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Autore: _Akimi    08/10/2015    2 recensioni
"Diamine, era così bella.
Un pensiero fulmineo passò nella mente dell'inglese. Veloce quanto doloroso. Non gli piaceva essere dipendente dai propri sentimenti, ma conosceva abbastanza il suo stesso io per riconoscere che quei segnali, quei ricordi che riaffioravano ogni qualvolta la guardasse, non erano altro che una punizione per tutto ciò che le aveva fatto e sopratutto, per tutto ciò che non le aveva mai detto."
[ENGLAND X SEYCHELLES] - Storico/Moderno
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Seychelles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1814 - Oceano Indiano

 
L'ammiraglio avvicinò un po' di tabacco al naso lasciando che il profumo di esso penetrasse prorompente nelle sue narici. Socchiuse appena gli occhi, sentendo una piacevole scarica percorrergli la spina dorsale.
Non si sarebbe mai abituato al tabacco da fiuto, per quanto ormai ne facesse uso da un paio di mesi e lo trovasse un'abitudine che non avrebbe certamente giovato alla sua salute.
Non poteva combattere quel nuovo vizio, infondo avere colonie a sud dell'Equatore con climi tropicali e torridi doveva pur servire a qualcosa - ovviamente oltre lo sfruttare un paio di negri per recuperare materie prime.
L'imperialismo inglese si fondava su princìpi indissolubili : la forza della stessa corona britannica si basava sulla fedeltà degli uomini che servivano il re, il coraggio e la curiosità con cui si spingevano in terre lontane alla ricerca di misteriose ricchezze e ultima - ma non per importanza - la sicurezza con cui mostravano ai popoli di quei luoghi selvaggi come rendersi utili alle loro ambizioni.
Non era altro che un forte equilibrio che andava infine a formare uno status quo che riusciva a sopprimere le idee degli oppositori : con la superbia e la potenza inglese, Re Giorgio era riuscito a riconfermare la supremazia del proprio Regno in ogni dove.
Tutti avevano gradualmente compreso che il Regno Unito non potesse essere surclassato da nessun altro; certo, i giovani Stati Uniti non promettevano nulla di buono. Era chiaro che il loro massimo esponente, un energico uomo di nome Alfred, si fosse impegnato a far sentire la presenza americana anche nel resto del mondo. Anche in Europa, continente con una una storia antica e decisamente intricata alle spalle, non avevano smesso di lottare per l'egemonia economica e commerciale.
Tuttavia, il giovane ammiraglio che ora - con estrema tranquillità - si stava rilassando con il proprio tabacco, era certo che alle nazioni confinanti mancasse il carisma e l'onore che lo rendevano un inglese perfetto.


Essere britannico significava incarnare l'indiscutibile figura di gentleman, di genio bellico e non solo : la Gran Bretagna era stata la patria delle industrie, la madre di forme di governo che anelavano alla democrazia e senza dubbio, signora del mare.
Gli Spagnoli non avevano più potere nei vasti oceani, i Francesi speravano di poter ottenere una rivincita con un piccolo,grande Napoleone ormai in esilio e i Prussiani dovevano fronteggiare la costante presenza di Russia e Austria che - come tutti gli altri, del resto - non erano disposti a rinunciare alle proprie ambizioni.
Un'unità politica, ma anche culturale era un'inutile utopia in Europa e più di tutte le altre nazioni, la Gran Bretagna non desiderava giungere a conclusioni comuni ed imparziali. Gli inglesi erano troppo orgogliosi, troppo egoisti e troppo testardi per ammettere di dover condividere qualche misero pezzo di terra con qualcun altro.
Ogni terreno conquistato - che fosse in America, in Oceania o in qualsiasi altro continente - non era altro che una grande conferma di ciò che il Regno Unito fosse diventato, o molto probabilmente, che era sempre stato.


Proprio per questo, in quell'esatto momento, il nostro giovane ammiraglio non faceva altro che assaporare il proprio tabacco. Inebriato dal buon odore di salsedine che gli impregnava gli abiti, si rilassava in quel tranquillo silenzio che caratterizzava il suo studio, assieme ad un disordine non molto inusuale per un uomo come lui.
Non si preoccupava di dover mantenere una determinata organizzazione nella propria stanza : una pila di scartoffie gli occupava buona parte dello scrittoio, la sua giacca blu cobalto era appoggiata sulla sedia finemente lavorata mentre piccole e scure gocce di inchiostro scivolavano lentamente sulla punta della propria penna, finendo con lo sporcare le piastrelle rossicce del salone.
Non pareva occupato in qualche particolare attività e aveva deciso di prendersi una pausa, poggiando le gambe sulla superficie liscia della sua scrivania. Il mento leggermente rialzato e un paio di ciuffi biondi che gli coprivano la fronte; in quella posizione i suoi occhi non potevano osservare altro che il chiaro soffitto dell'abitazione.
Era più rilassante la vista di una parete monotona, pensava spesso l'inglese, piuttosto che perdersi nel guardare un paio di nativi lavorare nei campi appartenuti precedentemente ai francesi.
Questo non significava che l'ammiraglio fosse infastidito dalla loro presenza o ancora, che trovasse lo sfruttare quegli uomini o quelle donne ingiusto.
La realtà era davanti agli occhi di tutti i coloni : la supremazia inglese non si limitava solo all'economia e ai territori posseduti, la loro cultura era anche ciò che li rendeva migliori di molti altri.
Quindi il suo fissare un banale soffitto lo portava a tutti questi intricati pensieri e al tempo stesso, lo rendevano ancora più fiero del suo operato e delle sue origini.
Non nascondeva mai quale fosse la sua patria : presentandosi specificava che fosse al servizio di Re Giorgio III e si sentiva orgoglioso nel dire che,nonostante la giovane età, fosse stato insignito di non poche medaglie e che avesse un maestoso vascello che lo aveva portato così lontano da casa.
Non c'era nulla di più soddisfacente di osservare la propria barca attraccata, una lamina dorata illuminata dal sole indicava una delle più gloriose navi della Royal Navy.


HMS Trafalgar.
Ah, il solo pronunciarlo faceva fremere di piacere l'ammiraglio. Era un onore poter viaggiare portando quel nome in terre lontane, era un onore ricordare la grandezza del collega anziano, non che grandissimo mentore, Nelson e sapeva che Trafalgar bastasse per spaventare i disperati francesi che avevano sperato in una vittoria di quell'idiota di Bonaparte.
Questo significava essere inglese : vincere, imparare dalle poche sconfitte ricevute e vincere ancora.


Meglio di prima, con più violenza, con più ambizione.


Sì, l'Ammiraglio Arthur Kirkland adorava il Regno Unito.




Quei pensieri gloriosi, tuttavia, vennero interrotti dal bussare ripetuto sulla porta del suo studio. Un colpo di nocche, due colpi di nocche, un terzo e infine un quarto.
Arthur era rimasto ancora immobile, un paio di piccoli fili di tabacco gli erano rimasti sulle dita obbligandolo a pulirsi frettolosamente e a richiudere la piccola scatola dove nascondeva quel suo piccolo segreto, anche se era ormai risaputo da tutti la nuova fissazione dell'ammiraglio.
-Avanti.-
Esclamò con disinteresse non preoccupandosi di allontanare i piedi dallo scrittoio né tanto meno di indossare la giacca scura appoggiata dietro alla sua schiena.
Gli mancavano le fredde temperature di Londra o di Southampton ed erano passati mesi da quanto aveva lasciato le familiari coste britanniche, ma quella era la prima settimana che trascorreva sulla terra ferma.
Una terra che apparteneva al Regno Unito, ma che Arthur non sentiva come sua : il clima era troppo differente da quello inglese, la popolazione aveva modi incivili nel rapportarsi con i propri padroni, ma poteva trovare consolazione nel cibo.
Lì, infatti, i pesci avevano tutt'altro sapore e i gustosi frutti che i nativi coltivavano con cura avevano fatto scoprire a Kirkland quello che la parole esotico significasse davvero. Quelle terre, per quanto incivilizzate, offrivano delle viste paradisiache e una pace che nella capitale inglese ormai era divenuta utopia.


-Signore, scusi il disturbo. Abbiamo stilato un rapporto approssimativo sulle piantagioni al Sud dell'isola. Abbiamo trovato alcuni uomini, li abbiamo portati qui.-
Un uomo poco più grande di lui teneva stretta la maniglia della porta. Non si azzardava ad entrare nel disordinato studio del suo superiore perchè, per quanto avesse imparato a convivere con l'eccentrico ammiraglio, temeva che il giovane non gradisse essere disturbato durante il suo lavoro nella propria camera.
-Quanti sono?-
Arthur abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro nervosamente. Diamine, aveva ancora voglia di tabacco e i suoi occhi puntarono imploranti il cassetto dove aveva accuratamente nascosto la preziosa scatola.
Le dita fini scivolarono lentamente sulla superficie lucida del mobile, ma solo poco dopo il ragazzo ritirò con un movimento brusco la mano, riconcentrandosi sulla figura dell'uomo di fronte a lui.
-Sono quindici uomini, sono per la maggior parte pescatori e parlano una forma di francese rozza, ma uno sostiene di essere stato a lungo servitore di un certo Bonne...-
Arthur lo interruppe bruscamente, carezzandosi i morbidi capelli biondi.
-Quanti di loro potrebbero effettivamente lavorare per noi? Non voglio sprecare altro tempo nel sentire le loro lamentele.-
L'ammiraglio decise di alzarsi per sgranchirsi le gambe addormentate. Portò una mano al ginocchio sinistro e sentì quest'ultimo scrocchiare appena, segno che era stato seduto ormai da troppo tempo.
I tempi in cui imbracciava un fucile parevano così lontani e doveva ammetterlo, gli ultimi mesi di mare lo avevano messo alla prova, ma il viaggio si era dimostrato tranquillo.
Non rimpiangeva gli anni in cui era stato un semplice soldato e il ritrovarsi al fronte contro un paio di impazziti francesi non gli procurava per nulla malinconia : per quanto isolato in quelle isole dell'oceano Indiano, si era abituato facilmente ai pigri ritmi lontano dai campi di guerra in Europa.


