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Autore: Okimar    10/10/2015    3 recensioni
E ora perché non mi rispondi? Non si può andare avanti così. Devo... andare a suonare il campanello? O approfittarne e continuare con questo atteggiamento distaccato? Ma quanto resisterò? Il problema è che... ne sono consapevole. La amo troppo. Le permetto di fare quello che vuole. Ma lei... lei non era così. Lei era altruista, aveva un amore così grande per tutti, sconosciuti compresi. Che fine ha fatto?
Mi decido. Né campanello né distanza. Digito alcuni tasti sul telefonino e premo invia.
"Non so se ora stai dormendo ma dobbiamo parlare. Buona notte"
Il beep della suoneria mi sveglia improvvisamente. Ma che ore sono? Solo le 22! E già dormivo... ahia, si vede che sono stanca… canno persino i tempi verbali. Già stavo dormendo. Potti continua a abbaiare in direzione del cellulare. Lo afferro e vedo una chiamata persa e un messaggio. Lo leggo. Ma non ho il coraggio di rispondere. Rimando. Ancora una volta.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UNA STORIA STRANA
 
^Antefatto

 
E ora perché non mi rispondi? Non si può andare avanti così. Devo... andare a suonare il campanello? O approfittarne e continuare con questo atteggiamento distaccato? Ma quanto resisterò? Il problema è che... ne sono consapevole. La amo troppo. Le permetto di fare quello che vuole. Ma lei... lei non era così. Lei era altruista, aveva un amore così grande per tutti, sconosciuti compresi. Che fine ha fatto?
Mi decido. Né campanello né distanza. Digito alcuni tasti sul telefonino e premo invia. 

*Non so se ora stai dormendo ma dobbiamo parlare. Buona notte*
Il beep della suoneria mi sveglia improvvisamente. Ma che ore sono? Solo le 22! E già dormivo... ahia, si vede che sono stanca… canno persino i tempi verbali. Già stavo dormendo. Potti continua a abbaiare in direzione del cellulare. Lo afferro e vedo una chiamata persa e un messaggio. Lo leggo. Ma non ho il coraggio di rispondere. Rimando. Ancora una volta.

Figurati se mi rispondeva! Devo dormire. Sarà impossibile, avrò degli incubi in caso di buona riuscita, ma non posso rovinarmi così. Ho vissuto ben dieci anni senza di lei (ma con consapevolezza della sua esistenza) e ora che sono con lei, non posso comunque essere felice. Perché non mi ami? Perché stai con me se non mi ami? Sono solo paure, lo so, ma è difficile non cascarci almeno una volta ogni tanto. Non so come, ma glielo chiederò. Anche a costo di perderla per davvero. Anche se lei è la mia vita.
 
Mattina. Certo, non c'è alcun paragone tra lo svegliarsi da soli o tra le braccia di Gaetano. Va bene. Mi tiro su appoggiandomi sulle braccia. Scommetto che se mi guardassi allo specchio, vedrei una specie di mostro. Scriviamogli.
 *Buongiorno. Quando possiamo vederci?* certo è ridicolo mandarsi messaggini quando si abita a pochi metri di distanza ma ci siamo fatti influenzare dagli adolescenti. Riesco a immaginare che cosa possa volermi dire. E non è niente di buono.

Scatto come una molla non appena parte la suoneria. Ma non è Camilla. È Torre. 
-Pronto?- chiedo con fare alquanto disinteressato.
-Dottò, c'è stato un incidente in via Garibaldi, visto che è vicino a voi, ho pensato di avvisarvi, fate prima a venire direttamente qui che a passare dal commissariato...- annuisco.
-Va bene, ci vediamo lì allora.- appena messa giù la chiamata ecco che noto un messaggio. È suo. Non le rispondo.

Ma dove sei? Dove sei quando ho bisogno di te? Perché non mi rispondi? Ho bisogno d'aiuto. Ho bisogno di te!
-Signora, prego, mi segua.- l'uomo in divisa mi scorta direttamente nell'ufficio di Gaetano. Ma lui non c'è. Qualcosa mi dice che questa storia incasinerà ancora di più le cose.

Proprio in mezzo alla strada c'è un uomo. Presenta varie fratture e ferite compatibili con un investimento. Proprio quello che l'anatomopatologa mi sta dicendo. 
-Non ci sono segni di frenata.- commenta Lucianona. È difficile però concentrarsi. Tutta la testa è su di lei. Possibile che dopo quattro mesi già sia finito il periodo idilliaco? Perché le prime notti si fermava a dormire da me e ora che lo sanno tutti, non può più?
-Dottore?- riemergo dagli abissi delle mie paure.
-Eh?-
-Dottore, hanno chiamato dal commissariato. Dovreste andarci immediatamente.- il tono di Torre mi spaventa, non l'ho mai sentito così serio.
Lo guardo per un attimo ma lui sembra sfuggirmi. Cosa può essere successo di così grave? Saliamo in auto. Guida lui e io posso permettermi di affondare (per l’ennesima volta nel corso di questa giornata) nei miei pensieri, che virano sempre e solo su di lei. D'improvviso afferro il telefono e scrivo.

*Camilla* solo questo. Una grande risposta! Sento il cuore accelerare, poi fermarsi, ripartire. Come una macchina ingolfata.
 A che pro scrivergli? Tanto starà per arrivare qui. Se penso che solo pochi mesi fa, proprio qui, ci stavamo baciando e comportando come due innamorati del liceo...
Eccolo. 

Eccola. Che ci fa dentro il mio ufficio? Non riesco a provare solo amore, guardandola. Dietro o forse sotto ad esso c'è troppo risentimento. Sento che potrei gridare.
-Me lo spieghi tu che cosa ci fai qui? O devo farmelo dire dagli altri? Torre ha palesemente evitato di riferirmi qualcosa. Dimmi subito cos'hai combinato questa volta e finiamola qui.- non ho neanche detto una sola volta *Camilla*. Il suo nome suona troppo miracoloso sulle mie labbra perché possa riuscire a continuare a mostrarmi arrabbiato. Lo vedo che è in difficoltà. Ma non l'aiuto. Non posso.
È... tutto così fottutamente complicato. Se io continuo a darle amore e a soprassedere sulle sue insicurezze su di noi, o meglio sul suo stesso modo di rispondere a come io le dimostro il mio sentimento nei suoi confronti... se io faccio questo, paradossalmente, non lavoro per la causa "Camilla ama Gaetano". Perché ho paura che potremmo restare per sempre in questo limbo.
-Allora?-
-Mi vogliono arrestare. Dicono che ho ucciso un uomo, investendolo con la mi auto e non fermandomi a soccorrerlo.-


