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Autore: Kia85    09/10/2015    4 recensioni
“Lo sai…” iniziò a dire John, “Pensavo che almeno tu oggi l’avresti ricordato.”
Paul batté le palpebre, perplesso, “Cosa?”
Ma non appena quella parola lasciò la sua bocca, Paul capì.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Happy 75° birthday, John

 

Why don’t we do it in the road?

 

 

“Grazie a tutti, ragazzi, abbiamo finito.”

“Vorrei ben vedere, sono le otto del mattino, Cristo.” sbottò John, la voce alquanto roca dopo ben quattordici ore di registrazione.

Paul lo guardò di sottecchi, mentre l’amico si alzava in piedi e sistemava il suo strumento con fare scocciato.

“Ma, John.” iniziò a dire, “Erano necess-”

“No, non provare nemmeno a dire una cazzata simile, ok?” esclamò John, puntando un minaccioso dito contro di lui, “Non dopo aver fatto il pignolo per tutta la notte.”

Paul aggrottò la fronte, infastidito, “Ehi, se non sbaglio anche la tua roba viene pubblicata ancora a nome di tutti. Quindi, se non ti dispiace, gradirei che fosse tutto, se non perfetto, perlomeno accettabile.”

“Oh, come desiderate voi, Vostra Maestà.” esclamò John, mimando un inchino che a Paul non piacque affatto.

Ma prima che l’uomo più giovane potesse controbattere, rosso in viso per la rabbia, Ringo si frappose tra i due contendenti, deciso a placare gli animi.

“Ehi, ehi, ehi, ragazzi, andiamo.” iniziò a dire, alzando le mani, “Siamo tutti stanchi qui, ok? Quindi perché ora non andiamo tutti a casa, ci calmiamo con qualche ora di sonno e poi ci ritroviamo per una nuova sessione, eh?”

Paul lo fulminò con lo sguardo, ma sapeva che in fondo era solo il suo orgoglio a farlo sentire in questo modo, perché Ritchie gli aveva impedito di rispondere ancora a John. In realtà, dentro di sé, Paul lo ringraziò. Aveva certamente ragione: erano stanchi e nervosi, e per di più, Paul doveva tornare nel pomeriggio per registrare Why don’t we do it in the road.

Quindi sì, doveva riposare.

“Io ci sto.” disse infine.

“Io pure.” intervenne George.

John si ritrovò con tre paia di occhi fissi su di lui, in trepidante attesa.

Ma sì, che gli costava dare ragione a Ritchie? Dopotutto non gli aveva certo chiesto di porgere le sue scuse a Paul. Quello non era neanche lontanamente contemplabile.

Perciò alla fine si decise ad annuire.

“E va bene.”

“Perfetto. Allora ci rivediamo tutti qui più freschi e riposati.”

Paul sospirò, mentre gli altri tre Beatles sistemavano il proprio strumento. Richard fu il primo a lasciare la sala dopo un saluto caloroso, così tipico di lui. Aveva la straordinaria capacità di sorvolare con facilità su qualunque discussione. Come ci riuscisse, era ancora un mistero per Paul.

George se ne andò rivolgendo a entrambi un cenno del capo. Lui al contrario di Richard soffriva molto quando si verificavano quel genere di discussioni, sebbene sembrasse restarne sempre fuori, come se la questione non lo riguardasse in alcun modo. Non era esattamente un comportamento freddo, Paul sapeva che in realtà il piccolo George dentro di sé nascondeva una serie di emozioni che esternava al momento opportuno.

E poi c’era John. John che ormai non si faceva tante remore prima di aggredirlo verbalmente, John che riversava su di lui tutta la sua frustrazione, le sue sofferenze, qualunque cosa gli passasse per la mente. Non che fosse qualcosa di nuovo per Paul. Conosceva bene quel lato di John, era sempre stato presente in lui. Ma ultimamente era cambiato, forse per la droga, forse per il matrimonio andato male, forse per quella giapponese con cui si frequentava da qualche tempo, o forse per Paul. Il motivo non contava per lui, perché la sostanza non cambiava. John era così e Paul non poteva negare di aver avuto paura di lui in diverse occasioni. Certo, sapeva che John non gli avrebbe mai fatto del male fisicamente. Ciò che più temeva era un dolore più profondo. E John aveva il coltello dalla parte del manico, su questo non vi era alcun dubbio. Se fosse stato necessario, avrebbe inferto quella ferita a Paul una volta per tutte, e sapere che non ci fosse assolutamente nulla che Paul potesse fare per fermarlo era terribile.