-Signore, sono per la maggior parte famiglie. Con loro ci sono dieci donne e un'altra decina di giovani.-
Quell'affermazione non sembrò soddisfare l'ammiraglio che,con una smorfia disinteressata, si avvicinò alla luminosa vetrata che si affacciava sul mare cristallino. Strinse le mani dietro alla schiena e diede le spalle all'ospite, perdendosi di nuovo nei suoi pensieri aiutato da quella che era una vista paradisiaca.
Non era mai stato un amante delle stagioni calde, ma il movimento calmo delle onde pareva invogliarlo ad abbandonare le proprie vesti e i propri compiti, buttandosi nell'acqua limpida che si rifletteva nelle sue iridi verdi.
In quella settimana alle prese con i suoi nuovi doveri, Arthur non aveva avuto tempo libero ed aveva trascurato sé stesso, dimenticandosi che l'essere partito per l'Africa non doveva per forza significare essere soppresso di nuovo da mole di lavoro.
Aveva dato la propria anima per la causa del Regno Unito contro la Francia Napoleonica ed ora che si ritrovava in un luogo magnifico, voleva poter riscoprire la parte migliore di sé. Quella parte che si nascondeva dietro ad una divisa di austerità e freddezza.


-Gli anziani non ci servono, se posso essere utili in altro modo allora se ne occuperà lo squadrone ad est dell'isola. Mentre per i giovani, potremmo farci qualcosa. Dove sono ora?-
Parlò in modo sbrigativo senza mai allontanare gli occhi da quella distesa di acqua salata che pareva così lontana.
Cinquecento metri. O forse più.
Arthur immaginava di potersi immergere nell'oceano, immaginava di poter addentare un paio di quei frutti dalla forma inusuale e di poter osservare la bandiera britannica sventolare sull'asta impiantata nella sabbia dorata.
Avrebbe imparato ad adorare quel posto, di questo pareva esserne certo, anche se gli sguardi torvi dei suoi abitanti non lo facevano sentire mai a suo agio. Non c'era uomo o donna che gli rivolgesse un sorriso, ma doveva pur essere sincero con sé stesso, non era certo di meritarselo.
Molto probabilmente nessuno del gruppo dei coloni si meritava gentilezze da parte dei nativi ed era proprio per questo che tra di loro si era istaurato un rapporto basato sulla violenza e la supremazia.
Gli inglesi giustificavano i mezzi per il fine che li aveva spinti a raggiungere quelle terre e lottare per esse. In un futuro, molto lontano probabilmente, anche gli stessi abitanti avrebbero ringraziato i propri padroni per i comportamenti riservatogli.


-Sono all'ingresso, signor Kirkland. Pensavamo che potesse controllare di persona.-
L'uomo esitò prima di pronunciare quelle parole, abbassò lo sguardo e lo rialzò solamente quando vide Arthur allontanarsi dalla vetrata per poi avvicinarsi annoiato allo scrittoio.
Non aveva prestato attenzione a ciò che il suo subordinato avesse appena domandato perchè di nuovo preso dal pensiero del tabacco che non lo aveva abbandonato.
-Al diamine le impressioni, ne ho bisogno.- Disse tra sé e sé aprendo fulmineo il cassetto e appoggiando con naturalezza la scatola argentata sullo scrittoio.
La aprì con estrema attenzione e ne osservò il contenuto silenziosamente mentre, ancora in attesa, il soldato osservava ogni suo piccolo movimento con una mal celata curiosità.
Notò il tabacco solamente quando il proprio superiore ne portò una piccola quantità vicino al viso, ispirandolo per poter sentire ancora l'estasiante sensazione che provocava l'odore penetrante nella narici.
Senza neppure accorgersene, Arthur si ritrovò a socchiudere gli occhi perdendosi completamente nell'inebriante profumo di quella nuova dipendenza.
-Vuoi favorire?-
Riaprì le palpebre, puntando le sue iridi smeraldo sulla figura titubante dell'uomo. Il comportamento vulnerabile del soldato lo fece sorridere divertito, pensando che l'essere temuto dai propri compagni d'armi lo rendesse ancora più orgoglioso di ciò di cui doveva occuparsi.
Sapeva di potersi fidare di loro, anche se non c'era altro che un legame professionale ad unirli. Infondo Arthur non aveva mai cercato fedeli amici nel campo di battaglia e le delusioni in ambito affettivo l'avevano reso ancora più cinico con il passare del tempo.
Preferiva essere dipinto come un uomo rigido, solitario e superbo. Queste peculiarità gli avevano permesso di essere l'ammiraglio che tutti adoravano e che i nemici temevano.
Non esisteva nessun Arthur al di fuori del lavoro : fin da ragazzino, infatti, aveva mostrato interesse nel mondo politico, nell'arte della strategia bellica e non solo, aveva stupito la sua stessa famiglia rendendoli partecipi di ciò che era stato capace di fare durante gli anni passati nell'accademia militare.
Aveva sognato per così tanto tempo di poter salpare per terre lontane, di difendere la propria Patria dagli Stati nemici e di contribuire nel renderla una potenza mondiale.
E ora,diamine, ora si ritrovava lì : un ufficio suo, un vascello suo, un equipaggio suo e quelle isole nell'Oceano Indiano che aspettavano solamente di scoprire di che cosa fosse capace la corona inglese.
I francesi avevano avuto il loro momento di gloria in quell'arcipelago e ora toccava ad Arthur rivendicare ciò che spettava di diritto al Regno Unito.


-No,grazie signore.-
Si rifiutò il soldato, seguendo con gli occhi i movimenti lenti e meticolosi dell'ammiraglio che lasciò scivolare la scatola metallizzata nella tasca della giacca. Indossò quest'ultima per poi sistemare il colletto della camicia per rendersi presentabile ai suoi nuovi amici : era certo che non avrebbe trovato nessun volto amichevole una volta aperta la porta di entrata della casa, ma sperava di potersi fidare di quegli uomini. Il delicato rapporto tra padrone e schiavo si basava, per quanto non tutti la pensassero così, sulla fiducia reciproca.
I modi giustificavano il fine, anche se Arthur non apprezzava utilizzare spesso la violenza per rimettere in riga i lavoratori o i sottoposti.
-Allora andiamo ad incontrare questi nostri nuovi compagni.-
Kikland indifferente si avvicinò alla porta e fece cenno al collega di uscire prima di lui per poi, lanciando un'ultima occhiata alla stanza, lasciarsi alle spalle il suo ufficio.
 
_ _ _



Inspirò con il naso, sentiva ancora il profumo di tabacco pervadergli il setto nasale, ma cercò di non darlo troppo a vedere : negli ultimi giorni non aveva dormito molto, forse colpa del clima caldo, ma non voleva parere eccessivamente stanco o spossato.
Sapeva che i suoi colleghi fossero capaci di giungere a conclusioni poco simpatiche sul suo conto e non voleva ritrovarsi a dare spiegazioni altrettanto fastidiose riguardo la sua insonnia, sottolineando che il suo aspetto sciupato non era dato dall'utilizzo di qualche strana pianta trovata sull'isola.
Aveva una nuovo dipendenza, ma il tabacco non avrebbe mai e poi mai influenzato le sue prestazioni in ambito lavorativo, quindi non voleva rispondere a quesiti invasivi e futili.


-Signor Kirkland.-
Un uomo lo salutò con una breve stretta di mano, allontanando con quella libera il sigaro che aveva tenuto tra le labbra fino all'arrivo del concittadino.
Arthur doveva ammetterlo : non amava particolarmente la compagnia di persone come quella che aveva di fronte. Questi aristocratici cercavano in ogni modo di rubare terre allo Stato Inglese, rivendicando il diritto della loro famiglia di ottenere quelle isole. Non ricordava neppure il cognome di quel signore e a dire il vero, non gli importava sapere da quale famiglia prestigiosa provenisse.
Odiava quelli come lui : pretendevano di ottenere onori grazie a stupidi legami di sangue, mentre giovani come Arthur avevano fatto non poche fatiche per raggiungere posizioni altolocate come quelle di ammiraglio o governatore.
La famiglia Kirkland era una famiglia di commercianti, di avvocati, di bancari. Certo, non avevano mai avuto problemi finanziari, ma erano dei borghesi e questo aveva infastidito non poco uomini che pretendevano che i nobili fossero ancora a capo della società inglese.
-Chiamatemi Arthur, non mi piacciono un granché le formalità.- Si allontanò da lui, concedendo la propria attenzione alla fila di persone che aveva davanti. -, non quando abbiamo altro di cui occuparci, non credete?-
Si voltò verso la sua parte dedicandogli un sorriso spavaldo, pensando che un uomo del genere non si meritasse niente altro.


