Note:
Sono sparita dalla circolazione nel mondo dei Linkin Park ed ecco che
compaio nell'universo cinematografico. Premetto che è la mia
prima Farrelleto, coppia che shippo ardemente da quando ho visto il
film Alexander, di cui mi sono innamorata. So che mi dilungo molto
nelle descrizioni e che questa storia è la più
lunga che ho scritto, ma non odiatemi. L'ho iniziata a luglio e l'ho
finita oggi, 09/10/2015. Salvatemi.
Comunque
spero vi piaccia e non mi offendo se lasciate un ricordino sotto forma
di recensione c': Perdonatemi se non è una rossa, non avevo
voglia di scrivere cose zozze. Ho in mente una long fic che
però pubblicherò nella sezione del film
Alexander, in quanto saranno protagonisti di un AU proprio Alessandro
ed Efestione. Per ora cerco di finire la neonata fic Lezio (Assass'ns
Creed II) e poi si vedrà.
Enjoy
Nekrí̱
agápi̱
«
Stupido sole, stupido caldo, stupido deserto. »
grugnì tra sé come se le
lamentele fossero servite ad attenuare la sofferenza, mentre con una
mano si
ravanava sotto la tunica bianca, che gli serviva come vestito di scena,
per
liberarsi dai granelli di sabbia.
«
Stupido sudore. » sbuffò passandosi una mano sulla
fronte umida e lucida mentre
il “re” lo fissava divertito nel vederlo smadonnare.
«
Meno male che siamo alla fine. » sospirò
pesantemente facendosi aria con una
mano in un disperato tentativo di smaltire l’afa che gli
stava lentamente sciogliendo
il trucco.
«
Già, meno male. Almeno non sentirò più
i tuoi lamenti da “prima donna” »
ridacchiò il protagonista del film che stavano girando da
mesi, ormai, in un
paesino disperso nel deserto del Marocco.
All'inizio
non credevano che avrebbero dovuto attraversare mezzo mondo ed essere
catapultati in un buco di sabbia che il regista si ostinava a chiamare
“set
cinematografico”, con zanzare grandi quanto le loro mani.
Avevano
accettato perché… perché sì.
Quando
Farrell ottenne il copione, prima di accettare, aprì la
prima pagina e poi
l’ultima per verificare se il nome del proprio personaggio
fosse presente. Il
tutto venne accompagnato da uno sguardo sornione per aver ottenuto la
parte
principale e per la scena di sesso con quella che sarebbe stata la
sua consorte nel film.
“Lo
posso fare” disse con non chalanche al regista ed
accettò il ruolo.
Leto,
dal canto suo, aveva pensato che una pausa dal mondo musicale gli
avrebbe fatto
bene. E, dopotutto, gli mancava recitare e sapeva di essere un attore
poco
conosciuto ma molto apprezzato da coloro che di cinema se ne
intendevano.
Quindi perché non cercare di aumentare la propria fama e
dimostrare la propria bravura?
Ma
non fu solo quello il motivo della sua scelta.
Quando
venne informato del personaggio che avrebbe dovuto interpretare, gli
occhi si
illuminarono. Avrebbe dovuto recitare il ruolo di Efestione, il fedele
e amato compagno
del re Alessandro Magno.
Non
era un semplice amico intimo, questo Efestione, bensì
l'amante del re. Non era
un semplice generale, un amico fidato. Era colui che Alessandro amava
veramente.
Doveva
quindi interpretare un uomo attratto da un altro uomo. “Era
destino che venisse
chiesto a me” pensò ridacchiando tra sé
quando lesse la sua parte.
Era
un segreto che solo suo fratello e sua madre conoscevano.
Non
lo aveva mai dato a vedere esplicitamente per evitare l'esclusione e i
pregiudizi, ma lui era “diverso”, come si era
definito quella sera, tanti anni fa,
quando cercò di rivelare a Shannon e loro madre tale segreto.
Diverso
perché, a differenza di molti suoi coetanei, a lui non
interessavano solo le
donne. Non disprezzava nulla, a lui bastava la bellezza sia interiore
che
esteriore, poi quello che c’era nelle mutande era superfluo.
Fu
per lui un sollievo leggere le caratteristiche del suo personaggio,
perché
finalmente poteva essere ciò che veramente era, fingendo di
star recitando.
L'unica
cosa che gli strappò un sospiro deluso fu il fatto che non
erano previsti né
baci né scene di sesso col protagonista, cosa che aveva
sperato ardentemente.
Non solo per dare sfogo alla sua personalità, ma anche
perché quell’ammasso di
muscoli di Farrell non dava pace ai suoi ormoni.
Era
un bel uomo, Colin, e ogni volta che ci parlava faceva fatica a
distogliere lo
sguardo dalle labbra, dai pettorali, dagli addominali ed imporsi di
fissarlo
negli occhi come in una normale conversazione. Però era
etero, da quanto ne
sapeva per via del suo matrimonio, conclusosi però in un
disastroso divorzio,
ma comunque preceduto dalla nascita di un figlio. Quindi doveva cercare
di
frenare il suo istinto e limitarsi ad avvicinarsi a lui solo sotto le
vesti di Efestione.
Ma
quando Jared, in un attacco di curiosità, cercò
la vera storia di Alessandro ed
Efestione su Internet, gli rimase un groppo in gola per giorni.
Leggere
come il loro rapporto si fosse instaurato e solidificato dalla loro
infanzia
fino all’età adulta lasciarono un senso di
malinconia nell'attore, felice per
la loro vita di passione che passarono assieme che però
ebbe, naturalmente, una
fine.
Non
fu indifferente nemmeno un gravoso senso di angoscia che gli
pesò per giorni e
notti quando lesse della morte di Efestione.
Non
aveva lasciato il mondo allo stesso modo di come venne rappresentato
nel film.
Non ci fu alcun dibattito tra Alessandro ed il suo amato.
Fu
soltanto un continuo logoramento interiore per colpa di una malattia
che colpì il
Generale quando era lontano dal re. Morì da solo.
Senza
poter rivedere l'uomo che amava un’ultima volta, senza
poterlo toccare, senza poter
sentire la sua voce. E soprattutto, lasciandolo senza un ultimo
“ti amo”.
E
Alessandro non lo raggiunse in tempo, non poté tenergli la
mano e stargli
vicino nel suo ultimo respiro. Poté solo aggrapparsi al suo
corpo senza vita per
tre giorni di intensi pianti, nutrendosi solo di lacrime e singhiozzi.
Questo
bastò per fare avere a Leto tristi incubi che lo portavano a
svegliarsi sudato
nel cuore della notte. Non per il caldo, perché lo sbalzo
termico del deserto
li obbligava a coprirsi con piumoni di notte.
Sudava
freddo, per la paura e l’angoscia nel vedere Alessandro, col
volto di Colin, in
lacrime e steso sul corpo di Efestione, col proprio volto. Vedeva
sé stesso
morto e il suo amato che lo piangeva senza pace.
E
nemmeno lui trovava pace nel ripensare alla sua morte, così
ingiusta.
Lo
guardò a bocca aperta incredulo di averlo sentito e gli
frustò un braccio con
la mano.
«
Prima donna?! » strillò provocando una risata
all'altro. « Come ti permetti? Ti
strappo le palle, così vediamo chi è la donna!
»
Ma
in risposta ebbe ancora un'altra risata di Colin, accompagnata da
quella degli
altri tecnici che assistettero alla scena.
Tutti
si stavano preparando per la scena finale, ovvero la morte di Efestione
e la caduta
sentimentale di Alessandro.
Era
quello il motivo che aveva causato un certo nervosismo da parte di
Jared, già
affranto dalla scena che dovevano girare, aggravato dalla
consapevolezza della
maggiore tragicità della vera morte.
A
volte si chiedeva se anche gli altri ne fossero a conoscenza.
Sospirò
profondamente e fece un’espressione da pianto trattenuto
guardando la telecamera
che riprendeva dietro le scene.
«
Non ce la posso fare. » piagnucolò esasperato
concedendo agli altri l’ennesima
risata.
Colin
lo afferrò per le spalle scuotendolo appena per attirare la
sua attenzione
visto che l'altro fissava l'obbiettivo in modo tragicomico.
«
Forza Jared! Pensa che dopo questa hai finito, almeno tu. »
Il
cantante mugolò un verso di sconforto girando lo sguardo
verso l'altro e provando
a sorridere per tranquillizzarlo.
Adorava
il modo in cui avessero legato durante le riprese. Spesso ringraziava,
anche se
amareggiato, i due morti per averli portati a quella situazione.
Erano
molte le volte in cui poteva constatare che tra di loro fosse sorta una
vera e
propria amicizia. Scherzavano nei momenti di pausa tra una ripresa e
l’altra e
alla sera, quando tutti preferivano rintanarsi nei letti imbottiti,
loro
sfidavano il sonno e il freddo, uscendo dalle loro stanze e girando
senza meta.
Passavano così le serate, uno nella piacevole compagnia
dell'altro, in semplici
chiaccherate e battutine.
Grazie
a quelle sere il loro rapporto crebbe sempre di più,
sapevano che potevano
fidarsi l’un l’altro e a Colin piaceva chiamare
l'altro col nome del fedele
compagno del suo personaggio, Efestione.
“Certo
che riusciamo a sceneggiare la battaglia, giusto Efestione?”
lo richiamava
sempre, in ogni faccenda, perché le cose le voleva fare
sempre in due. Ma non
con un altro qualsiasi, solo con Jared.
“Devo
fare questo? Certo, è fattibile, vero Efestione?”
e il suo sguardo ricadeva
sempre su quello azzurro dell'amico che acconsentiva anche se in quel
momento
avrebbe preferito spararsi.
« Questa sera,
finite le riprese, ce ne torniamo in
hotel e ci beviamo una birra assieme. » lo
rassicurò l'irlandese facendogli un
occhiolino con effetto da tranquillante immediato.
Jared
sospirò e finalmente riuscì a sorridere
veramente, soprattutto quando Colin
afferrò la collana che cadeva sui pettorali e la sporse
verso di lui. Era uno
degli stupidi gesti che avevano cominciato a fare tra di loro, per
solidarietà.
Erano stupidi anche secondo Jared, ma nonostante ciò li
apprezzava perché erano
unici e poteva farli solo con lui.
Così
a sua volta afferrò la propria collana, identica all'altra,
e le fece
scontrare. Come un “cinque”, solo meno banale e
ricco di significati.
«
Ma prova a darmi di nuovo della prima donna e ti sfondo i denti.
» sbottò Jared
facendo tornare gli altri a ridere, dopo che si erano fermati ad
assistere ad
uno di quei momenti in cui li facevano confermare di aver scelto gli
attori
giusti per recitare quell'amore segreto del Re e del Generale.
