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Autore: Amaya Lee    08/10/2015    2 recensioni
[ Daisuga | Corpse Bride AU | one-shot ]
Daichi gli strinse le mani senza curarsi della cadaverica aridità con cui combaciarono con le proprie. Le mani strinsero di rimando, perché mani bisognose d'amore.
"Lo farò."

C'è chi ammette con coraggio che siam solo di passaggio! Si sa già che al suo destino non si salva mai nessuno.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara, Yui Michimiya
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ma una sola morte




 

Dai, dai, che tocca anche a te! Morire ad oltranza, che male c'è? Tu prova a scappar, raccomandati ai santi, ma dovremo alfin morir tutti quanti.




Dalla foresta sinistra si trascinarono gli ululati del vento, le lamentele dei rami stecchiti, come inni dell'orlo di un mondo completamente ignoto. La campanella  recava ancora l'eco del proprio tintinnio nelle orecchie di Daichi, riesumando le sensazioni di claustrofobico nervosismo, la vetrata a volta della chiesa a sbarrare la vista del cielo annuvolato. Il giovane serrò gli occhi e fece un profondo respiro. La notte l'aveva colto oltre il ponticello del paese, solo e investito dal freddo vaporoso della terra. Ma non intimorito. 
Magari ci fosse stato spazio per il timore, tra tutte quelle preoccupazioni. 
Si costrinse a varcare la soglia di tronchi, penetrando l'ombra dove la faccia luminosa della luna non si spingeva. 
Camminò e pensò, e camminò ancora. E intanto che camminava e pensava, mormorava. 
Si fermò in uno spiazzo che la prima neve della stagione aveva sepolto, giacché del suolo sporgevano solamente arbusti e rami biforcuti, e il baluginio occasionale che ne era solo lo specchio dimenticato. Daichi, con le suole scriocchiolanti sopra il rigido manto congelato, andò a edersi su un tronco così seccamente mozzato che riuscì ad immaginarsi il colpo nella testa, simile a quello dei decapitati;
zac!
Si portò le mani alla nuca, chinando il capo, e fissò le punte delle scarpe da festa. Erano rovinate, adesso. Con tutta probabilità la sua futura cognata aveva ragione; Daichi era un disastro, un fascio di nervi, un villano oltretutto. Chi altri avrebbe potuto rovinarsi le scarpe il giorno delle prove del proprio matrimonio? Chi altri si sarebbe bruciacchiato le dita con la cera della candela cerimoniale?
Eccola lì, l'ustione, tra l'indice e il pollice della mano destra, nient'altro che uno smacco alla sua credibilità, al discreto nome che cui suo padre aveva lavorato e sofferto tanto per costruire. Pungeva. Ma pungeva più il sapere che con quella mano avrebbe stretto quella di qualcun'altro, in futuro, e se Dio voleva.
"Con questa mano," dichiarò, una volta per tutte; "io dissiperò i tuoi affanni." Si fermò, ma solo per tastarsi la giacca, in cerca di quel qualcosa. "Il tuo calice non sarà mai vuoto, perché... Io sarò il tuo vino. Con questa candela–"
Nella tasca sinistra. 
Il tono risoluto della sua voce, nella più strana delle maniere, bastò a rincuorarlo al punto che si sollevò dal ceppo, muovendo qualche passo nella neve. Il suo fiato svaporò nella notte, "– Illuminerò il tuo cammino nelle tenebre." Si inginocchiò su una gamba. Chiunque gli avrebbe rimproverato di aver rovinato anche i pantaloni, più tardi, ma la foresta non protestò. Che la foresta lo ascoltasse? Poco importava, quando finalmente, appendendo l'anellino ad un rametto sporgente, enunciò; "Con questo anello, ti chiedo di essere mia."
Daichi trattenne il fiato, gli occhi due monete brillanti nella frizzante offuscatezza novembrina. Quella gioia destinata a durare poco meno di un illucido, febbricitante attimo in cui il mondo è ad appena un soffio dall'essere afferrato. 




...