In ogni modo, preferì non dare più peso alla presenza di quest'ultimo, puntando le iridi verdi verso le figure scure poco distanti da sé.
Appoggiò le mani dietro alla schiena e camminò da una parte all'altra per un paio di volte : gli occhi squadravano i corpi affaticati degli uomini, le loro espressioni rassegnate e anche quelli di chi, vanamente, sperava di poter uccidere con la poca forza rimasta quegli europei che pretendevano di portar via la loro terra.
Arthur, per quanto li trovasse incivili e più simili a degli animali che a delle persone, ammirava il senso di protezione che avevano nei confronti dei loro campi, delle loro famiglie e delle loro terre in generale.
Quel genere di forza mancava agli uomini inglesi : mancava ai britannici quella piccola scintilla che illuminava ora gli occhi color pece di ognuno di quei isolani. Erano semplici pescatori, cacciatori, ma le loro anime parevano volersi liberare dalle catene con cui inglesi e francesi li avevano resi schiavi.
Sì,Arthur per quanto fosse spinto a sentirsi superiore in quanto inglese, non poté negare di aver temuto l'aura che ognuno di loro emanava in quel momento. Avrebbero potuto ucciderlo facilmente, poterlo atterrare e fargli patire l'inferno per ciò che il Regno Unito stava facendo nelle loro terre, eppure non si mossero. Si limitavano a fissarlo con disprezzo, mentre altri distoglievano lo sguardo dal suo.
-Mi è stato detto che qualcuno di voi ha servito di persona un francese.-
Si ricordava di quel maledetto Francis Bonnefoy, ma il solo ripetere il suo nome lo faceva infuriare. Odiava il suo modo di fare : sempre così altezzoso, spocchioso e sicuro di sé. Erano simili, anche se Arthur era troppo cieco per dare importanza ad un dettaglio insulso come questo.
Non voleva accettare che i francesi e gli inglesi avesse delle peculiarità comuni : era anche questo ciò che li rendeva rivali eterni.
-Posso sapere chi è?-
Si fermò davanti al gruppo di donne e giovani che, fino ad ora, si era permesso solamente di osservare i lenti passi di Arthur. Quest'ultimo raggiunse un bambino spaventato che mosso dalla paura si strinse alla sottana della madre, nascondendosi dietro alle sue gambe.
Kirkland si chinò verso di lui e vide la donna allontanare il figlio d'istinto, anche se non fu abbastanza coraggiosa dall'incontrare lo sguardo impassibile di Arthur su di sé.
-Pardonnez mon français.- Avvicinò lentamente una mano sul capo del bimbo e quest'ultimo serrò spaventato gli occhi. Tuttavia, nonostante l'apparenza truce, Arthur si limitò ad accarezzargli i capelli per poi drizzarsi di nuovo con la schiena.
-Preferisco l'inglese, ma posso ripetermi. Chi di voi ha offerto servizio ad un francese?-
Ripeté quelle parole con pacatezza, distogliendo lo sguardo - seppur per un attimo - dalle figure spaventate delle donne.
Sapeva essere brutale ed incutere timore non gli dispiaceva per nulla, ma la vista di quelle giovani tremanti non accresceva particolarmente il suo ego e preferiva evitare di sentirsi in colpa solo per aver lanciato loro un paio di occhiate severe. Sapeva essere buono, forse per convenienza, ma in quel caso gli si richiedeva di essere imparziale e non pareva impresa facile esserlo mentre sentiva gli occhi di quei bambini fissarlo presi dalla disperazione.


-Rispondete,maledetti!-
L'uomo di poco prima intervenne disturbando il breve silenzio che si era creato tra l'ammiraglio e il gruppo di isolani. Il nobile agitò le mani e lasciò cadere a terra il suo sigaro, incurante se fosse arrivato solamente alla metà di esso.
Ancora una volta, Arthur trovò la presenza dell'aristocratico fastidiosa e di troppo : non voleva che qualcuno infierisse nei suoi affari, nè che gli insegnasse come fare il suo lavoro. Il nobiluomo era più grande di lui, aveva avuto più esperienza e questo Kirkland doveva pur riconoscerlo, ma non apprezzava il modo infantile con cui cercava di ottenere rispetto da parte degli altri.
-Signor Hall.-
Il biondo si limitò a chiamarlo, ricordandosi solo ora il suo cognome. Quest'ultimo indietreggiò, borbottando qualcosa riguardo la superiorità della razza caucasica ed altri stupidi ragionamenti a cui Arthur non presto attenzione.
Non condivideva la stessa ideologia con un uomo come lui. Erano entrambi inglesi, ma questo non significava che Arthur sì sentisse in armonia nel discutere con una persona dall'indole estremamente irrazionale.
Sì ,voleva apparire distaccato e sicuro di sé, ma in questo modo non faceva altro che ridicolizzare la corona britannica davanti a quegli isolani.
Molto probabilmente a questi ultimi non importava nulla del prestigio che sì contendevano le alte classi londinesi : la loro era una vita semplice, basata sulla pesca e sul rispetto reciproco. Parevano dei selvaggi agli occhi degli europei, ma forse, per quanto umiliante potesse essere, avrebbero dovuto imparare della sana etica proprio da quelli che consideravano degli stolti nativi.

In ogni modo, tra i due ci fu solamente un ultimo scambio di taciti sguardi. Bastarono per far comprendere ad Arthur che la questione non si sarebbe conclusa lì e che avrebbero avuto modo di parlarne anche in seguito.
Kirkland osservò la figura elegante del nobile allontanarsi, quest'ultimo sì accese di nuovo un sigaro che aveva meticolosamente conservato nel taschino della giacca per poi svoltare l'angolo della casa, scomparendo dal campo visivo dell' ammiraglio.

-Allora? Sono poco più paziente dell'uomo che avete visto prima. Non mi piace perdere del tempo nell'attesa di una risposta.-
Ispirò di nuovo con il naso, pensando che l'odore di tabacco non l'avrebbe abbandonato per un po'. Pareva un richiamo, bastava un passo per sentire il tintinnare della scatola in argento nella tasca e di conseguenza,sentire il proprio organismo richiamare quella tanto amata e dannata dipendenza.
Pensava che la situazione sarebbe potuta concludersi al meglio : magari sotto un paio di palme, una noce di cocco tra le mani, un nativo che gli spiegava quanto fossero stati malvagi i francesi mentre lui sì sarebbe di nuovo beato del profumo di tabacco nelle narici.
Sì , erano aspettative fin troppo irrealistiche, ma sperare lo aiutava a rimandare il desiderio di aprire davanti a tutti quella preziosa scatoletta. Non voleva parere così bisognoso nei confronti di una sciocca e misera quantità di tabacco ed era principalmente l'orgoglio che lo spingeva ad attendere ancora un po'.

-Sono io.-
Dopo un paio di minuti passati in assoluto silenzio, una voce leggera attirò l'attenzione del giovane inglese obbligato, quindi, a voltarsi dalla parte da cui essa proveniva.
I suoi occhi verdi osservarono impassibili il soggetto che fieramente sì era fatto spazio tra i propri compaesani, facendo un paio di passi in avanti per mostrarsi al ragazzo.

Inaspettato.
Questa era la parola che più di tutte poteva descrivere ciò che invase l'animo di Kirkland che, con un piccolo sorriso, accolse finalmente la risposta da parte dell'uomo di cui gli avevano parlato.
Certo, si immaginava di poter parlare tranquillamente nel suo ufficio con una persona vigorosa, magari rozza nei modi, ma nell'avere davanti una figura così esile fu per lui più facile lasciarsi sfuggire una risata divertita.
Davanti a sé una minuta ragazzina aveva poggiato le mani sui propri fianchi, un morbido vestito celeste le copriva le forme ancora acerbe e fiocchi di un rosso sgargiante le fermavano i capelli in due,lunghe e setose code castane.
La pelle ambrata, in perfetto contrasto con gli abiti chiari, non presentava segni di percussioni, dettaglio che lasciò convincere Arthur che il trattamento che i francesi le avessero riservato doveva essere stato di tutt'altro genere.
Tuttavia, preferì non indagare sulla faccenda davanti a tutti gli altri e sopratutto non ora che, ancora sorpreso, doveva riordinare al meglio le idee che gli passavano impazzite nella testa.

-Bene. E lei è, madame?-
Kirkland parlò di nuovo in francese vedendo che la ragazzina non aveva smesso di guardarlo intensamente. Pareva troppo sicura di sé e la situazione non era di certo a suo vantaggio : questo affronto non infastidì l'inglese che, porgendole la mano, sì aspettò che la giovane gli riservasse un minimo di rispetto.
-Dov'è Francis?-
Domandò di rimando lei, vedendo chiaramente la smorfia che sì dipinse sul volto dell'ammiraglio appena pronunciato il nome del francese.
La ragazzina non aveva più dubbi : avrebbero dovuto sopportare di nuovo altre angherie, sarebbero stati di nuovo privati delle proprie terre e la libertà sarebbe rimasta un'agrodolce utopia per quelli che avevano ancora le forze per sperare in un futuro diverso dalla situazione attuale.
Quella piccola, per quanto giovane e infantile potesse sembrare, sapeva di quali brutalità fossero capaci i coloni e questo non era per nulla legato al loro essere inglesi o francesi.
Gli europei erano tutti uguali agli occhi degli isolani : ambiziosi, egoisti, violenti.
Perché per quanto immatura, la ragazzina aveva subito le crudeltà di quei popoli senza intravedere nessuna pietà nei loro occhi.
Solo Francis, ormai un ricordo lontano di un piccolo lampo di gentilezza, aveva trattato la giovane come una normalissima adolescente. L'uomo l'aveva lusingata, aveva chiaramente mostrato interesse nei suoi confronti nonostante ci fossero non pochi anni di età a dividerli.
Dapprima, ingenuamente, la fanciulla aveva pensato di aver conquistato il cuore dello straniero e la tenerezza che le aveva riservato l'aveva - dopo molti anni - addolcita. In uno strano modo aveva cominciato a sentirsi speciale e non c'era stato giorno passato assieme al francese che avesse considerato sprecato. Proprio per questo rimase delusa nel vederlo andare via senza dedicarle neppure un ultimo saluto.


-Bonnefoy ha cosa più complicate da risolvere in patria. Non si può ottenere sempre la vittoria, dovrebbe saperlo bene ormai.-
Quelle parole non sembravano neppure appartenere ad Arthur. Quest'ultimo non credeva a ciò che aveva appena esclamato, o almeno, si trattava di un'affermazione che comprendeva tutti i paesi dell'Europa. Tutti tranne la sua Inghilterra.
Non voleva mostrarsi ipocrita e sicuro di sé, ma ahimè, quella era la sua natura e la ragazzina non fece altro che abbassare lo sguardo del tutto infastidita dal tono che utilizzò lo straniero nello spiegare la realtà.
Erano parole amare le sue, anche se Arthur non le aveva soppesate abbastanza e non era così empatico da comprendere che cosa stesse provando la ragazzina in quel momento.
Abbandono, forse, ma aveva mostrato fin da subito di essere coraggiosa e la scomparsa del francese aveva colpito più il suo orgoglio che il suo cuore.
-Ma non soffermiamoci su questi sciocchi dettagli, milady. La corona britannica è antonomasia di giustizia e sono certo che entrambe le parti potranno trarre vantaggi da questa...- il biondo si fermò, passandosi una mano tra i capelli. -convivenza? Forse è il termine più corretto per descrivere la nuova situazione.-
Le parole formali di Arthur non attirarono particolarmente l'attenzione del gruppo di isolani che, ormai confusi da ciò che stava accadendo tra i due giovani, cominciarono a bisbigliare tra loro cose che Kirkland non riuscì a comprendere.


