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Autore: Chaike    09/10/2015    1 recensioni
"Ciò che non sapevano era che tutto quello non accadeva per puro caso. Erano stati scelti dai due spiriti per essere il tramite dei loro sentimenti, che si erano risvegliati quando i due attori giunsero nel palazzo in Marocco."
Jared e Colin, protagonisti di un film, così pensavano loro. Non sapevano che sarebbero divenuti i protagonisti di una storia d'amore infinita.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Note: Sono sparita dalla circolazione nel mondo dei Linkin Park ed ecco che compaio nell'universo cinematografico. Premetto che è la mia prima Farrelleto, coppia che shippo ardemente da quando ho visto il film Alexander, di cui mi sono innamorata. So che mi dilungo molto nelle descrizioni e che questa storia è la più lunga che ho scritto, ma non odiatemi. L'ho iniziata a luglio e l'ho finita oggi, 09/10/2015. Salvatemi.

Comunque spero vi piaccia e non mi offendo se lasciate un ricordino sotto forma di recensione c': Perdonatemi se non è una rossa, non avevo voglia di scrivere cose zozze. Ho in mente una long fic che però pubblicherò nella sezione del film Alexander, in quanto saranno protagonisti di un AU proprio Alessandro ed Efestione. Per ora cerco di finire la neonata fic Lezio (Assass'ns Creed II) e poi si vedrà.

Enjoy

Nekrí̱ agápi̱

 


Farrelleto1

Farrelleto2

« Stupido sole, stupido caldo, stupido deserto. » grugnì tra sé come se le lamentele fossero servite ad attenuare la sofferenza, mentre con una mano si ravanava sotto la tunica bianca, che gli serviva come vestito di scena, per liberarsi dai granelli di sabbia.
« Stupido sudore. » sbuffò passandosi una mano sulla fronte umida e lucida mentre il “re” lo fissava divertito nel vederlo smadonnare.
« Meno male che siamo alla fine. » sospirò pesantemente facendosi aria con una mano in un disperato tentativo di smaltire l’afa che gli stava lentamente sciogliendo il trucco.
« Già, meno male. Almeno non sentirò più i tuoi lamenti da “prima donna” » ridacchiò il protagonista del film che stavano girando da mesi, ormai, in un paesino disperso nel deserto del Marocco.
All'inizio non credevano che avrebbero dovuto attraversare mezzo mondo ed essere catapultati in un buco di sabbia che il regista si ostinava a chiamare “set cinematografico”, con zanzare grandi quanto le loro mani.
Avevano accettato perché… perché sì.
Quando Farrell ottenne il copione, prima di accettare, aprì la prima pagina e poi l’ultima per verificare se il nome del proprio personaggio fosse presente. Il tutto venne accompagnato da uno sguardo sornione per aver ottenuto la parte principale e per la scena di sesso con quella che sarebbe stata la sua consorte nel film.
“Lo posso fare” disse con non chalanche al regista ed accettò il ruolo.
Leto, dal canto suo, aveva pensato che una pausa dal mondo musicale gli avrebbe fatto bene. E, dopotutto, gli mancava recitare e sapeva di essere un attore poco conosciuto ma molto apprezzato da coloro che di cinema se ne intendevano. Quindi perché non cercare di aumentare la propria fama e dimostrare la propria bravura?
Ma non fu solo quello il motivo della sua scelta.
Quando venne informato del personaggio che avrebbe dovuto interpretare, gli occhi si illuminarono. Avrebbe dovuto recitare il ruolo di Efestione, il fedele e amato compagno del re Alessandro Magno.
Non era un semplice amico intimo, questo Efestione, bensì l'amante del re. Non era un semplice generale, un amico fidato. Era colui che Alessandro amava veramente.
Doveva quindi interpretare un uomo attratto da un altro uomo. “Era destino che venisse chiesto a me” pensò ridacchiando tra sé quando lesse la sua parte.
Era un segreto che solo suo fratello e sua madre conoscevano.
Non lo aveva mai dato a vedere esplicitamente per evitare l'esclusione e i pregiudizi, ma lui era “diverso”, come si era definito quella sera, tanti anni fa, quando cercò di rivelare a Shannon e loro madre tale segreto.
Diverso perché, a differenza di molti suoi coetanei, a lui non interessavano solo le donne. Non disprezzava nulla, a lui bastava la bellezza sia interiore che esteriore, poi quello che c’era nelle mutande era superfluo.
Fu per lui un sollievo leggere le caratteristiche del suo personaggio, perché finalmente poteva essere ciò che veramente era, fingendo di star recitando.
L'unica cosa che gli strappò un sospiro deluso fu il fatto che non erano previsti né baci né scene di sesso col protagonista, cosa che aveva sperato ardentemente. Non solo per dare sfogo alla sua personalità, ma anche perché quell’ammasso di muscoli di Farrell non dava pace ai suoi ormoni.
Era un bel uomo, Colin, e ogni volta che ci parlava faceva fatica a distogliere lo sguardo dalle labbra, dai pettorali, dagli addominali ed imporsi di fissarlo negli occhi come in una normale conversazione. Però era etero, da quanto ne sapeva per via del suo matrimonio, conclusosi però in un disastroso divorzio, ma comunque preceduto dalla nascita di un figlio. Quindi doveva cercare di frenare il suo istinto e limitarsi ad avvicinarsi a lui solo sotto le vesti di Efestione.
Ma quando Jared, in un attacco di curiosità, cercò la vera storia di Alessandro ed Efestione su Internet, gli rimase un groppo in gola per giorni.
Leggere come il loro rapporto si fosse instaurato e solidificato dalla loro infanzia fino all’età adulta lasciarono un senso di malinconia nell'attore, felice per la loro vita di passione che passarono assieme che però ebbe, naturalmente, una fine.
Non fu indifferente nemmeno un gravoso senso di angoscia che gli pesò per giorni e notti quando lesse della morte di Efestione.
Non aveva lasciato il mondo allo stesso modo di come venne rappresentato nel film. Non ci fu alcun dibattito tra Alessandro ed il suo amato.
Fu soltanto un continuo logoramento interiore per colpa di una malattia che colpì il Generale quando era lontano dal re. Morì da solo.
Senza poter rivedere l'uomo che amava un’ultima volta, senza poterlo toccare, senza poter sentire la sua voce. E soprattutto, lasciandolo senza un ultimo “ti amo”.
E Alessandro non lo raggiunse in tempo, non poté tenergli la mano e stargli vicino nel suo ultimo respiro. Poté solo aggrapparsi al suo corpo senza vita per tre giorni di intensi pianti, nutrendosi solo di lacrime e singhiozzi.
Questo bastò per fare avere a Leto tristi incubi che lo portavano a svegliarsi sudato nel cuore della notte. Non per il caldo, perché lo sbalzo termico del deserto li obbligava a coprirsi con piumoni di notte.
Sudava freddo, per la paura e l’angoscia nel vedere Alessandro, col volto di Colin, in lacrime e steso sul corpo di Efestione, col proprio volto. Vedeva sé stesso morto e il suo amato che lo piangeva senza pace.
E nemmeno lui trovava pace nel ripensare alla sua morte, così ingiusta.
Lo guardò a bocca aperta incredulo di averlo sentito e gli frustò un braccio con la mano.
« Prima donna?! » strillò provocando una risata all'altro. « Come ti permetti? Ti strappo le palle, così vediamo chi è la donna! »
Ma in risposta ebbe ancora un'altra risata di Colin, accompagnata da quella degli altri tecnici che assistettero alla scena.
Tutti si stavano preparando per la scena finale, ovvero la morte di Efestione e la caduta sentimentale di Alessandro.
Era quello il motivo che aveva causato un certo nervosismo da parte di Jared, già affranto dalla scena che dovevano girare, aggravato dalla consapevolezza della maggiore tragicità della vera morte.
A volte si chiedeva se anche gli altri ne fossero a conoscenza.
Sospirò profondamente e fece un’espressione da pianto trattenuto guardando la telecamera che riprendeva dietro le scene.
« Non ce la posso fare. » piagnucolò esasperato concedendo agli altri l’ennesima risata.
Colin lo afferrò per le spalle scuotendolo appena per attirare la sua attenzione visto che l'altro fissava l'obbiettivo in modo tragicomico.
« Forza Jared! Pensa che dopo questa hai finito, almeno tu. »
Il cantante mugolò un verso di sconforto girando lo sguardo verso l'altro e provando a sorridere per tranquillizzarlo.
Adorava il modo in cui avessero legato durante le riprese. Spesso ringraziava, anche se amareggiato, i due morti per averli portati a quella situazione.
Erano molte le volte in cui poteva constatare che tra di loro fosse sorta una vera e propria amicizia. Scherzavano nei momenti di pausa tra una ripresa e l’altra e alla sera, quando tutti preferivano rintanarsi nei letti imbottiti, loro sfidavano il sonno e il freddo, uscendo dalle loro stanze e girando senza meta. Passavano così le serate, uno nella piacevole compagnia dell'altro, in semplici chiaccherate e battutine.
Grazie a quelle sere il loro rapporto crebbe sempre di più, sapevano che potevano fidarsi l’un l’altro e a Colin piaceva chiamare l'altro col nome del fedele compagno del suo personaggio, Efestione.
“Certo che riusciamo a sceneggiare la battaglia, giusto Efestione?” lo richiamava sempre, in ogni faccenda, perché le cose le voleva fare sempre in due. Ma non con un altro qualsiasi, solo con Jared.
“Devo fare questo? Certo, è fattibile, vero Efestione?” e il suo sguardo ricadeva sempre su quello azzurro dell'amico che acconsentiva anche se in quel momento avrebbe preferito spararsi.
« Questa sera, finite le riprese, ce ne torniamo in hotel e ci beviamo una birra assieme. » lo rassicurò l'irlandese facendogli un occhiolino con effetto da tranquillante immediato.
Jared sospirò e finalmente riuscì a sorridere veramente, soprattutto quando Colin afferrò la collana che cadeva sui pettorali e la sporse verso di lui. Era uno degli stupidi gesti che avevano cominciato a fare tra di loro, per solidarietà. Erano stupidi anche secondo Jared, ma nonostante ciò li apprezzava perché erano unici e poteva farli solo con lui.
Così a sua volta afferrò la propria collana, identica all'altra, e le fece scontrare. Come un “cinque”, solo meno banale e ricco di significati.
« Ma prova a darmi di nuovo della prima donna e ti sfondo i denti. » sbottò Jared facendo tornare gli altri a ridere, dopo che si erano fermati ad assistere ad uno di quei momenti in cui li facevano confermare di aver scelto gli attori giusti per recitare quell'amore segreto del Re e del Generale.
Per loro era come vedere i due “antichi” di nuovo in vita, senza che se ne fossero realmente accorti. Avevano notato come il loro rapporto si fosse saldato velocemente e a volte facevano battutine tra di loro mettendo in dubbio la loro sessualità, scherzando su come passavano quelle notti assieme.
Se solo Jared avesse sentito le voci che correvano alle sue spalle, forse sarebbe morto dall'imbarazzo.
I tecnici sistemarono le telecamere e i microfoni, Jared si stese sul letto dove avrebbe dovuto inscenare la morte mentre il regista gli stava ripetendo le sensazione che avrebbe dovuto interpretare.
L'attore chiuse gli occhi inconsciamente ascoltandolo solo con una parte della mente, perché l’altra era troppo impegnata ad immaginare la scena reale.
Il tremore e gli spasmi per la perdita del controllo del proprio corpo. Il veleno della malattia che scorreva nelle vene mozzando il fiato. Il dolore lancinante a qualsiasi arto. Il cuore sempre più lento nel battere e il suo rumore più assordante.
Il ricordo del suo amato, troppo lontano per poter morire in pace.
“Mi dispiace Ephaestion” pensò Jared tra sé, stringendo tra le dita un lembo del lenzuolo sotto al proprio corpo, sentendo come un senso di colpa nel dover recitare la sua morte, diversa da come avvenne realmente.
Non aveva meritato una fine del genere.
 
