe cose è meglio di no. Siediti ora, o quella gamba non guarirà mai.''

Ian finse di mettersi sull'attenti, ma nel frattempo ricadde sul materasso mordendosi un labbro.

Quel momento era già terminato e loro erano stati prepotentemente richiamati all'ordine dalla realtà dei fatti.

''Signorsì!'' continuò ridendo, consapevole dello sguardo attento di Gale fisso su di sé ''O meglio, signorasì!''

Mascherando con abilità la sofferenza, gli passò un braccio intorno alle spalle e ricominciò a parlare con lui.

''Vedi? La tua mamma non si è mai fatta del male, quindi non sopporta il dolore neanche sulle altre persone. Un po' è anche per questo che ci siamo innamorati, vero Elle?**''

''Parla per te'' bofonchiò Hazelle tirandogli un altra leggera sberla.

Sentendo il neonato che piagnucolava nell'altra stanza, la donna si spostò in camera.

''Non so chi sia il più piccolo fra te e Rory'' concluse mentre se ne andava, lanciando un'occhiata eloquente al marito.

Un finto sbuffo fuoriuscì dalle labbra di quest'ultimo, che con le dita si sfiorò la ferita.

''Secondo me anche mamma ha sofferto. Lo si vede dai suoi occhi e dal modo in cui reagisce ai tuoi discorsi, quelli sulla libertà e sulle persone usate come oggetti. Sembra voler annuire, ma si trattiene. Perché ci sono io, credo.''

Le dita di Ian si strinsero al pantalone in un moto di tensione.

''Sei troppo sveglio, tu. Finirai per cacciarti nei guai e farti male. Come me e come mamma, perché hai ragione quando dici che anche lei ha sofferto.''

Cercando di mantenere la linea scherzosa che aveva caratterizzato quella serata, finse di lanciare un'occhiata verso la camere per vedere se la moglie stesse ascoltando, poi continuò sentendo accanto a lui una risata.

''Ora sembra la migliore delle madri, ma sotto sotto ha un carattere che è proprio come il mio e il tuo. Probabilmente però ha due dita di testa in più e lo tiene a bada.''

Gale sollevò due dita e le appoggiò sulla fronte, come faceva ogni volta che sentiva quell'espressione. In lui convivevano quei due aspetti, il bambino e l'adulto.

Troppo presto il secondo avrebbe soppiantato il primo, Ian lo sapeva. Succedeva a tutti i primogeniti del Giacimento.

A tutti.

Le ali che i genitori cercavano di lasciare ai figli dovevano crescere forti, e farlo in fretta. Perciò, ancora più importanti erano le radici che venivano lasciate.

Per suo figlio, Ian sperava che fossero libertà, orgoglio e soprattutto vita. Vita vera, quella per cui combattere, non quella da schiavi.

''Spero che tu le abbia ereditate, queste due dita.''

Ian serrò fra le sue dita callose quelle più esili del bambino.

''Ma il dolore è necessario per crescere. Ci si fa male, come è capitato a me oggi e molte altre volte.

Poi si impara a sopportare il dolore e si va avanti: si ricomincia a vivere e a combattere per la vita.''

''Come si fa a vivere e a combattere per la vita nello stesso tempo?'' domandò il ragazzino, mimando il numero due con le dita.

''Si può. Ti assicuro che si può. Dipende dal tipo di vita che si vuole.''

Gale giocherellò con il bordo rovinato del materasso.

''E tu come la vorresti?''

Anche Ian iniziò a farlo, cercando però di unirne i punti frastagliati.

Attese alcuni istanti a rispondere e, prima di farlo, si passò la lingua sulle labbra.

''Per te? Diversa. Anzi, ti dirò che mi sento in colpa per non aver combattuto di più per poterti dare una vita effettiva.''

''Effettiva nel senso di non da oggetti?''

L'uomo si inumidì di nuovo le labbra prima di parlare. Affrontare quei discorsi gli piaceva, anche se doveva fare attenzione a ciò che diceva, dato che sembrava che il figlio si imprimesse nella memoria ogni singolo concetto.