Daichi si contorse le mani, ma tenne lo sguardo su di lui come un telescopio diretto ad un punto ben preciso della sfera celeste. Ci aveva fatto un'abitudine, di non guardarlo direttamente per troppo a lungo, ma non c'era niente da fare.
"Un giorno e due notti," Suga rifletté ad alta voce. Le sue braccia, o ciò che comunque di esse rimaneva, si slanciarono in avanti per permettergli di appoggiarsi alla staccionata. Nessuna luce nei suoi occhi temperati, solo il riflesso canticchiante di lanterne altrui; Daichi quindi non si spiegava come infondessero una tale dolcezza. "Ecco da quanto un'anima viva cammina per le strade dei morti." Suga non aveva smesso di sorridere da quando erano sbucati lassù, attraverso un tunnel nel quale scansare le ragnatele era a dir poco un'impresa, in un terrazzo più polveroso e più solitario del resto. Non poteva però aver perdonato ciò che Daichi aveva fatto.
Un dito scarnificato fino all'osso scheggiato, bianco come la cenere viva, seguì un tratto della precaria balaustra che sfogava dirimpetto l'immenso regno dell'aldilà. 
Un giorno e due notti, fece eco la mente di Daichi. Ma non disse una parola. 
Suga si voltò verso di lui, le pallide labbra tese in un gran sorriso che non era proprio suo, non mostrava i denti, ma per il momento sembrava anche più di quanto Daichi si meritasse da lui. "Avanti, Daichi. Vuoi startene seduto lì senza dare nemmeno un'occhiata?" 
Daichi si alzò, si spolverò i pantaloni, e gli andò accanto. Posò le mani sulla balaustra, temendo per un momento che si sarebbe spezzata. L'oltretomba non era un luogo buio, nè tetro. Il suo mondo, quello di-sopra, lo era forse di più. E Suga sembrava contento, qua-sotto. Gli avevano persino scritto una canzone, un inno all'amore ingannato.
"Affascinante, nevvero?"
Daichi annuì, sforzandosi di non voltarsi. Il sorriso di Suga si era allargato un poco e non era come quelli che la gente indossava – o non riusciva a trattenere – ai funerali. Da quel lato del suo capo Daichi avrebbe anche visto il foro che gli si apriva nel cranio, appena sopra l'orecchio, e non era sicuro di volerlo. 
Suga esitò, trattenendo chissà quali parole inopportune. Non faceva mai una gran attenzione a ciò che avrebbe potuto esserlo. Alla fine aggiunse, "però non potresti mai abituarticisi."
"Hm?" Daichi lo osservò con la coda dell'occhio, semplicemente perché l'orizzonte nebbioso dopo un po' perdeva d'interesse. "Cosa stai dicendo?"
"Basta vedere la faccia che hai fatto quando hai visto Maggot." Suga lasciò il proprio posto per sedersi sul sofà di molle rotte. Non aveva con sè quell'attitudine aristocratica e fredda che i viventi sembravano avere impiantata nella spina dorsale. No, Suga non era così. 
"... È un verme," gli fece notare Daichi, senza alcuna reale espressione.
"Un verme molto educato," fu corretto immediatamente. Suga nascose una risata dietro il carpo della mancina– se ne rese conto e cambiò mano, sollevando quella rivestita di pelle.
Daichi non poteva fare altro che guardarlo, ora. "Perché ridi di me?"
"Hai il Sole sulla pelle, Daichi," rispose l'altro. Suonò come una frase sfuggita, scivolata via dalle labbra in un istante involuto, ma Daichi non si ritrasse. "... E io me ne sono scordato per talmente tanto tempo che vederti è divertente."
Daichi non reagì, non subito. Tornò a guardare l'aldilà, ma pareva sbagliato. Così gli occhi incrociarono di nuovo quelli spenti di Suga e in qualche maniera, malgrado la tristezza, il tradimento, la solitudine, loro gli sorridevano.



Occhi caustici, occhi folgoranti, occhi traditi. Le tende di seta si mossero come il vento si alzava in favore della tempesta, e la tempesta aveva quegli occhi di chi pretende qualcosa indietro.
Camminò con eleganza sferzante sulle assi fredde, ai piedi le scarpe da festa, circondato da una luce tanto argentea quanto quella del pugnale che gli aveva inflitto l'unica morte del corpo. Faceva freddo nella stanza, faceva freddo per miglia, ovunque e nelle ossa.
Yui tremava. I brividi sbocciarono sulla sua pelle fanciullesca talmente forti che Daichi li percepì sotto i palmi, e strinse, quasi istintivamente, come se volesse mantenerla piantata al pavimento, alla Terra. La giovane non reagì a quell'urgenza. Bisbigliò, ma il fiato e la bocca le tremavano tanto che fu quasi incomprensibile, "Dio, Dio, Dio," e forse lo stava pregando, ma Dio non c'era per lei. Per loro.
Daichi volle poterla stringere più forte quando gli occhi della miseria, gli occhi dell'ira si fermarono su di lei. 