^svolgimento

-pov Gaetano

Non ci posso credere. Ecco perché Torre era così evasivo, così sfuggente. Ma soprattutto... perché lei mi sta guardando in quel modo… colpevole? -Che cosa?- non posso concepire l'idea che Camilla abbia ucciso una persona anche se non volontariamente, non consciamente...
-Si... io...- lei balbetta. Trema. Mi sembra di rivivere quella situazione di anni fa, lei che testarda insisteva nel credere nella sua amicizia con quella donna americana conosciuta da così poco tempo. Noi, a quanto mi disse lei all'epoca, io e suo marito, che non volevamo avere fede. La prima volta che l'ho vista piangere. Lo ricordo in modo nitido. Il cimitero. Lei che parla da sola, io arrivo da dietro, resto a guardarla per un attimo. Contemplo la sua figura, in quel momento così cupa. Attendo ancora un pizzico per lasciarle il tempo di riprendersi. Già allora come avrei voluto poterla consolare, altro che darle solo un fazzoletto... e se almeno non fosse apparso quel tizio strambo fissato con le scarpe rosse...
-ALLORA? Non hai niente da dire? Eh!?- sento che sto esplodendo. Sento che tutto quello che ho trattenuto fino a adesso non riesce più a restare al suo posto. Le membra vibrano dallo sforzo. Ogni cellula del mio corpo è concentrata a resistere. Ma il filo sta per spezzarsi... Si è spezzato. -Mi eviti da giorni. Mi hai dato più buche in questo periodo che stiamo insieme, che prima quando non eravamo un ca...- mi blocco, non sono un tipo volgare, non lo sono mai stato. -un cavolo l'uno per l'altra!- troppo dolore, troppi rifiuti, che mi avranno anche fortificato peró...
-Io...- sempre le stesse cose. Non fa altro che balbettare. E questo suo atteggiamento stranamente perduto e remissivo, assurdamente mi fa esplodere con ancora più violenza.
-Da quando non hai niente da dire? Da quando la professoressa Baudino tace e non esprime il suo autorevole parere? Da quando eh? Perché sai, alla fine chi ha sempre ragione? A che mi sono serviti anni di studio e allenamento sul campo? Tanto ci pensa sempre una vecchietta scrittrice o una prof di lettere a risolvere i casi, no?- chiudo la bocca. Ma è la verità. Fin dal primo caso risolto insieme ho maturato questi pensieri non appena te ne andavi e te ne tornavi alla tua vita ordinaria, a tuo marito, a tua figlia, e io da cosa potevo tornare? Da un paio di scarpe costose comprate perché "non avevo saputo resistere all'impulso dell’acquisto"? Resto anche io senza più parole e fiato. Mi sento più sotto shock di quanto non sembri lei. Restiamo a fissarci per minuti interi. Sia lei che io in silenzio. Si sentono solo i nostri respiri. Il mio sembra quello di un sub appena emerso dagli abissi della terra. Il suo quello dell'innocente bambina che scopre che il padre ha sempre tradito sua madre.
È lei a perdere il gioco, abbassando per prima lo sguardo -Gaetano, ti prego...- mai prima d'ora ho sentito una tale nota di supplica nella sua voce. Solitamente questa frase era di scherno o un tentativo di corruzione. Ma questa volta non c'è nessun doppio fine. È solo disperazione. Ma io ci sento dentro di tutto. Un amore rinnegato. Paure inconfessabili. Orgoglio sotterrato. E colpevolezza. Perché? Perché i suoi occhi l'accusano?
Non reggo lo stress di questa situazione. Mi alzo dalla sedia dalla quale ho condotto tanti di quegli interrogatori... e non solo professionali. In un'analoga situazione, con contesto geografico diverso (Roma), tanti anni fa, ho cercato di estorcerle una verità che speravo, ma che mi avrebbe solo fatto male.
*Ami ancora tuo marito?* Lei mi ha risposto con la marea, ma ora so che in quel momento non era possibile che si mettesse a piovere. Sento che la sua verità mi farà male anche questa volta. Non ce la faccio.
-Devo andare.- mi alzo e in un attimo sono fuori. Ricordo solo i suoi occhi da cerbiatto ferito.  Non riesco a cancellarli. Mi accompagnano lungo tutto il corridoio, accanto alle foto "il poliziotto è il tuo migliore amico" (che ironia, persino in un poster!), varie pubblicità inutili, fin da Torre.
-Dottò...- c'è anche Lucianona con lui. Meglio. Dovrò parlare una volta sola. Il mio sguardo deve essere particolarmente loquace se i miei sottoposti si prendono per mano senza grande imbarazzo.
-Perché? Perché non me l'hai detto?- rispetto al tono che ho utilizzato poco fa con Camilla, appaio particolarmente tranquillo. Ma i suoi occhi continuano a osservarmi, mi valutano, mi giudicano. -No. Non rispondere. Lo so. Io devo... devo chiedere che il caso sia affidato a qualcun altro.- li scruto entrambi. -Siete d'accordo?- si guardano un istante.
-Penso sia la cosa migliore, dottore.-
-Sono d'accordo con lei, per una volta.- nonostante il brutto momento, sorrido.
Pare che oggi sia il giorno delle prove difficili. Nel mio ufficio c'è quella che ho sempre pensato, desiderato che fosse la donna della mia vita, la quale fatica terribilmente a confessarmi il suo amore per me, figuriamoci a accettare di confidarmi qualcosa che non vuole, anche se potrebbe aiutarla... improvviso flash back.
*-Ma magari conosci l'articolo 378 del Codice Penale?- lei sussulta per un attimo, poi torna in sè.
-No, non lo conosco. E non lo voglio neanche conoscere. Ciao!- con tono deciso fa un mezzo sorriso, si volta e se ne va. Io resto impressionato, un -Che carattere.- mi sfugge. Ma ricordo anche il dolore per la sua giustificazione a quello che mi era parso nervosismo -Ho una figlia e un marito che devono mangiare.- una scena famigliare, un focolare domestico, un uomo - il cui aspetto fisico ancora non conoscevo, ma sicuramente me lo figuravo più bello e più intelligente di me (ma che cosa contava, in fondo? Tu avevi scelto lui, tu lo amavi) - che ti aspettava, che si alzava dal divano mentre tu entravi, per baciarti, per salutarti chiamandoti amore, col quale ridevi e scherzavi nel frattempo che la pasta cuoceva e la tavola si apparecchiava. E quel posto in più, quello che non abbiamo mai avuto (insieme). Sì, è questo che mi fa più male.
Consegno la mia lettera firmata. Non ascolto nemmeno le banali parole di conforto e pseudo stima con cui si congeda il mio superiore.
Solo una cosa conta. E si trova esattamente dove dovrebbe essere. Ora lo so. 