''Nel senso che dovrai arrivare alla sua fine e poter dire di aver colto ogni occasione che ti veniva offerta e di aver trascorso ogni secondo.''

Si interruppe, prendendo un respiro profondo per poter scandire meglio le parole. ''Come lo volevi tu, intendo'' spiegò, accennando con il mento al ragazzino che aveva rivolto lo sguardo verso la finestra, con gli occhi seri e lontani.

''Allora dovrei vivere ogni secondo nei boschi.''

Ian abbozzò un sorriso amaro, tanto da somigliare quasi ad una smorfia.

''Lo dici perché ora quei momenti ti regalano la libertà che non hai. Ricordatelo sempre: la foresta, la caccia, sono solo una minima parte di ciò che di buono si è salvato da Snow. Tu dovresti poter dire, da anziano, di averle viste e vissute tutte, queste cose.''

Gale tornò a concentrarsi sul materasso per qualche istante, poi sollevò il viso sul padre.

''E a te è successo?'' chiese, correggendosi poi quasi subito ''Ah, no. Tu non sei anziano, in effetti. Ma ti succederà?''

''Se le cose restano come sono ora, no'' fu la risposta ''Ma possono cambiare. Magari ci vorrà del tempo, magari ci vorranno un po' di ossa rotte, ma io spero che tu riesca a costruire la tua vita in modo da poter dire, un giorno, senza rimpianti o senso di colpa, io ho vissuto.

 

 

Hope that you spend your days

And they all add up

And when that sun goes down

Hope you raise your cup

Oh, oh oh

I wish that I could witness

All your joy

And all your pain

But until my moment comes

I’ll say

I did it all

I owned every second that this world could give

I saw so many places, the things that I did

Yeah with every broken bone

I swear I lived

 

Tre bambini, un ragazzo e una donna sono in piedi, in un angolo del garage immerso nella semioscurità. Le loro ombre sembrano scomparire in mezzo alla grandezza di quel luogo sotterraneo, rifugio di hovercraft e armi.

Il giovane è in divisa militare, con una bisaccia buttata di sbieco su una spalla. Si capisce che non è nell'esercito da molto, poiché quel modo di portare la borsa è più da cacciatore che da soldato.

Sul braccio ha stampigliato un numero con l'inchiostro viola: 451.

Gli occhi della donna, come quelli dei tre bambini, fratelli minori del ragazzo, sono preoccupati e trasmettono il forte affetto che provano verso di lui, che li abbraccia e dedica ad ognuno qualche parola.

Sembra forte, sicuro si sé, ma sua madre nota che la voce gli trema leggermente mentre le sussurra: ''Tornerò, te lo prometto.''

Le stesse parole pronunciate dal marito il primo giorno di lavoro in miniera.

La donna si sente in colpa perché sa che Gale ha scelto la sua strada, quella più giusta a livello morale; ha scelto di camminare sulle orme del padre, di seguire il richiamo della libertà e di quella vita che Ian sognava, ma lei, da madre, in quel momento vorrebbe soltanto che rimanesse lì, con loro, relativamente al sicuro.

Aveva già perso il consorte, non voleva perdere anche un figlio.

''Lo so che tornerai. Devi farlo.''

Le ultime parole scivolarono fuori dalla sua bocca prima che potesse fermarle e gli occhi del giovane si velarono di tristezza.

''Mi rivedrai, mamma. Mi rivedrete tutti e quattro. Magari avrò qualche osso rotto, ma ti ricordi di quello che diceva papà?''

Hazelle annuì piano.

''Giura di aver vissuto'' sussurrò.

Gale poggiò una mano sulle sue spalle e la attirò a se in un lungo abbraccio.

Nessuno dei due parlava, perché in un rapporto profondo come quello che c'è tra una madre e suo figlio a volte i corpi si esprimono meglio della voce.

Rimasero lì, madre e figlio, radice e ala, lasciando che il tempo si fermasse per qualche istante, trattenendo con sé le preoccupazioni per far sì che loro potessero essere un'ultima volta il piccolo che inciampava e la mamma pronta ad aiutarlo a rialzarsi.