Così assorto era nei suoi pensieri preoccupati, che sobbalzò letteralmente quanto John gli pizzicò il fianco.

Paul si voltò,  dopo aver udito una piccola risata da parte di John.

“Che vuoi?” domandò, il suo volto mostrava ancora risentimento, ma John si rese conto che Paul stava trattenendo a stento un sorriso.

“Andiamo, accompagnami a casa.” esclamò John, tirandogli la maglietta per incitarlo a camminare.

Paul restò fermo al proprio posto, allontanando la mano di John, “Stai scherzando?”

“No. Ho bisogno di un passaggio.”

“Ed era troppo difficile dire per favore?”

“Se vuoi te lo dico, ma tanto sappiamo tutti e due che mi accompagnerai comunque.”

Paul sussultò lievemente, perché sì, John aveva ragione, ma si concesse il capriccio di fare ancora un po’ il prezioso.

“Io non ne sarei così certo. Sai, con quello che mi hai detto…”

“Oh va bene, allora.” sospirò John, alzando gli occhi al cielo, “Per favore, Paul, faresti l’immensa cortesia di accompagnare questo povero uomo appiedato a casa?”

Paul si morse il labbro. Sapeva che John lo stava solo prendendo in giro e si maledisse, perché il suo orgoglio andò a farsi benedire e tutto ciò che poteva pensare era quanto fosse adorabile John che lo prendeva in giro come una volta.

“Con piacere.”

“Vuoi anche il grazie?”

Paul si portò un dito sulle labbra, con fare riflessivo, “Mm… sì, sarebbe carino.”

“Allora grazie, Paul.”

“Non c’è di che, John.”

Pochi minuti dopo i due erano sulla macchina di Paul, il silenzio regnava incontrastato all’interno dell’abitacolo, segno che vi fosse ancora un po’ di tensione tra i due uomini.

Quella, purtroppo, non spariva mai. Paul ne era tristemente consapevole. Una volta non era così, una volta stare da solo con John era la cosa più semplice del mondo, e Paul neanche sapeva cosa significasse essere a disagio con lui. Come potevano gli altri sentirsi così con il suo John?

Ora, invece, Paul li capiva fin troppo bene. Ora era lui quello a disagio, lui che doveva soppesare con precisione quali parole rivolgergli, quali espressioni mostrare e quali no. Ora era tutto così maledettamente complicato.

“Accosta.” disse all’improvviso John.

“Cosa?”

“Ho detto accosta.” ripeté John, “Per favore.”

“Perché? Siamo quasi ar-”

“Tu fallo e basta.” lo interruppe John.

“Non possiamo andare a casa? Io devo tornare in studio di pomeriggio. E avrei tanto bisogno di dormire.”

“Andiamo, Paul.” insistette John, guardandolo implorante, “E’ solo per un attimo.”

Paul sospirò e infine decise di accostare in una piccola area che costeggiava la strada. Non capiva come mai John gli avesse chiesto di fermarsi proprio ora che mancavano pochi metri per arrivare a casa sua, ma decise di seguire John, quando scese dalla macchina e cominciò a camminare imboccando un sentiero sterrato che si snodava in un bosco a nord di Hampstead Heath.

“John, dove diavolo stai andando?”

Tuttavia l’uomo più grande non rispose, continuò solo a camminare con Paul che, senza capire bene perché, lo seguiva docilmente, nonostante i suoi tentativi di ottenere spiegazioni. Il sentiero era illuminato dalla luce del giorno, poiché gli alberi che lo costeggiavano proiettavano le loro fronde spoglie sopra di esso, permettendo il passaggio dei raggi del sole. Eppure le ombre dei rami privi delle loro foglie formavano sul terreno una sorta di rete pronta a chiudersi e imprigionare John e Paul per sempre. Paul si diede dell’idiota mentalmente per un pensiero tanto stupido, e lo scacciò via dicendosi che fosse dovuto solo alla stanchezza.

Poi il bosco sembrò diradarsi, solo un po’, offrendo un inaspettato squarcio su un piccolo lago e fu lì che John si fermò.