 
[***]
 
 
“Finalmente a casa”.
Questo fu il primo pensiero di tutta la troupe di Alexander, una volta che le riprese furono concluse. I numerosi giorni di caldo e di sabbia erano finalmente finiti e tutti quanti poterono tornare a casa dalle proprie famiglie.
Sapevano che quei sacrifici di sudore, un po' di sete e notti insonne non erano stati sprecati. Tutte quelle settimane di duro lavoro avevano portato alla creazione di un magnifico film, rendendo fiero il regista e gli attori a cui avevano partecipato.
Tutti loro poterono rilassarsi tra le lenzuola dei loro letti con sorrisi compiaciuti ed appagati dalla morbidezza dei loro materassi, non paragonabili alla durezza di quelli dell'hotel. Ora potevano dormire tranquillamente.
Ma non tutti.
La pace non riuscì ad entrare nell'animo del protagonista secondario. I suoi occhi azzurri perennemente lucidi fissavano per ore il soffitto anche nelle notti seguenti alle riprese. Non riusciva a calmarsi, passava le ore della luna a rigirarsi tra le lenzuola del letto matrimoniale.
La sua testa si trovava tempestata di pensieri negativi che lo tormentavano per tutta la notte.
“Che brutto morire, lasciare tutto quanto… Lasciare la propria casa, la propria famiglia, tutto ciò che si ha amato… Lasciare la persona che si ama. Cosa si può far di male per meritarsi questo? Cosa ha fatto Efestione per meritarsi quella morte?” continuava a pensare ogni sera finché il cervello non andava in ebollizione e si spegneva di colpo, calandolo in un sonno profondo per le ultime ore che poteva permettersi.
Poi tornava alla riscossa anche la nostalgia di quelle notti passate con Colin, ogni singolo minuto con lui era prezioso. Ancora aveva al collo quella collanina d'avorio, identica a quella dell'altro attore.
Sorrise amaro rigirandosela tra le dita, in preda all'ennesima notte in bianco.
Era passata una settimana da quando avevano finito di girare il film e lui con testa era ancora lì, nel deserto, a camminare senza un fine con l’amico accanto, mentre quest’ultimo gli raccontava un suo aneddoto di quando frequentava la scuola di ballo, costretto dalla madre.
Si lasciò scappare un risolino scuotendo la testa nell'immaginarlo.
Gli mancava. Voleva tanto rivederlo, sentirlo parlare, guardarlo, ridere alle sue battute, bere una birra, guardare i suoi occhi scuri, le sue labbra, il suo petto.
« Dio mio. » sussurrò scuotendo la testa rassegnato.
Sapeva che non doveva vedere l’amico in un modo che non fosse da “amico”, appunto.
Ma non ce la faceva, era più forte di sé. Avrebbe preferito patire nuovamente le pene dell’inferno, sperava in vano in una chiamata del regista che gli dicesse che c’era la necessità di tornare là, perché si erano dimenticati di girare una scena. Gli sarebbe andato bene, purché ci fosse stato anche Colin.
Forse si era preso una cotta.
« Dio mio, no! » piagnucolò prendendosi il viso tra le mani all'idea. Non poteva, lo sapeva.
Si sentiva stupido in quei momenti, perché nonostante sapesse dell’impossibilità di una probabile relazione e cercasse di imporre alla sua mente di non creare immagini di loro assieme, ad occhi chiusi vedeva solo le loro mani unite.
Uno scambio di sorrisi con sguardi innamorati e poi un bacio.
« Oh fanculo. » affondò il viso nel cuscino trattenendo il fiato. Se avesse potuto si sarebbe soffocato da solo, per porre fine a tutto quello. Ma ovviamente non voleva morire per davvero.
L’unica cosa che voleva era che tutti quei pensieri finissero immediatamente. Basta fantasticare su Colin, basta ricordare le notti passate assieme, ma, soprattutto, basta pensare ad Efestione.
Ma non riusciva, era più forte di lui.
Sbatté i piedi contro il materasso come un bambino viziato mugolando dal nervoso quando di nuovo sentì le farfalle nello stomaco per l'agitazione. Dannato Efestione.
Forse quel film gli aveva cambiato la vita, lo aveva reso più conscio del valore delle cose, delle persone, degli amori. Forse grazie a quel film avrebbe compreso cosa significa amare.
Non che lui non avesse mai amato, ma i suoi amori erano sempre stati superflui, poco duraturi, perché non aveva mai amato veramente. I suoi amori erano solo amori superficiali, non si era mai legato l'animo con quello delle sue ex. Motivo per cui erano diventate “ex”.
Erano state tutte donne, le persone con cui aveva intrapreso una relazione. Forse era per quello che non riusciva a legare veramente.
Secondo gli antichi greci l'amore superiore, quello vero e puro, si instaurava solo tra persone dello stesso sesso.
Riuscì a farsi scappare un lieve sorriso al pensiero. “Forse allora non sono io quello nato sbagliato.” si disse in mente. “Argh, Ephaestion! Accidenti a te, alla tua commovente morte e alla mia spiccata sensibilità!”
Si rigirò nelle coperte sbuffando e alzandosi a sedere per guardare l’orologio digitale sul comodino accanto.
Erano solo le sei del mattino, un po' presto no? Poteva ancora dormire, almeno provarci.
Ma, al contrario, si alzò stiracchiandosi e sbadigliando sentitamente, facendo rizzare le orecchie al vecchio husky bellamente sdraiato sulla poltroncina davanti al letto del padrone.
Il cane alzò la testa sbadigliando a sua volta.
« Buongiorno Juda! » sorrise il ragazzo afferrando un elastico per legarsi i capelli ancora lunghi.
Era già passata una settimana dalle riprese ma lui continuava a tenere i capelli lunghi del suo personaggio. Non voleva tagliarseli, era come bruciare i ricordi di quei mesi. Poi si sentiva come il dovere di tenerli lunghi per un po' come rispetto per il defunto.
Sospirò arreso, consapevole del fatto che quell'uomo non gli sarebbe mai uscito dalla testa. Come Colin, d’altronde.
“Chissà se anche lui pensa ad Alessandro” pensò entrando in cucina per preparare la colazione a sé e al lupo albino.
Scosse la testa. “No, sicuramente no, non ne avrebbe motivo”. Colin, non sapeva nulla della vera storia dei due innamorati, molto probabilmente. E forse non era nemmeno così sensibile come Jared. Quindi perché avrebbe dovuto pensarci?
Mise a scaldare il caffè e prese dal ripostiglio i croccantini per cani versandone in una ciotola con la solita smorfia per il cattivo odore. Eppure lui se li divorava con gusto, chissà come faceva.
Appena la posò a terra, l'husky affondò il viso grugnendo nell'abbuffarsi e scodinzolando per l'apprezzamento. Jared scosse la testa con un verso di sgomento all'idea di mangiare anche un solo croccantino.
Una volta aveva costretto Shannon a farlo e lui lo ingoiò senza farsi problemi. Era pure al manzo, conteneva carne! E per Jared le cose per onnivori erano tabù.
Si riscosse da quei pensieri quando sentì la caffettiera cominciare a gorgogliare per il caffè che stava ormai bollendo. Spense il gas ispirando il profumo della caffeina appena scaldata che ogni mattina gli faceva stampare un sorriso beota sulle labbra.
« Hmm nettare degli dèi! » mugolò mentre se ne versava un po' nella tazza per poi intasarla di zucchero di canna.
Riprendere la routine di tutti i giorni dopo mesi in un hotel immerso nella sabbia per Jared fu più faticoso del solito. Si era abituato alla sveglia puntata alle sei del mattino, ad una colazione povera subito seguita da una sessione di allenamento fisico per mantenere i muscoli bene in rilievo, come era stato chiesto dal regista stesso.
E subito dopo quel caffè sapeva cosa lo aspettava: una serie di 30 addominali, corsa sul posto per 20 secondi poi giù a terra a fare 20 flessioni per poi correre ancora sul posto, il tutto ripetuto almeno 5 volte. Erano esercizi necessari per mantenere un corpo tonico con annessi esercizi cardio.
Ma prima di tutto ciò, si accoccolò sul divano, sprofondando nei cuscini mentre dava sfogo ad uno sbadiglio rumoroso che fece fischiare il cane per lo spavento. Sì, era difficile abbandonare le abitudini di quei ultimi mesi, ma piano piano tutto stava sorgendo in lui la fiacchezza precedente. Ritrovava di nuovo piacere nell'immergersi tra le coperte calde del piumone, arrotolandosi come una larva e leggere un libro sorseggiando un caffè caldo.
Tornava ad amare il torpore del letto, lo faceva sentire a casa, al sicuro e nella serenità.
Si tirò addosso un plaid arancione abbandonato sullo schienale del divano e accese distrattamente la tv. Cominciò a fare zapping tra un canale e l'altro di gossip, i soliti show con quattro ospiti diversi al giorno, con spettegolezzi e critiche riguardo celebrità.
La solita tv spazzatura che ormai si era impossessata dei media americani, controllando il cervello dei cittadini ed imponendogli uno stile di vita basato sul patriottismo, la speculazione, il consumo e l’ipocrisia.
E mentre pensava queste teorie, il suo occhio ricadde sul BlackBerry abbandonato sul tavolo della sala la sera prima, notando che la spia verde lampeggiava in segno di un messaggio arrivato.
“Shannon? Mamma?” cominciò ad elencare le persone che avrebbero potuto scrivergli.
“Forse è il regista…” pensò infine in un ultimo momento di lucidità, prima di sbloccare lo schermo e leggere il nome del contatto.
Si, sperava che fosse Oliver, che gli chiedeva di tornare sul set.
Avrebbe dato oro pur di ritornare nel deserto, assieme a tutta la troupe, a girare scene del film per giornate che sembravano infinite, aspettando con ansia l'arrivo della sera per poter stare di nuovo da solo con Colin.
Sospirò sapendo già che era impossibile, non sarebbero mai tornati lì, purtroppo. Doveva smetterla di sperarci, si sentiva ridicolo ogni volta che ci pensava.
Sicuramente era sua madre, da quando era tornato non l'aveva ancora vista e sentita, le aveva scritto solo un ‘sono a LA' e un ‘sì sto bene'. Non che non amasse parlare con la madre, ma era ancora in fase depressione da post film, triste per aver già finito le riprese e smesso con le serate in compagnia del suo amico. Aveva bisogno di stare da solo e rimuginare nella tristezza e nei ricordi con malinconia.
Dal canto suo Constance era sempre stata molto protettiva nei confronti dei suoi figli, quindi era impossibile per Jared scampare da lei. Sicuramente, se non avesse risposto il prima possibile, se la sarebbe ritrovata davanti casa con una mazza in mani per punirlo.
Ma quando accese lo schermo il fiato si bloccò nel suo petto, tenendolo in apnea. Non era né mamma, né Shannon, né Oliver. E chi l'avrebbe mai immaginato che potesse succedere? Nemmeno si ricordava quando gli avesse dato il numero.
Ma lo aveva e gli aveva pure scritto. E quello che gli scrisse sembrava così banale. Ma quello che importò veramente fu come glielo scrisse, che bloccò il battito per un attimo.
« Che fine ha fatto il mio Efestione? » sussurrò nel leggere il messaggio.
Non poteva essere. Gli aveva scritto. LUI gli aveva scritto. Non ci credeva, non ci riusciva, e dovette rileggere il messaggio più e più volte col fiato sospeso e le farfalle nello stomaco che danzavano in un ballo della felicità.
Ma non importava solo chi gli avesse scritto, ma cosa. Lo aveva chiamato Efestione, non Jared. Non stava solamente cercando l'amico, richiamava il loro legame nel scrivere quel nome. Solo per quello ebbe un ulteriore fremito, si sentiva di nuovo suo. E non come un oggetto, ma a livello spirituale.
Stava chiamando Efestione, stava richiamando loro sacra unione.
Sbatté gli occhi incredulo fissando lo schermo con mille pensieri in testa. “Okay, okay, calma. Ma è proprio lui?” pensò leggendo il numero non salvato. “Se fosse una presa per il culo?” fremette appena lo realizzò. Magari poteva essere uno scherzo da uno della troupe.
No, sicuramente no. Il suo numero lo aveva solo il regista e non poteva averlo dato ad uno qualunque, così facendo avrebbe compromesso la sua fondamentale privacy da star.
Eppure era sicuro che non si fossero mai scambiati i numeri, lui e Colin. Forse quest’ultimo lo aveva chiesto ad Oliver. Lui poteva chiederlo, non era uno qualunque. Ma sicuro che fosse lui?
Aveva una paura immensa nel rispondere, aveva paura di fare una figuraccia e che fosse tutto una presa per il culo.
“Ma se fosse veramente lui? Forse sta aspettando una mia risposta…” mugolò tra sé pensandoci.
Lo schermo si oscurò nuovamente e solo in quel momento si accorse di non averlo ancora sbloccato, rimanendo a fissare l'anteprima del messaggio senza aprire la schermata di Whatsapp.
Si tirò uno schiaffo sulla fronte dandosi ripetutamente dell'idiota, mentre sbloccava lo schermo e apriva l’applicazione grazie alla quale aveva ricevuto il messaggio. Bastava guardare la sua immagine del profilo, così avrebbe capito se fosse veramente lui o meno. Ma sarebbe stato troppo facile così.
Quando aprì il contatto, la foto che vide nella miniatura lo fece imprecare. Niente foto del proprio viso, ma solo un paio di gambe stese ed incrociate a livello delle caviglie su una sdraio.
« Fanculo. » si lasciò scappare in un sussurro. Come poteva sapere se era lui solo da un paio di gambe?
Erano da maschio, certamente, lo capiva grazie alla peluria sui polpacci che ovviamente aveva poco di femminile. Ma erano gambe normali, non avevano niente di speciale che potessero riportarlo a lui. Erano muscolose, sì, ma non era l'unico uomo muscolo sulla terra.
Un paio di calzini ripiegati sulle caviglie e un paio di scarpe da ginnastica bianche.
Assottigliò lo sguardo senza distoglierlo dalla foto. “Allora immagine. Che cosa stai cercando di dirmi?” assunse un tono investigativo nella sua testa.
“Abbronzatura non troppo scura… beh lui è irlandese, è normale che non riesca ad abbronzarsi più di tanto. I calzini… Sono normali calzini. E le Nike… Ci sono centinaia di persone che le indossano, che cacchio!”
Sbuffò esasperato mentre l'agitazione stava crescendo. Non poteva aspettare ancora per molto, se si fosse rivelato veramente lui che figura ci avrebbe fatto?
“Se poi gli do l'impressione di non volerci parlare allora lui non mi scriverà più?” fremette nel panico.
Doveva rispondergli e anche subito se non voleva rovinare tutto quanto.
« Merda! » piagnucolò quando la frase “ultimo accesso oggi alle 01.40 AM” sotto la fotografia scomparve e venne sostituita dal tremendo “online” che gli fece accapponare la pelle.
‘Lui' era online. Aveva visto che lui aveva visualizzato senza però rispondere.
“Sì, sono fottuto. Che cazzo faccio?” mandò giù a vuoto. Non aveva più tempo, doveva agire e anche subito.
“Okay allora. Magari fingo indifferenza e cerco di fargli dire qualcosa che solo io e lui sappiamo. Sì. Ma cosa? Oh dio oh dio sta scrivendo!” sgranò gli occhi quando vide lo stato cambiare da ‘online' a ‘sta scrivendo…’.
Per Jared l’ultimo equivaleva ad un “stai per morire…”.
Cominciò a boccheggiare versi senza senso non sapendo più a che pensare, a che scusa inventare qualora avesse fatto realmente una figura di merda, a che insulti rivolgersi contro. Fu in quel momento che il suo occhio cadde per un’ultima volta sulla sua immagine del profilo, e non si sentì mai così stupido quando notò che sullo sfondo c'era il set dove avevano girato il loro film.
 