L'abbraccio venne interrotto dalla bambina, che si avvicinò al ragazzo e gli tirò con insistenza la manica della giacca.

Lui rimase per qualche istante ancora con gli occhi fissi in quelli della madre, dello stesso grigio, soltanto un po' più chiaro, poi si voltò verso la sorellina.

''Devi proprio partire?'' si sentì domandare.

Gale le riordinò la frangetta, che le aveva ormai raggiunto gli occhi.

Mentre lo faceva aveva le labbra strette che sembravano avere voce, almeno quanto gli occhi che guardavano lontano senza vedere davvero.

Parlavano di rimorso, di insicurezza; tradivano la sua paura di star facendo la cosa sbagliata, di star seguendo una strada che non l'avrebbe mai portato a dire di aver vissuto, ma soltanto di essersi allontanato dalla sua famiglia.

Ma più di tutti, tradivano il suo senso di colpa, perché aveva voglia di partire, di andarsene dai sotterranei del Distretto Tredici e di gettarsi in una guerra, di combattere meccanicamente per allontanare i pensieri e le preoccupazioni che da tutta la vita gravavano sulle sue spalle.

Sentiva le ali che suo padre aveva tanto desiderato che lui avesse che scalpitavano per aprirsi, sentiva la guerra che lo chiamava e si rendeva conto con orrore che era pronto a rispondere all'appello.

Quei suoi stessi pensieri lo spaventavano.

Dove era andato a finire il bambino di otto anni che voleva costruire un muro per tenere la sua famiglia al sicuro? Era davvero lui, lo stesso che ora non esitava ad abbandonarli in nome dei suoi ideali, che oltretutto nessuno sapeva se si sarebbero avverati oppure no?

A Gale dispiaceva ammetterlo, ma la risposta alla seconda domanda era sì, e la cosa faceva male. Faceva paura. Provocava rimorso.

Posy però non leggeva tutto ciò nei suoi occhi.

Non poteva indovinare, dall'alto dei suoi cinque anni, ciò che passava nella mente del fratello e toccava a lui stesso spiegarlo nel modo più semplice ed efficace possibile.

''Dovresti tagliarti i capelli, peste'' disse, cercando di dare al tono della sua voce una parvenza serena e di fare lo stesso con l'espressione della sorellina.

Sapeva che di solito non appena si parlava di tagli di capelli Posy cercava di evitare l'incombenza e si dilettava in scenette a metà fra il tragico e il ridicolo, che sfociavano quasi sempre in una lotta amichevole.

Quella volta però non riuscì nel tentativo di farla ridere, perché il viso della sorella rimase imbronciato.

La fronte corrucciata della piccola lo fece tornare serio.

''Sì, devo'' sussurrò piano ''Ma tornerò.''

Gli occhi della bambina minacciavano di riempirsi di lacrime e lui non avrebbe sopportato, in quel momento, di vederla piangere.

Sentiva sulla schiena gli occhi degli altri due membri della famiglia che aspettavano la sua reazione. Sapeva che anche loro due avrebbero voluto che lui restasse, ma non si esponevano: utilizzavano la piccola di casa come una specie di ambasciatrice per far breccia nel suo cuore, dato che era stato per lei come un padre.

Ci sono due lasciti durevoli che possiamo dare ai nostri figli. Uno sono le radici. L'altro le ali.

Erano parole di Ian, quelle.

Lui era la cosa più simile ad un papà che quei tre bambini avessero e forse andandosene avrebbe fatto la cosa sbagliata. Ma le radici si erano formate, lo sapeva, perché erano tre Hawthorne ed erano come lui. Per le ali aveva tempo, no?

E poi c'era sua madre.

Sua madre, che l'aveva implorato di restare e lui invece se ne stava andando comunque.

Di nuovo il senso di colpa gli attenagliò le viscere.

Tornerò si disse E quando lo farò insegnerò loro a volare.

''Giuro che tornerò, Posy'' aggiunse dando voce ai suoi pensieri, o almeno alla parte positiva di essi.