-Aspetti, Berardi...- con grande rammarico devo voltarmi indietro e rientrare nella stanza. Sento l'odore dell'ansia che vi ho lasciato poco fa. -Lei mi è sempre stato simpatico. Ligio alla legge, casi risolti per la maggior parte delle volte... so che ha chiesto di essere estromesso perché è in rapporti intimi con la sospettata, ma... glielo devo dire. Questo non riguarda solo il caso, ma anche la sua vita privata. E più che da poliziotto a poliziotto, io le parlo da uomo a uomo.- non dice altro, mi consegna una foto, accuratamente girata, mi fa segno di guardarla fuori da lì. Esco di nuovo. Non aspetto di essere nel mio ufficio. Voglio essere preparato. Non posso farlo davanti a lei.
Un cartoncino in piccolo formato. Sgranato, come le immagini ingrandite prese da telecamere di servizio. Ma non posso avere dubbi.
Una donna attraente dai capelli castani tendenti al ramato, lo sguardo assorto, il viso leggermente scavato negli zigomi per la preoccupazione, la schiena appoggiata sul sedile di un auto. E un uomo. Un uomo dai capelli grigi, gli occhi che fissano quelli di lei come fosse impossibile che Camilla sia lì con lui, in quel momento. Le mani che quasi si sfiorano. Per loro due il tempo sembra essersi fermato. 
L'angolazione mi fa pensare che possa essere stata fatta in un parcheggio... ma che sto pensando? Non ci posso credere. Non posso, non voglio credere che l'abbia fatto. La cosa peggiore forse, paradossalmente è... che non si tratta di Renzo.
Come un fulmine mi precipito nel mio ufficio. Niente, non c'è. Come quella mattina che doveva vedersi con l'ex marito (non mi va sempre di dargli una personalità forte chiamando col suo nome legittimo) e io non l'avevo trovata nel letto.
 Subito scorro la lista mentale: Torre. Mi precipito da lui, incurante se possa essere in riunione o meno. Fortunatamente non è così. Il mio sottoposto, nonché grande amico è impegnato a cercare qualcosa che ha perso...
Siamo in due.
-Ma dove s'è andata a caccìare...- sento che borbotta, calcando particolarmente l'accento sulla i della parola finale. -Dottò!- sobbalza quando mi vede. -Tutt'apposto?- né annuisco, né nego.
-Torre... solo un'informazione.-
-Solo una, dottò?- dal sorriso e dal tono confidenziale comprendo che ha già intuito tutto.
-Sai per caso dove hanno portato Camilla?- fa segno di abbassare la voce.
-Ssst, se ci sentono, rischiamo il posto, sia io che voi...- stavolta non posso che trovarmi d'accordo. -Ve l'ho detto più volte... io per voi mi farei mandare a dirigere il traffico, però...-
-Sì, sì! Va bene, va bene...- lo blocco prima che inizi a divagare e non si fermi più. -Non so come dirvelo, dottò! La professoressa si trova...-
-Ancora qui sei!- la donna che entra precipitosamente nella stanza, a differenza del collega e marito, calca particolarmente sulle vocali finali, aprendole enormemente.
-Stavo dicendo al...-
-Dottore, la prima stanza a destra dopo quel corridoio.- annuncia con sguardo eloquente. Annuisco, saluto entrambi.
-Grazie.- e esco, mentre Torre rimane ancora per qualche tempo sbigottito per non essere riuscito neppure questa volta a spuntarla sulla torinese del suo cuore.
Il tragitto verso la meta mi appare allo stesso tempo infinito e troppo rapido. La porta di metallo. Che tante volte ho aperto con durezza, per mantenere il ruolo del poliziotto forte e indurre così i presunti colpevoli a alleggerirsi più facilmente delle loro colpe.
-Gaetano!- uno schiaffo in pieno viso, la sua voce. Il grido di un naufrago in un lago di lacrime. Lei dall'altra parte della giustizia, per davvero? Da seduta qual era si alza in piedi e si avvicina. Così come leggevo dai suoi occhi quando aveva bisogno di bere un vermuth, allo stesso modo riesco a capire che cosa voglia adesso. Un abbraccio. Ma quel pezzo di carta plastificata brucia troppo nella tasca dei mie jeans. Un suono fastidioso, che tante volte ha interrotto potenziali sviluppi, e magari anche nelle vite altrui ha ucciso bambini non ancora nati. Mentre sto per rispondere, altro breve flash back.
*-É Bettina.- il suo sguardo si fa, dall'imbarazzato e spensieratamente positivo di prima, nervoso e deluso, ma una delusione da "me lo aspettavo".
-Va beh, io vado...- 
-No, resta, resta...- cerco di sussurrarle mentre ascolto un'altra voce femminile che mi parla di vacanze, mare, sabbie tropicali. Ma cosa andrei a fare, se non ci sei tu? Parafrasando una canzone famosa. Ma lei se ne va. Una delle tante volte.*
-Pronto?- non saprò mai se avrei avuto comunque la forza di stringerla tra le mie braccia, nonostante il sospetto, nonostante il dolore (e la rabbia) rintanati in un cassetto e pronti a esplodere nel caso di un'eventuale conferma. Mentre parlo, la guardo negli occhi. Lei fissa i miei. Smentiscimi, ti prego, smentiscimi.
-Dottó, sarebbe meglio se glielo comunicate voi. Sulla macchina della prof sono state riscontrate purtroppo tracce compatibili con l'incidente. Il fermo sarà convalidato in arresto. Io ve l'ho detto solo per l'amicizia e il rispetto che nutro per voi...-
-Sì, lo so Torre. Grazie.- butto giù. Lei è zitta. Chi potrebbe crederci. -Non so come dirtelo...- esordisco.
-Che cosa?- ancora disperazione, ancora paura, ma anche...
-Camilla... mi hanno incaricato di comunicarti che... devo dirti che...- tartaglio, non riesco a concludere questa benedetta frase. Mi sembra tutta una situazione così surreale!
-Gaetano, ti prego!- a parte tutto, a parte l'urlo che le sfugge, simile all'uggiolio di un cagnolino ferito... a parte questo, Camilla posa una mano sulla mia spalla. È il primo contatto fisico voluto da lei, oggi, mi sembra qualcosa di... chiudo gli occhi per un secondo, faccio mente locale. E tiro fuori la mia arma, senza sicura, sparo, non a salve.
-Sei in arresto.- non fa in tempo a passare un battito di ciglia.
-COSA?- se non fossero insonorizzate stanze come queste, l'avrebbero sentita non solo Torre e Lucianona ma pure Carmen mentre mangia l'ultimo desiderata del momento, Renzo nel suo studio e forse pure Livietta e George a Londra.
-Preparati. Il commissario verrà a leggerti i tuoi diritti e...- cerco di mantenere un tono professionale. Di concentrarmi sulla foto. Di terminare il mio lavoro, fare la mia parte. Per poi andarmene a casa, visto che non posso farci niente, e... ma a chi la voglio dare a bere?