Non amava la disobbedienza e non amava neppure dover richiamare persone che, si presupponeva, dovessero temerlo e non ignorarlo.
Il comportamento irrispettoso da parte del gruppo fece dipingere una smorfia infastidita sul volto dell'inglese che non attese nell'avvicinare la mano al fodero della propria pistola posta al fianco. Tuttavia, sbadato come alle volte sapeva essere, si accorse solo all'ultimo momento di averla lasciata nello studio, toccando con le dita il cuoio ruvido che doveva contenerla.
-Io sono Michelle.-
Fu la voce leggera della ragazzina a farlo tranquillizzare allontanando, di conseguenza, la mano dal fodero vuoto.
Imbarazzato da quel gesto malamente calcolato, Arthur si schiarì la voce nella speranza di poter celare quella pessima figura davanti alla giovane.
Così, i suoi occhi ritornarono ad osservare la figura bruna e snella dell'isolana. Ne osservò attentamente i lineamenti : doveva avere non più di quindici anni e anche se si trattava di un'ipotesi approssimativa, Arthur era sicuro che quella ragazzina celasse un carattere aspro in perfetto contrasto con l'aspetto soave e grazioso che la caratterizzava.
Gli occhi grandi e di color cioccolato parevano nascondere malamente una lieve patina di malinconia data dall'evidente rassegnazione che condivideva assieme ai suoi connazionali. Le labbra rosate erano leggermente piegate verso il basso, in una smorfia, in un sorriso rattristito?
Questo Arthur non riusciva ancora a comprenderlo e forse, data la superficialità con cui spesso conosceva le persone, non avrebbe mai voluto scoprirlo.


-Non la pregherò di lasciarci andare. So che è inutile ribellarsi ora, ma molti di noi hanno lavorato per una vita intera e hanno bisogno di curare le proprie famiglie. Lasciateci nei campi e nel mare, è l'unica fonte che abbiamo. E' la nostra terra, anche se siete qui in rappresentanza della vostra.-
Michelle alzò lo sguardo verso di lui. Quegli occhi scuri incontrarono le iridi verdi dell'ammiraglio e quelle parole riecheggiarono nella sua testa lentamente, non lasciando possibilità ad Arthur di pensare ad altro.
Non trovò quell'affermazione fuori luogo, anche se non era per nulla intenzionato a vivere in quell'isola senza preoccuparsi dei benefici per la propria terra natia.
Il luogo in cui erano attraccati era di uno splendore raro, questo Arthur lo ammise fin dal primo momento in cui vide le forme morbide di quell'isola proiettate all'orizzonte, ma il suo non era un viaggio di piacere e non poteva concedere troppe libertà.
L'essere un colone non era così facile come spesso poteva sembrare; lo stesso Kirkland si rendeva conto di quanto cinismo fosse necessario per ignorare le richieste di quella povera gente.


L'Orgoglio ferito nel vedere la propria terra bruciare, l'Umiliazione nel vedere le donne abusate dagli stranieri che sostenevano di provenire dai Paesi civilizzati e ancora, il Sangue versato che impregnava la sabbia dorata e che macchiava le acque cristalline di quel paradiso terrestre.
Era questo ciò che Michelle ricordava ogni volta che un europeo giungeva dall'oceano. Davano inutili speranze ai giovani come lei che, nonostante le brutalità, desideravano poter vivere in un paese fiorente e libero dalle legge della schiavitù e del colonialismo.
La maggior parte della popolazione non aveva un'istruzione adeguata : pochi di loro avevano imparato a scrivere, forse fortunati nell'aver incontrato europei disponibili all'insegnamento, ma erano pochi quelli che, non dando importanza al colore della pelle e alle culture differenti, avevano deciso di convivere in pace con gli isolani.
Michelle credeva che gli inglesi così come i francesi potessero davvero gioire assieme a loro e godere delle ricchezze delle proprie isole.
Le Seychelles, così chiamate in onore di un ministro francese, appartenevano all'oceano Indiano, a chi aveva davvero intenzione di renderle un luogo migliore ed era proprio per questo che Michelle non comprendeva, anzi, si rifiutava di capire il perchè di quelle atrocità.


-Pretendi un po' troppo per essere in una situazione di poco vantaggio.- Arthur le diede le spalle, deciso a rientrare nel suo ufficio così da potersi dedicare agli ultimi compiti che gli spettavano.
Un paio di registri da compilare con il numero di quei lavoratori, dei bambini, delle donne e degli anziani. Tutta burocrazia che non credeva fosse rilevante, ma i suoi superiori in Inghilterra aspettavano un suo rapporto dettagliato al più presto. Dubitava, tuttavia, che a Re Giorgio III in persona potesse interessare quanti fossero i cittadini attivi in quelle terre dimenticate nell'oceano, ma anche lavori noiosi come quelli servivano ad Arthur per mantenere il proprio ruolo nella marina e nel governo inglese.
-Aspetti!-
La ragazzina avanzò di qualche passo allungando il braccio verso il suo. In ogni modo, non si azzardò a toccarlo, anzi, non appena Kirkland si voltò, quest'ultima si allontanò di nuovo distogliendo lo sguardo dalla figura del ragazzo.
Non pareva intimorita e non si vergognava nell'ammettere che avrebbe insistito ancora a lungo per ottenere delle sicurezze per il popolo.


-Ho capito ragazzina, avrai modo di trovare un'occupazione valida nelle prossime settimane.-
Si limitò a congedarsi freddamente, allontanandosi dal gruppo che poco dopo attorno la ragazza sperando di poter comprendere ciò che quel viso pallido avesse appena riferito alla loro giovane porta voce.
 
Questo fu il primo incontro tra Arthur Kirkland e Michelle.
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2015 - Congresso delle Nazioni Unite sull'Ecologia e l'Energia Rinnovabile, Dresda.



Michelle si sistemò ordinatamente il vestito scuro che indossava. Era un completo color pece, una camicia bianca le fasciava il seno morbido e la gonna stretta le accennava le forme sinuose.
Aveva legato i capelli castani in uno chignon elegante e teneva stretta tra le dita una piccola 24ore che aveva comprato in un precedente viaggio d'affari in Europa.
Era passato poco più di un mese da quando aveva preso un aereo per raggiungere il vecchio continente, tuttavia, a differenza di quella visita, giungere nella città tedesca non si trattava di un viaggio di piacere.
Ogni anno le nazioni si riunivano per trattare di argomenti importanti per il pianeta e l'aver scelto la Germania come luogo del congresso non aveva stupito nessuno degli invitati.
Ormai tutte le nazioni avevano compreso che Ludwig, rappresentante del paese ospitante, fosse il più adeguato a tenere un discorso riguardo temi importanti quali l'ambiente, ma anche la giustizia ed eventuali conflitti internazionali.
Il clima non era dei migliori e sopratutto nell'ultimo periodo, il continente Europeo pareva ancora più vicino a quell'Africano, anche se Seychelles non provava nessun senso di complicità o empatia con qualche paese del Nord del mondo.
Trovava quella definizione al dir poco spregevole ed era infastidita dal modo in cui molti dei presenti non considerassero minimamente la presenza delle nazioni appartenenti al continente nero. Era pur sempre vero che l'Africa non godeva di un'economia fiorente come quella Nord Americana o Asiatica, ma un motivo c'era e Michelle era certa che fosse l'ipocrisia che spingeva tutti gli altri Stati ad evitare quei problemi.

In ogni modo, le dinamiche che avevano portato i paesi ad incontrarsi nella fredda Dresda erano ben note a tutti : l'importanza di mantenere il proprio pianeta pulito riguardava ogni nazione, a prescindere dalla politica e dall'economia.
Era una materia di cui Michelle poteva andare non poco orgogliosa : le Seychelles erano rinomate per l'importanza che avevano dato alla causa e buona parte del territorio, non per altro, era divenuto con il passare del tempo parco Nazionale.
Godevano di una posizione ottimale, in quanto isole nell'Oceano Indiano, non erano mai state contaminate da particolari tipi di inquinamento legati ad eccessiva costruzione di fabbriche o dall'utilizzo insensato di motori.
Le Isole non erano altro che la rappresentanza della purezza dell'animo delle persone che le abitavano : i compaesani della ragazza consideravano la loro terra come un luogo caro dove ritornare e lo stretto rapporto che avevano con la natura che li circondava li aveva resi meticolosi e consapevoli. Non avrebbero mai e poi mai danneggiato i campi che offrivano loro il lavoro e gli alimenti necessari per vivere.
Erano stati fin troppo tempo privi di libertà e fu proprio quest'impedimento a renderli più uniti e più forti.
Questo era ciò che Michelle voleva insegnare ai suoi compagni, indipendentemente se essi provenissero dall'Europa,dall'Oceania,dall'Asia o dalle Americhe.
Il mondo era uno solo ed era di tutti, motivo che spingeva la donna a trovare persone che la pensassero al suo stesso modo.
Non significava che odiasse chi, più di altri, inquinava il pianeta, ma sperava di poter raggiungere a compromessi validi per rendere la convivenza sulla Terra ancora più piacevole.