Per
loro era come vedere i due “antichi” di nuovo in
vita, senza che se ne fossero
realmente accorti. Avevano notato come il loro rapporto si fosse
saldato
velocemente e a volte facevano battutine tra di loro mettendo in dubbio
la loro
sessualità, scherzando su come passavano quelle notti
assieme.
Se
solo Jared avesse sentito le voci che correvano alle sue spalle, forse
sarebbe
morto dall'imbarazzo.
I
tecnici sistemarono le telecamere e i microfoni, Jared si stese sul
letto dove
avrebbe dovuto inscenare la morte mentre il regista gli stava ripetendo
le
sensazione che avrebbe dovuto interpretare.
L'attore
chiuse gli occhi inconsciamente ascoltandolo solo con una parte della
mente,
perché l’altra era troppo impegnata ad immaginare
la scena reale.
Il
tremore e gli spasmi per la perdita del controllo del proprio corpo. Il
veleno
della malattia che scorreva nelle vene mozzando il fiato. Il dolore
lancinante
a qualsiasi arto. Il cuore sempre più lento nel battere e il
suo rumore più
assordante.
Il
ricordo del suo amato, troppo lontano per poter morire in pace.
“Mi
dispiace Ephaestion” pensò Jared tra
sé, stringendo tra le dita un lembo del
lenzuolo sotto al proprio corpo, sentendo come un senso di colpa nel
dover
recitare la sua morte, diversa da come avvenne realmente.
Non
aveva meritato una fine del genere.
[***]
“Finalmente
a casa”.
Questo
fu il primo pensiero di tutta la troupe di Alexander, una volta che le
riprese
furono concluse. I numerosi giorni di caldo e di sabbia erano
finalmente finiti
e tutti quanti poterono tornare a casa dalle proprie famiglie.
Sapevano
che quei sacrifici di sudore, un po' di sete e notti insonne non erano
stati sprecati.
Tutte quelle settimane di duro lavoro avevano portato alla creazione di
un
magnifico film, rendendo fiero il regista e gli attori a cui avevano
partecipato.
Tutti
loro poterono rilassarsi tra le lenzuola dei loro letti con sorrisi
compiaciuti
ed appagati dalla morbidezza dei loro materassi, non paragonabili alla
durezza
di quelli dell'hotel. Ora potevano dormire tranquillamente.
Ma
non tutti.
La
pace non riuscì ad entrare nell'animo del protagonista
secondario. I suoi occhi
azzurri perennemente lucidi fissavano per ore il soffitto anche nelle
notti
seguenti alle riprese. Non riusciva a calmarsi, passava le ore della
luna a
rigirarsi tra le lenzuola del letto matrimoniale.
La
sua testa si trovava tempestata di pensieri negativi che lo
tormentavano per
tutta la notte.
“Che
brutto morire, lasciare tutto quanto… Lasciare la propria
casa, la propria
famiglia, tutto ciò che si ha amato… Lasciare la
persona che si ama. Cosa si
può far di male per meritarsi questo? Cosa ha fatto
Efestione per meritarsi quella
morte?” continuava a pensare ogni sera finché il
cervello non andava in
ebollizione e si spegneva di colpo, calandolo in un sonno profondo per
le
ultime ore che poteva permettersi.
Poi
tornava alla riscossa anche la nostalgia di quelle notti passate con
Colin,
ogni singolo minuto con lui era prezioso. Ancora aveva al collo quella
collanina d'avorio, identica a quella dell'altro attore.
Sorrise
amaro rigirandosela tra le dita, in preda all'ennesima notte in bianco.
Era
passata una settimana da quando avevano finito di girare il film e lui
con
testa era ancora lì, nel deserto, a camminare senza un fine
con l’amico
accanto, mentre quest’ultimo gli raccontava un suo aneddoto
di quando
frequentava la scuola di ballo, costretto dalla madre.
Si
lasciò scappare un risolino scuotendo la testa
nell'immaginarlo.
Gli
mancava. Voleva tanto rivederlo, sentirlo parlare, guardarlo, ridere
alle sue
battute, bere una birra, guardare i suoi occhi scuri, le sue labbra, il
suo
petto.
«
Dio mio. » sussurrò scuotendo la testa rassegnato.
Sapeva
che non doveva vedere l’amico in un modo che non fosse da
“amico”, appunto.
Ma
non ce la faceva, era più forte di sé. Avrebbe
preferito patire nuovamente le
pene dell’inferno, sperava in vano in una chiamata del
regista che gli dicesse
che c’era la necessità di tornare là,
perché si erano dimenticati di girare una
scena. Gli sarebbe andato bene, purché ci fosse stato anche
Colin.
Forse
si era preso una cotta.
«
Dio mio, no! » piagnucolò prendendosi il viso tra
le mani all'idea. Non poteva,
lo sapeva.
Si
sentiva stupido in quei momenti, perché nonostante sapesse
dell’impossibilità
di una probabile relazione e cercasse di imporre alla sua mente di non
creare
immagini di loro assieme, ad occhi chiusi vedeva solo le loro mani
unite.
Uno
scambio di sorrisi con sguardi innamorati e poi un bacio.
«
Oh fanculo. » affondò il viso nel cuscino
trattenendo il fiato. Se avesse
potuto si sarebbe soffocato da solo, per porre fine a tutto quello. Ma
ovviamente non voleva morire per davvero.
L’unica
cosa che voleva era che tutti quei pensieri finissero immediatamente.
Basta
fantasticare su Colin, basta ricordare le notti passate assieme, ma,
soprattutto, basta pensare ad Efestione.
Ma
non riusciva, era più forte di lui.
Sbatté
i piedi contro il materasso come un bambino viziato mugolando dal
nervoso
quando di nuovo sentì le farfalle nello stomaco per
l'agitazione. Dannato
Efestione.
Forse
quel film gli aveva cambiato la vita, lo aveva reso più
conscio del valore
delle cose, delle persone, degli amori. Forse grazie a quel film
avrebbe
compreso cosa significa amare.
Non
che lui non avesse mai amato, ma i suoi amori erano sempre stati
superflui,
poco duraturi, perché non aveva mai amato veramente. I suoi
amori erano solo
amori superficiali, non si era mai legato l'animo con quello delle sue
ex.
Motivo per cui erano diventate “ex”.
Erano
state tutte donne, le persone con cui aveva intrapreso una relazione.
Forse era
per quello che non riusciva a legare veramente.
Secondo
gli antichi greci l'amore superiore, quello vero e puro, si instaurava
solo tra
persone dello stesso sesso.
Riuscì
a farsi scappare un lieve sorriso al pensiero. “Forse allora
non sono io quello
nato sbagliato.” si disse in mente. “Argh,
Ephaestion! Accidenti a te, alla tua
commovente morte e alla mia spiccata sensibilità!”
Si
rigirò nelle coperte sbuffando e alzandosi a sedere per
guardare l’orologio
digitale sul comodino accanto.
Erano
solo le sei del mattino, un po' presto no? Poteva ancora dormire,
almeno
provarci.
Ma,
al contrario, si alzò stiracchiandosi e sbadigliando
sentitamente, facendo
rizzare le orecchie al vecchio husky bellamente sdraiato sulla
poltroncina
davanti al letto del padrone.
Il
cane alzò la testa sbadigliando a sua volta.
«
Buongiorno Juda! » sorrise il ragazzo afferrando un elastico
per legarsi i
capelli ancora lunghi.
Era
già passata una settimana dalle riprese ma lui continuava a
tenere i capelli
lunghi del suo personaggio. Non voleva tagliarseli, era come bruciare i
ricordi
di quei mesi. Poi si sentiva come il dovere di tenerli lunghi per un
po' come
rispetto per il defunto.
Sospirò
arreso, consapevole del fatto che quell'uomo non gli sarebbe mai uscito
dalla
testa. Come Colin, d’altronde.
“Chissà
se anche lui pensa ad Alessandro” pensò entrando
in cucina per preparare la
colazione a sé e al lupo albino.
Scosse
la testa. “No, sicuramente no, non ne avrebbe
motivo”. Colin, non sapeva nulla
della vera storia dei due innamorati, molto probabilmente. E forse non
era
nemmeno così sensibile come Jared. Quindi perché
avrebbe dovuto pensarci?
Mise
a scaldare il caffè e prese dal ripostiglio i croccantini
per cani versandone
in una ciotola con la solita smorfia per il cattivo odore. Eppure lui
se li
divorava con gusto, chissà come faceva.
Appena
la posò a terra, l'husky affondò il viso
grugnendo nell'abbuffarsi e
scodinzolando per l'apprezzamento. Jared scosse la testa con un verso
di
sgomento all'idea di mangiare anche un solo croccantino.
Una
volta aveva costretto Shannon a farlo e lui lo ingoiò senza
farsi problemi. Era
pure al manzo, conteneva carne! E per Jared le cose per onnivori erano
tabù.
Si
riscosse da quei pensieri quando sentì la caffettiera
cominciare a gorgogliare
per il caffè che stava ormai bollendo. Spense il gas
ispirando il profumo della
caffeina appena scaldata che ogni mattina gli faceva stampare un
sorriso beota sulle
labbra.
«
Hmm nettare degli dèi! » mugolò mentre
se ne versava un po' nella tazza per poi
intasarla di zucchero di canna.
Riprendere
la routine di tutti i giorni dopo mesi in un hotel immerso nella sabbia
per
Jared fu più faticoso del solito. Si era abituato alla
sveglia puntata alle sei
del mattino, ad una colazione povera subito seguita da una sessione di
allenamento fisico per mantenere i muscoli bene in rilievo, come era
stato
chiesto dal regista stesso.
E
subito dopo quel caffè sapeva cosa lo aspettava: una serie
di 30 addominali,
corsa sul posto per 20 secondi poi giù a terra a fare 20
flessioni per poi
correre ancora sul posto, il tutto ripetuto almeno 5 volte. Erano
esercizi
necessari per mantenere un corpo tonico con annessi esercizi cardio.
Ma
prima di tutto ciò, si accoccolò sul divano,
sprofondando nei cuscini mentre
dava sfogo ad uno sbadiglio rumoroso che fece fischiare il cane per lo
spavento. Sì, era difficile abbandonare le abitudini di quei
ultimi mesi, ma
piano piano tutto stava sorgendo in lui la fiacchezza precedente.
Ritrovava di
nuovo piacere nell'immergersi tra le coperte calde del piumone,
arrotolandosi
come una larva e leggere un libro sorseggiando un caffè
caldo.