Ehi, non fare la prima donna preziosa!
 
« Dannazione, dannazione! Era lui! » piagnucolò ad alta voce prendendosi il viso tra le mani. Sì, si rese finalmente conto di aver fatto una figuraccia.
E in quel preciso istante era combattuto con sé stesso tra sotterrarsi vivo o andare da lui e riempirlo di botte. Era ancora scombussolato dal messaggio, ma “prima donna” lo aveva letto benissimo.
Ora che poteva scrivergli? Fingergli una svista, fargli credere che aveva visualizzato per sbaglio senza veramente leggere il messaggio? Sembrare idiota così aveva una scusa e si sarebbe fatto perdonare per compassione? Beh doveva pur comprenderlo, gli aveva appena scritto un numero che non conosceva, anche se il messaggio lasciava intuire.
Respirò profondamente cercando di calmare le farfalle nello stomaco. “Okay. Devo scrivergli. Ma qualcosa che lo stupisca”.
 
Sei tu, Alessandro?
 
“Si, è perfetto.” Pensò una volta inviato il messaggio.
E quello che desiderava lo ottenne, perché appena Colin ricevette il messaggio gli si illuminarono gli occhi.
Jared non lo sapeva, ma anche l'altro attore era rimasto folgorato dal proprio personaggio. Aveva sentito qualcosa dentro di sé che lo aveva spinto ad amare sempre di più quella figura, portandolo a pensarci molto spesso come era successo all'amico.
Era come se ogni volta che varcava la soglia del palazzo, dove stavano girando il film, il re lo stesse invitando ad entrare, compiaciuto di avere lui come attore che lo interpretasse. Si sentiva accettato da lui, protetto da lui.
Ma a differenza di Jared, Colin non sapeva della vera morte di Efestione, di come soffrì il compagno alla scoperta.
Lui sapeva solo che il grande re aveva lasciato un'impronta marcata dentro di lui durante le riprese, ma non aveva ancora capito come e di che portata.
 