-Mademoiselle, non potevo sperare in un incontro migliore.-
Michelle era da poco entrata nella grande sala ove erano stati sistemati ordinatamente i posti per ogni nazione. Aveva faticato a trovare il piccolo cartellino che indicava la Repubblica delle sue isole natie, ma non appena lo trovò, scoprendo che si trovava dalla parte opposta della camera, fu distratta da una voce familiare che la obbligò a voltarsi e interrompere la sua piccola ricerca.
-Siete raggiante, come sempre d'altronde.-
Un uomo dai capelli color paglia allungò la mano verso la sua, afferrandola delicatamente per poter schioccare un lieve bacio sulla pelle ambrata.
Quel gesto elegante avrebbe infastidito non poco Michelle, ma conosceva bene il carattere aperto del compagno e si limitò ad accennare un sorriso cordiale non appena i loro sguardi si incontrarono.
France era in perfetta forma : i capelli che gli ricadevano morbidi sul viso, quel lieve accenno di pizzetto che gli impreziosiva il volto e un completo chiaro che risaltava non solo il fisico atletico, ma anche il suo portamento malinconicamente romantico.


-E tu sei il solito sciupa femmine, Francis.-
Michelle gli diede un affettuoso buffetto sulla guancia vedendolo poco dopo lamentarsi su quanto avrebbe desiderato avere un paio di ore libere per poter visitare la città assieme a lei.
A dire il vero, per quanto avrebbe apprezzato la compagnia del biondo, la donna non sembrava per nulla intenzionata a perdere ulteriore tempo e preferiva poter prendere posto al più presto, così da poter iniziare la conferenza senza doversi scontrare con qualche altra Nazione meno amichevole di Francia.
Riuscì - stranamente - a congedarsi dall'uomo senza dover trovare qualche patetica scusa per allontanarsi. Lo vide sorriderle di nuovo e si ricordò degli ultimi anni che avevano passati in compagnia, anche se ormai si trattavano di secoli lontani, Seychelles avrebbe sempre apprezzato la personalità di Francis.
Sapeva essere fin troppo egocentrico e lusinghiero, ma infondo era un uomo di buon cuore e Michelle sperava vivamente che potesse trovare una donna adatta a lui il prima possibile.


Finalmente riuscì a raggiungere la sua scrivania, poggiando rumorosamente la valigetta sulla superficie grigia e la propria giacca sulla sedia scura che occupò poco dopo.
Un paio di paesi erano entrati subito dopo di lei,rimanendo sulla soglia per chiacchierare su come si sarebbe sviluppata la giornata.
Michelle riuscì a riconoscere solo un paio di loro : Austria, come sempre elegantemente vestito, aveva indicato il posto a sedere ad un biondino che la ragazza identificò come Finlandia, anche se ci ripensò non appena ne vide un altro entrare. Quest'ultimo indossava un simpatico cappello blu e teneva tra le mani, proprio come molti altri, una piccola cartelletta con il necessario per la conferenza.


-Al diamine Hamburglar, non mi farò rubare un altro hambuger!-
Una voce maschile provenne da dietro le sue spalle e la ragazza poté facilmente comprendere di chi si trattasse. L'uomo che aveva appena preso posto dietro di lei non era altro che Stati Uniti ed era accompagnato da altri due paesi proveniente dal suo stesso continente. Parevano una compagnia piuttosto strana e Michelle si ritrovò a celare un sorriso divertito nel sentire le loro risposte.
-Madre de Dios, è una tortura sentirti parlare di cibo ogni dannata volta.-
Poco dopo quelle parole furono accompagnate da un'affermazione decisamente più paziente e gentile che riuscì in poco tempo a riportare la calma tra il trio dei nuovi arrivati.
-Cuba, non dire così! Alfred ha solo bisogno di un po' di energia. Infondo oggi dovremmo stare qui a lungo, almeno credo...-


Michelle decise di non prestare più attenzione alla discussione che, con il passare del tempo, aveva preso una piega a dir poco irrazionale. Non le dispiaceva sentire gli altri chiacchierare di argomenti leggeri nell'attesa, anche se lei non aveva ancora avuto occasione di poter conversare con qualcuno e a dire il vero, solo in quel momento decise di adocchiare i cartellini che erano stati posizionati vicino ai suoi.
Alla sua sinistra, spiccava in un rosso sgargiante il nome di - Turchia -, mentre dalla parte opposta, non che ultimo posto che concludeva la fila in cui lei stessa era posizionata, era stato scritto il nome di - Gran Bretagna - in un blu cobalto che fece riaffiorare immediatamente ricordi poco piacevoli alla donna.
-Oh, il gentleman.Perfetto.-
Si ritrovò spontaneamente a pensare, sospirando non appena vide qualcuno avvicinarsi al suo posto. Non notò neppure di chi si trattasse e si limitò ad accennare un sorriso di circostanza non appena si rese conto di aver fatto una pessima figura davanti ad uno dei paesi del Medio Oriente.
-Brutta giornata,prenses?-
Turchia parlò appoggiando il proprio cappotto sul tavolo e non trattenne dal riservarle uno dei suoi migliori sorrisi, anche se Michelle li trovava affascinanti quanto tetri.
Preferì in ogni modo limitarsi a rispondergli in modo garbato, dicendo che si era scordata un documento nella propria valigia, ma che sarebbe ritornata alla sera in hotel per potergli dare di nuovo un'occhiata.
Per sua fortuna, Sadiq decise di non approfondire oltre e smise di conversare non appena Ludwig fece la sua entrata nella grande sala, posizionandosi sul piccolo palco allestito in modo che tutti potessero vederlo e sentirlo.


Come sempre, l'inglese delle Nazioni che si alternarono nei discorsi variava e questo divertiva non poco Michelle, anche se si ritrovò a pensare che, per quanto non apprezzasse l'impronta che il Regno Unito aveva lasciato nella storia così come gli USA, il poter parlarsi in una sola lingua li rendeva davvero cittadini del mondo e non solo semplici componenti di una collettività in realtà molto individuale.
Con questi pensieri, distraendosi completamente dal discorso in un inglese maccheronico di Sud Italia riguardo l'importanza dell'energia eolica nelle sue terre, Seychelles si mise a giocherellare con la sua penna e ad osservare il posto vuoto di fianco a lei.
Sì, doveva ammetterlo : era stupita nel sapere che Inghilterra non fosse ancora giunto al meeting ed era ormai passata più di un'ora dall'inizio del dibattito.
L'uomo, per quanto avesse imparato a conoscerlo, era troppo pignolo per perdersi anche un solo minuto di quell'incontro e se non era ancora giunto nella sala, significava che ci fossero stati ben altri problemi che non gli avevano permesso di arrivare in Germania.


Forse non era neppure a Dresda, forse era rimasto a Londra, decidendo che era inutile per un paese spocchioso e ambizioso come il suo partecipare ad una conferenza sull'ambiente.
Qualsiasi fosse stata la motivazione, Michelle iniziò a pensare che Arthur non sarebbe mai cambiato e che sarebbe rimasto sempre il solito.
Superficiale, indifferente e ipocrita.
Era certa di non esagerare e non le importava per nulla se gli fosse successo qualcosa di grave : Kirkland se lo meritava dopo tutto quello che aveva fatto passare a lei e non solo alle isole Seychelles.
Sapeva che si trattava di passato, ma non erano trascorsi molti anni da quando aveva ottenuto ufficialmente l'indipendenza e questo senso di superiorità non aveva mai smesso di rovinare quel poco di buono che era rimasto in quel inglese che si comportava da imperfetto gentleman.
Si ricordava ancora delle brutalità che le aveva fatto passare e del modo infantile con cui insisteva nel dire che fosse meglio di Francis. Tra i due ora c'era una complicità che Michelle comprendeva ben poco, ma apprezzava in ogni modo che avessero imparato ad andare d'accordo.
La giovane odiava la guerra in ogni sua forma e sapere che France e England avessero finalmente scordato le rivalità passate la rendeva in parte contenta, anche se la sua situazione personale non era cambiata un granché.
La Repubblica risentiva ancora del passato colonialismo europeo e lo stesse valeva per l'intero continente africano, ormai alle prese con nuovi conflitti e nuove ideologie.
Vivere in un mondo pacifico era un'utopia, ma Seychelles voleva continuare ad essere ingenua e credeva di poter anelare ad un pianeta privo di violenza inutile.


-Merda.-
Qualcuno bisbigliò poco distante da lei attirando la sua attenzione e obbligandola a distogliere lo sguardo dal foglio bianco che aveva poggiato sulla scrivania nella speranza di prendere appunti.
Solo voltandosi dalla parte da cui provenne la voce, l'espressione di Michelle cambiò, ritrovandosi a nascondere una risata divertita mista ad uno sguardo preoccupato.
Il posto vicino al suo era stato occupato da poco, un giovane uomo si era lasciato cadere sulla sedia, i capelli umidi e i vestiti bagnati.
La camicia chiara delineava le forme del torace così come piccole gocce percorrevano il collo del ragazzo, finendo con lo scomparire a contatto con la stoffa della giacca che indossava.
Era elegante, anche se per via della pioggia aveva perso l'ordine che di solito lo caratterizzava. Nonostante fosse ancora scosso dall'improvviso temporale, al biondo non passò inosservato lo sguardo che Michelle aveva posato su di lui.
Si era limitata a sorridere, ma non appena l'inglese si voltò verso di lei, Seychelles ritornò a concentrarsi sul proprio foglio senza sapere esattamente cosa scrivere.