-N... no... non è possibile... sei tu il commissario!- adesso se lo ricorda. Chi lo sa perché solo quando hai bisogno di aiuto me lo fai presente?
-Non per questo caso. Ho... ho chiesto che mi sospendessero dal caso. Dopo tutto... la sospettata è la mia...- esito. -... fidanzata.- continuo a scrutarla attentamente. Ma lei niente, non confessa.
-O no?- le do anche la possibilità di dirmelo con le buone. Ma figuriamoci!
-Gaetano!- un ultimo rimprovero il suo. Ma nonostante tutto, nonostante la situazione assurda e inappropriata, accantonando i sospetti appena nati e quelli, uniti al risentimento, già cresciuti, nonostante questo... lei è Camilla e io la amo troppo. Troppo per restare indifferente, esageratamente per anche solo fingerlo.
 E quando la vedo così... così vulnerabile e indifesa... scatta qualcosa di automatico. Un rapido bacio sulle labbra. La sorpresa la rende quasi distaccata come un tempo.
-Mi dispiace, amore mio!- non posso fare a meno di apostrofarla in questo modo. Io ho fiducia in lei. La voglio avere. Ne usciremo insieme, fidati di me, cerco di comunicarle con lo sguardo mentre mi siedo sulla sedia degli interrogatori accanto a lei. La tengo ferma per le guance, i pollici a sfiorarle la gola, una cosa che ho imparato, fin grazie a un certo Drago, la fa impazzire e le fa perdere la cognizione esistenziale. L'ultima cosa che le permetto di vedere prima di fuggire, sapendo che il tempo concessomi è quasi esaurito, è un lacrimuccia che mi attraversa il naso per posarsi sulla sua mano appoggiata sul mio ginocchio, rimasta spalancata, per la sorpresa del gesto.
Non mi resta altro da fare che andare a casa, sapendo di non riuscire a mangiare, né tanto meno a dormire, col pensiero fisso su di lei, sola in una cella fredda e buia. In realtà quest'immagine triste decadentista è profondamente diversa dal reale aspetto di un luogo di detenzione. Ciò non toglie che l'esperienza sia particolarmente traumatica, soprattutto per gli innocenti. Se solo...! Se solo avessi davvero fatto l'avvocato come voleva mio padre. Ora potrei difenderla.
*-Mi hai convinto. Sei proprio bravo. Dovresti fare l'avvocato!- il suo sguardo così compiaciuto e fiero di me. Troppo raramente mi sembra di averlo visto.*
Tanto... tanto non credo che il fatto che io sia commissario e lei una prof ficcanaso con sviluppatissimo intuito possa aver influito sulla nascita del nostro amore. Non riesco a credere che qualcosa di così alto possa essere influenzato da banalità suggerite dal caso, come dei mestieri. L'avrei amata come panettiere, netturbino, addetto alle pompe funebri, politico in carriera. Lei sarebbe stata una donna dei misteri in tutte le sfumature.
Mentre penso, mi accorgo di essere arrivato a "casa". Come ha poco senso questa parola senza la sua presenza a riempirla. La cucina, le nostre discussioni sul caso "No, l'ici no", torte tagliate, bicchieri di vino bevuti; il salotto, luogo galeotto, il primo bacio condiviso senza remore da parte di entrambi, due desideri di amore che si sono scontrati senza poter evitare la collisione, poi, recentemente anche locus di simulazioni criminali felicemente incomplete; la camera da letto, i cuscini e le coperte impregnati del suo profumo, il materasso che solo nella mia testa reca la traccia della sua silhouette. E il bagno... quello non lo abbiamo ancora inaugurato come si deve.
Ciò basta a spronarmi a resistere. Sia nel non cedere alla tentazione di intromettermi (dopo aver chiesto di essere estromesso non ci farei certo una bella figura), perché potrei parere egoista o non veramente innamorato di lei (quale bestemmia!), ma invece io lo faccio proprio per aiutarla. Posso esserle più utile come ufficiale in carica che non come ex poliziotto sospeso in attesa di verifiche sulla sua imparzialità. E poi devo resistere a non far penetrare l'idea che lei possa avermi davvero... no. Non lo voglio neanche pensare.
Mi butto nel letto. Non provo neanche a dirmi "ora dormo". So che prima o poi gli occhi si chiuderanno da soli e io cadrò nell'incoscienza. Ma per il resto del tempo voglio viaggiare con la mente tra i ricordi. Belli o brutti che siano.
Eppure quasi mai riusciamo a governare i nostri sogni. Funziona così, cerchi di dormire pensando a una donna e ti risvegli appena emerso da un incubo. Non un “incubo” qualsiasi, ma l’Incubo con la i maiuscola. La paura suprema che si avvera. Il cervello che parte da solo a fare i suoi calcoli… No, Camilla, ti prego, non farlo!
*-Gaetano, ti devo parlare.- il suo sguardo è così duro, così distante. Tutto l’atteggiamento del suo corpo mi parla, ma non ha niente di carino da dire. Quelle braccia strette forti al petto in segno di chiusura, quell’espressione tipica e il broncio che non hai perso mai… -Mi dispiace.- dice soltanto. –Mi dispiace. Non so come dirtelo, da cosa iniziare ma… mi sono accorta di…-
-No, non lo dire! Mi stai prendendo in giro, vero? Questo è tutto uno scherzo, vuoi farmela pagare per non aver cercato di liberarti, giusto?- eppure lei continua a essere di ghiaccio. Le labbra atteggiate in quel modo terribile.
Non raccontiamoci balle; è da quando ho scoperto un anno fa che era tornata con suo marito, piantando il vignaiolo in asso tutto di colpo, che temo questo. Ho sempre cercato di sembrare l’uomo forte e sicuro di sé che pensavo lei volesse avere al suo fianco. Ma davanti a ogni minimo rifiuto, esplicito o meno, di fronte a ogni piccola espressione di dubbio, ho tremato.
-No. Mi dispiace, Gaetano. Con te sto bene. Sei veramente… simpatico e carino…- carino? Carino? Ma che cosa sono, un fiocco da pacchi regalo? –Però amo mio marito.-
Però…. Però… però amo… però amo m… però amo mio m…. però amo mio marito… però ami… però ami tuo… però ami tuo marito…
Un infarto, non si potrebbe spiegare in nessun altro modo. Tutto nero di colpo mentre risuonano le stesse parole come in una sorta di eco, che inizia correttamente per poi distorcersi e straformarsi in qualcosa d’altro. Un vortice mi trascina con sé, vedo il tempo scorrere indietro di qualche anno. E vedo un me più giovane, i capelli più chiari, il viso privo di rughe. Lei ha i capelli ricci più corti, indossa i jeans, una maglia nera scollata, una giacca azzurra sopra che ne fa risaltare maggiormente la figura. Come dimenticare? Era in piedi in casa mia, io le ero di fronte. Lo sguardo deluso perché per un attimo mi ero illuso che volessimo dire la stessa cosa.