Sono io… ehi, non farti sentire eh J
 
Fece mugolare Jared dal dispiacere e dalla gelosia per non aver pensato prima lui a scrivergli. Non che non ci avesse pensato veramente, ma non aveva ancora escogitato un modo per ottenere un suo recapito. Non aveva un manager a cui fare riferimento e chiedere ad Oliver, beh… era troppo imbarazzante.
Poi aveva paura che avesse dubitato qualcosa. Non che si fosse dimostrato quello che “veramente era” fuori dal set di fronte a lui, anzi. Solo qualche volta aveva azzardato, ma solo con Colin, in una o più delle sere passate in compagnia. Ma con il resto della troupe non si dilargava troppo, mantenendo un certo distacco professionale a volte rotto da alcune battutine che si lasciava scappare dalla sua indole comica.
 
Non avevo il tuo numero, come potevo?
 
Come pensi che l'abbia avuto io?
 
Beh si, aveva un’ipotesi su come avrebbe potuto ottenere il suo numero. Ma se lo avesse detto avrebbe fatto la figura dello scemo: conosci il modo, perché non lo hai fatto prima?
L'irlandese ridacchiò tra se notando che l'altro visualizzò senza scrivere ancora qualcosa. “Forza occhi dolci”, pensò mentre con un gesto distratto accese la tv senza guardarla veramente, giusto per avere un sottofondo.
Jared dal canto suo fissava lo schermo con i pollici piegati e sollevati a mezz'aria, cercando qualsiasi stronzata da scrivergli.
 
Cosa ne posso sapere io?
 
L'irlandese scosse la testa aspettandoselo. Jared era prevedibile più per lui che per gli altri. Addirittura era l’unico che poteva reputarlo tale. Tutti lo avevano sempre elogiato per il suo carattere imprevedibile, da ragazzo folle, simpatico ed esuberante.
Con Colin la storia era diversa. Lo vedeva sì simpatico e vivace, ma ogni cosa, anche la più stramba, che comunque provenisse da lui, era scontata.
“CHI HA MESSO LA SABBIA NEL MIO PANINO?!” si sentì urlare dalla tenda del regista all'ora di pranzo un giorno qualunque di riprese, ma la risposta Colin la sapeva già.
Per lui tutto ciò che era nella testa dell’amico non era totalmente un mistero come lo vedevano gli altri che non lo conoscevano bene, c’era solo da decifrare i suoi pensieri e anticipare le sue azioni. Oppure comprenderle per primo, mentre gli altri faticavano a vederlo come una persona normale.
Se la ricordava ancora quella sera lì nel deserto. Tutti impazziti perché dovevano girare la scena del balcone, dove Alessandro ed Efestione contemplavano Babilonia, ma Leto era scomparso. Nessuno poteva sapere dove si fosse cacciato, perché il ragazzo aveva lasciato il cellulare nella stanza dell'albergo e nessuno lo aveva visto da quando si era fatto truccare.
Oliver stava già per chiamare la polizia, quando Colin fermò tutti. Gli bastò uno sguardo al cielo per capire cosa stesse succedendo nella testa del ragazzo, e si lasciò scappare una risata. Solo lui poteva fare una cosa del genere.
Quella sera non era come tutte le altre, il tramonto aveva portato un colore roseo alle nuvole, dipingendo l'orizzonte di una sfumatura calda, uno spettacolo della natura.
E ovviamente un ragazzo sensibile come Jared non si sarebbe perso quel tramonto per nessuna ragione al mondo. Avrebbe pure rischiato il ruolo di Efestione, ma quello spettacolo lo voleva vedere a tutti i costi.
Non gli ci volle molto nemmeno a capire dove si fosse cacciato. Gli bastò andare nel punto più alto che conosceva. Lo avevano scoperto una di quelle notti insonni passate a vagare senza meta, durante la quale finirono lì a contare le stelle sdraiati contro una roccia.
Era un precipizio vicino al palazzo dove riprendevano le scene, composto da una montagnetta rocciosa e arida, senza un cespuglio o albero, solo qualche sasso sparso qua e là. Il bello di quel posto era la sua posizione strategicamente isolata e la possibilità di vedere mezzo deserto decorato dal sorgere di alcuni palazzi dalle mura blu, rosse od ocra.
Non era nemmeno molto difficile da scalare e non ci voleva troppo tempo. Fu così che Colin abbandonò tutta la troupe senza dargli spiegazioni, se non un “aspettate”.
Salì silenzioso sulla cima del precipizio, scorgendo una nuca che sbucava da quella roccia obliqua contro la quale si erano sdraiati notti prima. Si lasciò scappare un sorriso soddisfatto per aver capito subito dove fosse e cosa stesse facendo.
Non era difficile per lui immaginarselo. Sapeva che ci teneva a vedere quel meraviglioso tramonto, e dove se non nel punto più alto che conoscevano?
Jared lo sentì avvicinarsi ma non disse nulla. Non si spostò nemmeno dalla roccia, aveva addirittura lasciato un po’ di spazio accanto a sé per lui, sapendo che prima o poi sarebbe arrivato. Per lo meno lo sperava, e quando lo sentì fu per lui un sollievo.
Non gli avrebbe mai rivelato ciò che sentiva quando stavano assieme, sapeva che sarebbe stato un passo falso e lo avrebbe allontanato sempre di più. Perché Colin non era come lui, “diverso”, come si era sempre etichettato.
Il suo stomaco fu tutto un fermento quando l’amico si sedette accanto a lui con un sospiro quasi rassegnato alla sua pazzia. “Potevi avvertire almeno me” mormorò l'irlandese, ma l'amico scrollò le spalle e rispose con naturalezza “perché, se lo sapevi da te?” e gli strappò un sorriso.
Contemplarono il tramonto roseo in silenzio, col cuore di entrambi in pace. Dovevano essere agitati per la scena che dovevano recitare, ma in quel momento il film non esisteva più. C'erano solo loro due, le teste quasi appoggiate una contro l'altra, sorrette da un masso di quella montagna rocciosa dove i loro corpi stesi assistevano all'avvento della luna d'avorio.
“Rimani con me questa notte, Alessandro” sussurrò Jared, quando il sole ormai era scomparso al confine del mondo, richiamando la frase che avrebbe dovuto recitare l'amico, ovviamente cambiando il nome. Ma la sua non fu una frase detta tanto per scherzare, fu un invito a rimanere assieme anche quella sera, a girare senza meta nel buio della notte, sotto alla luce delle stelle.
 
Sei stupido, ecco perché...
Comunque ti ho scritto perché dopo aver fatto amicizia così sentitamente durante il film, mi sembrava da stupidi non risentirci!
 
Questo fece sorridere Jared, che sperava ardentemente di ricevere un messaggio del genere. Sperava che gli chiedesse di continuare la loro amicizia.
E a quest’amicizia entrambi davano un'origine non fondata sulle solite convenzioni sociali e morali, sulla quale si basavano le banali relazioni. La loro aveva inizio nel profondo. Era come se fosse destino che diventassero amici e che legassero così profondamente in poco tempo. Era come se ci fosse qualcosa di superiore alla guida dei loro animi, che li avesse uniti per sua volontà.
Questa volontà fu comunque ben accetta da entrambi, così la portarono avanti, fomentandola ogni giorno di più.
 
Mi fa piacere! Una di queste sera ci dobbiamo vedere allora.
 
Assolutamente si.
 
Jared fece un gridolino di gioia quando accettò di vederlo. Non vedeva l'ora di poterlo di nuovo abbracciare, di farsi abbracciare dai suoi muscoli, e si respirare il suo profumo che non lo abbandonava nemmeno quando si metteva i vestiti di scena.
Adorava quel profumo dolciastro che gli faceva venire voglia di morderlo su qualunque lembo di pelle scoperta. Ora era impaziente di vederlo per poter vere lui, sentire il suo profumo ed il calore del suo abbraccio. L’idea gli fece tornare le farfalle nello stomaco e sospirò già con la testa tra le nuvole, immaginando il loro ritrovo.
 