Era una promessa, quella, fatta al sangue del suo stesso sangue. Sarebbe tornato e avrebbe donato loro la vita che il padre avrebbe desiderato.

Il giovane si avvicinò ancora di più alla sorellina e accostò la bocca al suo orecchio.

''Immaginati la scena, al mio ritorno, come se fosse una delle fiabe che ti piacciono tanto: io e te, la sera, nei boschi, che festeggiamo e brindiamo insieme. Ci sono i brindisi nei finali delle storie, no?''

Posy tirò su con il naso.

''E la mamma, Rory e Vick?'' disse, cercando di non mostrarsi troppo interessata da quella piega fiabesca del discorso.

''Ci saranno anche loro'' continuò, questa volta a voce un po' più alta ''Ci saranno tutte le persone che vorrai e alzeremo i calici insieme, verso il cielo, verso la vita, verso i giorni futuri da vivere positivamente, tutti insieme.''

''Non possiamo pro...propio**** farlo ora?''

L'ostinazione nella voce della bambina era evidente.

Gale inarcò un angolo della bocca sentendola sbagliare a dire proprio. Lo faceva sempre, era l'unica parola che non riusciva a imparare correttamente.

Il giovane fece un lungo respiro prima di rispondere alla domanda, cercando di trovare il modo per farlo.

''Un giorno, tanto tempo fa, papà mi ha detto che da anziano avrei dovuto poter dire di aver visto ogni luogo e di aver fatto ogni esperienza. Per poter dire di aver vissuto veramente, capisci?''

Nonostante Posy avesse poco più che cinque anni, Gale distinse chiaramente la rabbia nei suoi occhi, insieme ad un pizzico di smarrimento, appena prima che sbottasse.

''E allora parti perché non hai mai visto il brutto posto dove abita Snow? Non avevi mica detto di odiarlo tu, quello?''

Una lacrima le scivolò sulla guancia.

Rory, richiamato dal tono di voce arrabbiata di quest'ultima si avvicinò e le poggiò la mano su una spalla.

Aveva già parlato con Gale la sera prima ed era quello che tra i fratelli aveva compreso di più i suoi discorsi, poiché era quello che ricordava meglio di tutti il padre.

Sembrava aver capito anche, almeno apparentemente, che si sentiva in colpa a lasciarli, ma che allo stesso tempo non poteva farne a meno.

''Diglielo tu a Gale che la guerra la può fare anche con i tuoi soldatini di legno!'' continuò la bambina gridando istericamente.

Poi si voltò in modo da dare le spalle ai due e si sedette con il viso fra le ginocchia.

''Posy...''

Gale cercò di ristabilire un contatto con lei.

''Vattene se vuoi. Io non ti parlo più. Mai più!''

Non succedeva quasi mai che la sua sorellina si arrabbiasse in quel modo ed era difficile per lui accettare di essere la causa di quei sentimenti.

Il ragazzo si accovacciò accanto a lei facendo però attenzione a non toccarla. Sapeva che, se in quel momento avesse fatto un passo falso, lei si sarebbe alzata e sarebbe corsa via e lui avrebbe perso l'ultima possibilità di dirle quanto le voleva bene e quanto era orgoglioso di lei.

''Quel giorno, papà mi disse anche che si sentiva in colpa perché non era riuscito a fare in modo che io avessi una vita vera. Ora vado via per cercare di darla a voi, capisci? Perché lui l'avrebbe voluta anche per te, anche se non ti ha mai conosciuto di persona, e per Vick, per Rory e per tutti gli abitanti di Panem.''

Per alcuni istanti rimasero così, fratello e sorella, uno accanto all'altra, giovane e bambina.

Poi Posy si voltò di scatto e lo strinse a sé.

I bambini si arrabbiano con facilità, ma perdonano altrettanto rapidamente.

Sua sorella non faceva eccezione, anche se a volte sembrava che l'orgoglio tipico degli Hawthorne rendesse difficile il secondo passaggio.

''Però tornerai, vero? Me lo prometti?''

Gale sentì l'uniforme inumidirsi dove doveva esserci il viso della piccola e affondò una mano fra i suoi capelli disordinati.

