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Autore: Pineapple__    10/10/2015    0 recensioni
Dal testo: "Tutte le immagini e i suoni della disperazione e della paura degli abitanti di Hiroshima addensati nei suoi occhi e nelle sue orecchie. Avrebbe voluto gridare, Giappone, di rabbia, di dolore. Il lamento di un Paese che è stato incapace di proteggere la propria terra, i propri concittadini. Tra l'accozzaglia di figure indistinte ed urlanti, una catturò la sconvolta attenzione del giapponese; un paio di mani, intrappolate in due guanti di pesante pelle scura, che scavavano fino all'usura i consistenti detriti che intrappolavano il corpo del moro in una stretta letale. Poi uno spiraglio di fioca luce cominciò a farsi largo tra le macerie, colpendo il suo viso pallido e insanguinato. Udì poi una voce. Una voce che conosceva. Una voce che aveva imparato prima a sopportare e poi ad amare."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Giappone/Kiku Honda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incapace
 
 

Sospeso. Solo un profondo nero avvolgente era quello che la nazione riusciva a scorgere attraverso gli stanchi occhi ancora coperti dalle palpebre chiuse. Forse aveva ricominciato a respirare da un lasso di tempo effimero, a giudicare dal suo alito ansante ed irregolare, come reduce da una quasi interminabile corsa. Sentiva il proprio corpo pesante, quasi se la forza della gravità su di esso si fosse  centuplicata. Non possedeva più la concezione del tempo, Kiku, cominciando seriamente a pensare di non star nemmeno occupando uno spazio concreto. Intorpidito, gli arti parevano composti dalla più pesante lega di metallo presente al mondo. Lo stesso metallo, fuso a cemento e macerie di varia forma, misura e materiale, che era crollato sul suo gracile corpo e su quello dei suoi amati connazionali la mattina di quel terribile 6 Agosto 1945. La nazione nipponica tentò di rimembrare l'accaduto, ritrovandosi a rivangare solamente alcuni terrificanti stralci di quel giorno che si presentava ad essere uno di quotidiana routine; il fischio assordante, la luce accecante, l'esplosione silenziosa e la distruzione galoppante scaturita da essa. I ricordi seguenti erano salottieri fotogrammi, un susseguirsi di grida ammassate l'una alle altre, gemiti, lamenti e persone vaporizzate all'istante. Tutte le immagini e i suoni della disperazione e della paura degli abitanti di Hiroshima addensati nei suoi occhi e nelle sue orecchie. Avrebbe voluto gridare, Giappone, di rabbia, di dolore. Il lamento di un Paese che è stato incapace di proteggere la propria terra, i propri concittadini. Tra l'accozzaglia di figure indistinte ed urlanti, una catturò la sconvolta attenzione del giapponese; un paio di mani, intrappolate in due guanti di pesante pelle scura, che scavavano fino all'usura i consistenti detriti che intrappolavano il corpo del moro in una stretta letale. Poi uno spiraglio di fioca luce cominciò a farsi largo tra le macerie, colpendo il suo viso pallido e insanguinato. Udì poi una voce. Una voce che conosceva. Una voce che aveva imparato prima a sopportare e poi ad amare. Gli occhi azzurri di America fecero capolino dall'apertura faticosamente creata, intrisi di un terrore che non gli avrebbe mai attribuito. Non a lui, non al suo hero. Eppure capì, nonostante l'evidente stordimento, che la bomba era stata sganciata da un velivolo americano. Riuscì a collegare i fatti dal modo in cui la voce di Alfred, insolitamente incerta e disperata, arrivava alle sue orecchie; insieme a tremanti parole di incoraggiamento evidentemente rotte dal pianto, si facevano strada alcuni saltuari "I'm sorry". "I'm so sorry."
Finalmente, dopo un tempo che parve infinito, gli occhi di Kiku si aprirono con esasperante lentezza. Percepì subito parecchi fattori di fastidio, come il senso di vertigine, il tubo di plastica per l'intubazione che sentiva sfregare fin all'interno della la sua gola incredibilmente secca o il continuo e cantilenante cicalio del macchinario per la rilevazione dei valori cardiaci. Un odore asettico e pungente, simile a  quello della candeggina, permeava incessante nelle sue narici producendo un involontario arricciamento del fine setto nasale. Lo sguardo stanco era puntato sul soffitto bianco, incapace di discatenarsi da esso. Sebbene fosse disorientato come se si trovasse in un luogo mai visto, riuscì a comprendere di non trovarsi in un ospedale da campo. Non in qualcosa di improvvisato per prestare il primo soccorso a civili feriti; ancora una volta il suo essere nazione gli aveva assicurato un posto dove avrebbero potuto prendersi decentemente cura di lui. Un sospiro si formò in fondo alla gola il quale, però, venne represso sul nascere a causa dell'occupazione di quest'ultima. Avrebbe voluto essere vicino ai suoi confratelli giapponesi in quel momento di grande crisi e bisogno e, invece, doveva perennemente avere la precedenza su di essi. Se non fosse stato per la sua incapacità di movimento e la mancata presenza della sua inseparabile katana non avrebbe esitato ad operare un onorevole seppuku. Nonostante tutto, nonostante la forse passeggera insensibilità del derma, nonostante l'impossibilità di muovere un singolo muscolo, percepiva distintamente una forte pressione alla mano destra, come se stesse venendo stritolata da un serpente di dubbia origine. Gli occhi color legno, ora ancora più stremati e affaticati, rotearono verso il basso con struggente pigrizia fino ad incontrarne un'altro paio. Il cielo. Il mare. Alfred era lì, entrambe le mani avviluppate attorno alla sua, in trepidante attesa che Kiku lo riconoscesse. Con in viso l'espressione tanto odiata dalla nazione asiatica, di chi sembrava stesse per scoppiare in lacrime da un momento all'altro. Solo in quel momento, quando al cantilenante rumore dei macchinari si aggiunse il pianto sinceramente disperato dell'americano -una sinfonia di singhiozzi sapientemente mescolati ad un'infinita carrellata di concitate richieste di perdono-, il paese colpito si rese conto di non solo essere stato incapace di proteggere la propria patria, ma anche di covare odio verso colui che l'aveva colpita. Tra i gemiti sconsolati, America riuscì a riprendere fiato per poi, finalmente, riuscire a concepire una frase di senso compiuto.
 