Quando avevano intrapreso quel sentiero Paul non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi sulla riva di un lago. Eppure eccoli lì ora. Non era certamente il paesaggio più suggestivo che Paul avesse mai visto. Si trattava di un semplice lago contornato da una staccionata di legno e alberi che ormai si stavano spogliando delle proprie foglie. Tuttavia c’era qualcosa di affascinante in tutta questa semplicità. Forse era colpa della leggera nebbiolina che copriva come un mantello la superficie dell’acqua, o forse era la luce dolce  di un sole che ancora non me voleva sapere di svegliarsi quella mattina, nonostante il cielo avesse già indossato la sua veste celeste.

Qualunque cosa fosse, non importava perché ora Paul stava sorridendo. E fu con qualche secondo di ritardo che si accorse che John lo stava osservando e sorrideva allo stesso modo.

“Perché siamo qui, John?”

L’altro uomo si limitò a scrollare le spalle, “Non lo so. Però è bello, vero?”

“È insolito.” affermò Paul, “Ma bello.”

“Esattamente “ concordò John, prima di arrampicarsi sulla staccionata e sedersi sopra.

Paul lo seguì con lo sguardo, mordendosi il labbro. Un’altra cosa che lo stava facendo impazzire in quel periodo era non riuscire a capire John la maggior parte delle volte. Solitamente John era così facile da leggere, nonostante i suoi mille strati di difesa, Paul riusciva sempre a vedere oltre la sua armatura. Ma ora era come se John avesse eretto uno scudo che neanche Paul poteva vincere. Di nuovo, la sensazione di essere così impotente lo fece star male.

“Lo sai…” iniziò a dire John, “Pensavo che almeno tu oggi l’avresti ricordato.”

Paul batté le palpebre, perplesso, “Cosa?”

Ma non appena quella parola lasciò la sua bocca, Paul capì.

Cazzo!

Il compleanno di John.

“Oh John, hai ragione.” si affrettò a dire dispiaciuto, prima di avvicinarsi a John, “Mi dispiace da morire. Buon compleanno.”

John per tutta risposta scoppiò a ridere e saltò dall’altra parte della staccionata.

“Credi che sia così facile? Tu che chiedi scusa e poi mi fai auguri decisamente poco spontanei?”

“Se ce ne andiamo ora, ti compro un bel regalo.”

“Non voglio nessun regalo da te.”

“Cosa vuoi allora?” domandò Paul esasperato, portandosi le mani sui fianchi.

“Stare con te.”

Paul sussultò lievemente facendo di tutto per nascondere a John quanto la sua richiesta l’avesse colpito, ma ancora una volta si rese conto di aver fallito perché un sorriso malizioso si fece spazio sulle labbra del compagno.

“E come vorresti stare con me?”

“Tu salta da questa parte e te lo faccio vedere.” rispose John, rivolgendogli un occhiolino sfacciato.

Paul sospirò dicendo addio alla sua mattina di riposo. Chissà forse era meglio così. Il pomeriggio avrebbe avuto una voce perfetta per incidere la sua canzone.

E poi, cazzo, ormai si contavano sulle dita di una mano le volte in cui poteva passare del tempo con John, senza il pensiero del lavoro e senza gli stupidi problemi che proprio non ne volevano sapere di lasciarli in pace.

Senza pensarci una volta di più, Paul si decise a oltrepassare la staccionata con profonda soddisfazione di John.

Quando lo raggiunse John sorrideva felice. Dio, da quanto non lo vedeva così felice?

“Ebbene?”

“Ebbene, hai presente la cosa di cui ti lamenti sempre?”

“Yoko?” rispose Paul, sinceramente.

“No, stupido.” esclamò John rifilandogli una pacca sulla nuca, “Che ormai facciamo tutto separati e non stiamo più insieme.”

“Ah quello. Sì, penso di averlo ben presente.” sbuffò Paul, incrociando le braccia sul petto con fare stizzito.

“Bene, perché volevo giusto offrirti di fare qualcosa con me.”

“Se si tratta di un bagno con questo freddo, te lo puoi scordare.” si affretto a precisare Paul.

“No, grazie. Non voglio correre il rischio di ammalarmi.”

“E allora di che si tratta?”

John infilò una mano nella tasca della giacca, tirando fuori subito dopo una bustina trasparente. Il colore giallo acceso delle tavolette all’interno attirò subito l’attenzione di Paul.