Tornava
ad amare il torpore del letto, lo faceva sentire a casa, al sicuro e
nella
serenità.
Si
tirò addosso un plaid arancione abbandonato sullo schienale
del divano e accese
distrattamente la tv. Cominciò a fare zapping tra un canale
e l'altro di
gossip, i soliti show con quattro ospiti diversi al giorno, con
spettegolezzi e
critiche riguardo celebrità.
La
solita tv spazzatura che ormai si era impossessata dei media americani,
controllando il cervello dei cittadini ed imponendogli uno stile di
vita basato
sul patriottismo, la speculazione, il consumo e l’ipocrisia.
E
mentre pensava queste teorie, il suo occhio ricadde sul BlackBerry
abbandonato
sul tavolo della sala la sera prima, notando che la spia verde
lampeggiava in
segno di un messaggio arrivato.
“Shannon?
Mamma?” cominciò ad elencare le persone che
avrebbero potuto scrivergli.
“Forse
è il regista…” pensò infine
in un ultimo momento di lucidità, prima di
sbloccare lo schermo e leggere il nome del contatto.
Si,
sperava che fosse Oliver, che gli chiedeva di tornare sul set.
Avrebbe
dato oro pur di ritornare nel deserto, assieme a tutta la troupe, a
girare
scene del film per giornate che sembravano infinite, aspettando con
ansia l'arrivo
della sera per poter stare di nuovo da solo con Colin.
Sospirò
sapendo già che era impossibile, non sarebbero mai tornati
lì, purtroppo.
Doveva smetterla di sperarci, si sentiva ridicolo ogni volta che ci
pensava.
Sicuramente
era sua madre, da quando era tornato non l'aveva ancora vista e
sentita, le
aveva scritto solo un ‘sono a LA' e un
‘sì sto bene'. Non che non amasse
parlare con la madre, ma era ancora in fase depressione da post film,
triste
per aver già finito le riprese e smesso con le serate in
compagnia del suo
amico. Aveva bisogno di stare da solo e rimuginare nella tristezza e
nei
ricordi con malinconia.
Dal
canto suo Constance era sempre stata molto protettiva nei confronti dei
suoi
figli, quindi era impossibile per Jared scampare da lei. Sicuramente,
se non
avesse risposto il prima possibile, se la sarebbe ritrovata davanti
casa con
una mazza in mani per punirlo.
Ma
quando accese lo schermo il fiato si bloccò nel suo petto,
tenendolo in apnea. Non
era né mamma, né Shannon, né Oliver. E
chi l'avrebbe mai immaginato che potesse
succedere? Nemmeno si ricordava quando gli avesse dato il numero.
Ma
lo aveva e gli aveva pure scritto. E quello che gli scrisse sembrava
così
banale. Ma quello che importò veramente fu come glielo
scrisse, che bloccò il
battito per un attimo.
«
Che fine ha fatto il mio Efestione? » sussurrò nel
leggere il messaggio.
Non
poteva essere. Gli aveva scritto. LUI gli aveva scritto. Non ci
credeva, non ci
riusciva, e dovette rileggere il messaggio più e
più volte col fiato sospeso e
le farfalle nello stomaco che danzavano in un ballo della
felicità.
Ma
non importava solo chi gli avesse scritto, ma cosa. Lo aveva chiamato
Efestione, non Jared. Non stava solamente cercando l'amico, richiamava
il loro
legame nel scrivere quel nome. Solo per quello ebbe un ulteriore
fremito, si sentiva
di nuovo suo. E non come un oggetto, ma a livello spirituale.
Stava
chiamando Efestione, stava richiamando loro sacra unione.
Sbatté
gli occhi incredulo fissando lo schermo con mille pensieri in testa.
“Okay,
okay, calma. Ma è proprio lui?” pensò
leggendo il numero non salvato. “Se fosse
una presa per il culo?” fremette appena lo
realizzò. Magari poteva essere uno
scherzo da uno della troupe.
No,
sicuramente no. Il suo numero lo aveva solo il regista e non poteva
averlo dato
ad uno qualunque, così facendo avrebbe compromesso la sua
fondamentale privacy
da star.
Eppure
era sicuro che non si fossero mai scambiati i numeri, lui e Colin.
Forse
quest’ultimo lo aveva chiesto ad Oliver. Lui poteva
chiederlo, non era uno
qualunque. Ma sicuro che fosse lui?
Aveva
una paura immensa nel rispondere, aveva paura di fare una figuraccia e
che
fosse tutto una presa per il culo.
“Ma
se fosse veramente lui? Forse sta aspettando una mia
risposta…” mugolò tra sé
pensandoci.
Lo
schermo si oscurò nuovamente e solo in quel momento si
accorse di non averlo
ancora sbloccato, rimanendo a fissare l'anteprima del messaggio senza
aprire la
schermata di Whatsapp.
Si
tirò uno schiaffo sulla fronte dandosi ripetutamente
dell'idiota, mentre
sbloccava lo schermo e apriva l’applicazione grazie alla
quale aveva ricevuto
il messaggio. Bastava guardare la sua immagine del profilo,
così avrebbe capito
se fosse veramente lui o meno. Ma sarebbe stato troppo facile
così.
Quando
aprì il contatto, la foto che vide nella miniatura lo fece
imprecare. Niente
foto del proprio viso, ma solo un paio di gambe stese ed incrociate a
livello delle
caviglie su una sdraio.
«
Fanculo. » si lasciò scappare in un sussurro. Come
poteva sapere se era lui
solo da un paio di gambe?
Erano
da maschio, certamente, lo capiva grazie alla peluria sui polpacci che
ovviamente aveva poco di femminile. Ma erano gambe normali, non avevano
niente
di speciale che potessero riportarlo a lui. Erano muscolose,
sì, ma non era
l'unico uomo muscolo sulla terra.
Un
paio di calzini ripiegati sulle caviglie e un paio di scarpe da
ginnastica
bianche.
Assottigliò
lo sguardo senza distoglierlo dalla foto. “Allora immagine.
Che cosa stai cercando
di dirmi?” assunse un tono investigativo nella sua testa.
“Abbronzatura
non troppo scura… beh lui è irlandese,
è normale che non riesca ad abbronzarsi
più di tanto. I calzini… Sono normali calzini. E
le Nike… Ci sono centinaia di persone
che le indossano, che cacchio!”
Sbuffò
esasperato mentre l'agitazione stava crescendo. Non poteva aspettare
ancora per
molto, se si fosse rivelato veramente lui che figura ci avrebbe fatto?
“Se
poi gli do l'impressione di non volerci parlare allora lui non mi
scriverà
più?” fremette nel panico.
Doveva
rispondergli e anche subito se non voleva rovinare tutto quanto.
«
Merda! » piagnucolò quando la frase
“ultimo accesso oggi alle 01.40 AM” sotto
la fotografia scomparve e venne sostituita dal tremendo
“online” che gli fece
accapponare la pelle.
‘Lui'
era online. Aveva visto che lui aveva visualizzato senza
però rispondere.
“Sì,
sono fottuto. Che cazzo faccio?” mandò
giù a vuoto. Non aveva più tempo, doveva
agire e anche subito.
“Okay
allora. Magari fingo indifferenza e cerco di fargli dire qualcosa che
solo io e
lui sappiamo. Sì. Ma cosa? Oh dio oh dio sta
scrivendo!” sgranò gli occhi
quando vide lo stato cambiare da ‘online' a ‘sta
scrivendo…’.
Per
Jared l’ultimo equivaleva ad un “stai per
morire…”.
Cominciò
a boccheggiare versi senza senso non sapendo più a che
pensare, a che scusa
inventare qualora avesse fatto realmente una figura di merda, a che
insulti
rivolgersi contro. Fu in quel momento che il suo occhio cadde per
un’ultima
volta sulla sua immagine del profilo, e non si sentì mai
così stupido quando notò
che sullo sfondo c'era il set dove avevano girato il loro film.
Ehi,
non fare la prima donna
preziosa!
«
Dannazione, dannazione! Era lui! » piagnucolò ad
alta voce prendendosi il viso
tra le mani. Sì, si rese finalmente conto di aver fatto una
figuraccia.
E
in quel preciso istante era combattuto con sé stesso tra
sotterrarsi vivo o
andare da lui e riempirlo di botte. Era ancora scombussolato dal
messaggio, ma
“prima donna” lo aveva letto benissimo.
Ora
che poteva scrivergli? Fingergli una svista, fargli credere che aveva
visualizzato per sbaglio senza veramente leggere il messaggio? Sembrare
idiota
così aveva una scusa e si sarebbe fatto perdonare per
compassione? Beh doveva
pur comprenderlo, gli aveva appena scritto un numero che non conosceva,
anche
se il messaggio lasciava intuire.
Respirò
profondamente cercando di calmare le farfalle nello stomaco.
“Okay. Devo scrivergli.
Ma qualcosa che lo stupisca”.
Sei
tu, Alessandro?
“Si,
è perfetto.” Pensò una volta inviato il
messaggio.
E
quello che desiderava lo ottenne, perché appena Colin
ricevette il messaggio gli
si illuminarono gli occhi.
Jared
non lo sapeva, ma anche l'altro attore era rimasto folgorato dal
proprio
personaggio. Aveva sentito qualcosa dentro di sé che lo
aveva spinto ad amare
sempre di più quella figura, portandolo a pensarci molto
spesso come era
successo all'amico.
Era
come se ogni volta che varcava la soglia del palazzo, dove stavano
girando il film,
il re lo stesse invitando ad entrare, compiaciuto di avere lui come
attore che
lo interpretasse. Si sentiva accettato da lui, protetto da lui.
Ma
a differenza di Jared, Colin non sapeva della vera morte di Efestione,
di come
soffrì il compagno alla scoperta.
Lui
sapeva solo che il grande re aveva lasciato un'impronta marcata dentro
di lui
durante le riprese, ma non aveva ancora capito come e di che portata.
Sono
io… ehi, non farti sentire eh J
Fece
mugolare Jared dal dispiacere e dalla gelosia per non aver pensato
prima lui a
scrivergli. Non che non ci avesse pensato veramente, ma non aveva
ancora
escogitato un modo per ottenere un suo recapito. Non aveva un manager a
cui
fare riferimento e chiedere ad Oliver, beh… era troppo
imbarazzante.
Poi
aveva paura che avesse dubitato qualcosa. Non che si fosse dimostrato
quello
che “veramente era” fuori dal set di fronte a lui,
anzi. Solo qualche volta
aveva azzardato, ma solo con Colin, in una o più delle sere
passate in
compagnia. Ma con il resto della troupe non si dilargava troppo,
mantenendo un
certo distacco professionale a volte rotto da alcune battutine che si
lasciava
scappare dalla sua indole comica.
