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Autore: keska    16/02/2009    46 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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-Ciao, Charlie copertina


Capitolo riveduto e corretto.

 

«Ciao, Charlie!». Ero rimasta così scombussolata dagli ultimi eventi, che vedere mio padre mi dava un indicibile sollievo, di solito…  Volevo passare il maggior tempo possibile con lui e anche se la presenza di Edward era ormai decisamente insostituibile, quella l’avrei avuta per l’eternità, mentre mio padre, ahimé, l’avrei dovuto lasciare a breve.

La proposta di Edward, l’inaspettata reazione positiva (almeno migliore delle previsioni) dei miei genitori, l’improvvisa “schiavitù” a cui Alice piaceva sottopormi, erano eventi di una tale portata che mi avevano condotta alle soglie di uno stress non indifferente. Fortunatamente la felicità che provavo quasi ogni pomeriggio in compagnia di Edward poteva ben compensare, ricordandomi, di giorno in giorno, quanto ne valesse la pena. Tutto sarebbe andato perfettamente, se un filo scucito non stonasse sul ricamo che avevo tanto gelosamente confezionato.

«Bella» si limitò a dire per salutarmi. Il suo saluto risultò strano, spento, diverso da quelli che abitualmente, anche dopo essere venuto a conoscenza del mio progetto di matrimonio, mi rivolgeva.

«Tutto bene papà?» chiesi, intenta a tagliare le carote per la sua cena.

«Bells, siediti un attimo». Eh, no. Non mi piaceva, quel tono di voce non mi piaceva affatto. Seguii perplessa le sue parole, sedendomi di fronte a lui, sulla sedia che mi aveva indicato. Aveva un’espressione vacua e addolorata. La mia mente rincorreva velocemente la possibile causa del problema.

«Cos’è successo papà?» chiesi, cercando di restare calma, e nascondere il vile tremolio nella voce.

«Jacob» esordì, e quel nome fu una pugnalata al cuore «diciamo che non ha gradito molto l’invito» fece eloquentemente, come se dovessi essere a conoscenza di quello cui stesse parlando.

Lo fissai interrogativa, esprimendo in un’occhiata tutta la mia confusione. Di certo, non mi sarebbe mai saltato in mente di invitarlo alle mie nozze. Non dopo come ci eravamo lasciati, non dopo tutta la sofferenza che avevo causato a lui e a Edward. Non che non volessi ancora averlo vicino a me, come amico. Ma appunto, non potevo volere che fosse nulla più che quello, quando il mio cuore aveva avuto la certezza di non dover neppure scegliere quello che aveva sempre saputo e che solo alcune circostanze e una mente confusa avevano fatto sembrare in dubbio.

Emisi un breve fiato quando approdai ad una soluzione, l’unica possibile: Edward.

«Co-cosa ha fatto?» sussurrai in preda al terrore. Non avrei mai smesso, credevo, per tutta la vita, di sentirmi in colpa per quelle azioni sconsiderate. Quanto dolore ancora dovevo causare? E il pensiero che Edward l’avesse fatto per me, che avesse mandato quell’invito per rendermi felice e darmi un sorriso, mi faceva sentire ancora più pentita e egoista.

Mio padre dondolò da un lato all’altro della sedia, accarezzandosi i baffi. Aveva da sempre mostrato una propensione verso il mio amico della natura di lupo. «Si è infuriato, a cominciato a urlare, diceva brutte cose» fece una pausa voleva, sospirando «voleva… oh non l’ho mai sentito parlare così…» borbottò affranto e crucciato.

Oh Jacob. Un impetuoso moto di tristezza mi scosse da dentro, stordendomi. Speravo di aver per sempre detto addio a questi momenti, speravo che fosse per sempre finita quella vita in cui continuavo a causare dolore negli altri, ora che davvero un’era della mia vita si stava concludendo.  Sentii le lacrime lottare contro i miei occhi per riuscire a venire fuori.

Le bloccai. No, quell’era doveva veramente concludersi, finalmente. No, per amor di Edward, non avrei pianto. No.

Mi alzai come un automa, facendo grattare la sedia sul pavimento nel silenzio della stanza, e andai al tagliere a finire il mio lavoro. Avevo svuotato la mia mente, per evitare che qualsiasi pensiero mi tormentasse ancora, e che ancora, ancora, la mia mante mi conducesse a compiere i gesti più sbagliati.

«Bells, ma, cosa…?» biascicò Charlie, a dir poco sorpreso dal mio comportamento.