Si erano dati appuntamento due giorni dopo alle ore otto e mezza di sera a casa di Jared. Quest’ultimo si era proposto come cuoco per quella cena, facendo storcere la bocca dell’amico in un’espressione che grazie al cielo il giovane non poté vedere in quanto stessero ancora messaggiando.
Sapeva che Jared non aveva mai avuto una buona reputazione a livello culinario, tutt’altro. In più ricordava della sua scelta alimentare: vegan. Non che avesse qualcosa contro il cibo vegano, ma lui si considerava più carnivoro che onnivoro. E ciò che temeva di più era che gli fosse proibita la carne.
Dal canto suo Jared preparò le specialità vegane più semplici che conosceva, evitando il più possibile di accendere il fuoco per non incendiare la casa. Non voleva far morire di fame l'altro attore ma allo stesso tempo voleva mantenere fede alla propria scelta di non mangiare tutto ciò che riguardava il mondo animale.
Era elettrizzato all'idea di poterlo finalmente rivedere e aveva passato la giornata a cucinare con gli occhi incollati all'orologio per verificare ogni minuto che passava, con tanto di conto alla rovescia, fremendo ad ogni secondo in meno di attesa. Per questo motivo impiegò più tempo del previsto per cucinare, perché nel fissare l’orologio si distraeva facilmente e ciò che aveva in mano un secondo prima, in quello dopo era a terra.
L'altro era felice quanto lui ma allo stesso tempo manteneva un po’ di contegno. Voleva rivedere il suo caro Efestione, ma era conscio della pericolosità di quell'incontro. Non poteva abbassare la guardia nemmeno un attimo nel tragitto che avrebbe dovuto fare da casa sua a quella di Jared, i paparazzi erano sempre in allerta. E se così erano loro, anche lui doveva esserlo, cercando di percorrere le vie meno frequentate. Soprattutto doveva essere veloce a salire in macchina e ad uscire dalla villetta.
“Cosa mi tocca fare per lui” l'irlandese scosse la testa al pensiero di mettere a repentaglio la propria carriera per degli stupidi sospetti. Che per l'appunto erano stupidi, perché entrambi erano etero, così almeno credeva lui. Se avessero avuto una relazione segreta i loro spostamenti dovevano essere eseguiti nell’ombra totale per evitare di essere visti e perseguitati dai fotografi curiosi e bramosi di scoop.
Scosse la testa ancora più forte per cancellare l’immagine di loro due assieme che si era creata nella sua mente. “In famiglia basta mio fratello gay” sdrammatizzò tra sé con un risolino nervoso per nascondere la vergogna di averci pensato anche per un secondo.
Non era omofobo, suo fratello era gay e lo aveva sempre accettato senza problemi. Ma lui dell’altra sponda? No, per carità! Si era sempre dimostrato etero, con tanto di matrimonio e figlio. Il fatto che fosse affondato in un divorzio non significava che le donne non gli interessassero più.
Voleva bene a Jared, ma fino ad un certo punto. Anche se durante le riprese avevano legato tanto e per lui avrebbe dato un braccio, il culo rimaneva vergine.
Rise pensandoci. “Se mai avessi l’occasione di dirglielo: darei un braccio per te, ma il mio culo rimane mio. E vergine. Chissà se si prenderebbe male…”
Si guardò allo specchio della camera da letto, mentre era intento a prepararsi per la cena con l'amico. I suoi capelli ancora lunghi, con un filo di ricrescita del biondo di Alessandro, portarono la sua mente a pensare a quest’ultimo.
“Come avrebbe reagito lui?” pensò riferendosi al re. “Per Efestione avrebbe fatto di tutto? Non per forza dare il culo… A quei tempi era nulla. Però dare la vita per lui…”
In quel momento si ricordò della morte del re, morto di crepacuore dopo la morte del suo amato. In un certo senso aveva dato la vita per lui. Aveva smesso di vivere nel mondo umano, abbandonando ogni bisogno, ogni soddisfacimento, compiere quelle azioni necessarie per vivere. E così facendo correva verso la morte in una disperata maratona nella speranza di raggiunge l'altro mondo, quello divino e celeste, dove gli dèi accoglievano i morti, e ritrovare lì il suo Efestione.
Bloccò la mano con la quale si stava aggiustando i capelli e fissò il proprio riflesso attonito, smettendo di pensare per un attimo. Quasi si sentì il cuore fermarsi.
Alessandro avrebbe fatto di tutto per lui. Fece di tutto per lui. Diede la vita per lui. Si sentì in colpa per aver pensato a quelle cose stupide nei confronti di Jared. Sì, aveva scherzato, ma da un lato era vero: non avrebbe dato tutto per lui. Avrebbe mai dato la vita per lui, per Jared?
Sussultò “Ephaestion avrebbe dato la vita per Alessandro? Jared darebbe la vita per me?”
Abbassò lo sguardo in cerca di qualcosa più invitante per lo sguardo al posto delle sua faccia sconcertata.
“Senza dubbio l'avrebbe fatto… Efestione, non Jared… Forse anche Jared…”
Sobbalzò per lo spavento quando un messaggio fece vibrare il cellulare sul comodino, facendogli perdere una manciata di anni di vita e riportando la sua testa dalle nuvole alla terra ferma.
Sospirò scuotendo la testa, risvegliandosi completamente dai pensieri e prendendo lo smartphone per poi sbloccarlo.
 
Volevo preparare un dolce ma non ce l’ho fatta… puoi rimediare te? Ma robe vegan. Xo
 