Non
avevo il tuo numero, come potevo?
Come
pensi che l'abbia avuto io?
Beh
si, aveva un’ipotesi su come avrebbe potuto ottenere il suo
numero. Ma se lo
avesse detto avrebbe fatto la figura dello scemo: conosci il modo,
perché non
lo hai fatto prima?
L'irlandese
ridacchiò tra se notando che l'altro visualizzò
senza scrivere ancora qualcosa.
“Forza occhi dolci”, pensò mentre con un
gesto distratto accese la tv senza
guardarla veramente, giusto per avere un sottofondo.
Jared
dal canto suo fissava lo schermo con i pollici piegati e sollevati a
mezz'aria,
cercando qualsiasi stronzata da scrivergli.
Cosa
ne posso sapere io?
L'irlandese
scosse la testa aspettandoselo. Jared era prevedibile più
per lui che per gli
altri. Addirittura era l’unico che poteva reputarlo tale.
Tutti lo avevano
sempre elogiato per il suo carattere imprevedibile, da ragazzo folle,
simpatico
ed esuberante.
Con
Colin la storia era diversa. Lo vedeva sì simpatico e
vivace, ma ogni cosa,
anche la più stramba, che comunque provenisse da lui, era
scontata.
“CHI
HA MESSO LA SABBIA NEL MIO PANINO?!” si sentì
urlare dalla tenda del regista
all'ora di pranzo un giorno qualunque di riprese, ma la risposta Colin
la
sapeva già.
Per
lui tutto ciò che era nella testa dell’amico non
era totalmente un mistero come
lo vedevano gli altri che non lo conoscevano bene, c’era solo
da decifrare i
suoi pensieri e anticipare le sue azioni. Oppure comprenderle per
primo, mentre
gli altri faticavano a vederlo come una persona normale.
Se
la ricordava ancora quella sera lì nel deserto. Tutti
impazziti perché dovevano
girare la scena del balcone, dove Alessandro ed Efestione contemplavano
Babilonia, ma Leto era scomparso. Nessuno poteva sapere dove si fosse
cacciato,
perché il ragazzo aveva lasciato il cellulare nella stanza
dell'albergo e
nessuno lo aveva visto da quando si era fatto truccare.
Oliver
stava già per chiamare la polizia, quando Colin
fermò tutti. Gli bastò uno
sguardo al cielo per capire cosa stesse succedendo nella testa del
ragazzo, e si
lasciò scappare una risata. Solo lui poteva fare una cosa
del genere.
Quella
sera non era come tutte le altre, il tramonto aveva portato un colore
roseo
alle nuvole, dipingendo l'orizzonte di una sfumatura calda, uno
spettacolo
della natura.
E
ovviamente un ragazzo sensibile come Jared non si sarebbe perso quel
tramonto
per nessuna ragione al mondo. Avrebbe pure rischiato il ruolo di
Efestione, ma
quello spettacolo lo voleva vedere a tutti i costi.
Non
gli ci volle molto nemmeno a capire dove si fosse cacciato. Gli
bastò andare nel
punto più alto che conosceva. Lo avevano scoperto una di
quelle notti insonni
passate a vagare senza meta, durante la quale finirono lì a
contare le stelle
sdraiati contro una roccia.
Era
un precipizio vicino al palazzo dove riprendevano le scene, composto da
una
montagnetta rocciosa e arida, senza un cespuglio o albero, solo qualche
sasso
sparso qua e là. Il bello di quel posto era la sua posizione
strategicamente
isolata e la possibilità di vedere mezzo deserto decorato
dal sorgere di alcuni
palazzi dalle mura blu, rosse od ocra.
Non
era nemmeno molto difficile da scalare e non ci voleva troppo tempo. Fu
così
che Colin abbandonò tutta la troupe senza dargli
spiegazioni, se non un
“aspettate”.
Salì
silenzioso sulla cima del precipizio, scorgendo una nuca che sbucava da
quella
roccia obliqua contro la quale si erano sdraiati notti prima. Si
lasciò scappare
un sorriso soddisfatto per aver capito subito dove fosse e cosa stesse
facendo.
Non
era difficile per lui immaginarselo. Sapeva che ci teneva a vedere quel
meraviglioso tramonto, e dove se non nel punto più alto che
conoscevano?
Jared
lo sentì avvicinarsi ma non disse nulla. Non si
spostò nemmeno dalla roccia,
aveva addirittura lasciato un po’ di spazio accanto a
sé per lui, sapendo che
prima o poi sarebbe arrivato. Per lo meno lo sperava, e quando lo
sentì fu per
lui un sollievo.
Non
gli avrebbe mai rivelato ciò che sentiva quando stavano
assieme, sapeva che
sarebbe stato un passo falso e lo avrebbe allontanato sempre di
più. Perché
Colin non era come lui, “diverso”, come si era
sempre etichettato.
Il
suo stomaco fu tutto un fermento quando l’amico si sedette
accanto a lui con un
sospiro quasi rassegnato alla sua pazzia. “Potevi avvertire
almeno me” mormorò
l'irlandese, ma l'amico scrollò le spalle e rispose con
naturalezza “perché, se
lo sapevi da te?” e gli strappò un sorriso.
Contemplarono
il tramonto roseo in silenzio, col cuore di entrambi in pace. Dovevano
essere
agitati per la scena che dovevano recitare, ma in quel momento il film
non
esisteva più. C'erano solo loro due, le teste quasi
appoggiate una contro
l'altra, sorrette da un masso di quella montagna rocciosa dove i loro
corpi
stesi assistevano all'avvento della luna d'avorio.
“Rimani
con me questa notte, Alessandro” sussurrò Jared,
quando il sole ormai era
scomparso al confine del mondo, richiamando la frase che avrebbe dovuto
recitare l'amico, ovviamente cambiando il nome. Ma la sua non fu una
frase
detta tanto per scherzare, fu un invito a rimanere assieme anche quella
sera, a
girare senza meta nel buio della notte, sotto alla luce delle stelle.
Sei
stupido, ecco perché...
Comunque
ti ho scritto perché dopo aver fatto
amicizia così sentitamente durante il film, mi sembrava da
stupidi non
risentirci!
Questo
fece sorridere Jared, che sperava ardentemente di ricevere un messaggio
del
genere. Sperava che gli chiedesse di continuare la loro amicizia.
E
a quest’amicizia entrambi davano un'origine non fondata sulle
solite
convenzioni sociali e morali, sulla quale si basavano le banali
relazioni. La
loro aveva inizio nel profondo. Era come se fosse destino che
diventassero
amici e che legassero così profondamente in poco tempo. Era
come se ci fosse
qualcosa di superiore alla guida dei loro animi, che li avesse uniti
per sua
volontà.
Questa
volontà fu comunque ben accetta da entrambi, così
la portarono avanti,
fomentandola ogni giorno di più.
Mi
fa piacere! Una di queste sera ci dobbiamo
vedere allora.
Assolutamente
si.
Jared
fece un gridolino di gioia quando accettò di vederlo. Non
vedeva l'ora di
poterlo di nuovo abbracciare, di farsi abbracciare dai suoi muscoli, e
si
respirare il suo profumo che non lo abbandonava nemmeno quando si
metteva i
vestiti di scena.
Adorava
quel profumo dolciastro che gli faceva venire voglia di morderlo su
qualunque
lembo di pelle scoperta. Ora era impaziente di vederlo per poter vere
lui,
sentire il suo profumo ed il calore del suo abbraccio. L’idea
gli fece tornare
le farfalle nello stomaco e sospirò già con la
testa tra le nuvole, immaginando
il loro ritrovo.
Si
erano dati appuntamento due giorni dopo alle ore otto e mezza di sera a
casa di
Jared. Quest’ultimo si era proposto come cuoco per quella
cena, facendo
storcere la bocca dell’amico in un’espressione che
grazie al cielo il giovane
non poté vedere in quanto stessero ancora messaggiando.
Sapeva
che Jared non aveva mai avuto una buona reputazione a livello
culinario,
tutt’altro. In più ricordava della sua scelta
alimentare: vegan. Non che avesse
qualcosa contro il cibo vegano, ma lui si considerava più
carnivoro che
onnivoro. E ciò che temeva di più era che gli
fosse proibita la carne.
Dal
canto suo Jared preparò le specialità vegane
più semplici che conosceva,
evitando il più possibile di accendere il fuoco per non
incendiare la casa. Non
voleva far morire di fame l'altro attore ma allo stesso tempo voleva
mantenere
fede alla propria scelta di non mangiare tutto ciò che
riguardava il mondo
animale.
Era
elettrizzato all'idea di poterlo finalmente rivedere e aveva passato la
giornata
a cucinare con gli occhi incollati all'orologio per verificare ogni
minuto che
passava, con tanto di conto alla rovescia, fremendo ad ogni secondo in
meno di
attesa. Per questo motivo impiegò più tempo del
previsto per cucinare, perché
nel fissare l’orologio si distraeva facilmente e
ciò che aveva in mano un
secondo prima, in quello dopo era a terra.
L'altro
era felice quanto lui ma allo stesso tempo manteneva un po’
di contegno. Voleva
rivedere il suo caro Efestione, ma era conscio della
pericolosità di
quell'incontro. Non poteva abbassare la guardia nemmeno un attimo nel
tragitto
che avrebbe dovuto fare da casa sua a quella di Jared, i paparazzi
erano sempre
in allerta. E se così erano loro, anche lui doveva esserlo,
cercando di
percorrere le vie meno frequentate. Soprattutto doveva essere veloce a
salire
in macchina e ad uscire dalla villetta.
“Cosa
mi tocca fare per lui” l'irlandese scosse la testa al
pensiero di mettere a
repentaglio la propria carriera per degli stupidi sospetti. Che per
l'appunto
erano stupidi, perché entrambi erano etero, così
almeno credeva lui. Se avessero
avuto una relazione segreta i loro spostamenti dovevano essere eseguiti
nell’ombra totale per evitare di essere visti e perseguitati
dai fotografi
curiosi e bramosi di scoop.
Scosse
la testa ancora più forte per cancellare
l’immagine di loro due assieme che si
era creata nella sua mente. “In famiglia basta mio fratello
gay” sdrammatizzò
tra sé con un risolino nervoso per nascondere la vergogna di
averci pensato
anche per un secondo.
Non
era omofobo, suo fratello era gay e lo aveva sempre accettato senza
problemi.
Ma lui dell’altra sponda? No, per carità! Si era
sempre dimostrato etero, con
tanto di matrimonio e figlio. Il fatto che fosse affondato in un
divorzio non
significava che le donne non gli interessassero più.