“Oh no, Johnny, di prima mattina no.”

“Andiamo, principessa.” commentò John, “Sono nuove, sai. Non le ho ancora provate e speravo potessimo farlo noi per la prima volta… Insieme.”

Aveva detto la parola magica, e John lo sapeva, proprio come Paul. Insieme faceva crollare Paul come un bimbo di fronte alla promessa di un lecca-lecca nuovo. Insieme erano sempre stati loro fin dall’inizio di tutta quella storia. Insieme era ciò che più mancava a Paul e ora, ora che poteva averlo di nuovo, non importava se si trattasse solo di uno stupido trip da acido, Paul non voleva rinunciarci per nulla al mondo.

“D’accordo, John.”

Gli occhi di John brillarono, brillarono fottutamente come due stupide, ma bellissime stelle e Paul ne fu semplicemente rapito. Le poche volte in cui John era felice, davvero felice, sorrideva con tutto il suo corpo.

Così anche Paul fu contagiato dalla sua felicità quando John gli afferrò il polso e lo trascinò per sedersi infine su un tappeto di foglie, sotto uno degli alberi che costeggiavano il lago.

“Qui? Non è un po’ rischioso?” fece notare Paul, titubante, “Qualcuno potrebbe vederci. E credo che in questo momento sia proprio l’ultima cosa che ci serva.”

“Tranquillo, non ci passa quasi nessuno qui, soprattutto a quest’ora. Io ci vengo spesso, lo so bene.”

John sembrava molto tranquillo, per questo fece scivolare due francobolli gialli sulla sua mano.

“Se lo dici tu.” mormorò Paul, afferrando una delle due tavolette di LSD, “Ma se qualcuno ci vede-”

“Sì, sì, mi prenderò io la colpa. Ora sta’ zitto e vieni a fare un giro con me.”

“Con calma, tesoro, con calma. Non vogliamo che questo giro sia brutto, vero?”

“Decisamente no.”

“Allora…Rilassati ora.”

John sembrava molto impaziente, ma Paul gli sorrise maliziosamente e gli si avvicinò, porgendogli il piccolo francobollo che aveva in mano.

Poi gli fece cenno di aprire la bocca e John obbedì, lasciando che l’uomo più giovane poggiasse sopra la sua lingua la tavoletta di acido. Quando Paul aprì la bocca a sua volta, John ricambiò il favore, e subito dopo Paul fece intrecciare le loro mani. Si sdraiarono uno di fianco all’altro, mentre quella magica sostanza, che riusciva letteralmente a portarli insieme in un altro mondo, si scioglieva pian piano sulla lingua.

“Dove si va, Johnny?”

“Stammi dietro, e vedrai.”

Paul annuì, cominciando a sentire i primi effetti dell’acido. Il respiro divenne leggermente accelerato e la vista si fece appena appena più annebbiata. Piccoli brividi cominciarono a percorrere le mani per poi espandersi in tutto il corpo. All’improvviso Paul si sentì così leggero da non sembrare neanche più fatto di carne e ossa. No, in effetti gli sembrava quasi di avere la consistenza dell’aria. In un barlume di lucidità strinse più forte la mano di John, come una sorta di appiglio, come se avesse paura di volare via, lontano da John. Quando il compagno ricambiò la stretta, un brivido più travolgente lo percorse e Paul si lasciò scappare una risata perché… Dio, perché brillava. Sì, stava maledettamente brillando, come se fosse fatto di polvere di stelle, le stesse che aveva intravisto negli occhi di John.

“Andiamo, alzati ora.”

Paul spalancò gli occhi. Le fronde spoglie degli alberi sopra di lui si agitavano mosse da un vento che Paul non percepiva sulla propria pelle. Per un istante ammirò il modo in cui i rami tutti colorati di rosso e verde si intrecciavano fra loro, mischiandosi e sciogliendosi e ancora intrecciandosi, come quella rete che aveva intravisto sul sentiero. Caspita, era vera allora! E quando uno di questi sembrò allungarsi verso Paul per afferrarlo, il giovane uomo si sentì tirare e l’istante dopo era in piedi, di fronte a…

Uno scoiattolo?

Uno scoiattolo dal pelo azzurro con degli occhialini tondi tondi sul piccolo musetto. Assomigliava incredibilmente a…

“John?”