Tra i due non scorreva buon sangue, questo era ormai chiaro a tutti ed era proprio per questo che entrambi non si aspettavano di potersi trovare vicini : in genere, England trovava un posto a sedere accanto a Stati Uniti o in casi eccezionali, a Spagna, per quanto quest'ultimo fosse odioso e poco raccomandabile.
Dopo molti secoli di storia, Arthur aveva imparato a convivere con i paesi del suo stesso Continente, della stessa Unione di cui faceva parte. Dovevano essere una sorta di grande famiglia, anche se non erano per nulla amorevoli tra di loro e spesso si aiutavano solo per fini decisamente meno onesti.
Con le nazioni fuori dall'Europa la situazione non era certo migliore e il rivedere il volto di Michelle non faceva mai riaffiorare buoni ricordi, per quanto fossero ormai passati anni e la ragazza non fosse più la giovane adolescente che aveva incontrato sulle isole sperdute molto prima.
Seychelles sembrava una persona diversa, anche Arthur. Eppure il loro rapporto pareva non essere cambio.
Kirkland poteva biasimare l'essere schiva da parte di Michelle, infondo non le aveva mai detto che gli dispiaceva per ciò che aveva fatto. Erano arrivati ad accordi formali, ma nulla di più.


-Che c'è? Trovi così tanto divertente vedermi in questo stato?-
Arthur si ritrovò a bisbigliare come un scolaretto intento a non farsi scoprire dal professore. Era certo che Seychelles gli avrebbe risposto perchè, proprio come lui, non era mai capace di darla vinta facilmente ed era sempre disposta ad avere l'ultima parola anche in una conversazione del tutto insensata come quella.
-No, pensavo solamente a quanto tu riesca a portare pioggia ovunque vada.-
Le parole di Michelle, proprio come calcolato dall'inglese, non tardarono ad arrivare e furono persino accompagnate da un piccolo sorriso che non voleva provocare il biondo di fronte, ma semplicemente far comprendere quanto fosse inutile cominciare a discutere lì.
-Lo prendo come un complimento, visto che voi vi mettete a fare stupide danze per evocarla.-
Ancora una volta Arthur rispose, incrociò le braccia al petto e si fece piccolo sulla sedia notando come poco dopo, infastidito da quel mormorare, un Paese si era voltato verso la loro parte.
Il biondo lo riconobbe : si trattava di Giappone e per quanto piccolo e apparentemente indifeso, sapeva dimostrarsi anche tetro e indecifrabile. Così Arthur si limitò ad accennare con la mano per scusarsi e il moro ritornò a concentrarsi verso il palco ove Islanda aveva cominciato a parlare sull'importanza dei suoi vulcani attivi.


-Non è vero e poi non mi complimenterei mai con te, idiota.-
Michelle sbuffò, ritrovandosi inconsapevolmente nella stessa posizione del ragazzo accanto a sé. Aveva incrociato le braccia e aveva accavallato le gambe, non notando come gli occhi di Arthur si fossero abbassati lentamente verso la gonna che le fasciava le forme morbide.
Doveva pur ammetterlo, per quanto fastidiosa e fin troppo simile a lui, Michelle era divenuta una donna di bel aspetto e aveva un carattere forte. Erano tutte caratteristiche che l'avrebbero aiutata a trovare un uomo ideale, o forse l'opposto, dato che molti paesi speravano ancora di trovare il gentile sesso servizievole e obbediente.
Arthur, in realtà, non aveva mai pensato a come potesse essere la sua compagna ideale e per ora non aveva intenzione di impegnarsi in una relazione. Era risaputo che fosse fin troppo cinico e scorbutico per farsi sopportare da una pseudo-fidanzata e il romanticismo non era di certo il suo punto di forza.
Comprendeva perchè Francis riuscisse ad attirare l'attenzione di donne e di uomini, lo stesso valeva per quel maledetto di Spagna che, per quanto idiota, sapeva rendere tutte le giovani pulzelle pazze di lui. Che cosa ci trovassero di affascinante in lui, Arthur non riusciva e mai sarebbe riuscito a capirlo.
Questo non significava che provasse invidia nei loro confronti. Kirkland era certo di non aver bisogno di queste qualità per essere considerato una grande Nazione e ciò che pensava secoli fa, anche se i tempi erano cambiati, non era variato poi molto. Aveva imparato a rispettare i diritti degli altri, su questo non c'era dubbi, ma non aveva rinunciato al suo stupido orgoglio neppure quando dovette rinunciare alle proprie colonie.
L'idea di poter avere territori oltremare era qualcosa di cui non era mai riuscito a fare a meno, non per altro, l'aver Gibilterra dalla sua parte era stato un buon modo per accrescere ancora di più il suo incommensurabile ego.
Lo stesso non era valso con Seychelles che, con il passare degli anni, si era mostrata sempre più ostile alla presenza inglese ed era giunta all'indipendenza nel secolo precedente, lasciando Arthur non poco stupito dal modo in cui mostrò di essere capace di badare a sé stessa.
Aveva sempre compreso che fosse una ragazza dalla forte personalità, ma il cinismo che molto spesso mostrava al britannico la rendeva un Paese poco simpatico agli occhi di Kirkland.


Si assomigliavano ed era questo ciò che più infastidiva il biondo.


-La sconfitta brucia,milady?-
Le bisbigliò poco dopo, sapendo che continuando così sarebbero finiti con l'essere rimproverati di nuovo.
Per quanto infantile potesse sembrare, l'idea di parlare con la ragazza a bassa voce non gli dispiaceva poi così tanto. Non era particolarmente interessato agli interventi delle Nazioni che si alternavano sul palco e anche Michelle, ormai decisa di non lasciare l'ultima parola ad Arthur, parve all'improvviso divertirsi al pensiero di zittire Kirkland una volta per tutte.
-Sconfitta?Parli del 1976?-
La risposta della ragazza non tardò ad arrivare e quest'ultima accennò un sorriso soddisfatto nel vedere l'espressione sul volto del compagno cambiare in poco tempo. La sua solita smorfia altezzosa fu sostituita da una sguardo perso e al contempo, stupito nel udire quella data pronunciata dalla voce soave,ma anche pungente del Paese di fianco a sé.
Non per altro, Arthur non si rispose subito alla provocazione di Seychelles e si limitò a sistemarsi irrigidito sulla propria sedia, distogliendo lo sguardo da ciò che era stato soggetto delle sue attenzioni fino a pochi attimi prima.


Era troppo orgoglioso per ammettere che gli fosse dispiaciuto doverla liberare. Infondo il mondo aveva bisogno di un proprio equilibrio ed esso poteva essere trovato solamente con la libertà dei popoli che aveva sopportato la schiavitù per anni.
Arthur era cinico, alle volte fin troppo eccentrico, ma sapeva quali fossero stati i suoi errori e non c'era giorno in cui non ripensasse di quali colpe si fosse macchiato : erano passato poco, pochissimo tempo da quando Michelle aveva avuto l'occasione di diventare una donna indipendente e come altri paesi africani, questa sua tardiva libertà aveva influenzato sulla politica e sull'economia.
Le Seychelles erano rimaste le splendide isole che Arthur aveva visitato secoli prima, erano impregnate ancora dei buoni odori dei frutti,dei fiori e della salsedine di quel mare cristallino.
Anche quegli isolati che aveva sempre considerato rozzi non erano poi così molto cambiati : amavano la loro terra proprio come tempo or sono e Arthur lo comprendeva dal modo in cui gli occhi di Michelle brillassero ogni qualvolta sentiva parlare delle proprie isole, ogni qualvolta avesse occasione di raccontare ciò che le Seychelles riservavano per i visitatori.
Non era solo una meta turistica, anche se molti si limitavano a vederla in questo modo.
Seychelles era affascinante,scorbutica certamente, ma era capace di svelare un lato di Kirkland che lui stesso pensava di aver perso. Si sentiva costantemente sotto pressione, pronto ad affrontare una sfida e l'essere apprezzato da lei era uno dei tanti pensieri che aveva colmato la sua mente per tanto, troppo tempo.
L'aveva lasciata andare perchè la considerava una scelta moralmente giusta, ma l'incontrare il suo sguardo ad ogni sciocco meeting non era così semplice. Anche il suo stupido orgoglio pareva non reggere più alla necessità di parlarle, di sentirle rispondere in modo brusco come era solita fare.
Si ripeteva che bastava una sua smorfia o un suo sorriso forzato per convincersi che il passato non sarebbe mai più riaffiorato e che l'Inghilterra e le Seychelles avrebbe finalmente potuto divenire alleate.


-Spero che ritroverai le parole dopo il mio discorso.-
La vide alzarsi lentamente dalla sua sedia, passò davanti alla sua scrivania picchiettando le nocche sulla superficie per poter ottenere attenzione da parte sua.
Tuttavia, solo dopo averla vista avvicinarsi al palco, Arthur alzò lo sguardo verso la sua figura e la osservò in silenzio mentre prendeva posto dietro al microfono che fu costretta ad abbassare data la differenza di altezza con il precedente paese che era intervenuto nella discussione.
In quel momento, ad Arthur bastò sentirla parlare ed ad essere sincero con sé stesso, non badò a nient'altro che allo sguardo e alla presenza della ragazza davanti a tutti.
Si domandò stoltamente se Michelle fosse al corrente dello strano effetto che provocava nell'animo di chi la osservava, di chi l'ascoltava parlare della propria terra.
Era qualcosa che Arthur aveva potuto comprendere anni prima quando, in quel lontano 1814, l'aveva vista avanzare verso di lui. Lo sguardo sicuro, il portamento fiero, senza tuttavia aver rinunciato a quella - allora acerba - femminilità e bellezza che avevano inconsapevolmente conquistato il cuore dell'inglese.
Sì, Kirkland sapeva che non sarebbe mai stato adatto a sentimenti smielati come l'amore, era troppo distaccato e percepiva la distanza tra lui e la ragazza, eppure non riusciva a rinunciarvi. Si era abituato all'idea di poter parlare con lei saltuariamente, di vederla sorridere a Francis con un sorriso ed un paio di occhi che sperava fosse dedicati a lui e non al francese.
Arthur non era mai stato abituato a sperare per qualcuno, in genere riusciva ad ottenere tutto ciò che voleva con la forza, ma con lei aveva ormai imparato la lezione. Le brutalità erano state inutili, Seychelles l'aveva perdonato, ma non era stato abbastanza. Il loro rapporto non sarebbe mai stato abbastanza.