-Eh beh, è brutto quando non ci si ama più…- dice lei, parla del caso appena risolto, ma il Gaetano del passato riesce a vedere solo connessioni con noi. Me lo ricordo perfettamente.
-E’ brutto anche quando a amare è uno solo…- gli (mi?) scappa. Si fissano negli occhi per un attimo, prima che io-lui faccia un tentativo di baciarla, come al solito andato a vuoto. È un’esperienza stranissima stare a guardare sé stesso rifare errori che costeranno così caro. Si avvicina di più a lei chinando la testa mentre con il braccio cerca di afferrarla, ma Camilla è più veloce a ritrarsi e pone di nuovo delle distanze.
-N… no.- ma c’è incertezza nella sua voce. O forse volevo solo io che ci fosse, me ne rendo conto adesso, col senno di poi.
-Ma perché no?- nel suo tono tutto il dolore e il rimpianto perché quel bacio è durato così poco… è stato l’unica volta che mi ha permesso di sfiorare le sue labbra. L’unica volta che ho potuto vagare per il suo corpo, esplorarla con le mani, nei limiti del consentito. In quel momento avevo creduto che anche lei provasse lo stesso di me… ma… forse era solo il suo modo di ringraziarmi per averle salvato la vita.
-Perché tu mi piaci…- questo esordio non era poi così male -…e ti voglio bene…- inaspettatamente gli (mi!) accarezza la guancia con dolcezza, il me giovane china la testa e chiude gli occhi per goderne, per assaporare ogni istante, ma nel suo tono c’è tuttavia la solita incrinatura -…però amo mio marito e...- ecco. Ho sperato che fosse diverso. Dopo tutto sono in uno stupido sogno. Ma nemmeno nella mia testa riesco a cambiare il passato. La frase definitiva, quella che non permette di ribattere niente. -…non voglio farlo soffrire…- ma così stai facendo soffrire me! Avrei voluto gridarle. -… e neanche farlo aspettare. È un po’ tardi…- non immagini quanto.*
Bianco, tutto bianco. Apro gli occhi. Il mio cuscino! O meglio, il cuscino di casa mia, su cui ultimamente aveva dormito lei. Mi volto verso il telefono. Le 7.00, sono appena le 7.00! Eppure c’è già un messaggio che lampeggia sul display. Lo apro.
*C’è qualcosa che penso debba vedere.
Firmato: un amico.*
Resto basito. Sarà uno scherzo? Prima ancora di schiacciare “apri” controllo il numero di telefono. Ma già dalle prime cifre mi accorgo che si tratta di uno di quei cellulari morti. Non saprò mai chi mi ha scritto! Allora mi decido e premo. Compare un’immagine, stavolta per niente sgranata, stessi soggetti di quella che è rimasta ancora nei pantaloni appoggiati malamente sulla sedia in soggiorno. Ma gli atteggiamenti sono… non profondamente diversi. Diciamo… approfonditi, piuttosto. Lei… Camilla…. Camilla… quell’uomo la sta baciando! E le tiene le braccia intorno al corpo, le mani sulla schiena, a dita aperte, come per mantenere meglio il controllo. E lei… lei ha gli occhi chiusi. Le sue mani così chiare sono però abbandonate lungo i fianchi. Stesso sfondo: la sua macchina, quella con cui poi avrebbe ucciso un uomo che attraversava la strada per iniziare, come ogni mattina, il proprio turno di lavoro.
Non posso. Anche se perderò il lavoro, come le avevo scherzosamente anticipato un giorno di non molti mesi fa, devo sapere la verità. Devo sapere chi cazzo è questo tizio che osa baciare la mia donna, che riesce a farla arrendere così facilmente a tale gesto, quando io ci ho messo due anni per farlo in modo incompleto e ben dieci per ottenerlo completo. Infilo a rapidità ultrasonica pantaloni, camicia e giacca. La cravatta per stavolta può rimanere a casa. In un baleno sono in auto, semafori e incroci sfilano senza che me ne renda conto completamente, poi ecco la questura, finalmente.
-Dottor Berardi. Come mai già qui?- incrocio un collega un po’ troppo ciarliero.
-Devo parlare con l’ispettore Torre.- trancio subito la conversazione e mi allontano. Questa volta mi tengo, e busso. Mi viene aperto immediatamente.
-Commissario!- resto un attimo in silenzio.
-Torre, la sospettata può già ricevere visite?- chiedo, cercando di mantenere il più possibile un tono neutro. Il suo sguardo parla più di tutte le chiacchiere del mondo.
-Veramente non si potrebbe… ma stamattina il commissario… quello che vi sostituisce, insomma…- tartaglia come al solito.
-Eh dai, Torre!-
-Arriverà solo alle 8.30. Avete circa un quarto di orologio a disposizione.- cercherò di farmeli bastare. Lo ringrazio con un breve sorriso orizzontale. Esco e mi precipito in un’altra stanza.
-Gaetano!- sono riuscito a sorprenderla e forse anche a spaventarla. Evento più unico che raro. Mi sembra quasi di sentire il battere del suo cuore, mentre si posa una mano proprio sul muscolo in questione. Per un attimo mi pare di vedere comparire sul suo viso anche un raggio di felicità… ma è solo un attimo, appunto. Quell’ombra di colpevolezza che già ieri avevo notato e mi aveva angustiato, le cala di nuovo addosso.
-Perché non mi hai detto con chi eri ieri sera? O mi dici la verità, o giuro che me ne vado e ti lascio qui. Da sola.- il tono è, sì, un po’ troppo alto. Ma di fronte a me non c’è solo la professoressa di lettere Camila Baudino, ex Ferrero, madre di un’adolescente sposata e incinta, ficcanaso e casinista sotto copertura… ma anche la donna che più di tutte, più ancora di mia sorella, è in grado di spezzarmi il cuore, come e quando vuole.
-E’… era solo…- ci risiamo, come ieri. Ma io di aspettare non riesco più. -…un amico…- il termine peggiore che poteva utilizzare. Quello con cui più volte ha chiamato anche me. Tante di quelle volte… breve flashback. Nemmeno esco dal presente, tanto è rapido. Solo un uomo vestito scuro, maglione a collo alto, in un ospedale, e una donna meravigliosa che salva vite senza saperlo; solo un istantaneo scambio di sguardi, un ringraziamento, una mano sulla spalla che avvicina i due e… *-Beh… siamo amici, no?-*.
-Bugiarda!- esce fuori prima che possa fermarmi. –Vuoi fare fesso me?- compresa la mia decisione, si arrende. Chiude gli occhi, sospira e poi, parla.