Continuai impassibile il mio lavoro. La lama del coltello scivolava veloce. Tac, tac, tac.

«Bells… Ascolta, forse dovresti chiamarlo, non so… Bella. Voltati quando ti parlo».

Ancora tagli, ancora silenzio.

«Bells…».

Tac, tac, tac.

«Bella!» esclamò esasperato, animandosi. «Non fai niente, non dici niente? Vuoi lasciarlo soffrire? Vuoi causargli altro dolore?».

La lama si bloccò, lasciandomi un taglio fra il pollice e l’indice. Mi voltai lentamente verso mio padre, tenendomi la mano sanguinante. Era diventato paonazzo.

«Papà, io amo Edward. Sto per sposarmi con Edward. Edward, non Jacob. Edward. Cosa credi che debba fare esattamente?» dissi senza particolari inflessioni nella voce, i miei occhi spenti che lo fissavano senza guardarlo.

Non rispose, si limitò a chiudere la bocca che era rimasta spalancata dopo l’urlo.

Cercando di fermare la piccola perdita di sangue, più per amor di Edward che per amor mio, andai in bagno. Mi sciacquai la ferita sotto l’acqua fredda e mi misi un cerotto.

Quella sera andai a letto senza cena, chiusa nel silenzio della stanza, lo stomaco ormai troppo chiuso nella nausea per poter anche solo pensare di mangiare. Charlie, qualunque cosa volesse fare, sarebbe sopravvissuto anche senza la mia insalata. Era un buon padre, lo sapevo. Si sforzava di esserlo almeno, dopo non esserlo stato per tanto tempo. E voleva che sua figlia facesse le scelte migliori, scelte di cui non doversi pentire. Di questa, non mi sarei pentita.

Di quelle passate, lo avevo già fatto.

La stanza silenziosa faceva viaggiare la mia mente contro scenari passati, che si stagliavano sul muro come le ombre prodotte dai rami. Eppure, pensavo, mi sentivo segretamente ferita dalla razione di Jacob. Forse perché una parte di me aveva sperato che potesse essere davvero semplicemente quel buon amico che non era stato e che, in quelle condizioni, non poteva essere.

Ma dovevo lasciarlo andare. Sì, lasciarlo andare per sempre. Era quella la mia scelta, l’avevo fatta, ne avevo sofferto. Ma tutto era concluso, ormai, quando il mio amore risplendeva solo per un’anima: Edward.

Sussultai, sentendo un suono smorzato di dubbia provenienza. Mi guardai velocemente attorno, in cerca della fonte. In altre circostanze avrei pensato immediatamente a Edward, ma ogni cosa mi faceva pensare che fosse ancora impegnato con la caccia. Ne seguì un altro, e questa volta mi volsi istintivamente in direzione della finestra, dove, con mio sommo sgomento, troneggiava la figura seminuda di Jacob.

Sul volto aveva un’espressione truce, furiosa, che gli sfigurava i lineamenti giovani trapassandolo da parte in parte.

Tremai, inconsapevolmente. «Jacob…» sussurrai appena. Non avevo intenzione di trovarmi in quella situazione. Non volevo in nessun modo riaprire una ferita chiusa e suturata da tempo, né causarne altre sul corpo del mio amico.

Le sue labbra tremarono, e con i pugni lungo i fianchi avanzò di un passo nella mia direzione. «Bella, ora tu verrai con me, che tu lo voglia o meno» mi intimò con voce cavernosa.

Sospirai, scuotendo debolmente il capo. E mi chiesi, stoicamente, quale diavolo potesse averlo condotto sul limbo dell’inferno a cui i suoi occhi si affacciavano. «No. Jacob, non puoi. Non farlo» supplicai, determinata in ogni modo a fermare quell’empietà.

«Non ti lascerò morire, Bells, basta. Non ti lascerò a lui. Perché…» inspirò profondamente «Non puoi buttare via la tua vita in questo modo, quando la tua mente è così offuscata. Non hai fatto la scelta giusta, non hai fatto la scelta migliore. E ti amo troppo per vederla buttare via così. E ci ho provato» mormorò con tormento «Ci ho provato, a lasciarti andare. Ma è impossibile, perché sento, dentro di me, che devi essere mia. Ora, vuoi venire con me?» tuonò cupo, la voce che a stento nascondeva quella di un ragazzino innamorato. Mi porse una sua gigantesca mano.