Comprese la situazione in cui si trovava solamente quando i suoi pensieri vennero interrotti dai numerosi applausi dedicati a Michelle. La vide sorridere, nascondere un ciuffo di capelli dietro all'orecchio e poi perse la sua figura quando tutti si alzarono, ormai stanchi e desiderosi di potersi rilassare durante la breve pausa pranzo.
In quel momento Arthur si alzò di scatto, la cercò di nuovo, ma fu inutile.
Michelle era già sparita dal suo campo visivo e questa mancanza si riversò all'improvviso nel petto dell'inglese che, sospirando, si accasciò di nuovo sulla sua sedia.


-E quel muso lungo, Angleterre?-
Questa volta fu una voce familiare a interrompere i suoi pensieri, riportandolo al mondo reale che, a dire il vero, Arthur non trovò più molto piacevole.
Alzò appena lo sguardo, si passò una mano tra i capelli e accennò un sorriso divertito nel vedere il francese osservarlo fin troppo curioso.
-E' colpa tua Francis, la tua presenza mi turba.-
Kirkland si alzò sistemandosi la cravatta scura nervosamente e poi si allontanò dal suo posto sapendo che Bonnefoy l'avrebbe seguito per mangiare assieme.
Doveva ammetterlo, alle volte la compagnia di quel maledetto lo infastidiva, ma altre non gli dispiaceva per nulla e finiva sempre con il parlare liberamente con lui. Anche in questo caso, si erano lasciati il passato alle spalle, ma una buona parte di rivalità non era scomparsa e si poteva notare dal modo in cui Francis cercasse in ogni modo di avere più notorietà di lui.
Tutti sapevano che l'Inghilterra fosse più ricca e più interessante della Francia ed era proprio per questo che Arthur aveva smesso di impegnarsi nelle sciocche sfide che Francis gli proponeva ogni qualvolta non avesse nulla da fare. (e succedeva spesso, credetemi.)
-E pensa un po', a me turba l'idea di dover mangiare qualcosa di tedesco. Diamine, com'è possibile invitare una signora a pranzo portandola in un ristorante di quel mangia patate?-
Le parole di Francis non attirarono l'attenzione dell'inglese che, sbadigliando annoiato, uscì dalla sala conferenza per dirigersi al ristorante lussuoso ove i camerieri camminavano velocemente per offrire un servizio immediato alle Nazioni affamate.
In questo caso - dettaglio che lasciò non poco stupito Arthur - Ludwig aveva deciso di non organizzare i tavoli con posti prefissati e così Paesi del Sud America finirono con il chiacchierare amabilmente con Nazioni asiatiche, mentre un paio di abbinamenti poco convenienti iniziavano a rendere la situazione meno piacevole e pacifica.


-Che signora?-
Lo sguardo di Arthur era indirizzato verso la figura possente di Russia che, con un sorriso piuttosto inquietante, aveva preso posto vicino ad USA e i due non parevano discutere tranquillamente della mattinata appena trascorsa, ma all'inglese non importava un granché dei vecchi rancori tra le nazioni ed evitò furbamente la zona in cui questi ultimi si erano sistemati, dirigendosi nella parte opposta della grande sala.
-Che domande, Kirkland. Non hai davvero intenzione di lasciarla sola?-
Ancora una volta, infastidito dal brusio continuo che provocavano gli altri invitati, Arthur non diede importanza alla domanda del compagno e continuò a procedere in avanti, deciso ad occupare il tavolo nell'angolo più lontano dalle porte e sopratutto - lontano dal poco raccomandabile gruppo che si era formato al centro della stanza.
Non voleva finire con il discutere di caccia con Canada, di strani incantesimi con Cina o di altrettanto inusuali metodi per rilassarsi con Olanda.
Preferiva decisamente la compagnia di quel mangia-baguette biondo, anche se la sua lingua era decisamente più affilata di quegli stupidi coltelli che i camerieri avevano affiancato ai piatti in porcellana.
-I posti sono contati Francis, nessuno rimarrà solo.- Arthur si sedette, si tolse la giacca e sistemò il tovagliolo al colletto della camicia. -Purtroppo.- Aggiunse infine, vedendo come il francese non si sedette di fianco a lui come era solito fare, ma si limitò ad occupare la sedia di fronte, rendendo la situazione ancora più imbarazzante e noiosa di quanto già non fosse.
Parevano una coppia di due uomini scoppiata, finiti per caso in quel ristorante magari consigliato da un paio di amici altrettanto impazienti.
In ogni modo, qualsiasi fossero le intenzioni di Francis, Arthur non pareva interessato ad intraprendere chissà quali grandi discorsi a tavola e il solo pensiero di ritrovarsi una portata di primi e di secondi serviti da cuochi tedeschi non lo rendeva per nulla rilassato. Avrebbe preferito un té, ma era fin troppo presto per un un afternoon tea e non voleva attirare inutilmente l'attenzione chiedendo una bustina e un paio di dolci.


-Grazie per avermi aspettata,Francis.-
Passarono pochi attimi prima che Arthur alzasse lo sguardo verso la figura appena giunta e riconobbe lo sguardo che per l'intera mattinata l'aveva reso pensieroso e disattento.
Seychelles aveva raggiunto il loro tavolo, occupando il posto che il francese le indicò elegantemente. L'aiutò a sedersi e le baciò di nuovo la mano, gesto che provocò una poco simpatica reazione da parte di Arthur.
-Potreste risparmiarvi certe scene, grazie.-
Non era gelosia la sua, semplicemente lo infastidivano i modi lusinghieri di Bonnefoy e lo rendevano ancora più furioso i sorrisi che Michelle gli dedicò, divertita dall'improvvisa affermazione da parte sua.
Era inusuale vedere la ragazza non indossare nessun abito sgargiante, nessun fiocco rosso ad adornarle i capelli, ma in questo modo pareva più matura.
-Lo sai Michelle, England è solamente stupito di vederti qui. Credo che sia un modo poco elegante per dirti che vorrebbe fare lo stesso, se glielo permetti.-
Francis era un ipocrita, un dannato ipocrita ed era l'uomo più invadente e curioso che Arthur avesse mai conosciuto.
L'inglese non desiderava salutare Seychelles nel suo stesso modo : trovava la necessità di avere contatto fisico di Francis a dir poco squallida e conosceva abbastanza il francese per poter affermare che avesse fin troppo bisogno di compagnia femminile nella sua vita.


Michelle si voltò verso il biondo, accennando un sorriso imbarazzato nell'immaginare Arthur essere gentile con lei. Pareva improbabile, impossibile per loro andare d'accordo per poco tempo. Erano passati anni e persino Francis si rendeva conto del disagio che i due condividevano nello stare uno accanto all'altra.
Nemmeno il giungere di succulenti antipasti bastò per interrompere quel silenzio, finendo con lanciare occhiate mal celate alla ragazza che, allo stesso modo, osservava come il gomito di Arthur molto spesso si scontrasse con il suo.
Un gesto imprevisto, non calcolato, eppure era uno sciocco modo per sentirsi più vicini. Entrambi erano troppo orgogliosi per discutere di ciò che li aveva allontanati in quel modo. O forse, la verità era - per quanto difficile da accettare - che Seychelles e Inghilterra non sarebbero mai stati alleati né semplici amici.
Il loro rapporto si era sempre basato sulla violenza e l'ambizione britannica e Michelle non aveva il dovere di perdonare Arthur per ciò che le aveva fatto.
Il tempo, come molti dicevano, non risanava le ferite più profonde ed era anche dolore quello che il biondo riusciva a scorgere negli occhi scuri della ragazza.
Una parte di sé, per quanto combattuto, avrebbe desiderato trovare pochi attimi, pochi minuti per chiedere scusa e tentare di aggiustare ciò che era stato distrutto in passato. Arthur sapeva a quali conseguenze avessero portato le sue scelte e l'aver permesso a Seychelles di diventare indipendente era - pensava con certezza - una delle poche decisioni che avessero mostrato il lato più sensibile di sé.


Arthur odiava mostrarsi disponibile perchè accettarlo comportava dimenticare l'Inghilterra del passato, quella legata al grande Impero che aveva raggiunto ogni dove e aveva vinto glorioso battaglie contro i più grandi eserciti.
La guerra non era più necessaria, eppure Kirkland continuava imperterrito a vivere nei ricordi, dimenticandosi di ciò che contava in quegli stessi attimi.
Seychelles era lì, accanto a lui. Il Presente era ciò che doveva unirli e per quanto difficile potesse sembrare, la riappacificazione era l'unica possibilità per essere sinceri l'uno con l'altro.


-Mi è piaciuto il tuo intervento.-
Fu quello un piccolo e minimale complimento per concretizzare ciò che fino a poco prima aveva occupato la propria mente.
Non poteva conversare con lei in altro modo, per quanto fosse banale discutere del discorso tenuto da Michelle. Arthur era stato sincero nel dire che gli fosse piaciuto e dare importanza alle sue parole poteva essere un inizio per farle comprendere le sue intenzioni.
-Non devi per forza fingere,sai?-
Rispose lei, sapendo che Francis non aveva smesso di fissare prima l'uno e poi l'altra. Non parlava, stranamente, ma osservava silenzioso la scena. Un lieve un sorriso gli illuminava il volto e questo piccolo dettaglio preoccupava gli altri due che, conclusi gli antipasti, finirono con evitarsi di nuovo.