Voleva
bene a Jared, ma fino ad un certo punto. Anche se durante le riprese
avevano
legato tanto e per lui avrebbe dato un braccio, il culo rimaneva
vergine.
Rise
pensandoci. “Se mai avessi l’occasione di
dirglielo: darei un braccio per te,
ma il mio culo rimane mio. E vergine. Chissà se si
prenderebbe male…”
Si
guardò allo specchio della camera da letto, mentre era
intento a prepararsi per
la cena con l'amico. I suoi capelli ancora lunghi, con un filo di
ricrescita
del biondo di Alessandro, portarono la sua mente a pensare a
quest’ultimo.
“Come
avrebbe reagito lui?” pensò riferendosi al re.
“Per Efestione avrebbe fatto di
tutto? Non per forza dare il culo… A quei tempi era nulla.
Però dare la vita
per lui…”
In
quel momento si ricordò della morte del re, morto di
crepacuore dopo la morte
del suo amato. In un certo senso aveva dato la vita per lui. Aveva
smesso di
vivere nel mondo umano, abbandonando ogni bisogno, ogni
soddisfacimento,
compiere quelle azioni necessarie per vivere. E così facendo
correva verso la
morte in una disperata maratona nella speranza di raggiunge l'altro
mondo,
quello divino e celeste, dove gli dèi accoglievano i morti,
e ritrovare lì il
suo Efestione.
Bloccò
la mano con la quale si stava aggiustando i capelli e fissò
il proprio riflesso
attonito, smettendo di pensare per un attimo. Quasi si sentì
il cuore fermarsi.
Alessandro
avrebbe fatto di tutto per lui. Fece di tutto per lui. Diede la vita
per lui.
Si sentì in colpa per aver pensato a quelle cose stupide nei
confronti di
Jared. Sì, aveva scherzato, ma da un lato era vero: non
avrebbe dato tutto per
lui. Avrebbe mai dato la vita per lui, per Jared?
Sussultò
“Ephaestion avrebbe dato la vita per Alessandro? Jared
darebbe la vita per me?”
Abbassò
lo sguardo in cerca di qualcosa più invitante per lo sguardo
al posto delle sua
faccia sconcertata.
“Senza
dubbio l'avrebbe fatto… Efestione, non Jared…
Forse anche Jared…”
Sobbalzò
per lo spavento quando un messaggio fece vibrare il cellulare sul
comodino, facendogli
perdere una manciata di anni di vita e riportando la sua testa dalle
nuvole
alla terra ferma.
Sospirò
scuotendo la testa, risvegliandosi completamente dai pensieri e
prendendo lo
smartphone per poi sbloccarlo.
Volevo
preparare un dolce ma non ce l’ho
fatta… puoi rimediare te? Ma robe vegan. Xo
Rilesse
il messaggio più volte incredulo per poi scoppiare in una
risata rumorosa.
D’altronde si aspettava un guaio da parte sua, si parlava
comunque di Jared. Si
meravigliò che fosse sopravvissuto ad una giornata di cucina.
«
Ma robe vegan… faccio prima a portargli un bastone preso al
parco con zucchero
velato sopra. » ridacchiò tra se.
Sospirò
scuotendo la testa esasperato. « Quel ragazzo mi
manderà al manicomio. » e finì
di vestirsi con una camicia di lino color sabbia.
Si
stava mettendo in tiro più che poteva, mantenendo uno stile
simile a quello
orientale del posto in cui avevano recitato settimane prima. Si
sistemò i
capelli passandoci una mano in mezzo per donargli un look selvaggio,
perché
voleva mostrarsi impeccabile ed in un certo senso far colpo su Jared.
Quest'ultimo
era ancora in alto mare quando si accorse che mancava mezz'ora al loro
appuntamento.
«
Oh dio! » piagnucolò gettando il grembiule
chiazzato dal cibo sul lavandino. «
In 20 minuti mi devo fare la doccia, vestirmi, truccarmi…
cazzo cazzo cazzo.
Non ce la farò mai. » quasi sbraitò
correndo su per le scale e chiudendosi in
bagno.
Si
spogliò talmente veloce che sussultò appena la
maglia fece un piccolo rumore di
strappo, portandolo a moderare i propri movimenti.
Aprì
l’acqua fredda al massimo facendo riempire la stanza di
gridolini che però lo
spinsero ad essere più veloce nel lavarsi. In poco tempo fu
fuori dalla doccia
con un asciugamano in vita e una matita che veniva passata sulle
palpebre
inferiori più volte per essere marcata maggiormente.
Guardò
l'ora sul cellulare e strillò « Sette minuti!
» schizzando fuori dal bagno,
rischiando di scivolare da una chiazza d’acqua lasciata dai
capelli.
«
I capelli. » sgranò gli occhi mentre con una mano
si tastava la nuca fradicia.
Si era dimenticato di asciugare i capelli. In sette minuti doveva
vestirsi,
asciugarsi i capelli e sistemare la tavola.
Quello
che si sentì nei minuti successivi furono una serie di
parolacce ripetute in
fila come una preghiera blasfema mentre si vestiva con una camicia blu
scuro a
maniche lunghe di lino, senza sapere di star copiando lo stile che
anche il suo
amico aveva adottato quella sera, pensando che sarebbe stato unico.
Si
bloccò all'improvviso sentendo il campanello suonare.
Sgranò gli occhi e il
cuore si fermò di colpo. Colin era arrivato. Non poteva
essere, era già lì, e
lui non era ancora pronto. Fissò allo specchio i capelli
ancora bagnati con due
treccine ai lati non ancora fissate.
Poi
c'era il tavolo con solo la tovaglia sopra. Doveva ancora
apparecchiarla,
mettere i piatti con la cena.
«
Merda! » afferrò una forcina fermando le treccine
dietro la nuca. « ARRIVO! » urlò
forte sperando di essere sentito dall'amico fuori la porta.
Colin
scosse la testa sorridendo, sapeva che avrebbe dovuto aspettare altri
due
minuti fuori prima che lui aprisse perché non era ancora
pronto. Se lo aspettava,
conoscendolo, succedeva spesso anche quando decidevano di vedersi alla
sera
dopo le riprese perché “qualcuno”
necessitava di almeno un’ora per prepararsi.
“Impazzirò
per davvero, un giorno” pensò con un ghigno.
Dondolò
sulle gambe impaziente mentre si guardava attorno nervoso, stando in
allerta dagli
eventuali paparazzi. Ma la cosa non fu facile, dato il buio che si
stava creando
attorno alla casa per l’ora. Sperava che nessuno li stesse
spiando, aveva paura
che qualcuno si facesse strane idee.
Non
che ci fossero motivi, lui era etero. Entrambi lo erano, per lo meno
così pensava
lui.
“Mi
chiedo come sia possibile che un ragazzo come lui possa essere ancora
single. È
bello, con quei occhi poi… okay Cole, sembri tu quello gay
così!” si passò una
mano sul viso sospirando frustrato.
Non
era la prima volta che doveva riprendersi da solo nel fare quei
discorsi nella
propria testa. Ci pensava spesso a lui, lo trovava un bel ragazzo, a
volte un
po' effemminato nei movimenti o nelle espressioni, ma non aveva mai
osato
mettere in dubbio il suo orientamento sessuale. Al contrario,
cominciò a
dubitare del proprio da quando lo aveva conosciuto.
Fin
dal primo sguardo aveva sentito qualcosa di strano, saranno stati gli
occhi blu
contornati da una sottile linea nera di matita, oppure i lunghi capelli
castani
sciolti sulle spalle, il suo sorriso candido e quasi innocente seguito
da un
timido “ciao” che lo fecero sorridere a sua volta.
Era la prima volta che
sorrideva solo nel veder sorridere un'altra persona che non fosse suo
figlio.
Lo
aveva come folgorato al primo sguardo, una specie di colpo di fulmine
che lo
aveva colpito una volta incrociato i suoi occhi così limpidi
che quasi gli permettevano
di vedere ciò che pensava.
“Quel
dannato sguardo” fu il suo ultimo pensiero prima di
sobbalzare appena sentì la
serratura girare e schioccare in segno di apertura.
Quando
la porta si aprì in un leggero fischio per le serrature
arrugginite, lasciando
ad entrambi gli attori la possibilità di vedersi, i loro
sguardi ritornarono a
quelli di quasi un anno prima, quando, nella hall dell'hotel che li
avrebbe
ospitati nel periodo delle riprese, il più grande
varcò la soglia dell'edificio
con uno sguardo perso di fronte ai pacchiani ornamenti dorati.
Si
bloccarono a fissarsi senza parole, increduli nel vedersi dopo tanti
giorni,
dopo tutto quel tempo che non li aveva cambiati di una virgola. Uno che
sembrava Alessandro e l'altro Efestione. Sembravano ancora adibiti per
il set.
Entrambi
trattenerono a stento un sussulto nel vedersi, ma anche dal sussurrare
il nome
personaggio che l’altro aveva interpretato. Era come se il
tempo non fosse mai
passato, come se fossero ad una di quelle soliti notti in cui
l'irlandese bussava
alla porta dell’amico per poter uscire a fare due chiacchiere
sotto la luna.
Jared
notò i capelli ancora lunghi e biondi dell'altro, pensando
per un attimo che
anche lui avesse sentito come un bisogno di tenere un pezzo di
Alessandro
dentro di sé. Così come aveva fatto lui con
Efestione, non tagliando i capelli
e vestendosi quella sera con fare orientale.
Il
suo sguardo cadde sui suoi vestiti e rimase spiazzato nel vedere che
era
vestito nel suo stesso stile.
Così
accadde con Colin, i cui occhi vagavano sul viso dell'americano
fremendo alla
vista dei suoi occhi azzurri contornati di nero, come se fosse la prima
volta
che li vedeva. Erano uno spettacolo per lui e ogni volta che veniva
guardato si
ricordava di quanto fossero belli.
Quando
lo vide vestito in quel modo il suo cervello non riuscì a
connettere
normalmente e andò in uno stato di confusione, non capendo
se aveva davanti il
suo caro amico vegano o l'amante del re.
Non
si accorsero del tempo che passarono a contemplarsi l'un l'altro, non
seppero
nemmeno spiegare che cosa fosse stato a riportarli con i piedi per
terra dopo
essersi persi nei pensieri.
Jared,
una volta accortosi del silenzio e del fatto che si stessero osservando
da
tanti secondi arrossì appena sorridendo intimidito ed
imbarazzato per la situazione.
«
Ciao… » mormorò abbozzando un sorriso
cercando di sembrare più convinto, ma non
riuscendoci.