Mi ritrassi d’istinto, retrocedendo, guardando con i miei occhi il danno che avevo causato. Un danno che ormai mi appariva indelebile. Ma un danno che io avevo causato, spinta, stordita, ammaliata, da lui. Lo sapeva, per chi batteva il mio cuore. Lo sapeva, di chi era sempre stato. Ma la sua ossessione non si era placata alla luce di quella ragione.

Inspirai, presi fiato, calmai il mio corpo. Ero risoluta. «No, Jacob, non posso. Il mio posto è qui, il mio posto è accanto a lui. Accanto a Edward» affermai, con la mia voce più autoritaria.

Un lampo di puro dolore passò nei suoi occhi, ben presto coperto dalla follia. «Tu non capisci! Non capisci! Non si tratta più di scegliere, ciò che io ho scelto per te, ciò che io sono sicuro sia meglio per te. Vieni. Devi venire».

Sospirai ancora, scuotendo debolmente il capo.

Ringhiò, sollevando i pugni al cielo, disperato. «Allora ti prenderò con la forza». Fece un passo verso di me.

Automaticamente ne feci uno anch’io all’indietro, verso il muro. E in quel momento cominciai a tremare di paura, perché qualcosa, qualcosa di strano e alieno di era insinuato nei suoi occhi: follia.

«Lui verrà a salvarmi, lo sai» tentai debolmente di minacciarlo.

Si lasciò scappare un risata fragorosa. «Ah, sì e come lo saprà? La sua sorellina succhiasangue non può vedermi, ricordi?» esclamò beffardo, facendo cadere in una pozza fangosa le mie deboli intimidazioni. Perché, se anche Alice si fosse accorta del buco nero fra le sue visioni, sarebbe stato così difficile tornare in tempo dalla caccia!

Spaventata e spaurita, tentai di cambiare la mia tattica, mentre le parole mi uscivano confuse e poco chiare, intrappolate nella mia mente allarmata. «Jacob, ti prego… tu… sei mio amico. Possiamo rimanere amici, dovevamo rimanere amici. Tu mi ami, dici. Non lo so se è vero, ma se mi vuoi bene non puoi farmi questo».

S’infiammò, rabbioso. «E tu Bells? Eh? Tu vuoi bene a me? Però mi fai del male… Come vedi non funziona così. E come puoi» sputò con disgusto, un’espressione di ribrezzo sul viso «Minimizzare così i miei sentimenti, calpestandoli ancora? Chiamare “voler bene” quello che provo per te?! Io ti amo. E anche tu» dichiarò tombalmente, avanzando di un altro passo verso di me.

Lo spazio nella stanza si stava riducendo, causando un accelerare del palpitare del mio cuore e del sudore, veloce, che correva in goccioline sulle mie membra. Sentivo il pericolo vicino a me. Il mio amico, una persona a cui avevo voluto e volevo, ancora, bene. Sapevo, pensavo, che non mi avrebbe mai fatto del male. Ma portarmi via? Tremai. La sola idea di essere strappata alle braccia di Edward mi faceva star male. Ero coraggiosa, in fondo. L’avevo sempre fronteggiato. Ma qualcosa, qualcosa che insinuava la paura nel mio corpo, mi suggeriva che questa volta non potevo alzare la voce, o gridare. Non potevo semplicemente oppormi e affermare la mia volontà. Non in quel momento, almeno, in cui sembrava che niente di simile l’avrebbe fatto ragionare.

«Jacob… stai… stai facendo qualcosa che è contro la legge, è un sequestro di persona!» urlai, stridula, sperando che Charlie mi sentisse e che accorresse in qualche modo in mio aiuto.

«Charlie è uscito», ribatté intuendo le mie intenzioni.

Un pensiero agghiacciante m’immobilizzò. Aveva pianificato tutto, oppure erano d’accordo?

Un ghigno amaro pervase il suo volto. «Oh, Bells, non temere. Sarei disposto a fare ben di peggio, per affermare il mio amore. No, no. Non sarà la legge a fermarmi».

M’irrigidii, sgomenta e terrorizzata, sentendo le sue parole vibrare dentro di me.

Si aprì in un sorriso sardonico. «Oh, sì. Dopo che ti avrò portata via, ucciderò il tuo succhiasangue. Non voglio tormentarti, non voglio che tu pensi solo di poter esserti sbagliata. Così non dovrai più scegliere, visto che non avrai più alternative».

«Non stai dicendo sul serio. Jacob… Jake…» esalai senza fiato, stentando a riconoscere la persona che mi stava dinanzi. «Non stai dicendo sul serio» mormorai attonita.