Lui disse una sola parola, ad occhi spalancati, circondato da un vento che non poteva venire soltanto dal mondo dei vivi. Diede un solo ordine, affilato come il pugnale che gli aveva strappato la vita.
"Ridammelo."



...




"Freddo," sussurrò Suga, piano, impossibile da udire. Guardava qualcosa di impreciso, disteso su un fianco con il capo posato gentilmente sul soffice cuscino del sofà. Aveva sempre amato il terrazzo, e la sua calma pace, la sua uniformità totale nel tempo che scorreva e non scorreva. Ma da anni non aveva più pianto, per alcun motivo al mondo, su quel terrazzo. 
Avrebbe raggiunto più tardi Daichi, che era sceso per primo. 
Suga avrebbe potuto ricordare a se stesso che stavolta non sarebbe andato lontano. Stavolta, non aveva modo di abbandonarlo. Stavolta, anche se avesse voluto, e forse sopravviveva quell'ostinata speranza che non fosse così, non sarebbe tornato da colei che gli era promessa di diritto. Ma ormai non aveva alcuna importanza, e il freddo vuoto c'era. L'odioso difetto di esser morto.
"... Pare che di lacrime ne abbia ancora da versare."



...



Daichi gli strinse le mani senza curarsi della cadaverica aridità con cui combaciarono con le proprie. Le mani strinsero di rimando, perché mani bisognose d'amore. 
"Lo farò."
Suga sollevò il viso – era difettato, come viso. Un foro appena sopra l'orecchio. Voraci orli cianotici sotto gli occhi infossati e vetrosi. Uno strappo sulla gota esangue. E nessun palpito, certo. Nessun sospiro. Ma labbra, erano sempre labbra. E parole erano sempre parole.
Suga doveva essere stato davvero un fanciullo virtuoso, un tempo. Daichi si considerava fortunato. 
Il morto scosse la testa. 
Perciò Daichi insistette. "Il saggio ha detto che potrebbe funzionare, no?" Sorrise. "Voglio sposarti. Senza che morte più ci separi."
L'espressione di Suga, quando gli fece quella promessa, non l'avrebbe mai dimenticata. Quella gioia destinata a durare poco meno di un illucido, febbricitante attimo in cui il mondo è ad appena un soffio dall'essere afferrato.




...




"Con questa mano, io dissiperò i tuoi affanni. Il tuo calice non sarà mai vuoto, perché io sarò il tuo vino. Con questa candela illuminerò il tuo cammino nelle tenebre. Con questo anello, ti chiedo di essere mia."
E alla fine, quelle parole Daichi non le aveva rivolte a lui. Era rimasto per assistere, naturalmente, come l'anello che Suga aveva restituito le calzava perfettamente al dito.
Ma di lacrime non ne avrebbe mai più versate. 





...







Una farfalla azzura viaggia le strade del paese. Nessuno sa da dove viene. Nessuno sa dove va. 
Forse, a custodirne la storia è solo un'anima viva, che potrà parlarne a sua figlia. Così sua figlia lo racconterà a suo figlio, quando quell'anima, quell'anima sola, riposerà per sempre nella pace della foresta dove non ci sono croci, ma una sola morte.














#AdessoParloIo
Perché è logico, passano due mesi senza che non aggiorni nulla e poi bho, scrivo una storia in un pomeriggio. Algebrico.

Okay, sì, questa roba è venuta fuori in qualche ora ed è passata sotto una sola revisione e un solo paio di occhi quindi- clemenza. Feels? Si spera. Chi non ama Tim Burton e chi non ama la Daisuga? Suppongo che tutti l'abbiate visto almeno una volta, perché nella stesura ho confidato soltanto su questo, praticamente. Se avete apprezzato, e lo spero con tutto il cuore, sentitevi invitati a lasciare una recensione, che pollici in sù non abbassano certo l'autostima di un'autrice. Mi auguro di tornare a brevissimo con un altro pezzo, ma nel frattempo nel mio account potete trovare altre dosi di HaikyuuGarbage. Che poi approposito, chi è super emozionato come la sottoscritta per la seconda stagione!?
Grazie per aver letto! Un abbraccio stretto stretto,
amaya (che ora torna al suo semieterno riposo)

 
  
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