Questo
fece sorridere di sbieco l'altro ancora con la testa fra le nuvole nel
tentare
di connettere e non confondere il Jared attore con Efestione.
Alzò il braccio
per fargli notare il pacchetto del dolce che teneva in mano e rise
appena « Ti
è andata bene questa volta, sono riuscito a convincere il
proprietario a non
chiudermi la porta in faccia. »
«
Ow, grazie! » rise Jared con un evidente tono isterico dal
nervoso e si scostò
dall'entrata « Entra pure, fa come se fossi a casa tua, lo
sai che non ti devi
fare problemi con me. » e fece un cenno col capo invitandolo
ad entrate.
Così
fece l'altro, entrando e posando il pacco sul tavolo, senza far vedere
in modo
palese che stava squadrando la casa con un certo scetticismo. Non era
una reggia
come si sarebbe aspettato da un tipo eccentrico e stravagante come
Jared,
tutt’altro.
Era
una semplice villetta senza alcun ornamento costoso, semplici mura
bianche, con
mobili comprati in un qualsiasi negozio di arredo. Era la
semplicità fatta ad
architettura e design, cosa che lo sorprese. Dopotutto Jared era un
ragazzo
sempre attento alle apparenze e all'aspetto esteriore, mostrandosi
sempre alla
moda e mai privo di soldi. Ma questa sua umiltà, almeno
dentro le mura di casa,
gli fece piacere.
«
Non badare al disordine » l'irlandese sobbalzò dai
propri pensieri quando sentì
l’altro parlare « e tanto meno alla tavola non
ancora pronta… ho perso la
cognizione del tempo e ho fatto un casino. » sorrise nel
sentirlo fare un
risolino isterico per sdrammatizzare.
«
Oh, non c’è problema, lascia che ti
aiuti… » disse tranquillamente e non
lasciò
il tempo all'amico di ribattere che subito si infilò in
cucina per riporre il
dolce nel frigorifero.
«
Ah ehm… grazie Cole. » mormorò Jared
per poi sospirare pesantemente e cercare
di scacciare la tensione una volta solo nella sala da pranzo.
Si
sentiva come impazzito. Già l'idea di rivedere Colin lo
aveva mandato completamente
fuori di testa, vederlo finalmente in carne ed ossa fu la goccia che
fece
traboccare il vaso della sua sanità mentale. Aveva passato
la sera precedente
al loro incontro ad imbottirsi di camomilla ed erbe che conciliassero
il sonno
in una crisi di esasperazione dopo l'ennesimo tentativo di calmarsi. In
quel
momento pensò che sarebbe stata necessaria
un’ulteriore tisana rilassante da
assumere alla mattina per evitare una tachicardia per
l’eccessiva agitazione.
Chiuse
per un attimo gli occhi inspirando ed espirando profondamente, facendo
scorrere
tutta l'aria necessaria al cervello per calmarsi. O almeno per sembrare
calmo.
E
così fece per le due ore consecutive durante la cena,
sorridendo ma non troppo
per non assumere un'espressione da pazzo, riedendo ma non troppo
sguaiatamente
per non sembrare isterico. Ma il suo trattenersi si riversò
nel suo sguardo
imponendogli di guardarsi a destra e a manca velocemente per dare sfogo
all’agitazione.
Questo
fece preoccupare l'amico che, quando l'altro era chinato in avanti per
litigare
con degli involtini vegani, lo fissava non capendo se fosse
così di natura o
avesse assunto droghe. Percepiva la sua agitazione, ma non capiva il
perché.
Avevano
passato per mesi nottate intere assieme, stando da soli nel nulla. In
quel
momento gli parve che quella cena equivalesse ad un sacrificio alla
quiete
personale. Tentò più volte di rompere il ghiaccio
con aneddoti e battute, ma
più lo faceva ridere e più si accorgeva si quanto
fosse nervoso.
Ovviamente
non gli avrebbe mai chiesto cosa lo turbasse, non in un momento come
quello.
Non voleva importunarlo dopo tutti quei giorni passati a non sentirsi.
Sospirò
sconsolato e abbozzò un sorriso quando alzò lo
sguardo dal proprio piatto e
ritrovandosi di fronte l'amico che litigava con una pasta sfoglia dolce
priva
di derivanti animali. Da quanto era dura non riusciva a tagliarla col
coltello.
«
Ho cercato il dolce che ti era piaciuto tanto quando eravamo il quel
maledetto posto
sperduto… ma questo è l'unico che ho trovato.
» cercò di giustificarsi per
l'estrema solidità della pasta.
«
È già tanto che ne hai trovato uno
vegan… e poi non dire “maledetto”. Io
penso
di aver adorato quel luogo. Sia per il paesaggio sia per la sua storia.
» mugugnò
con della pastella in bocca, facendo sorridere per l’ennesima
volta l'altro.
«
Sì, beh, anche io. A scuola parlammo di Alessandro Magno, e
poi basta. Quando
lo studiammo ero piccolo e non riuscì a ricordarmi di lui
come dovuto. Con
questo film ho potuto conoscere la sua storia più
approfonditamente e così
facendo l’ho adorato sempre di più. Non so te, ma
mi ha colpito profondamente,
è come se avessi sentito Alessandro tra quelle mura e dentro
di me. »
La
tranquillità con cui lo disse fu molto diversa
dall'agitazione che provocò in
Jared, il quale sobbalzò sul posto nel sentirlo, non
aspettandosi una
rivelazione del genere.
Anche
lui aveva sentito più volte il vero Efestione, quando era
lì. Sentiva come se
il suo spirito, dopo la morte, fosse tornato al palazzo, seguendo il re
negli
ultimi anni di vita, non volendolo abbandonare nemmeno da morto. E
sentiva
anche una strana sensazione di calma, quando era lì, come se
il suo spirito lo
accogliesse nel palazzo, invitandolo a continuare a recitare.
Si
era legato profondamente con Ephaestion e la sua storia, tanto da
poterlo
ancora sentire aggirarsi nelle stanze del palazzo, assistere riprese e
quasi compiacersi
del risultato.
Quello
che lo sorprese ma allo stesso tempo lo turbò fu il fatto
che quella sensazione
non sparì mai del tutto una volta tornato a Los Angeles,
anzi. Ancora percepiva
l’ombra del generale accanto a sé e non capiva se
era semplice soggezione o una
reale sensazione.
Jared
guardò attonito l'amico, quasi non credendo che lo avesse
detto sul serio.
Aveva sempre desiderato scoprire come Colin avesse vissuto
quell’esperienza, se
anche lui avesse percepito il tutto in modo diverso.
«
Quindi tu sentivi l’anima… di Alessandro?
» sussurrò appena sentendosi in
imbarazzo nel chiedere una domanda del genere, che lo stava facendo
sentire
come un paranoico ed ossessionato dal mondo paranormale.
Colin
socchiuse le labbra sentendo un brivido alla domanda. Non se
l’aspettava perché
anche lui pensava che quelle sensazioni fossero state uniche sue, un
episodio
isolato. Credeva di essere pazzo nel sentire una strana sensazione di
familiarità tra quelle mura.
Credeva
che la sensazione di quiete fosse solo frutto della sua mente, nulla a
che
vedere con la realtà. E credendo in questo decise di non
farne parola con
nessuno, anche se avrebbe tanto voluto confidarsi con Jared.
Ora
erano lì, che si stavano confrontando
sull’accaduto, per verificare se era
veramente una cosa singola o qualcosa che coinvolse entrambi.
«
Anche tu? » mormorò incerto della risposta.
Jared
annuì appena ancora sconvolto. « Io ho sentito
Efestione… Non sono pazzo, lo
giuro! Sentivo come se ci fosse ancora, lì, ad osservarmi, a
seguirmi… Sembra
strano lo so, ma ti giuro che sentivo la sua presenza anche se non
potevo
vederlo fisicamente! » mugugnò frettolosamente per
paura di non essere
convincete.
Fremette
appena Colin posò una mano sulla sua per fermarlo con un
secondo fine di
calmarlo. Cosa che non avvenne, portando invece l’altro a
irrigidirsi per la
sorpresa del contatto.
«
Lo sento ancora… » sussurrò tremolante
nel guardare i suoi occhi scuri. Ed era vero.
In
quel momento percepì di nuovo al suo fianco la stessa
sensazione di calma e
familiarità che lui collegava alla venuta dello spirito di
Efestione. Non
capiva che cosa faceva scattare quell’aurea di quiete, sapeva
solo che appena
ripensava al palazzo dove avevano registrato sarebbe ritornata.
«
Calmati, la sento anche io. » mormorò appena
sentì l’aurea di Alessandro calare
tra di loro.
Entrambi
sentirono un sussulto al cuore nel preciso istante in cui le due anime
si
ritrovarono nello stesso identico luogo, così cariche di
energia che poteva
benissimo essere sprigionata attraverso i corpi dei due attori.
Di
nuovo il re e il generale si potevano incontrare, dopo anni di ricerca
dei corpi
perfetti per loro.
Erano
stati destinati a vagare per secoli sotto forma di anime invisibili,
colpevoli
di aver lasciato la vita con una parte del loro cuore ancora nel mondo
terreno.
Così penarono nel limbo degli spettri, aspettando
d’imbattersi in coloro che
più rappresentassero i loro animi per incontrarsi di nuovo e
trovare la pace
dentro di essi.
Quando
i due giovani si presentarono nel palazzo vestiti con gli abiti di
scena, i due
spiriti fremettero nell’invisibilità della loro
sostanza non appena Efestione
si riconobbe nell’ambizione, dolcezza e passione di Leto ed
Alessandro nella
ferrea decisionalità, fierezza e nell’orgoglio di
Farrell.
Per
loro sembrò impossibile averli trovati dopo secoli di
attesa, finalmente
avevano trovato quelli giusti, che più potevano riflettere i
loro spiriti, le
loro personalità, il loro amore.
Ma
non potevano manifestarsi nel modo in cui stavano facendo in quel
momento
quando i due attori erano nel palazzo. C’erano troppe
persone, troppi avrebbero
visto. Poi era troppo presto, il loro rapporto era ancora acerbo, nato
da poco.
Si limitarono nel seguirli per tutta la durata del soggiorno in
oriente, aiutando
la loro amicizia a crescere, fino a renderli quasi inseparabili sia
dentro che
fuori dal set.
«
No Colin! Non dirmi così solo per farmi stare tranquillo, lo
sento per davvero!
Lo so, lui… lui è qui. Efestione è
qui, sempre, di continuo! E’ come se mi
perseguitasse, mi segue, ovunque io vada lo sento! » Jared
cominciò a parlare
frettoloso dal nervoso e dalla paura di quello spirito e di cosa fosse
capace
di fare. Temeva che gli sarebbe successo qualcosa per colpa sua, aveva
paura
che lo avrebbe fatto uscire di testa e così i suoi cari
sarebbero stati
costretti a spedirlo al manicomio.