Scosse il capo, rabbioso, desolato, devastato. Stava soffrendo atrocemente.

«Jake…» annaspai in pena.

«Zitta!» urlò, avanzando di un passo e afferrandomi saldamente e facilmente per le esili spalle.

«Jacob!» gridai, provando a divincolarmi dalla sua presa. «Smettila, smettila ti prego! Lasciami andare! Tu sai che non lo voglio, ti prego! Non puoi decidere per me!».

Ansimò, addolorato, a pochi centimetri dal mio viso. Era distrutto, distrutto dai suoi sentimenti e dal suo amore, alimentato da un animo giovane e dalla forza di un licantropo. «Ascolta» ansimò, fissandomi con serietà. Una serietà folle. «Ascolta, ti do un ultima possibilità. Cambia idea, vieni con me e non lo ucciderò. Io posso darti ciò che lui non potrà mai farti avere».

Annaspai, addolorata. «Jacob, ti prego. Abbiamo già passato tutto questo. Ne abbiamo già discusso. Conosco il mio cuore, so quello che voglio. E so che non potrei mai rinunciare a lui. Io lo amo» farfugliai, mentre sentivo lacrime amare di dolore e rabbia scendermi silenziose lungo il viso.

Sollevò una mano a mezz’aria, fermando le parole che lo stavano torturando nel profondo.

«Aspetta» ansimò, follemente determinato, nel disperato tentativo di tenermi ancora a sé. «Aspetta. Forse c’è qualcosa a cui non puoi rinunciare e che lui non ti può dare. Condividila con me, e decidi. Decidi, e questa volta, finalmente, potrai fare la scelta più giusta» disse, la voce carica di persuasione.

«C-cosa?» singhiozzai, smarrita e confusa, completamente disarmata.

La sua espressione si cristallizzò, divenendo se possibile ancora più seria. «Fai l’amore con me».

Il respiro mi si bloccò in gola. «Cosa…?» sussurrai, senza fiato, completamente spiazzata dalla sua richiesta inaspettata. «Come puoi anche solo pensare che…io…? Lui» biascicai, balbettando confusa «lui me lo può dare…».

Sorrise, quasi teneramente se il suo sorriso non fosse stato intriso s’amarezza. Sorrise, come se fosse ovvio che qualcosa mi stesse sfuggendo. «Lui non può darti questa esperienza umana. Io sì» rivelò pedante.

Gonfiai i polmoni, fremente di rabbia, rivoltandomi come un’anguilla fra le sue mani. «Primo» ansimai, l’ira che permeava le mie parole «questi non sono affari tuoi. E sì, Jacob, sì. Lui può farmi fare questa esperienza da umana!» sbottai, strattonandolo ancora.

Il suo volto fu trapassato dallo sgomento. Ma non rimase immobile a lungo, quando seguirono in rapida successione la cieca frustrazione e l’ira.

«Cosa?!» urlò sgomento. «Ti vuoi suicidare Bells? Sei pazza?» sbraitò, stringendomi più forte e causandomi un gemito di dolore. «Se prima avevo dubbi, ora non ce ne sono più. Non te lo lascerò fare. Tu, ora, verrai con me!».

«No!» gridai di rimando, facendomi piccola fra le sue mani e chiudendo gli occhi per la paura.

Sentii scuotermi da violenti tremori. Si stava trasformando. Mi strattonò verso la finestra.

E mentre la paura cieca e il terrore esplosero verso di me, feci l’unica cosa che mi venne in mente. «Ti odio!!!» urlai, con quanto fiato avevo in corpo.

In meno di un secondo mi sentii scaraventare e mi ritrovai con la schiena schiacciata contro il muro. Scivolai a terra, boccheggiante. Un dolore immenso imperversava lungo la mia spina dorsale impedendomi il respiro.

La figura di Jacob, ritornato celermente alla sua forma umana, si avvicinò rapidamente a me. Era spaventato, addolorato. Neppure un’ombra d’ira sul suo volto. «Bella…» mormorò, sorpreso dal suo stesso gesto, «Bella… scusa…perdonami…» mi supplicò angustiato.

Ansimai, faticando a riprendere fiato. Mi sentivo tramortita, e un formicolio doloroso si propagava lungo tutto il dorso. «Non mi toccare. Vattene» sibilai con la voce rotta dal dolore.

Mi accarezzò freneticamente il volto con le mani grandi e calde. Tremavano ancora. «Bella… Mi dispiace».