-E va bene… era un mio ex.- spaff. Una sberla in piena faccia. Certo che anche quando siamo convinti quasi di qualcosa, continuiamo a sperare di sbagliarci. Camilla resta immobile, come aspettando un’esplosione che non arriva, non può sapere che tutto è avvenuto all’interno. Qualcosa si spezza per davvero. È una sensazione… strana. Che non ho mai provato… credo un infarto in piena regola. O una buona simulazione autoindotta. Quel dolore al petto… il respiro che mi sembra aspirato via… il bruciore ai polmoni, un formicolio alle mani, la paralisi delle gambe. Tutto quanto insieme. Eppure, apparentemente, fuori non emerge niente di quello che provo. Così posso uscirmene con un semplice:
-Ti ascolto.- a braccia conserte, io in piedi, lei seduta, più in basso di me. La guardo dall’alto verso il basso. Che scena ridicola! Mentre lei prende fiato, do un’occhiata all’orologio. Ancora cinque minuti.
-Non c’è niente da dire.- esordisce –L’ho rivisto dopo anni e anni…- e questa dovrebbe essere un’attenuante? –E’ stato… la mia prima fiamma adolescenziale.- noto che ha scelto con cura le parole. Dopo tutto, quando non s’improvvisa Miss Marple, è una professoressa di Lettere. Eppure i suoi occhi mi parlano e dicono cose che non vorrei sentire dire. Meno quattro minuti. Ma devo chiederglielo. Devo sapere. Anche se conosco già la risposta, anche se mi farà un male cane, devo conoscere la verità.
-Posso chiederti una cosa che esula dalle indagini?- persino sotto pressione mantengo un tono professionale.
-Spara…- dice lei, ormai priva di forze per combattere.
-E’… è stato anche il…- nonostante la mia buona volontà, non riesco a concludere la frase. Ma lei capisce. Al di là di ogni cosa, siamo veramente intrecciati da un unico destino. Si avvicina a me, prende il mio viso tra le sue mani lattee, lo accarezza dolcemente, come farebbe una madre col suo bambino.
-Perché vuoi farti del male?- mi chiede con voce lieve –Ma se ci tieni proprio…- cambia tono, ora è duro, come quello di una maestra che sta sforzandosi in tutti modi di dare almeno 6 al suo allievo meno laborioso -…sì. Mi dispiace.- aggiunge e per un attimo temo di rivivere l’incubo di questa notte. –Non è colpa mia se tu eri impegnato a guardare il tenente Colombo mentre io leggevo Il nome della rosa…- cerca di giustificarsi, mentre io tiro un sospiro di sollievo.
-Camilla…- è come se di colpo non contasse più niente quella maledetta foto, quelle maledette immagini che la ritraggono con un altro. È come se fossi riuscito improvvisamente a capire che lei non mi ha mai tradito. Particolari che, prima forse volontariamente per stare male e avere conferme, non avevo notato, mi tornano alla mente. Le sue mani abbandonate lungo i fianchi, quell’aria arresa… lei non voleva quel bacio. Quello era solo il momento prima che lei lo staccasse da sé. Quello era un frammento di qualcosa che può essere male interpretato se avulso dal contesto originario. Il mostro verde… la gelosia, in questo periodo mi ha veramente dato alla testa, ha distorto ogni sua parola, frase, ogni sguardo, qualsiasi piccolo passo indietro… mi ha fatto dimenticare il contesto. Solo ora mi rendo conto dell’assurdità delle mie pretese, di come fosse giusto che lei restasse accanto alla propria figlia, mentre si approssimava uno dei momenti più importanti della sua vita… mi accorgo della ridicolaggine di chiedere alla donna che si ha aspettato per più di dieci anni, di trascorrere la sera e la notte con sé in una suite per trascorrere un momento di bagordi… proprio il giorno prima del matrimonio della figlia diciottenne. Lei mi ha detto di sì per non ferirmi. Lei veramente, lo provava quello che mi aveva detto *-Non vedevo l’ora di vederti.-*. Non può esserci qualcosa di più importante di questo. Quante volte ho desiderato sentirglielo dire? Com’è possibile che stessi veramente per rovinare tutto per un colpo di testa, per un’inspiegabile fretta? Come potevo pretendere che lei capisse?
Camilla è ancora vicina a me, i miei occhi si spostano dai suoi occhi alle sue labbra e senza freni mi ci precipito, come se non lo facessi da anni. Come un assetato nel deserto, mi abbevero del suo nettare. Lei non si scosta, ma né si arrende totalmente. Forse dei due è quella che più riesce a mantenere la mente lucida alla situazione del cavolo in cui ci troviamo.
-Gae…- mancheranno due minuti. Ma non posso fare a meno di inebriarmi del suo sospiro. –Gaetano, no, ti prego…- eppure la razionalità è andata a farsi benedire. La stringo più forte contro a me. Il suo seno preme contro il mio petto. Manca a entrambi il fiato.
-Non mi desideri, professoressa?- mi sfugge, mentre lei cerca di fuggire, arretrando, ma a fermarla anche questa volta ci pensa un muro. E nessun telefono suona.
-No… sì… sì ma non in questo momento… con questa situazione…-
-Lasciati andare. Non mi puoi resistere.- l’ultima parte praticamente gliela sussurro direttamente sulla bocca. Per fortuna che lei continua a mantenere il controllo, perché quello che mi suggerisce saggiamente la testa, il corpo non riesce a eseguirlo.
-Non ho diritto a un avvocato? E alla facoltà di non rispondere?- nessun tono scherzoso. È completamente una supplica.
-No. Non questa volta.- prima di commettere atti “osceni” ripresi pure da una telecamera, fortunatamente incontro i suoi occhi di cioccolato. Solo il suo sguardo terrorizzato mi riporta sulla terra. La passione folle che mi aveva assalito scema, la stringo a me in un abbraccio rassicurante. Eppure da tutto questo casino qualcosa di buono emerge, perché sento che lei finalmente si abbandona senza remore.
-Gaetano io… io ho… paura…- confida, tremante.
-Adoro che tu sia riuscita a ammetterlo. Vedrai che ce la faremo. Insieme.- le sorrido semplicemente, ci guardiamo senza staccarci. Senza guardare l’orologio che porto al polso so che abbiamo sforato di almeno tre minuti. Il mio sostituto potrebbe entrare da un momento all’altro, e allora sì che sarebbero…
-Amore mio… grazie.- resto paralizzato. Eppure l’ha detto davvero. Ora so che niente è impossibile. Le do un bacio sulla fronte, una carezza sulla guancia e esco. Ho una telefonata da fare.
 