«
Non sto mentendo! Lo sento… li sento. » gli
strinse la mano imponendogli di
incrociare lo sguardo azzurrino al suo più scuro.
« Anche Alessandro è qui. »
mormorò roco.
Anche
lui aveva paura, tanta. In quel momento sentiva che la situazione gli
stava
sfuggendo di mano, che la quiete stava calando a picco, scomparendo
troppo
velocemente per potergli permettere di rimanere calmo. Non lo dava a
vedere,
però, per evitare che anche Jared si lasciasse prendere dal
panico.
Storse
la bocca vedendo gli occhi azzurri, quasi grigi, dell’amico
pieni di terrore.
Doveva distrarlo assolutamente in qualche modo, o per lo meno
alleggerire la
tensione che si era creata dall’arrivo dei due spiriti.
Quest’ultimi
gli resero ancora più difficile la cosa, perché
il peso delle loro forze si
stava intensificando ogni momento sempre di più e la
concentrazione per
entrambi stava diventando uno sforzo troppo grosso per permettergli
addirittura
di pensare a qualcosa di concreto.
Colin
guardò l’amico più grande nel tentativo
di dire qualcosa per distrarlo prima
che potesse perdere ogni cognizione reale e un piccolo sorriso si
formò sulle sue
labbra quando lo sguardo cadde sul petto di Jared, dove un laccio
marrone
legava un piccolo medaglione candido.
Era
la collana che aveva tenuto per tutto il periodo di registrazione del
film,
identica alla propria, che usualmente facevano sbattere in segno di
complicità,
sostegno, felicità e di tutto ciò che li unisse
nello stesso sentimento.
Mosse
il braccio, alzando il gomito dal tavolo su cui stavano mangiando e
subito
sentì il muscolo pesante, come se oltre al proprio corpo
stesse muovendo quello
di un altro uomo, quello di Alessandro. La sua aurea si era come
avvolta
attorno al suo corpo, rendendolo pesante, come se avesse voluto
diventare un’unica
cosa col suo.
Jared
rimase immobile con lo sguardo perso nel vuoto, sentendo le proprie
forze
venire meno, il fisico diventare a sua volta più pesante,
l’udito meno nitido.
Non capiva cosa stesse succedendo, al terrore si sostituì la
paralisi non
appena percepì lo spirito di Efestione sempre più
possente contro i propri
muscoli, avvolgersi attorno, inglobandolo in un’aurea di
etere.
Era
la prima volta, per entrambi, che i due spiriti si manifestavano in
modo così
sentito. Si erano sempre limitati a brividi freddo continui,
accompagnati da un
primo momento di inquietudine seguito da un’immensa pace
interiore. E ognuno
sapeva perfettamente chi era lo spirito che si stava mostrando in quel
momento,
perché Alessandro entrava in simbiosi rispettivamente con
Colin ed Efestione
con Jared.
Ciò
che non sapevano era che tutto quello non accadeva per puro caso. Erano
stati
scelti dai due spiriti per essere il tramite dei loro sentimenti, che
si erano
risvegliati quando i due attori giunsero nel palazzo in Marocco. E ogni
brivido
di freddo che precedeva la quiete equivaleva ad un passo sempre
più nel profondo
degli animi dei due giovani, per poter entrare completamente dentro di
loro e
fare parte del loro spirito, convivendoci.
«
Ehi » sussurrò appena Colin combattendo dentro di
sé nel tentativo di mantenere
lucidità « hai la nostra collana. »
sorrise di sbieco afferrando la propria che
ricadeva sulla maglia in lino.
Jared
sussultò fievole non credendo che l’avrebbe mai
notata e col cenno di un
sorriso afferrò anche la propria dal mezzo dei pettorali,
con evidente
difficoltà nei movimenti.
«
Non me la sono mai tolta da quando sono arrivato. Solo quando dovevo
lavarmi.
Ma vedo che anche tu ce l’hai. » mormorò
tentando di non biascicare parole
confuse per il peso dello spirito del generale che si aggravava su di
lui «
Significa tanto per me. Non è solo un souvenir per
ricordarmi di uno dei tanti film…
“Alexander” mi ha colpito profondamente, mi ha
cambiato. E poi, è per
ricordarmi di te. » sussurrò l’ultima
frase guardandolo negli occhi con i
propri lucidi dallo sforzo che fece per parlare anche per poco.
Colin
socchiuse le labbra colto di sorpresa nel sentirlo dire. Per un attimo
gli
parve una palese dichiarazione che lo fece fremere nella totale
confusione, non
sapendo che emozioni provare. Appena sentì il proprio
conscio destabilizzarsi
per l’indecisione, sentì dentro di sé
spargersi un calore inspiegabile, una
sensazione di appagamento.
Sentì
come se fosse dovuto. Come se fosse giusto così, che Jared
gli dicesse quelle
cose, che fosse normale che, probabilmente, provasse qualcosa per lui.
E allo
stesso tempo sentì un’inspiegabile ricambio nei
suoi confronti. Diventò giusto
provare qualcosa per lui, ma ancora non percepiva che tipo di affetto
fosse.
«
Non… Non l’ho tolta nemmeno io. Sennò
che senso avrebbe avuto portarla fin
dall’inizio, Efestione? » rispose Colin sforzando
un accenno di sorriso, mentre
sporse verso l’amico il proprio ciondolo.
Il
suo mormorio fece fremere Jared sul posto, sentendo lo stomaco
riempirsi di farfalle,
e a sua volta avvicinò, anche se a fatica, il medaglione al
suo.
Gli
era mancato sentirsi chiamare in quel modo. Tramite messaggi era una
cosa, ma
dal vivo, sentendo quel nome uscire dalla sua bocca con la sua voce, lo
riportava
indietro nel tempo, quando lo chiamava così per chiedere
conferma su ogni cosa,
ogni decisione, ogni compito da svolgere.
Un
attimo, un ultimo sforzo dei muscoli, e le collane si toccarono.
Un
solo tocco e i corpi di entrambi vennero inglobati da un fremore che li
investì
da capo a piedi, sentendo gli spiriti dei due antichi prendere vita
dentro di
loro, invadendoli completamente.
Non
sapevano cosa stesse succedendo, sapevano solo che stava accadendo e
che niente
li avrebbe fermati. I due spiriti non si sarebbero fermati, non quella
volta. Avrebbero
continuato fino a raggiungere il loro scopo, fino a poter diventare
finalmente
vivi e liberi dall’agonia che non gli permise di raggiungere
il mondo dei
morti.
I
due giovani si inarcarono senza fiato, sentendosi svuotati dai propri
spiriti,
da ogni vitalità. Le loro viste si appannarono a tal punto
che i loro occhi si
chiusero per un istante.
Un
istante bastò e i loro corpi non furono più
lì.
Non
furono più a casa di Jared. Non furono più a Los
Angeles, non più in America,
non più nel 2004.
Il
silenzio della stanza venne interrotto bruscamente da un
vociferìo che divenne
mano a mano sempre più comprensibile alle orecchie dei due
giovani.
Ma
non erano più loro.
I
loro occhi si aprirono lentamente, a fatica, come ad un risveglio
forzato dopo
una notte passata nel sonno profondo.
Non
c’era più la loro cena vegana, nemmeno la lampada
a led del soggiorno. Non
c’era più niente di quell’appartamento.
Eppure
tutto ciò che videro era normale. Era giusto che fosse
così, che fossero lì.
Le
risate dei soldati rimbombavano nei loro timpani, accompagnate da
alcune
esclamazioni di stupore di alcune schiave che avevano appena ricevuto
una pacca
sul fondoschiena da due dell’esercito del re.
E
lui era lì, a capotavola del banchetto che si era allestito
quella sera come
tutte le precedenti. Ogni sera era una festa e lui se ne stava sempre
in cima
al tavolo, col calice d’oro pieno di vino rosso, mentre le
serve al suo fianco
rimanevano sempre pronte ad ogni suo ordine e i presenti al tavolo
davano sfogo
alla fantasia in cerca di battute che facessero ridere il re, come per
conquistare ammirazione da parte sua.
Tutte
parole senza senso. Per lo meno così giungevano alle sue
orecchie. Erano solo
un continuo borbottio fastidioso, talmente superficiale che nemmeno
provò a
capire che cosa significasse. Dopotutto a lui non importava.
Respirò
profondamente e quasi gli parve strano riuscirci. Era lì,
nel suo palazzo in
Babilonia, a cena con gli uomini della sua corte. E c’erano
tutti.
Il
suo sguardo scorse su tutti gli invitati che parlavano senza dare peso
al loro
cibo che si raffreddava nell’essere ignorato, i gioielli
sulle dita delle mani
che gesticolavano, gli sputi di vino nel scoppiare a ridere per la
battuta di
quello seduto davanti.
Sembravano
un branco di menefreghisti altolocati che pensavano solo a dare sfogo
alla loro
fortuna, senza nessun cuore e qualcuno a cui donarlo.
Ma
non tutti erano così. C’era una persona seduta tra
le urla degli altri, col
piatto ancora pieno, in silenzio, che si guardava attorno spaesata.
E
quando i suoi occhi azzurri finalmente si girarono verso il re,
incontrando il
suo sguardo, ad entrambi parve che il tempo si fosse fermato. I loro
respiri si
smorzarono e le loro labbra si socchiusero all’unisono, come
se entrambi
volessero liberare un suono di sorpresa.
Alessandro
era lì, fremente, a guardare il suo Efestione. Ed Efestione
era lì, a guardare
il suo Alessandro.
Erano
lì, come tutte le sere in cui le guerre non li costringevano
ad allontanarsi
dai palazzi. E niente era più normale di quello che vedevano.
Sembrò
fosse passata un’infinità quando il re decise di
alzarsi, mantenendo lo sguardo
incatenato a quello del generale, con un evidente significato. Se ne
fregò
delle occhiate degli altri ospiti della cena, loro non erano nessuno.
Erano
solo persone, vermi che strisciavano ai suoi piedi e che aspettavano
che
cadesse per divorarlo. Vermi senza cuore ed una persona a cui donarlo.
Lui
invece aveva sia un cuore che una persona a cui, fin da piccolo, ne
aveva
permesso la custodia eterna.
Uscì
dalla sala negando alle serve quando queste gli chiesero se avesse
bisogno di
loro. Non aveva bisogno di nessuno in quel momento. Aveva bisogno di
lui, di
Efestione. Anche se figlio di mortali, dentro di sé sapeva
che era degno di
scalare l’Olimpo e pretendere che gli dèi si
inchinassero al suo passaggio.