“Cosa?”

“Perché sei uno scoiattolo?”

Squit, e tu perché sei un gatto?”

Ma che cosa stava blaterando John? Paul, un gatto?

Paul portò una mano, o forse era meglio dire una zampa davanti agli occhi e… Miao, era vero. Era proprio un gatto, con il pelo vaporoso e bianco come una piccola nuvoletta.

Aveva sempre, miao, aveva sempre sognato di essere un gatto perché…

“Perché così posso fare le fusa.” miagolò, prima di strofinare la testolina contro il musetto di John.

Prrr... prrrprrr

Oh, quanto era bello essere un gatto. Paul si strusciò felicemente contro John, facendo intrecciare la sua coda soffice con quella di John.

Quando finirono a terra di nuovo, dopo un’impetuosa carezza di Paul, John rise lasciando che Paul gli leccasse il muso con la sua lingua rasposa.

“Ehi ora basta, ci sporcheremo tutti i vestiti.”

Paul si bloccò con la lingua ancora fuori, “Quali vestiti?”

Per tutta risposta John lo spinse da un lato e Paul lo osservò, mentre lentamente riacquistava sembianze umane.

“Questi vestiti.” rispose John, indicando il suo bellissimo completo color del cielo.

Poi gli fece cenno di alzarsi e Paul obbedì, correndo a specchiarsi nell’acqua del laghetto. Era di nuovo un essere umano, vestito completamente di bianco, con un morbido maglioncino sopra una camicia di seta e un paio di pantaloni eleganti… ah, sì, stava una meraviglia. Ma non era una sorpresa, era pur sempre Paul mi-sta-bene-qualsiasi-straccetto McCartney.

“Perché sono così?” chiese voltandosi a guardare John.

“Così come?”

“Con questi abiti bianchi?”

“Perché, caro il mio Paulie, questo è il mio compleanno, e decido io con quale Paul avere a che fare.”

“Non mi dire.”

“Pensavo anche di farti apparire totalmente nudo, ma non credo che avresti apprezzato.” disse John, prima di scoppiare a ridere.

“Questo è perché non mi conosci più come una volta.”

“Ti faccio vedere io, Macca.”

L’istante successivo John stava schizzando Paul con l’acqua del laghetto. Quando c’erano finiti esattamente dentro?

Oh ma importava qualcosa? L’acqua era fresca e piacevole e sapeva di… fragole? Paul si leccò le labbra bagnate, assaporando il dolce gusto lasciato dalle gocce d’acqua che John gli schizzava, prima di contrattaccare senza pietà.

“Signori, per favore, potreste cortesemente interrompere questo vostro… come possiamo chiamarlo? Ah, sì, delizioso diletto.”

I due uomini si voltarono subito, udendo una voce morbida e dolce dietro le loro spalle.

Proprio a due passi da loro c’era uno scintillante sottomarino giallo, con gli oblò contornati da un bel rosso acceso, tanti piccoli periscopi in cima e… Lì, dal portello superiore, spuntava uno strano esserino peloso con un bel faccione azzurro, un grande naso a patata, due labbra rosse stirate in un sorriso gentile e orecchie di un rosa molto intenso.

“Geremia!” esclamarono insieme John e Paul.

“Oh, sì, quello è proprio il mio nome. Ma ora, gentili signori, vorrei sapere se potreste rispettare la mia richiesta. Il mio povero sottomarino giallo non riesce a ritrovare la strada di casa. Se agitate le acque, queste andranno a interferire con il suo sonar.”

“Ci dispiace, Geremia.” esclamò John, rivolgendogli un inchino rispettoso, “Ti prometto che non interferiremo più.”

“E ti auguriamo anche di ritrovare la strada verso casa.”

“Vi sono molto obbligato, miei cari signori, e vi prego di accettare come ringraziamento questo piccolo presente. Glove, pensaci tu.”

Improvvisamente dall’entrata accanto all’ancora, uscì un guanto blu con il dito indice ben ritto verso l’alto. Si diresse come un razzo verso l’albero più vicino a John e Paul, e disegnò qualcosa nell’aria. Quando Glove si ritirò, Geremia guardò il suo lavoro soddisfatto, e poi sorrise e fece schioccare le dita. Il disegno di Glove si trasformò subito in un’altalena.