Provai a scostare il viso, non senza sentire nuove fitte attraversarmi il corpo. «Edward non mi avrebbe mai fatto del male» scandii, decisa, in ogni caso, a mandarlo via.

S’irrigidì sotto il peso delle mie parole. Il suo volto era una maschera fissa di dolore. Ero arrabbiata, infuriata. Ed ero addolorata, profondamente, perché avevo infine compreso che l’amicizia che volevo non sarebbe mai potuta sopravvivere fra di noi. Mi aveva fatto del male.

«Va’ via» ripetei, gemendo.

Si sollevò, lentamente, e prese ancora fiato, strizzando gli occhi. Poi si volse e scappò via attraverso la finestra, in un balzo.

Ansimai. Il dolore si era spostato, vibrante, in tutta la schiena, schiacciandomi con la sua forza pulsante. Faticavo a tenere il respiro regolare, come se qualcosa me lo impedisse.

Eppure, nel dolore, un pensiero scorreva lucido e chiaro nella mia mente: Edward non doveva sapere. Non volevo neppure immaginare quale sarebbe stata la sua reazione, ma qualunque fosse sapevo che prevedeva uno scontro con Jacob. E questo non doveva avvenire, pensai con paura. E non doveva avvenire, perché, nonostante tutto, volevo che gli ultimi minuti fossero cancellati per sempre dalla mia memoria. Edward non doveva soffrire ancora.

Alice mi avrebbe vista a breve. Non potevo rimanere lì, piegata contro il muro. Tremai. Mi pareva, speravo, che il dolore iniziasse a scemare. Cercai di muovere un braccio. Una serie di scosse mi attraversò la schiena e mi fece lanciare un grido di dolore, soffocato in un gemito. Respirai, provando a calmarmi, e stoicamente mossi anche l’altro, puntando un palmo a terra, stringendo i denti per soffocare un gemito. Mi misi carponi, dolorante, sentendo le lacrime scorrere lungo il viso, strisciando a terra per raggiungere il letto.

Mi sentivo ferita intimamente, pensandomi lì, nella stanza, abbandonata a me stessa. E pensando con dolore a quanto fossi causa del mio stesso male. Singhiozzai, lasciandomi scivolare sotto le coperte. Respirai piano, e provai a calmarmi, nella testa l’immagine del viso di Edward. Spazzai via le lacrime con i palmi delle mani, scacciando qualunque prova di quella notte.

Allungai una mano nel cassettino del comodino, misurando i movimenti per contenere il dolore. Afferrai l’oggetto della mia ricerca: il flaconcino di antidolorifici. Me l’aveva lasciato Edward, quel flaconcino, il giorno di un’altra disastrosa mia avventura. Ingoiai due compresse, e chiusi gli occhi, sperando che così la mia memoria e i miei pensieri si potessero cancellare.

Il giorno dopo sarebbe tutto passato, provai a confortarmi, tentando di ignorare l’acuto bruciore che mi pervadeva le membra e il respiro irregolare che mi usciva dalle labbra. Dopotutto, ero abituata a farmi male.

Quella sera, per la prima volta da quando lo conoscevo, sperai che Edward non venisse. Non avrei mai voluto capisse ciò che era successo. Quella era l’ultima parola, la parola fine del capitolo della mia vita intitolato Jacob.

I miei sogni furono agitati e confusi. Vidi strani boschi, luoghi che sentivo familiari ma che in realtà dovevano essere di fantasia: scorci senza tempo dei boschi di Forks. Comparve Edward, di spalle rispetto a me. Stava puntando qualcuno, ma non riuscivo a capire chi fosse. Mi mossi, più volte, per spostarmi, ma non riuscivo a muovermi. Capii tutto solo quando un grosso lupo rossiccio gli si scaraventò addosso, comparendo in un lampo nella mia visuale.

Mi svegliai.

Immediatamente la mia mente ci affaccendò per farmi comprende quanto di tutto quello fosse realtà o quanto solo sogno. Ma le sensazioni vivide sulla pelle e il calore della realtà mi suggerivano di aver appena sognato. Allora, anche il litigio con Jacob era stato tutto frutto della mia immaginazione?

Sbattei le palpebre, giusto il tempo di intravedere un bagliore ramato sparso sul cuscino. Edward. Il mio adone, dio greco personale, mi osserva sereno dall’alto della sua bellezza.

«Ben svegliata…» sussurrò con la sua morbida voce di velluto.