Rilesse il messaggio più volte incredulo per poi scoppiare in una risata rumorosa. D’altronde si aspettava un guaio da parte sua, si parlava comunque di Jared. Si meravigliò che fosse sopravvissuto ad una giornata di cucina.
« Ma robe vegan… faccio prima a portargli un bastone preso al parco con zucchero velato sopra. » ridacchiò tra se.
Sospirò scuotendo la testa esasperato. « Quel ragazzo mi manderà al manicomio. » e finì di vestirsi con una camicia di lino color sabbia.
Si stava mettendo in tiro più che poteva, mantenendo uno stile simile a quello orientale del posto in cui avevano recitato settimane prima. Si sistemò i capelli passandoci una mano in mezzo per donargli un look selvaggio, perché voleva mostrarsi impeccabile ed in un certo senso far colpo su Jared.
Quest'ultimo era ancora in alto mare quando si accorse che mancava mezz'ora al loro appuntamento.
« Oh dio! » piagnucolò gettando il grembiule chiazzato dal cibo sul lavandino. « In 20 minuti mi devo fare la doccia, vestirmi, truccarmi… cazzo cazzo cazzo. Non ce la farò mai. » quasi sbraitò correndo su per le scale e chiudendosi in bagno.
Si spogliò talmente veloce che sussultò appena la maglia fece un piccolo rumore di strappo, portandolo a moderare i propri movimenti.
Aprì l’acqua fredda al massimo facendo riempire la stanza di gridolini che però lo spinsero ad essere più veloce nel lavarsi. In poco tempo fu fuori dalla doccia con un asciugamano in vita e una matita che veniva passata sulle palpebre inferiori più volte per essere marcata maggiormente.
Guardò l'ora sul cellulare e strillò « Sette minuti! » schizzando fuori dal bagno, rischiando di scivolare da una chiazza d’acqua lasciata dai capelli.
« I capelli. » sgranò gli occhi mentre con una mano si tastava la nuca fradicia. Si era dimenticato di asciugare i capelli. In sette minuti doveva vestirsi, asciugarsi i capelli e sistemare la tavola.
Quello che si sentì nei minuti successivi furono una serie di parolacce ripetute in fila come una preghiera blasfema mentre si vestiva con una camicia blu scuro a maniche lunghe di lino, senza sapere di star copiando lo stile che anche il suo amico aveva adottato quella sera, pensando che sarebbe stato unico.
Si bloccò all'improvviso sentendo il campanello suonare. Sgranò gli occhi e il cuore si fermò di colpo. Colin era arrivato. Non poteva essere, era già lì, e lui non era ancora pronto. Fissò allo specchio i capelli ancora bagnati con due treccine ai lati non ancora fissate.
Poi c'era il tavolo con solo la tovaglia sopra. Doveva ancora apparecchiarla, mettere i piatti con la cena.
« Merda! » afferrò una forcina fermando le treccine dietro la nuca. « ARRIVO! » urlò forte sperando di essere sentito dall'amico fuori la porta.
Colin scosse la testa sorridendo, sapeva che avrebbe dovuto aspettare altri due minuti fuori prima che lui aprisse perché non era ancora pronto. Se lo aspettava, conoscendolo, succedeva spesso anche quando decidevano di vedersi alla sera dopo le riprese perché “qualcuno” necessitava di almeno un’ora per prepararsi.
“Impazzirò per davvero, un giorno” pensò con un ghigno.
Dondolò sulle gambe impaziente mentre si guardava attorno nervoso, stando in allerta dagli eventuali paparazzi. Ma la cosa non fu facile, dato il buio che si stava creando attorno alla casa per l’ora. Sperava che nessuno li stesse spiando, aveva paura che qualcuno si facesse strane idee.
Non che ci fossero motivi, lui era etero. Entrambi lo erano, per lo meno così pensava lui.
“Mi chiedo come sia possibile che un ragazzo come lui possa essere ancora single. È bello, con quei occhi poi… okay Cole, sembri tu quello gay così!” si passò una mano sul viso sospirando frustrato.
Non era la prima volta che doveva riprendersi da solo nel fare quei discorsi nella propria testa. Ci pensava spesso a lui, lo trovava un bel ragazzo, a volte un po' effemminato nei movimenti o nelle espressioni, ma non aveva mai osato mettere in dubbio il suo orientamento sessuale. Al contrario, cominciò a dubitare del proprio da quando lo aveva conosciuto.
Fin dal primo sguardo aveva sentito qualcosa di strano, saranno stati gli occhi blu contornati da una sottile linea nera di matita, oppure i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle, il suo sorriso candido e quasi innocente seguito da un timido “ciao” che lo fecero sorridere a sua volta. Era la prima volta che sorrideva solo nel veder sorridere un'altra persona che non fosse suo figlio.
Lo aveva come folgorato al primo sguardo, una specie di colpo di fulmine che lo aveva colpito una volta incrociato i suoi occhi così limpidi che quasi gli permettevano di vedere ciò che pensava.
“Quel dannato sguardo” fu il suo ultimo pensiero prima di sobbalzare appena sentì la serratura girare e schioccare in segno di apertura.
Quando la porta si aprì in un leggero fischio per le serrature arrugginite, lasciando ad entrambi gli attori la possibilità di vedersi, i loro sguardi ritornarono a quelli di quasi un anno prima, quando, nella hall dell'hotel che li avrebbe ospitati nel periodo delle riprese, il più grande varcò la soglia dell'edificio con uno sguardo perso di fronte ai pacchiani ornamenti dorati.
Si bloccarono a fissarsi senza parole, increduli nel vedersi dopo tanti giorni, dopo tutto quel tempo che non li aveva cambiati di una virgola. Uno che sembrava Alessandro e l'altro Efestione. Sembravano ancora adibiti per il set.
Entrambi trattenerono a stento un sussulto nel vedersi, ma anche dal sussurrare il nome personaggio che l’altro aveva interpretato. Era come se il tempo non fosse mai passato, come se fossero ad una di quelle soliti notti in cui l'irlandese bussava alla porta dell’amico per poter uscire a fare due chiacchiere sotto la luna.
Jared notò i capelli ancora lunghi e biondi dell'altro, pensando per un attimo che anche lui avesse sentito come un bisogno di tenere un pezzo di Alessandro dentro di sé. Così come aveva fatto lui con Efestione, non tagliando i capelli e vestendosi quella sera con fare orientale.
Il suo sguardo cadde sui suoi vestiti e rimase spiazzato nel vedere che era vestito nel suo stesso stile.
Così accadde con Colin, i cui occhi vagavano sul viso dell'americano fremendo alla vista dei suoi occhi azzurri contornati di nero, come se fosse la prima volta che li vedeva. Erano uno spettacolo per lui e ogni volta che veniva guardato si ricordava di quanto fossero belli.
Quando lo vide vestito in quel modo il suo cervello non riuscì a connettere normalmente e andò in uno stato di confusione, non capendo se aveva davanti il suo caro amico vegano o l'amante del re.
Non si accorsero del tempo che passarono a contemplarsi l'un l'altro, non seppero nemmeno spiegare che cosa fosse stato a riportarli con i piedi per terra dopo essersi persi nei pensieri.
Jared, una volta accortosi del silenzio e del fatto che si stessero osservando da tanti secondi arrossì appena sorridendo intimidito ed imbarazzato per la situazione.
« Ciao… » mormorò abbozzando un sorriso cercando di sembrare più convinto, ma non riuscendoci.
Questo fece sorridere di sbieco l'altro ancora con la testa fra le nuvole nel tentare di connettere e non confondere il Jared attore con Efestione. Alzò il braccio per fargli notare il pacchetto del dolce che teneva in mano e rise appena « Ti è andata bene questa volta, sono riuscito a convincere il proprietario a non chiudermi la porta in faccia. »
« Ow, grazie! » rise Jared con un evidente tono isterico dal nervoso e si scostò dall'entrata « Entra pure, fa come se fossi a casa tua, lo sai che non ti devi fare problemi con me. » e fece un cenno col capo invitandolo ad entrate.
Così fece l'altro, entrando e posando il pacco sul tavolo, senza far vedere in modo palese che stava squadrando la casa con un certo scetticismo. Non era una reggia come si sarebbe aspettato da un tipo eccentrico e stravagante come Jared, tutt’altro.
Era una semplice villetta senza alcun ornamento costoso, semplici mura bianche, con mobili comprati in un qualsiasi negozio di arredo. Era la semplicità fatta ad architettura e design, cosa che lo sorprese. Dopotutto Jared era un ragazzo sempre attento alle apparenze e all'aspetto esteriore, mostrandosi sempre alla moda e mai privo di soldi. Ma questa sua umiltà, almeno dentro le mura di casa, gli fece piacere.
« Non badare al disordine » l'irlandese sobbalzò dai propri pensieri quando sentì l’altro parlare « e tanto meno alla tavola non ancora pronta… ho perso la cognizione del tempo e ho fatto un casino. » sorrise nel sentirlo fare un risolino isterico per sdrammatizzare.
« Oh, non c’è problema, lascia che ti aiuti… » disse tranquillamente e non lasciò il tempo all'amico di ribattere che subito si infilò in cucina per riporre il dolce nel frigorifero.
« Ah ehm… grazie Cole. » mormorò Jared per poi sospirare pesantemente e cercare di scacciare la tensione una volta solo nella sala da pranzo.
Si sentiva come impazzito. Già l'idea di rivedere Colin lo aveva mandato completamente fuori di testa, vederlo finalmente in carne ed ossa fu la goccia che fece traboccare il vaso della sua sanità mentale. Aveva passato la sera precedente al loro incontro ad imbottirsi di camomilla ed erbe che conciliassero il sonno in una crisi di esasperazione dopo l'ennesimo tentativo di calmarsi. In quel momento pensò che sarebbe stata necessaria un’ulteriore tisana rilassante da assumere alla mattina per evitare una tachicardia per l’eccessiva agitazione.
Chiuse per un attimo gli occhi inspirando ed espirando profondamente, facendo scorrere tutta l'aria necessaria al cervello per calmarsi. O almeno per sembrare calmo.
E così fece per le due ore consecutive durante la cena, sorridendo ma non troppo per non assumere un'espressione da pazzo, riedendo ma non troppo sguaiatamente per non sembrare isterico. Ma il suo trattenersi si riversò nel suo sguardo imponendogli di guardarsi a destra e a manca velocemente per dare sfogo all’agitazione.
Questo fece preoccupare l'amico che, quando l'altro era chinato in avanti per litigare con degli involtini vegani, lo fissava non capendo se fosse così di natura o avesse assunto droghe. Percepiva la sua agitazione, ma non capiva il perché.
Avevano passato per mesi nottate intere assieme, stando da soli nel nulla. In quel momento gli parve che quella cena equivalesse ad un sacrificio alla quiete personale. Tentò più volte di rompere il ghiaccio con aneddoti e battute, ma più lo faceva ridere e più si accorgeva si quanto fosse nervoso.
Ovviamente non gli avrebbe mai chiesto cosa lo turbasse, non in un momento come quello. Non voleva importunarlo dopo tutti quei giorni passati a non sentirsi.
Sospirò sconsolato e abbozzò un sorriso quando alzò lo sguardo dal proprio piatto e ritrovandosi di fronte l'amico che litigava con una pasta sfoglia dolce priva di derivanti animali. Da quanto era dura non riusciva a tagliarla col coltello.
« Ho cercato il dolce che ti era piaciuto tanto quando eravamo il quel maledetto posto sperduto… ma questo è l'unico che ho trovato. » cercò di giustificarsi per l'estrema solidità della pasta.
« È già tanto che ne hai trovato uno vegan… e poi non dire “maledetto”. Io penso di aver adorato quel luogo. Sia per il paesaggio sia per la sua storia. » mugugnò con della pastella in bocca, facendo sorridere per l’ennesima volta l'altro.
« Sì, beh, anche io. A scuola parlammo di Alessandro Magno, e poi basta. Quando lo studiammo ero piccolo e non riuscì a ricordarmi di lui come dovuto. Con questo film ho potuto conoscere la sua storia più approfonditamente e così facendo l’ho adorato sempre di più. Non so te, ma mi ha colpito profondamente, è come se avessi sentito Alessandro tra quelle mura e dentro di me. »
La tranquillità con cui lo disse fu molto diversa dall'agitazione che provocò in Jared, il quale sobbalzò sul posto nel sentirlo, non aspettandosi una rivelazione del genere.