''Te lo prometto, Posy. Te lo prometto.''

Un nuovo singhiozzo, ma più debole dei precedenti, la scosse.

''Tu intanto cerca di passare dei bei momenti, d'accordo? Perché per un po' non sarà il mio turno di vederli, ma quel momento arriverà presto e allora io sarò testimone di ogni istante della tua vita, che sia di gioia o di dolore.''

Dopo quell'affermazione si alzò e strinse un'ultima volta i famigliari uno ad uno.

L'ultima cosa che ricordava, prima del rumore dell'Hovercraft in partenza verso il Dodici, era la voce della minore di casa.

''Mi racconterai ancora di papà, quando tornerai?''

Gale evitò di voltarsi, perché il peso sul cuore diventava per lui più forte ad ogni passo che faceva lontano dalla sua famiglia.

Nulla però evitò che annuisse all'aria, quasi come se Posy avesse potuto capire che quel movimento era la risposta alla sua domanda.

Sarebbe tornato da loro il prima possibile per vederli ancora crescere, per regalare loro una vita libera, una vita vera, ma allo stesso tempo potendo dire, senza rimorsi o senso di colpa: ''Giuro di aver vissuto.''

 

 

 

Buonasera a tutti! Grazie per aver letto questo papiro!

Spero vivamente che vi sia piaciuto, perché ci ho messo una parte di me ^^

Come (spero) sia chiaro, la prima parte è ambientata prima della saga, con un piccolo Gale bambino alle prese con le rifessione di suo padre (e con le canzoni degli One Republic...ascoltatevi I lived se ancora non l'avete fatto, perché è stupenda. Il testo che divide i due paragrafi proviene da lì!), mentre la seconda nel momento in cui Gale parte per Capitol City con la squadra 451 (lo stesso numero di Farenhait 451...non me n'ero mai accorta!), ed è incentrato soprattutto sul rapporto fratello-sorella.

La storia è nata per il contest ''Buon sangue non mente...?'' sul forum di EFP, incentrato sui rapporti famigliari e con la canzone sovra citata come prompt, insieme alla frase ''Sono sue i lasciti che possiamo sperare di dare ai nostri figli: una sono le radici, l'altra le ali'' e al prompt ''Senso di colpa''. Ecco il bellissimo banner di partecipazione!

Nulla, spero davvero che la storia vi sia piaciuta, se così fosse (e anche se non fosse, ovviamente!) lasciatemi una recensione, mi fareste molto molto piacere.

Se lo farete, potrete dire di aver speso positivamente quei minuti!

Oh, giusto...qui sotto trovate le spiegazioni degli asterischi che ho lasciato lungo il testo, tipo sassolini di Pollicino ^^

Grazie a tutti, a presto 99

 

*Nome che ho dato al padre di Gale.

**Accenno ai fatti narrati in ''Grigio contro grigio'', dove si parla del primo incontro fra Ian e Hazelle (soprannominata qui Elle)

***Espressione usata dalle mie parti, intesa come 'sbucciarsi le ginocchia'. Non so se si dica anche nel resto d'Italia XD

****L'errore ortografico qui è voluto

 

 

PS: Mi prendo qui due righe per rivolgermi a Kary91 e alla meravigliosa famiglia Hawthorne che è riuscita a creare, visti i trascorsi. Ho cercato il più possibile in questa storia di rendere miei questi personaggi che abbiamo in comune, più di così non so che cosa fare. Questi sono loro, per come me li immagino io, per come li vedo muoversi e agire nel mio cervello e nel mio cuore.

Spero che tu non ti senta copiata, ma sappi che se ho iniziato a scrivere su di loro il merito è anche tuo.


  
Ho partecipato all'Evento con questa storia :) Se vi va di passare a dare                                                                                                     un'occhiata al gruppo lo trovate here: https://www.facebook.com/search/results/?init=quick&q=In%20cambio%20di%20una%20recensione%20in%20pi%C3%B9%20%3C3&tas=0.6533928089775145                                                                                                                     

  
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