"Io non ho mai voluto tutto questo, Nihon. Come tu hai saputo solo posteriormente dell'attacco a Pearl Harbor, io sono venuto a conoscenza del piano della bomba atomica solo qualche ora prima e quando sono arrivato era già troppo tardi."
 
Fece una piccola pausa, mentre le labbra si posarono con delicatezza quasi femminea sulla fredda pelle della piccola mano del moro. Chiuse gli occhi schermati dalla fine montatura degli occhiali e un'espressione amareggiata si dipinse sul volto sovente gioviale e allegro. Vederlo in quello stato avrebbe fatto stringere il cuore a chiunque. Giappone in primis.
 
"Non pensi che non ci hanno avvertiti solamente perché sapevano che avremmo negato tali attacchi? Avanti, noi ci amiamo; fare la guerra contro la persona che ami è stupido. Non sono le nazioni come noi a volere tutta questa sofferenza, ma le persone che non sono capaci di mettere una pietra sopra e guardare avanti. Mi dispiace, Nihon, avrei dovuto proteggerti. Ti prego di perdonarmi." concluse, lasciando scivolare altre due lacrime cristalline sullo smagrito e fragile palmo che ancora stringeva.
 
Kiku rimase in silenzio, senza emettere nemmeno il più piccolo suono -non che ne fosse capace-. I muscoli tesi si rilassarono e sentì il proprio cuore alleggerirsi di almeno un paio di chili. Non avrebbe mai, mai immaginato che America potesse perdere il suo atteggiamento rumorosamente ampolloso per abbassarsi a tal punto da implorare il perdono, soprattutto ad una nazione che aveva strappato dal suo piccolo e soleggiato atollo in mezzo al nulla. Un secondo bacio si posò leggiadro sul dorso dell'appendice di Kiku. Come poté, ricambiò la stretta operata sulla sua mano quasi a conferma dell'avvenuto perdono. La timida stretta di un piccolo paese che sembrava incapace di provare emozioni talmente forti come che scombussolassero il suo sereno ed atono vivere. Incapace di sopprimere quella smielata attrazione -d'altronde reciproca- che provava per la nazione americana.



Angolino dell'Ananas:

Buongiorno, miei prodi lettori.
Sono tornata, sì, con il mio primo esperimento su un'altra delle mie OTP over ninethousand.
Con loro mi ero ripromessa di scrivere il fluff più idiota e schifosamente sdolcinato, ma i feels 1945! esercitavano troppa pressione sul mio cervellino per essere lasciati lì.
Vi ringrazio per averla letta e un biscotto a chi lascerà anche una recensione.
Luv u, bae
~
bacissimi,
Pineapple__
  
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