Anche lui aveva sentito più volte il vero Efestione, quando era lì. Sentiva come se il suo spirito, dopo la morte, fosse tornato al palazzo, seguendo il re negli ultimi anni di vita, non volendolo abbandonare nemmeno da morto. E sentiva anche una strana sensazione di calma, quando era lì, come se il suo spirito lo accogliesse nel palazzo, invitandolo a continuare a recitare.
Si era legato profondamente con Ephaestion e la sua storia, tanto da poterlo ancora sentire aggirarsi nelle stanze del palazzo, assistere riprese e quasi compiacersi del risultato.
Quello che lo sorprese ma allo stesso tempo lo turbò fu il fatto che quella sensazione non sparì mai del tutto una volta tornato a Los Angeles, anzi. Ancora percepiva l’ombra del generale accanto a sé e non capiva se era semplice soggezione o una reale sensazione.
Jared guardò attonito l'amico, quasi non credendo che lo avesse detto sul serio. Aveva sempre desiderato scoprire come Colin avesse vissuto quell’esperienza, se anche lui avesse percepito il tutto in modo diverso.
« Quindi tu sentivi l’anima… di Alessandro? » sussurrò appena sentendosi in imbarazzo nel chiedere una domanda del genere, che lo stava facendo sentire come un paranoico ed ossessionato dal mondo paranormale.
Colin socchiuse le labbra sentendo un brivido alla domanda. Non se l’aspettava perché anche lui pensava che quelle sensazioni fossero state uniche sue, un episodio isolato. Credeva di essere pazzo nel sentire una strana sensazione di familiarità tra quelle mura.
Credeva che la sensazione di quiete fosse solo frutto della sua mente, nulla a che vedere con la realtà. E credendo in questo decise di non farne parola con nessuno, anche se avrebbe tanto voluto confidarsi con Jared.
Ora erano lì, che si stavano confrontando sull’accaduto, per verificare se era veramente una cosa singola o qualcosa che coinvolse entrambi.
« Anche tu? » mormorò incerto della risposta.
Jared annuì appena ancora sconvolto. « Io ho sentito Efestione… Non sono pazzo, lo giuro! Sentivo come se ci fosse ancora, lì, ad osservarmi, a seguirmi… Sembra strano lo so, ma ti giuro che sentivo la sua presenza anche se non potevo vederlo fisicamente! » mugugnò frettolosamente per paura di non essere convincete.
Fremette appena Colin posò una mano sulla sua per fermarlo con un secondo fine di calmarlo. Cosa che non avvenne, portando invece l’altro a irrigidirsi per la sorpresa del contatto.
« Lo sento ancora… » sussurrò tremolante nel guardare i suoi occhi scuri. Ed era vero.
In quel momento percepì di nuovo al suo fianco la stessa sensazione di calma e familiarità che lui collegava alla venuta dello spirito di Efestione. Non capiva che cosa faceva scattare quell’aurea di quiete, sapeva solo che appena ripensava al palazzo dove avevano registrato sarebbe ritornata.
« Calmati, la sento anche io. » mormorò appena sentì l’aurea di Alessandro calare tra di loro.
Entrambi sentirono un sussulto al cuore nel preciso istante in cui le due anime si ritrovarono nello stesso identico luogo, così cariche di energia che poteva benissimo essere sprigionata attraverso i corpi dei due attori.
Di nuovo il re e il generale si potevano incontrare, dopo anni di ricerca dei corpi perfetti per loro.
Erano stati destinati a vagare per secoli sotto forma di anime invisibili, colpevoli di aver lasciato la vita con una parte del loro cuore ancora nel mondo terreno. Così penarono nel limbo degli spettri, aspettando d’imbattersi in coloro che più rappresentassero i loro animi per incontrarsi di nuovo e trovare la pace dentro di essi.
Quando i due giovani si presentarono nel palazzo vestiti con gli abiti di scena, i due spiriti fremettero nell’invisibilità della loro sostanza non appena Efestione si riconobbe nell’ambizione, dolcezza e passione di Leto ed Alessandro nella ferrea decisionalità, fierezza e nell’orgoglio di Farrell.
Per loro sembrò impossibile averli trovati dopo secoli di attesa, finalmente avevano trovato quelli giusti, che più potevano riflettere i loro spiriti, le loro personalità, il loro amore.
Ma non potevano manifestarsi nel modo in cui stavano facendo in quel momento quando i due attori erano nel palazzo. C’erano troppe persone, troppi avrebbero visto. Poi era troppo presto, il loro rapporto era ancora acerbo, nato da poco. Si limitarono nel seguirli per tutta la durata del soggiorno in oriente, aiutando la loro amicizia a crescere, fino a renderli quasi inseparabili sia dentro che fuori dal set.
« No Colin! Non dirmi così solo per farmi stare tranquillo, lo sento per davvero! Lo so, lui… lui è qui. Efestione è qui, sempre, di continuo! E’ come se mi perseguitasse, mi segue, ovunque io vada lo sento! » Jared cominciò a parlare frettoloso dal nervoso e dalla paura di quello spirito e di cosa fosse capace di fare. Temeva che gli sarebbe successo qualcosa per colpa sua, aveva paura che lo avrebbe fatto uscire di testa e così i suoi cari sarebbero stati costretti a spedirlo al manicomio.
« Non sto mentendo! Lo sento… li sento. » gli strinse la mano imponendogli di incrociare lo sguardo azzurrino al suo più scuro. « Anche Alessandro è qui. » mormorò roco.
Anche lui aveva paura, tanta. In quel momento sentiva che la situazione gli stava sfuggendo di mano, che la quiete stava calando a picco, scomparendo troppo velocemente per potergli permettere di rimanere calmo. Non lo dava a vedere, però, per evitare che anche Jared si lasciasse prendere dal panico.
Storse la bocca vedendo gli occhi azzurri, quasi grigi, dell’amico pieni di terrore. Doveva distrarlo assolutamente in qualche modo, o per lo meno alleggerire la tensione che si era creata dall’arrivo dei due spiriti.
Quest’ultimi gli resero ancora più difficile la cosa, perché il peso delle loro forze si stava intensificando ogni momento sempre di più e la concentrazione per entrambi stava diventando uno sforzo troppo grosso per permettergli addirittura di pensare a qualcosa di concreto.
Colin guardò l’amico più grande nel tentativo di dire qualcosa per distrarlo prima che potesse perdere ogni cognizione reale e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra quando lo sguardo cadde sul petto di Jared, dove un laccio marrone legava un piccolo medaglione candido.
Era la collana che aveva tenuto per tutto il periodo di registrazione del film, identica alla propria, che usualmente facevano sbattere in segno di complicità, sostegno, felicità e di tutto ciò che li unisse nello stesso sentimento.
Mosse il braccio, alzando il gomito dal tavolo su cui stavano mangiando e subito sentì il muscolo pesante, come se oltre al proprio corpo stesse muovendo quello di un altro uomo, quello di Alessandro. La sua aurea si era come avvolta attorno al suo corpo, rendendolo pesante, come se avesse voluto diventare un’unica cosa col suo.
Jared rimase immobile con lo sguardo perso nel vuoto, sentendo le proprie forze venire meno, il fisico diventare a sua volta più pesante, l’udito meno nitido. Non capiva cosa stesse succedendo, al terrore si sostituì la paralisi non appena percepì lo spirito di Efestione sempre più possente contro i propri muscoli, avvolgersi attorno, inglobandolo in un’aurea di etere.
Era la prima volta, per entrambi, che i due spiriti si manifestavano in modo così sentito. Si erano sempre limitati a brividi freddo continui, accompagnati da un primo momento di inquietudine seguito da un’immensa pace interiore. E ognuno sapeva perfettamente chi era lo spirito che si stava mostrando in quel momento, perché Alessandro entrava in simbiosi rispettivamente con Colin ed Efestione con Jared.
Ciò che non sapevano era che tutto quello non accadeva per puro caso. Erano stati scelti dai due spiriti per essere il tramite dei loro sentimenti, che si erano risvegliati quando i due attori giunsero nel palazzo in Marocco. E ogni brivido di freddo che precedeva la quiete equivaleva ad un passo sempre più nel profondo degli animi dei due giovani, per poter entrare completamente dentro di loro e fare parte del loro spirito, convivendoci.
« Ehi » sussurrò appena Colin combattendo dentro di sé nel tentativo di mantenere lucidità « hai la nostra collana. » sorrise di sbieco afferrando la propria che ricadeva sulla maglia in lino.
Jared sussultò fievole non credendo che l’avrebbe mai notata e col cenno di un sorriso afferrò anche la propria dal mezzo dei pettorali, con evidente difficoltà nei movimenti.
« Non me la sono mai tolta da quando sono arrivato. Solo quando dovevo lavarmi. Ma vedo che anche tu ce l’hai. » mormorò tentando di non biascicare parole confuse per il peso dello spirito del generale che si aggravava su di lui « Significa tanto per me. Non è solo un souvenir per ricordarmi di uno dei tanti film… “Alexander” mi ha colpito profondamente, mi ha cambiato. E poi, è per ricordarmi di te. » sussurrò l’ultima frase guardandolo negli occhi con i propri lucidi dallo sforzo che fece per parlare anche per poco.
Colin socchiuse le labbra colto di sorpresa nel sentirlo dire. Per un attimo gli parve una palese dichiarazione che lo fece fremere nella totale confusione, non sapendo che emozioni provare. Appena sentì il proprio conscio destabilizzarsi per l’indecisione, sentì dentro di sé spargersi un calore inspiegabile, una sensazione di appagamento.
Sentì come se fosse dovuto. Come se fosse giusto così, che Jared gli dicesse quelle cose, che fosse normale che, probabilmente, provasse qualcosa per lui. E allo stesso tempo sentì un’inspiegabile ricambio nei suoi confronti. Diventò giusto provare qualcosa per lui, ma ancora non percepiva che tipo di affetto fosse.
« Non… Non l’ho tolta nemmeno io. Sennò che senso avrebbe avuto portarla fin dall’inizio, Efestione? » rispose Colin sforzando un accenno di sorriso, mentre sporse verso l’amico il proprio ciondolo.
Il suo mormorio fece fremere Jared sul posto, sentendo lo stomaco riempirsi di farfalle, e a sua volta avvicinò, anche se a fatica, il medaglione al suo.
Gli era mancato sentirsi chiamare in quel modo. Tramite messaggi era una cosa, ma dal vivo, sentendo quel nome uscire dalla sua bocca con la sua voce, lo riportava indietro nel tempo, quando lo chiamava così per chiedere conferma su ogni cosa, ogni decisione, ogni compito da svolgere.
Un attimo, un ultimo sforzo dei muscoli, e le collane si toccarono.
Un solo tocco e i corpi di entrambi vennero inglobati da un fremore che li investì da capo a piedi, sentendo gli spiriti dei due antichi prendere vita dentro di loro, invadendoli completamente.
Non sapevano cosa stesse succedendo, sapevano solo che stava accadendo e che niente li avrebbe fermati. I due spiriti non si sarebbero fermati, non quella volta. Avrebbero continuato fino a raggiungere il loro scopo, fino a poter diventare finalmente vivi e liberi dall’agonia che non gli permise di raggiungere il mondo dei morti.
I due giovani si inarcarono senza fiato, sentendosi svuotati dai propri spiriti, da ogni vitalità. Le loro viste si appannarono a tal punto che i loro occhi si chiusero per un istante.
Un istante bastò e i loro corpi non furono più lì.
Non furono più a casa di Jared. Non furono più a Los Angeles, non più in America, non più nel 2004.
Il silenzio della stanza venne interrotto bruscamente da un vociferìo che divenne mano a mano sempre più comprensibile alle orecchie dei due giovani.
Ma non erano più loro.
I loro occhi si aprirono lentamente, a fatica, come ad un risveglio forzato dopo una notte passata nel sonno profondo.
Non c’era più la loro cena vegana, nemmeno la lampada a led del soggiorno. Non c’era più niente di quell’appartamento.
Eppure tutto ciò che videro era normale. Era giusto che fosse così, che fossero lì.
Le risate dei soldati rimbombavano nei loro timpani, accompagnate da alcune esclamazioni di stupore di alcune schiave che avevano appena ricevuto una pacca sul fondoschiena da due dell’esercito del re.