Sorrisi e feci per muovermi. Mossa sbagliata. Sentivo come se la schiena fosse appena stata percossa da una serie di legnate. Fu inevitabile la smorfia sul mio viso che cercai, comunque, di reprimere in fretta, spaventata. Non doveva essere stato tutto un sogno.

Edward mi osservò incredulo, non intuendo, fortunatamente, la natura della mia espressione. «Hai ancora sonno? Hai dormito 11 ore» borbottò. Poi mi sorrise dolcemente, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Dovrei pensare che stai diventando una dormigliona?» mi canzonò.

Mugolai, troppo inebetita per rispondere e troppo preoccupata per farlo. Mi avvicinai al suo petto strofinandomici un po’ su e sentendo il suo odore invadermi le narici. La causa del mio lungo sonno dovevano essere gli antidolorifici. Provavo un misto senso di paura al pensiero di fargli sapere di quello che era successo. Speravo che tenerglielo nascosto non si rivelasse un’impresa troppo ardua. Lo speravo, perché in nessun modo volevo ripetere nel mio animo le orrende sensazioni che erano passate solo poche ore prima. Rabbrividii. «Mi-mi sei mancato».

Mi sollevò il mento. Mi sporsi per farmi baciare. Baciarlo appena sveglia contribuiva, e non poco, a farmi creare strani universi paralleli misti di realtà e sogno. E la mia mente viaggiava, veloce, da uno all’altro. Il fiato si fece subito veloce, e per qualche istante ebbi difficoltà a continuare a respirare. Lo staccai velocemente da me, spaventata.

«Che c’è?» mi chiese confuso.

Dovevo controllare, al più presto, l’entità del danno. E sperare davvero che fosse possibile tenerne Edward all’oscuro.

«Ehi» mormorò, rompendo il mio silenzio. «Anche tu mi sei mancata, sai. Se vuoi non me ne vado più…». Aveva un’ espressione colpevole dipinta sul volto. «Alice mi ha detto, ecco…» iniziò, per poi fermarsi quando lesse il panico nei miei occhi. Sospirò, scuotendo il capo. «Non preoccuparti, anzi mi dispiace per aver mandato il biglietto d’invito. Cosa… Che cosa vi siete detti? Volevo lasciarvi parlare un po’ da soli. Le è preso il panico quando ha avuto un buco nella visione. Ma… Beh, diciamo che ho preferito bloccarla» sussurrò con triste entusiasmo.

Mi morsi un labbro, strofinandomi contro il suo petto.

«Allora? Cosa vi siete detti?» mi chiese, baciandomi la fronte. Mi mise una mano dietro la schiena e mi tirò un po’ più a sé.

M’irrigidii, colpita da un acuto bruciore fulminante, non riuscendo in alcun modo a soffocare un gemito.

Si bloccò di rimando. «Bella, ti sei fatta male?».

Ansimai, cercando rapidamente di riprendermi dal dolore, che scemando, aveva lasciato dietro di sé solo un pulsante indolenzimento. «P-perché?» farfugliai, conscia che mentire sarebbe stato molto più difficile del previsto.

Mi scrutò perplesso, con un senso d’ovvietà dipinto in viso. Mi portò la mano con cui avevo afferrato la sua di fronte alla faccia. Era quella col cerotto.

Lasciai andare il fiato in un impercettibile sospiro, solo in minima parte rassicurata.

«Stai bene? Ti vedo un po’ agitata stamattina…» alitò a pochi centimetri dalla mia faccia.

Annuii velocemente, arrossendo e sbiancando - in uno strano misto - in rapida successione. Mi allontanai velocemente, concedendomi una nuova lucidità di pensiero. Se dovevo mentire, mentire a un vampiro attento e premuroso, dovevo farlo bene. E in quel momento sarei fallita miseramente nella mia impresa.

Lo fissai di sottecchi. «V-vado un attimo in bagno, ne parliamo dopo va bene?» riuscii a dire. Avevo bisogno di tempo, di schiarirmi le idee e decidere cosa e come dirglielo.

Si mise a sedere sul letto, in tutta la sua armonia e grazia. «Certo, vai, ti aspetto qui».

Incerta mi tirai a sedere, e non appena mi assicurai di riuscire a rimanere ritta in piedi - non senza un notevole sforzo e dolore - agguantai il mio beauty-case e corsi a rifugiarmi in bagno, dove pregavo di avere un momento per compiere l’impossibile e dove, fiduciosa, speravo di non dover andare incontro al peggio.

 

 

 

   
 
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