Paul si avvicinò subito per ammirarla meglio. Era bellissima, con la seduta di legno e le corde, con cui era appesa all’albero, ricoperte di rampicanti di un bellissimo verde smeraldo.

“Grazie mille, Geremia, è bellissima.”

“Fatene un uso giudizioso. Mi raccomando. Addio, amici.”

“Addio, Geremia.”

Il sottomarino giallo si chiuse quando Geremia scese sotto coperta, e con un tuffo da delfino si immerse sott’acqua lasciando dietro di sé una scia di fumo arcobaleno.

 “Che tipo.” commentò John, ridacchiando e avanzando verso Paul.

L’uomo più giovane era appena salito sull’altalena, stando ben in piedi e sorreggendosi alle corde.

“Chissà perché ci ha regalato proprio un’altalena…”

Paul rispose con una semplice alzata di spalle e sorrise, mentre si appoggiava con la schiena a una corda, e con un profondo sguardo verso John lo invitò a unirsi a lui sull’altalena.

L’uomo non si fece attendere e con un balzo saltò accanto a Paul, aggrappandosi alle corde come il compagno. E quando questo accadde, un fiore sbocciò sui rampicanti proprio all’altezza della testa di John.

Era bello, bellissimo, i petali bianchi avevano striature colorate mai viste prima ed emanava un profumo dolcissimo e inebriante. Paul provò a pensare che tipo di fiore fosse, ma il pensiero scoppiò come una bolla di sapone nel momento in cui John iniziò a farli dondolare dolcemente con una spinta.

“Ti piace qui?” domandò improvvisamente John.

Un altro fiore sbocciò per magia sui rampicanti, solo che questo era più scolorito rispetto al primo.

“Sì, certo.”

“Perché, lo sai, potremmo restare qui.”

Ancora, un terzo fiore attirò l’attenzione di Paul, e stavolta era appena appena più piccolo.

“Qui?”

“Sì,  se lo volessimo… potremmo restare qui per sempre. Insieme.”

Altri due fiorellini, piccoli, appassiti, così tristi da guardare.

“Insieme?” domandò Paul.

Ormai aveva capito, non senza una punta di malinconia, che più restavano su quell’altalena insieme, più i fiori che sbocciavano con l’intento di abbellire quella cornice che racchiudeva i loro corpi, in realtà, diventavano piccoli e appassiti.

Come a volergli dire: stare con John è stupendo, davvero stupendo, ma guarda il risultato. È questo che vuoi? Raccogliere dei frutti che non saranno mai altrettanto belli come i primi tempi trascorsi insieme?

Come se, e il pensiero quasi lo fece soffocare, come se fosse destinato a perdere John.

E qualunque cosa avesse provato a fare d’ora in poi Paul, sarebbe stato non solo inutile, ma soprattutto deleteria per il loro già fragile rapporto.

Era una prospettiva terrificante.

“Certo, insieme. Per sempre. Non vuoi?”

Eppure…

“Lo sai che lo vorrei. Lo vorrei più di ogni altra cosa.” esclamò Paul, allungando una mano per accarezzare la guancia morbida del compagno, “Ma non possiamo, John. Non ci farebbe bene.”

“Ma io-”

“No, John, lo sai anche tu che è così.”

John si morse il labbro e chinò il capo. In questo modo Paul poté accorgersi che ormai l’altalena era piena di fiori piccoli e quasi marci, dall’odore sgradevole.

No, non voleva che il suo rapporto con John diventasse così. E se perdere John, nel mondo reale, serviva solo a preservare ciò che di bello era rimasto fra loro, allora d’accordo, Paul l’avrebbe accettato a qualunque costo. Forse non sarebbe accaduto quel giorno e forse neanche il mese successivo. Ma sarebbe successo prima o poi. Per il bene di entrambi.

Così la sua mano si mosse alla ricerca di quella di John e insieme intrecciarono le dita con forza.

“Coraggio. Torniamo a casa, John.”

John annuì mestamente, e quando Paul diede una spinta più forte all’altalena, nel momento in cui arrivarono nel punto più alto, saltarono e…

Puff!

Paul spalancò gli occhi improvvisamente, ritrovandosi per terra nel punto esatto in cui si era sdraiato poco tempo prima con John. Sentiva un tepore dolcissimo che lo avvolgeva, e un morbido tappeto di foglie sotto di lui.