E lui era lì, a capotavola del banchetto che si era allestito quella sera come tutte le precedenti. Ogni sera era una festa e lui se ne stava sempre in cima al tavolo, col calice d’oro pieno di vino rosso, mentre le serve al suo fianco rimanevano sempre pronte ad ogni suo ordine e i presenti al tavolo davano sfogo alla fantasia in cerca di battute che facessero ridere il re, come per conquistare ammirazione da parte sua.
Tutte parole senza senso. Per lo meno così giungevano alle sue orecchie. Erano solo un continuo borbottio fastidioso, talmente superficiale che nemmeno provò a capire che cosa significasse. Dopotutto a lui non importava.
Respirò profondamente e quasi gli parve strano riuscirci. Era lì, nel suo palazzo in Babilonia, a cena con gli uomini della sua corte. E c’erano tutti.
Il suo sguardo scorse su tutti gli invitati che parlavano senza dare peso al loro cibo che si raffreddava nell’essere ignorato, i gioielli sulle dita delle mani che gesticolavano, gli sputi di vino nel scoppiare a ridere per la battuta di quello seduto davanti.
Sembravano un branco di menefreghisti altolocati che pensavano solo a dare sfogo alla loro fortuna, senza nessun cuore e qualcuno a cui donarlo.
Ma non tutti erano così. C’era una persona seduta tra le urla degli altri, col piatto ancora pieno, in silenzio, che si guardava attorno spaesata.
E quando i suoi occhi azzurri finalmente si girarono verso il re, incontrando il suo sguardo, ad entrambi parve che il tempo si fosse fermato. I loro respiri si smorzarono e le loro labbra si socchiusero all’unisono, come se entrambi volessero liberare un suono di sorpresa.
Alessandro era lì, fremente, a guardare il suo Efestione. Ed Efestione era lì, a guardare il suo Alessandro.
Erano lì, come tutte le sere in cui le guerre non li costringevano ad allontanarsi dai palazzi. E niente era più normale di quello che vedevano.
Sembrò fosse passata un’infinità quando il re decise di alzarsi, mantenendo lo sguardo incatenato a quello del generale, con un evidente significato. Se ne fregò delle occhiate degli altri ospiti della cena, loro non erano nessuno. Erano solo persone, vermi che strisciavano ai suoi piedi e che aspettavano che cadesse per divorarlo. Vermi senza cuore ed una persona a cui donarlo. Lui invece aveva sia un cuore che una persona a cui, fin da piccolo, ne aveva permesso la custodia eterna.
Uscì dalla sala negando alle serve quando queste gli chiesero se avesse bisogno di loro. Non aveva bisogno di nessuno in quel momento. Aveva bisogno di lui, di Efestione. Anche se figlio di mortali, dentro di sé sapeva che era degno di scalare l’Olimpo e pretendere che gli dèi si inchinassero al suo passaggio.
Fu una camminata a passo svelto fino a ché si rintanò nella sua stanza ricoperta di fregi d’oro e di lumi ad olio, sapendo che, quando la porta si riaprì, era stato seguito. Sapeva che lo avrebbe seguito.
Si girò di scatto e il suo cuore saltò un battito quando poté incrociare di nuovo quello sguardo. Quegli occhi blu lucidi contornati di nero che sembrava non vedesse da secoli. Eppure era strana quella sensazione.
Si corsero in contro per poi abbracciarsi forte, sentendo un’inspiegabile malinconia. Non capivano, era come se non si toccassero da così tanto, eppure lo avevano fatto appena la mattina di quello stesso giorno. Respirarono a pieni polmoni l’uno il profumo dell’altro, lasciandolo scorrere dentro di sé e promettendosi di non scordarlo mai.
Efestione alzò il viso premendo di slancio le proprie labbra sottili su quelle carnose del suo amante con la stessa necessità con cui si cerca l’ossigeno sott’acqua.
« Mio Alessandro. » sussurrò con un nodo in gola e le lacrime che già premevano per uscire dalla gioia sorprendente di poterlo riabbracciare.
« Non piangere. » gli prese la mano baciandola e imponendogli di aprirla contro la propria guancia « Sono qui con te, come ora e per sempre. » posò la fronte contro la sua stringendolo a sé più che poteva.
Non voleva che si staccasse, non voleva lasciarlo andare. Sentì crescere la paura di perderlo per sempre, che una volta scioltosi dal suo abbraccio sarebbe scomparso. Di nuovo.
« Anche nell’aldilà? » mormorò appena la prima parola che la voce gli morì in gola.
« Anche nel mondo degli dèi, Efestione. E non mi interessa di chi tu sia figlio, la tua saggezza fa invidia ad Atena e la tua bellezza fa vergognare Afrodite. La tua forza è d’ispirazione a Zeus. »
Efestione sorrise scuotendo la testa, come tutte le volte che il suo re dilagava nei complimenti.
« Così esageri Alessandro. Se continui a sfigurare gli dèi, questi potrebbero vendicarsi più che graziarmi. »
« Non lo faranno, perché sanno che ho ragione e che ti meriti di far parte del loro mondo. » lo guardò negli occhi, di nuovo. E di nuovo sentì quella necessità di stringerlo a sé e non permettere che nessuno glielo potesse portare via, nemmeno Ade in persona.
« Ti amo. E non come un suddito ama il proprio re. Ti amo come un uomo ama il proprio amante. » dalla guancia fece scivolare la mano dietro ai capelli dorati del re, imponendogli di avvicinare il viso al proprio fino a ché le loro labbra non si incontrarono.
Le labbra accolsero quelle dell’altro mentre le lingue si sfiorarono, si toccarono ed infine si intrecciarono in un lungo e docile bacio che, per un attimo, non gli permise di rendersi conto di star camminando all’indietro verso il letto del re.
Una volta che quest’ultimo venne raggiunto, i corpi dei due caddero delicatamente sul materasso, accolti dalle lenzuola di seta pregiata che solo le stanze del palazzo reale potevano ospitare. I loro fiati divennero un tutt’uno non appena le pelli furono spoglie da qualsiasi veste colorata e i loro corpi poterono toccarsi senza nulla che ostacolasse il tatto.
Si guardarono ancora negli occhi, Efestione sotto al suo re, Alessandro sul suo generale. E così vollero ricordarsi il viso dell'altro, gli occhi dell'altro, il respiro dell'altro, il profumo dell'altro, il calore dell'altro, l'amore che provavano per l'altro. Un ricordo che non si sarebbe mai spento, che sarebbe durato all'infinito.
Non ci fu dolore o gemiti strozzati per quest’ultimo quando il re poté far suo il generale. Solo un sospiro sommesso ed una schiena inarcata. Per tutta la stanza furono udibili solo i loro ansimi, che echeggiavano nel soffitto ampio e concavo della stanza reale.
Efestione boccheggiava in cerca di aria graffiando la schiena abbronzata di Alessandro, mentre questo spingeva con passione dentro di lui, facendo scricchiolare le travi del grande letto che accoglieva i loro corpi.
E continuarono così, tra tirate di lenzuola e gemiti acuti quando il piacere diventava più forte grazie alle spinte violente che Alessandro donava al suo amante.
Non ci volle molto prima che quest’ultimo sussurrò ripetutamente il nome del suo re, come un segnale per avvertirlo del suo imminente orgasmo, che stava per essere raggiunto senza stimolare il proprio membro.
Dal canto suo, l’imperatore macedone afferrò la mano del suo amante, stringendola e sussurrando tra gli ansimi « Sto per venire anche io. » sentendo effettivamente delle pulsazioni più intense concentrarsi verso il proprio sesso, dentro di Efestione.
« Mio re! » riuscì finalmente a liberare dalle proprie labbra dopo un paio di secondi in apnea nel sentirsi raggiungere l’apice. E fu questo, la sua voce, il sentirsi chiamare da lui e non da uno qualunque, che fece affondare il re più affondo in un gemito strozzato nel liberare la propria venuta dentro di lui.
Chiusero gli occhi nel medesimo istante, con Efestione che chiamava di continuo il nome del suo amato, e quest’ultimo che pensava solo al suo generale, sotto di sé.
Un fremito percorse i loro corpi facendoli inarcare all’unisono mentre i fiati vennero smorzati.
« Alessandro! » urlò il ragazzo dagli occhi azzurri stringendo il braccio al proprio amante, come in cerca di una certezza che il suo corpo fosse ancora lì, nel buio del suo sguardo.
Ma quando gli occhi chiari si schiusero lentamente, ancora rintronato dall’orgasmo, tutto era sparito. La lanterna ad olio, il letto a baldacchino, le lenzuola in seta, il soffitto dorato. Babilonia non c’era più.
Non erano più lì. Non erano più Alessandro ed Efestione. O così credeva.
I suoi occhi videro Colin, non Alessandro, sopra di sé, col fiato corto, nudo e lo sguardo spaesato, ancora incapace di comprendere che cosa fosse appena successo. E nemmeno Jared lo sapeva. Lo aveva vissuto come se fosse stato in prima persona, ma non era lui.
Era Efestione. Era stato per un attimo Efestione e non Jared.
E ora chi era? L’attore o il generale? E chi aveva sopra e dentro di sé? L’amico o il suo amante?
Lo guardò negli occhi in una disperata ricerca di una risposta, anche se l’ambiente in torno a loro la suggerivano. Sarebbe dovuto tornare Jared, ma lui si sentiva diverso. Dentro di sé aveva la sensazione di non essere più lui, non del tutto. SI sentiva più completo che mai.
E quello che guardava non era più un semplice amico.
Colin si alzò lentamente dal suo corpo trattenendo un sospiro quando uscì dalla sua cavità anale. Non pensava fosse possibile, lo avevano appena fatto. Eppure prima erano Alessandro ed Efestione a farlo, ora perché si era ritrovato dentro il suo compagno?
Sussultò quando pensò alla parola compagno e non amico. Perché non riusciva più a vederlo solamente come un amico, ma doveva essere per forza qualcosa di più? Perché ora aveva questa irresistibile voglia di baciarlo e dirgli che…
Si buttò a peso morto accanto all’altro, fissando il soffitto attonito, con i pensieri offuscati, non riuscendo a pensare a qualcosa di concreto. Solo a parole confuse senza senso, incomprensibili, che non riusciva nemmeno a realizzare nella propria mente. Solo un brusio silenzioso.
Quasi non si accorse dell’altro ragazzo, che nel frattempo si era girato verso di lui, cingendogli il torace con un braccio e posando la nuca sulla sua spalla in un gesto inconscio. Come se non fosse stato lui a decidere di farlo.
Si guardarono in silenzio negli occhi con sguardo perso, non capendo che cosa fosse appena successo. I loro stomaci si riempirono di farfalle che esplosero nell’emozione quando nelle loro teste si formulò una piccola ma grande frase. Due parole. Che non seppero perché si formarono nelle loro menti nel medesimo istante, mentre spingevano sulle loro lingue per essere pronunciate.
Le labbra si socchiusero assieme e Colin, con il proprio braccio sotto al collo dell’altro, lo attirò a sé, facendole richiudere con le bocche unite.
Fu un gesto voluto da una lontana parte di sé. E questo gesto fu molto atteso da Jared con tutto sé stesso.
Perché non solo lui lo voleva, anche Efestione lo volle. Dentro di lui, nel profondo del suo spirito, dove quello dell’antico si era appena insidiato.
« Ti amo. » sputò fuori Colin di colpo, arrossendo per l’imbarazzo. Non lo voleva dire, non ora. Ma una parte di sé lo spinse, una parte nascosta nel suo animo. Ora per metà occupato da quello di Alessandro.
Jared poté solo sorridere, preso alla sprovvista da quella rivelazione così profonda ed unica. Ma da un lato sentì che fosse giusto così, che glielo dicesse e che il suo amore fosse ricambiato.
« A-anche io ti amo… Colin. » riuscì finalmente a dire con gli occhi lucidi.
In quel momento capì. L’esitare nel dire il suo nome gli fece comprendere che non aveva davanti né Alessandro né Colin. Bensì entrambi, nello stesso corpo, perché le loro anime si erano fuse, entrando in simbiosi nello stesso corpo.
Così come nel proprio corpo, che da in quel momento venne condiviso con lo spirito del generale.
Posarono la fronte una contro l’altra mentre l’irlandese strinse il braccio attorno alle spalle di quel ragazzo che ora non era più solo un amico, un caro. Era l’uomo che adesso amava, non sapeva come e perché, ma lo amava. Ed era giusto così.
Stavano vivendo un amore scritto prima della nascita di Cristo, secoli fa. Perché erano loro quelli giusti, che più rappresentavano e assomigliavano al re e al generale. E loro dovevano portare avanti quell’amore.
Un amore che non sarebbe mai morto.
   
 
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