-pov Camilla

-Che cosa?- non so se sia più il suo tono o lo sguardo a spaventarmi. Come se non fossi abbastanza agitata di mio…
-Si... io...- non posso fare a meno di balbettare, mentre ogni fibra del corpo vibra come un martello pneumatico. Che metafora affascinante, proprio degna di una professoressa!
-ALLORA? Non hai niente da dire? Eh!?- questo ambiente così familiare, questo posto ha visto svilupparsi il mio amore nei suoi confronti, quell’amore che non sono mai riuscita a dimostrargli veramente, nel modo che vorrei. A Torino, in questo ufficio, mi sono resa conto per la prima volta quanto fossi stata stupida a credere che lui potesse essere un “capitolo” chiuso, mentre nascondevo (nota bene: non buttavo) quel giornale vecchio. Il suo urlo mi spaventa per davvero, ma mi sa tanto di déjà-vu. Un’altra stanza abbastanza simile, a Roma, circa otto anni fa, quel disgraziato di Mazzeo che si era innamorato della ragazza russa.
*-Perché non ne hai parlato con me prima di andarci?- mi ha chiesto lui, lo sguardo così truce come non lo vedevo da quanto non ci davamo ancora del tu.
-Di cosa, delle abitudini sessuali dei miei colleghi maschi?- ho cercato di sviare io, per alleggerire l’atmosfera. Tentativo palesemente fallito. Gaetano si era chinato sulla scrivania, senza smettere di fisssarmi.
-Camilla, il tuo collega è ricercato per omicidio!- aveva sbottato lui.
-Lo so, calma eh!-
-Eh calma! Ti metti sempre in situazioni pericolose!-* Ma più di questo, un altro momento mi sembra veramente molto simile a questo. Sempre sullo stesso caso, io ero nel suo ufficio da un po’, avevo curiosato tra le sue cose, fantasticando su chi potesse essere la donna ritratta che teneva sulla sua scrivania, ipotizzando che si trattasse della madre. Allora non mi ero resa conto quanto egoisticamente avessi gioito nel non constatare tracce di un’altra donna, una che potesse dormire con lui la notte, essere informata per prima su tutti i casi, condividere la sua frustrazione nei momenti difficili, la sua gioia palesata da un sorriso, nei giorni buoni. Era suonato il suo telefono, Bettina. Non ero riuscita a essere contenta per lei. Poi lui era entrato e io avevo appena fatto in tempo a cambiare posto, tornando dalla parte dei comuni interrogati.
*-Ah, sei qua.- lo sguardo continuava a essere duro e io non ci vedevo proprio nessunissima tracce d’amore.
-Sì.- avevo sospirato, cercando di riprende fiato per il tuffo improvvisato sulla sua poltrona. In silenzio lui aveva attraversato la stanza per posizionarsi in piedi di fronte a me.
-Perché non mi hai detto che Mazzeo si era nascosto da sua zia?- all’inizio era parso calmo, la voce pacata. Ma era durato giusto un attimo. –GUARDA, O MI DAI UNA RAGIONE SERIA O GIURO CHE QUESTA VOLTA TI FACCIO PASSARE UN GUAIO!- non lo avevo mai visto così tanto arrabbiato, mi puntava l’indice contro. Io ero rimasta per un momento sorpresa, ma poi ero tornata in me.
-Per evitarti una brutta figura.- avevo detto, quasi sprezzante. Poi era suonato ancora una volta il suo telefono e nel frattempo la sua rabbia era sbollita.*
Visto che io sono rimasta in silenzio, persa nei meandri della memoria, lui ricomincia a parlare, come un fiume in piena. -Mi eviti da giorni. Mi hai dato più buche in questo periodo che stiamo insieme, che prima quando non eravamo un ca... un cavolo l'uno per l'altra!- riesco a cogliere quanta sofferenza ci sia dietro le sue parole. Ma possibile che non capisca? Io ho le mie colpe, non aver chiarito subito la situazione con Livietta, ma lui proprio nella settimana precedente al suo matrimonio, doveva decidere di scoppiare, di mollare il piede sul freno e premerlo sull’acceleratore, manco fosse una gara di rally?
-Io...- non so cosa dire. Forse per la prima volta in vita mia, non so quale delle cose che possono uscire dalla mia bocca, possa meglio aiutarlo a comprendere. Qualsiasi cosa dirò sarà usata contro di me. Questo non è il Gaetano del quale mi sono inconsapevolmente e involontariamente innamorata, lentamente. Le sue parole successive, me lo confermano.
-Da quando non hai niente da dire? Da quando la professoressa Baudino tace e non esprime il suo autorevole parere? Da quando eh? Perché sai, alla fine chi ha sempre ragione? A che mi sono serviti anni di studio e allenamento sul campo? Tanto ci pensa sempre una vecchietta scrittrice o una prof di lettere a risolvere i casi, no?- l’ho sempre temuto, che prima o poi mi avrebbe rinfacciato questo “vizio”, ma non immaginavo in modo tanto violento, non sospettavo minimamente che il mio aiuto gli fosse così sgradito. Mi fissa, ora senza parole. Io non ne ho da aggiungere. Non fossi sospettata per omicidio, mi alzerei e me ne andrei immediatamente. Non pensavo che sarebbe mai stato capace di ferirmi così. È stato proprio il fatto che io non sappia tenermi dall’investigare, a farci incontrare davanti a un maledetto citofono, con una mia allieva in lacrime e il suo sottoposto dall’altro lato. Ma a un certo punto non ce la faccio più a reggere questa situazione. Abbasso gli occhi alle scarpe, logore, consumate. Non mi sento poi troppo diversa.
-Gaetano, ti prego...- provo a farlo ragionare mantenendo un profilo basso, ma la cosa sembra controproducente. Nella tasca, il cellulare vibra per meno di un secondo. È un messaggio, e so anche di chi. La mia espressione cambia. Un velo di colpevolezza mi avvolge mentre ricordo delle mani, una bocca, delle parole che non sono le sue, ma che hanno osato toccarmi, sfiorarmi, attraversarmi. Si alza in piedi, come se fosse stato in grado di leggermi dentro e non fosse capace di tollerare quanto ha visto.