Fu
una camminata a passo svelto fino a ché si
rintanò nella sua stanza ricoperta
di fregi d’oro e di lumi ad olio, sapendo che, quando la
porta si riaprì, era
stato seguito. Sapeva che lo avrebbe seguito.
Si
girò di scatto e il suo cuore saltò un battito
quando poté incrociare di nuovo
quello sguardo. Quegli occhi blu lucidi contornati di nero che sembrava
non vedesse
da secoli. Eppure era strana quella sensazione.
Si
corsero in contro per poi abbracciarsi forte, sentendo
un’inspiegabile
malinconia. Non capivano, era come se non si toccassero da
così tanto, eppure
lo avevano fatto appena la mattina di quello stesso giorno. Respirarono
a pieni
polmoni l’uno il profumo dell’altro, lasciandolo
scorrere dentro di sé e
promettendosi di non scordarlo mai.
Efestione
alzò il viso premendo di slancio le proprie labbra sottili
su quelle carnose
del suo amante con la stessa necessità con cui si cerca
l’ossigeno sott’acqua.
«
Mio Alessandro. » sussurrò con un nodo in gola e
le lacrime che già premevano
per uscire dalla gioia sorprendente di poterlo riabbracciare.
«
Non piangere. » gli prese la mano baciandola e imponendogli
di aprirla contro
la propria guancia « Sono qui con te, come ora e per sempre.
» posò la fronte
contro la sua stringendolo a sé più che poteva.
Non
voleva che si staccasse, non voleva lasciarlo andare. Sentì
crescere la paura
di perderlo per sempre, che una volta scioltosi dal suo abbraccio
sarebbe
scomparso. Di nuovo.
«
Anche nell’aldilà? » mormorò
appena la prima parola che la voce gli morì in
gola.
«
Anche nel mondo degli dèi, Efestione. E non mi interessa di
chi tu sia figlio,
la tua saggezza fa invidia ad Atena e la tua bellezza fa vergognare
Afrodite.
La tua forza è d’ispirazione a Zeus. »
Efestione
sorrise scuotendo la testa, come tutte le volte che il suo re dilagava
nei
complimenti.
«
Così esageri Alessandro. Se continui a sfigurare gli
dèi, questi potrebbero
vendicarsi più che graziarmi. »
«
Non lo faranno, perché sanno che ho ragione e che ti meriti
di far parte del
loro mondo. » lo guardò negli occhi, di nuovo. E
di nuovo sentì quella
necessità di stringerlo a sé e non permettere che
nessuno glielo potesse
portare via, nemmeno Ade in persona.
«
Ti amo. E non come un suddito ama il proprio re. Ti amo come un uomo
ama il
proprio amante. » dalla guancia fece scivolare la mano dietro
ai capelli dorati
del re, imponendogli di avvicinare il viso al proprio fino a
ché le loro labbra
non si incontrarono.
Le
labbra accolsero quelle dell’altro mentre le lingue si
sfiorarono, si toccarono
ed infine si intrecciarono in un lungo e docile bacio che, per un
attimo, non
gli permise di rendersi conto di star camminando all’indietro
verso il letto
del re.
Una
volta che quest’ultimo venne raggiunto, i corpi dei due
caddero delicatamente
sul materasso, accolti dalle lenzuola di seta pregiata che solo le
stanze del
palazzo reale potevano ospitare. I loro fiati divennero un
tutt’uno non appena
le pelli furono spoglie da qualsiasi veste colorata e i loro corpi
poterono
toccarsi senza nulla che ostacolasse il tatto.
Si
guardarono ancora negli occhi, Efestione sotto al suo re, Alessandro
sul suo
generale. E così vollero ricordarsi il viso dell'altro, gli
occhi dell'altro,
il respiro dell'altro, il profumo dell'altro, il calore dell'altro,
l'amore che
provavano per l'altro. Un ricordo che non si sarebbe mai spento, che
sarebbe
durato all'infinito.
Non
ci fu dolore o gemiti strozzati per quest’ultimo quando il re
poté far suo il generale.
Solo un sospiro sommesso ed una schiena inarcata. Per tutta la stanza
furono udibili
solo i loro ansimi, che echeggiavano nel soffitto ampio e concavo della
stanza
reale.
Efestione
boccheggiava in cerca di aria graffiando la schiena abbronzata di
Alessandro,
mentre questo spingeva con passione dentro di lui, facendo
scricchiolare le
travi del grande letto che accoglieva i loro corpi.
E
continuarono così, tra tirate di lenzuola e gemiti acuti
quando il piacere
diventava più forte grazie alle spinte violente che
Alessandro donava al suo
amante.
Non
ci volle molto prima che quest’ultimo sussurrò
ripetutamente il nome del suo
re, come un segnale per avvertirlo del suo imminente orgasmo, che stava
per
essere raggiunto senza stimolare il proprio membro.
Dal
canto suo, l’imperatore macedone afferrò la mano
del suo amante, stringendola e
sussurrando tra gli ansimi « Sto per venire anche io.
» sentendo effettivamente
delle pulsazioni più intense concentrarsi verso il proprio
sesso, dentro di
Efestione.
«
Mio re! » riuscì finalmente a liberare dalle
proprie labbra dopo un paio di
secondi in apnea nel sentirsi raggiungere l’apice. E fu
questo, la sua voce, il
sentirsi chiamare da lui e non da uno qualunque, che fece affondare il
re più
affondo in un gemito strozzato nel liberare la propria venuta dentro di
lui.
Chiusero
gli occhi nel medesimo istante, con Efestione che chiamava di continuo
il nome
del suo amato, e quest’ultimo che pensava solo al suo
generale, sotto di sé.
Un
fremito percorse i loro corpi facendoli inarcare all’unisono
mentre i fiati
vennero smorzati.
«
Alessandro! » urlò il ragazzo dagli occhi azzurri
stringendo il braccio al
proprio amante, come in cerca di una certezza che il suo corpo fosse
ancora lì,
nel buio del suo sguardo.
Ma
quando gli occhi chiari si schiusero lentamente, ancora rintronato
dall’orgasmo, tutto era sparito. La lanterna ad olio, il
letto a baldacchino,
le lenzuola in seta, il soffitto dorato. Babilonia non c’era
più.
Non
erano più lì. Non erano più Alessandro
ed Efestione. O così credeva.
I
suoi occhi videro Colin, non Alessandro, sopra di sé, col
fiato corto, nudo e
lo sguardo spaesato, ancora incapace di comprendere che cosa fosse
appena
successo. E nemmeno Jared lo sapeva. Lo aveva vissuto come se fosse
stato in
prima persona, ma non era lui.
Era
Efestione. Era stato per un attimo Efestione e non Jared.
E
ora chi era? L’attore o il generale? E chi aveva sopra e
dentro di sé? L’amico
o il suo amante?
Lo
guardò negli occhi in una disperata ricerca di una risposta,
anche se
l’ambiente in torno a loro la suggerivano. Sarebbe dovuto
tornare Jared, ma lui
si sentiva diverso. Dentro di sé aveva la sensazione di non
essere più lui, non
del tutto. SI sentiva più completo che mai.
E
quello che guardava non era più un semplice amico.
Colin
si alzò lentamente dal suo corpo trattenendo un sospiro
quando uscì dalla sua
cavità anale. Non pensava fosse possibile, lo avevano appena
fatto. Eppure
prima erano Alessandro ed Efestione a farlo, ora perché si
era ritrovato dentro
il suo compagno?
Sussultò
quando pensò alla parola compagno e non amico.
Perché non riusciva più a
vederlo solamente come un amico, ma doveva essere per forza qualcosa di
più?
Perché ora aveva questa irresistibile voglia di baciarlo e
dirgli che…
Si
buttò a peso morto accanto all’altro, fissando il
soffitto attonito, con i
pensieri offuscati, non riuscendo a pensare a qualcosa di concreto.
Solo a parole
confuse senza senso, incomprensibili, che non riusciva nemmeno a
realizzare
nella propria mente. Solo un brusio silenzioso.
Quasi
non si accorse dell’altro ragazzo, che nel frattempo si era
girato verso di
lui, cingendogli il torace con un braccio e posando la nuca sulla sua
spalla in
un gesto inconscio. Come se non fosse stato lui a decidere di farlo.
Si
guardarono in silenzio negli occhi con sguardo perso, non capendo che
cosa
fosse appena successo. I loro stomaci si riempirono di farfalle che
esplosero
nell’emozione quando nelle loro teste si formulò
una piccola ma grande frase.
Due parole. Che non seppero perché si formarono nelle loro
menti nel medesimo istante,
mentre spingevano sulle loro lingue per essere pronunciate.
Le
labbra si socchiusero assieme e Colin, con il proprio braccio sotto al
collo
dell’altro, lo attirò a sé, facendole
richiudere con le bocche unite.
Fu
un gesto voluto da una lontana parte di sé. E questo gesto
fu molto atteso da
Jared con tutto sé stesso.
Perché
non solo lui lo voleva, anche Efestione lo volle. Dentro di lui, nel
profondo
del suo spirito, dove quello dell’antico si era appena
insidiato.
«
Ti amo. » sputò fuori Colin di colpo, arrossendo
per l’imbarazzo. Non lo voleva
dire, non ora. Ma una parte di sé lo spinse, una parte
nascosta nel suo animo.
Ora per metà occupato da quello di Alessandro.
Jared
poté solo sorridere, preso alla sprovvista da quella
rivelazione così profonda
ed unica. Ma da un lato sentì che fosse giusto
così, che glielo dicesse e che
il suo amore fosse ricambiato.
«
A-anche io ti amo… Colin. » riuscì
finalmente a dire con gli occhi lucidi.
In
quel momento capì. L’esitare nel dire il suo nome
gli fece comprendere che non
aveva davanti né Alessandro né Colin.
Bensì entrambi, nello stesso corpo,
perché le loro anime si erano fuse, entrando in simbiosi
nello stesso corpo.
Così
come nel proprio corpo, che da in quel momento venne condiviso con lo
spirito
del generale.
Posarono
la fronte una contro l’altra mentre l’irlandese
strinse il braccio attorno alle
spalle di quel ragazzo che ora non era più solo un amico, un
caro. Era l’uomo
che adesso amava, non sapeva come e perché, ma lo amava. Ed
era giusto così.
Stavano
vivendo un amore scritto prima della nascita di Cristo, secoli fa.
Perché erano
loro quelli giusti, che più rappresentavano e assomigliavano
al re e al
generale. E loro dovevano portare avanti quell’amore.
Un
amore che non sarebbe mai morto.