-E' tutto chiaro : vi piace stuzzicarvi, altrimenti non finireste sempre con lo stare vicini.-
Esclamò con calma il francese. Poggiò la posata lontano dal piatto e ringraziò il cameriere appena giunto. Quest'ultimo gli versò nel bicchiere un po' di vino rosso per poi allontanarsi con la bottiglia vuota verso la cucina.
-Direi che siete stupidi.-
Aggiunse rimanendo fulminato dallo sguardo torvo di entrambi. Erano dannatamente simili, anche se a prima vista potevano sembrare una coppia qualunque. Seychelles tradiva il suo aspetto aggraziato con un caratterino niente male, mentre Arthur, nonostante si mostrasse spesso rigido e facilmente irritabile, sapeva essere anche premuroso e gentile se si metteva d'impegno.
Francis conosceva abbastanza entrambi e non voleva essere il terzo in comodo nella situazione, eppure, era ormai piuttosto ovvio che quell'incontro improvvisato avrebbe portato qualcosa di buono e non gli dispiaceva potersi allontanare da lì, lasciando che i due chiacchierassero ancora un po'.
-Adoro i buffet, spero che non ci siano solo maledette patate come contorno.-
Con passo svelto, il biondo si allontanò dal tavolo. Era una scusa palese la sua, ma né Arthur né Michelle dissero qualcosa a riguardo e lo videro salutare Prussia con una poco amichevole gomitata contro il fianco ed entrambi iniziarono a discutere su quanto fosse scomodo doversi alzare per servirsi da soli, anche se Francis non sembrò dare molto ragione all'albino.


-Non farti strane idee a riguardo. E' stato solo un caso...-
England parlò mettendosi a giocherellare con le briciole che si era depositate sul fondo del piatto. La forchetta contro la porcellana produceva un fastidioso e stridente rumore, ma Seychelles sembrò non darci per nulla peso. Pronunciate quelle parole però, Michelle non poté evitare di alzare capo verso di lui, afferrandogli il polso per poter fermare il suono che riecheggiava ancora nella sua testa.
-Lo so, ma a differenza tua, posso almeno provare ad apprezzare il pranzo.-
Lasciò la presa poco a poco, imbarazzata nel vedere che Stati Uniti, al tavolo di fianco al loro, aveva notato il disagio che si stava creando tra i due. Anche l'americano, per quanto stupido si mostrasse, conosceva abbastanza la storia e il carattere di Inghilterra e il suo volto bastava come segnale per fargli comprendere che il britannico non aveva nessun modo per nascondere il proprio imbarazzo.
-Anche io sto cercando di farlo, ma mi trovo allo stesso tavolo di una mia ex-colonia e del mio ex-peggior nemico. Che piacevole sensazione.-
Arthur parlò tutto d'un fiato, infastidito al pensiero di utilizzare ancora la parola colonia dopo così tanti anni. Ahimè, non c'era altro modo per spiegare ciò che li aveva legati in passato e si aspettava una risposta negativa a quell'affermazione. Aveva ben compreso che Michelle non amasse essere trattata con inferiorità e questa sua peculiarità la rendeva una donna dannatamente insopportabile, ma anche affascinante, a modo suo.


-E il cibo fa anche schifo.- Aggiunse Seychelles, stupendo l'inglese con un'usuale,ma cristallina risata.
Non l'aveva mai sentita ridere, o almeno, la ragazza non gli aveva mai riservato neppure un sorriso da quando si conoscevano. Il loro modo di relazionarsi pareva sempre forzato, fasullo, eppure era bastata una sciocca affermazione per vedere Michelle ridere sincera.
Diamine, era così bella.
Un pensiero fulmineo passò nella mente dell'inglese. Veloce quanto doloroso. Non gli piaceva essere dipendente dai propri sentimenti, ma conosceva abbastanza il suo stesso io per riconoscere che quei segnali, quei ricordi che riaffioravano ogni qualvolta la guardasse, non erano altro che una punizione per tutto ciò che le aveva fatto e sopratutto, per tutto ciò che non le aveva mai detto.
-Potremmo uscire.-
Un errore non calcolato. Non sapeva perchè l'aveva detto. Era pur sempre vero che mancava più di un'ora al proseguimento del meeting e del dibattito, ma Seychelles non aveva il dovere di accettare. Avrebbe voluto recuperare, dicendo che si trattava solamente di uno scherzo e che quel "Potremmo uscire" non implicava davvero allontanarsi dal palazzo assieme.
E poi, dove avrebbe potuto portarla?
Non conosceva abbastanza Dresda e da quello che continuava a ripetergli Francis, il trovare un buon ristorante era importante se voleva piacere ad una donna.
No, non stava pensando sul serio ad essere apprezzato da Seychelles, ma poteva comunque rimediare a quel pessimo pranzo con qualcosa di meglio.


-E dove vorresti portarmi, uomo delle piogge?-
Bisbigliò avvicinandosi di poco a lui, senza smettere di sorridergli divertita. Trovò inaspettato quel gesto di Arthur, ma per quanto non volesse ammetterlo, non le era dispiaciuta come richiesta.
Forse rimanere soli sarebbe servito ad entrambi e la compagnia di Francis, per quanto gradita in quel momento, non sarebbe più stata un peso.
Solo loro due, in un qualche ristorante tedesco.
Non pareva poi così male.


-Da qualche parte, ma non voglio che ci vedano assieme.-
Arthur prese la sua giacca e si alzò, guardandosi intorno con indifferenza. Sapeva che i suoi modi erano piuttosto bruschi, forse era questo che rendeva Francis molto più bravo di lui con il gentil sesso, ma non gli importava.
Michelle non era una donna qualunque e l'essere così simili poteva divenire un vantaggio per entrambi : potevano capirsi facilmente, anche fin troppo facilmente.
-Ti aspetto nella hall, se Francis fa domande, rispondi che hai una chiamata urgente che non puoi ignorare.-
Le bisbigliò per poi allontanarsi dal tavolo. Tuttavia, la ragazza lo afferrò dalla giacca scura e lo obbligò a ritornare indietro, attirando l'attenzione di un paio di curiosi non molto distanti da lui.
-E pensi che ci possa sul serio credere? E poi una chiamata non può durare poi così molto.-
-Inventati qualcosa allora, ma non dirgli nulla a riguardo.-
Rispose bruscamente, riuscendo infine ad allontanarsi dalla sala in attesa di poterla rivedere nella hall.
Il pensiero di poter uscire da quel posto era ciò che più lo rallegrava al momento e ovviamente, anche l'idea di essere con Seychelles non pareva rattristirlo. Non sarebbe stato facile passare un po' di tempo da soli, ma litigare con Michelle era decisamente più interessante di sentire Francis borbottare qualcosa a riguardo del vino rosso che gli avevano versato ad ogni portata.
Sapeva,tuttavia, che il biondo non si sarebbe fatto convincere così facilmente e che per quanto sveglia, Michelle alle volte sapeva essere molto ingenua.
Anche questo gli piaceva di lei, infondo era stata la sua ingenuità a renderla la Nazione che tutti ora conoscevano e l'essere stata una colonia per lungo tempo non aveva fatto scomparire l'amore che provava verso la propria terra e il proprio popolo.




-Dovremmo prendere un ombrello.-
Esclamò all'improvviso quella voce familiare. Era poco distante da lui, gli sorrise e afferrò uno degli ombrelli scuri che avevano ordinatamente lasciato all'entrata nell'edificio.
Non pioveva molto, o almeno, Arthur era abituato a ben altro clima, ma anche la Germania era caratterizzata da tempo uggioso con temperature che England aveva da sempre apprezzato.
Doveva essere più difficile per Michelle - pensò poco dopo l'inglese. Le sue isole erano sempre soleggiate e ritrovandosi in emisferi diversi, doveva convivere con l'inizio dell'autunno. L'Europa, di conseguenza, poteva godere delle temperature miti della primavera, anche se per ora, nessuno dei due aveva assaporato la brezza tipica che succedeva alla fine dell'inverno.


-Chiameremo un taxi, o potremmo andare a piedi.-
Arthur aprì la porta, lasciando che Michelle uscisse prima di lui. Era un piccolo gesto, fin troppo forzato per l'inglese, ma la ragazza si limitò a sorridergli divertita e aspettò che la seguisse.
-Niente auto. Kirkland, dovresti apprezzare più ciò che ti trovi davanti agli occhi!-
Lo rimproverò lei, passandosi una mano tra i capelli per sistemare un ciuffo dietro all'orecchio.
-Non ci crederai, ma lo sto già facendo.-
Bisbigliò in risposta, sperando che la donna non l'avesse sul serio sentito. Non aveva idea se le sue parole l'avessero raggiunta, ma preferì non domandare, limitandosi ad affiancarsi a lei e ad osservare un paio di lontane vetrine nel lato opposto della strada.






 

ANGOLO DELL'AUTRICE
Finalmente sono riuscita a completare il primo capitolo di questa storia. L'avevo in mente da molto tempo, anche se alla fine ho apportato modifiche nella struttura della storia in sé. Infatti, sarà formata da due capitoli suddivisioni in due parti più piccole (una al passato e una al presente - come potete vedere) e posso dire che la pairing "vera e propria" sarà molto più esplicita nella seconda e ultima parte.
Che dire, è la seconda het che pubblico ed è la 4° (credo 4°?) storia per il fandom di Hetalia. Trovo divertente che questa pairing sia chiamata Tsundere Federation e spero di aver reso al meglio la caratterizzazione dei due. Dicono qualcosa, ma pensano l'opposto. Sono dolci, a modo loro.

Per il resto, la data citata da Michelle è quella dell'indipendenza delle Seychelles, mentre c'è un piccolo riferimento al videgioco per quanto riguarda USA e Hamburglar che gli ruba da mangiare (Che idiota Alfred haha)
Aggiornerò - spero presto e il secondo capitolo avrà tematiche - credo - più pesanti del primo. Più legate al rapporto che Arthur ha avuto con Seychelles durante il periodo del colonialismo.
Ah! Ultima cosa, per quanto riguarda "Napoleone esiliato" è riferito al fatto che l'Imperatore francese fugge dall'Elba nel 1815. Mentre Trafalgar è conosciuta per la battaglia contro francesi, vinta appunto, dall'ammiraglio Nelson.

Detto questo, alla prossima!

P.S. Mi stavo scordando la cosa più importante. Il titolo prende nome da una canzone dei Beatles. Pensavo potesse rappresentare al meglio Arthur, in quanto diviso ancora tra presente e passato quando rivede Michelle.
  
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