Il respiro era ancora accelerato e lo stesso valeva per il proprio battito cardiaco, ma per fortuna la sua mente stava tornando lentamente a uno stato più lucido. Questo gli permise di notare che mentre era impegnato in quel trip così strano, il suo corpo si era spostato, andando a rannicchiarsi contro il petto di John.

Le loro mani erano ancora intrecciate sul cuore dell’uomo più grande e per questo motivo Paul sorrise stupidamente fra sé.

Si sollevò appena, puntando il gomito per terra e sporgendosi su di lui per guardare l’uomo. Era bello, così tanto da mozzare il fiato, era la cosa più straordinaria che gli fosse mai capitata. E sebbene non fosse mai stato davvero suo (non nel senso di poterlo gridare, felice, ai quattro venti) Paul l‘aveva avuto. Per quello doveva essere felice.

E sì, questo trip che aveva condiviso insieme a John gliel’aveva mostrato chiaramente. A Paul era sempre bastato avere John per essere felice, di quella felicità che, anche se non te ne rendi conto, la percepisci, in un punto in profondità dentro di te. Qualcosa che a volte veniva oscurato da altri tipi di emozioni, la rabbia, la tristezza, ma lei, la felicità, era sempre lì. E avrebbe continuato a essere lì, per Paul, per ricordargli che, anche se il mondo li stava separando fisicamente, non significava che valesse lo stesso anche intimamente.

Senza pensarci due volte, con il cuore gonfio dei suoi ritrovati pensieri positivi, Paul si chinò per baciarlo con pigrizia, appoggiandosi su John con tutto il suo dolce peso.

Questi iniziò a ricambiare il bacio, tuffando una mano tra i morbidi capelli di Paul e attirandolo più vicino a sé. Ma quando inevitabilmente Paul si allontanò, gli sorrise tristemente.

“Buon compleanno, Johnny.” sospirò sulla sua bocca.

“Ora sì che va meglio.”

“Se volevi solo essere baciato, bastava dirlo subito.” brontolò Paul, e fece per allontanarsi di più.

“Quanto sei idiota.” esclamò John, ridendo e accarezzandogli i capelli per tenerlo vicino, “E’ ovvio che non volessi solo questo.”

“Cosa volevi allora?”

“Che tu capissi.” rispose John, baciando la punta del suo piccolo naso, “Che anche se un giorno finiremo per non vederci più, o se capiterà ancora di litigare, e ti giuro che accadrà ancora molto spesso, questo non significa che tu sia meno importante per me.”

“Lo capisco, John.”

“E capisci che preferisco che vada così, io e te separati con l’opportunità di essere felice alla prima occasione che ho di vederti o sentire la tua voce al telefono, piuttosto che stare sempre insieme e finire per odiarci a vicenda?”

“Sì, John.” mormorò Paul, facendo strofinare il suo naso contro il mento del compagno, “Capisco anche questo.”

“Bene, allora.” commentò John, alzandosi in piedi, “Andiamo pure, ora, signor tassista.”

Paul rise dolcemente, quando afferrò la mano che John gli porse per aiutarlo ad alzarsi.

“D’accordo, ma sappi che questa sosta conta come extra.” affermò Paul, dandosi una rapida pulita ai pantaloni, prima di tornare con John verso la macchina.

“Basta che non mi spari una cifra assurda, per me va bene.”

“No, guarda, mi basta che l’anno prossimo ti accontenti di qualcosa di più semplice come regalo.”

“Del tipo?”

“Che ne dici di un trip senza Glove? Quel coso è terribilmente inquietante.”

“D’accordo, ma la roba recuperala tu. Questa fa cagare.”

 

Note dell’autrice: allora, tanti auguri a Johnny. 75 candeline per lui, se fosse stato qui. ç_ç

Beh, non pensiamoci.

Comunque volevo scrivere qualcosa per lui e questo è il risultato. Inizialmente avevo avuto un’altra idea ma Anya mi ha fatto notare che mi stavo ripetendo e mi ha dato qualche dritta su come cambiare. Perciò la ringrazio per questo e per aver betato e ribetato e riribetato la storia. Santa donna davvero, lei. Grazie mille, cara. Sarei persa senza di te. <3

Grazie anche a workingclassheroine, Sillylovesongs, paperback_writer e last but not least, Josie che è una cara cara ragazza. *^*

A presto

kia85

   
 
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