-Devo andare.- sento solo che dice. E resto di nuovo sola, con i miei pensieri, le mie paure. Mi sforzo di cercare una soluzione, qualcosa che possa spiegare come la mia auto sia partita da sola e abbia deciso di investire il primo che l’è passato davanti. Ma non riesco a concentrarmi, lo sguardo ferito di Gaetano mi continua a perseguitare, le sue ultime parole mi martellano in testa. Da quando ci siamo visti, non mi ha dato nemmeno un bacio. Non mi ha chiamato amore nemmeno una volta. Che effetto mi fa? Come un balsamo che cura le ferite causate degli errori di un altro uomo. Perché… è impossibile che un evento brutto non richiami alla mente, come una catena maledetta, tutti gli atri episodi terribili che ho dovuto affrontare nella mia vita. In ordine sparso. La morte di mio padre, quella ricevuta del Grand Hotel du Paris (anche se poi si è rivelata un’intuizione sbagliata), la partenza di Gaetano per Praga, la… la perdita di mia madre, quante, troppe discussioni! Quanto, troppo tempo sprecato! E una cartolina con “baci da New York”, per un ultimo un volo di ritorno in patria con una bambina troppo piccola per capire tutto, ma grande quanto basta per comprendere abbastanza. In un attimo mi ritrovo in una valle di lacrime, per cercare di riprendermi, prima che possa tornare (deve assolutamente fare ritorno!), tiro fuori il cellulare e leggo il messaggio che è arrivato quando ancora lui era qui.
*Camilla, ti prego. Dobbiamo parlare. Mi dispiace per quel bacio… dopo tanti anni, non mi è sembrato vero di rivederti. Vedilo un po’…come quel bacio d’addio che non mi hai voluto concedere trent’anni fa.
Resto in attesa della tua risposta,
Enrico*
Sto ancora fissando lo schermo del cellulare con la medesima aria colpevole di quanto se n’è andato. La porta si spalanca di colpo e non posso fare a meno di sussultare sulla sedia. Da quanto tempo non mi alzo in piedi? Non sento più le gambe. –Gaetano!- lui resta immobile, appoggiandosi alla maniglia, allora prendo coraggio e mi sollevo. La disperazione è tale che sento le forze abbandonarmi, come quella volta, dopo che ci avevano sparato addosso, o meglio ancora in occasione del nostro primo abbraccio, che chi dei due ha compiuto? Io. Quando l’ho visto arrivare, proprio dopo che mi avevano minacciato, mi è sembrato come se lui fosse da sempre stato dall’altra parte, pronto a difendermi, a proteggermi. Accenno un movimento con le braccia nella sua direzione, ma il suo telefono suona.
-Pronto?- breve pausa. –Sì, lo so Torre. Grazie.- è di nuovo qui, ma non completamente. –Non so come dirtelo…- comincia. Dev’essere successo qualcosa di grave. Nemmeno per un attimo mi passa per l’anticamera del cervello che possa riguardare questo caso, di cui (che fortuna!), sono la principale sospettata. Mi passano davanti immagini vaghe di stazioni metropolitane londinesi appena dopo un attentato terroristico, edifici che senza una ragione logica crollano al suolo.
-Che cosa?- chiedo alla fine.
-Camilla… mi hanno incaricato di comunicarti che… devo dirti… - la sua esitazione è troppo frustrante in un momento del genere.
-Gaetano, ti prego!- urlo, senza ritegno. E senza tenermi, pongo la mia mano sulla sua spalla. Questo gesto per lo meno lo sblocca.
-Sei in arresto.-
-COSA?- se quello di prima mi era sembrato un urlo, questo dovrei paragonarlo all’esplosione di una bomba atomica.
-Preparati. Il commissario verrà a leggerti i tuoi diritti e…- il fatto che lui interpreti il ruolo del perfetto uomo di legge è una cosa che non riesco proprio a sopportare. Mi perdo per un attimo nei suoi occhi.
-N… no… non è possibile… sei tu il commissario!-
-Non per questo caso. Ho… ho chiesto che mi sospendessero dal caso.- sono talmente sotto shock da non lamentarmi per la ripetizione che ha fatto. -Dopo tutto… la sospettata è la mia… fidanzata.- esita ancora. -O no?- è come se si aspettasse qualcosa, ma non riesco a capire che cosa.
-Gaetano!- quasi non riesco a terminare di parlare che lui si fionda su di me. Le sue labbra premono contro le mie, improvvisamente. E con la stessa velocità con cui ha agito, conclude.
-Mi dispiace amore mio!- continua a fissarmi come a voler comunicare qualcosa, ma io sono troppo stordita, sento che potrei svenire da un momento all’altro. Uno dei tanti miei mancamenti da quando lo conosco. Come se avessi sempre saputo che tra le sue braccia sarei stata al sicuro, anche se così non ho detto tanto tempo fa, mentre volevano incriminare sua sorella per l’omicidio di quello stilista antipaticissimo, e se l’erano presa con me pensando fossi Francesca. Ricordo perfettamente il suo sguardo.
*-Ma come, non ti basto io per sentirti più sicura?- quel desiderio immenso di sentirsi dire di sì, che io avevo puntualmente deluso. Il dolore, non so se per me o più per sua sorella.
-Più sicura con te? Semmai il contrario. Non rispondi?- il telefonino era intervenuto a salvarmi, per una volta, anziché distruggere un possibile futuro.*
Gaetano prende il mio viso tra le sue mani, sfiora il collo con i pollici, accarezzandola con dolcezza. Non cedere, non lasciarti andare. Continuo a ripetermelo, ma non ho molto successo. Nel preciso, esatto momento in cui sto per crollare, lui si alza in piedi e io mi rendo conto di essere rimasta aggrappata alla sua gamba, neanche fosse un’ancora di salvezza in mezzo al mare in burrasca.
Ma che cos’era quella? Una lacrima? Davvero?
E eccomi di nuovo sola. Lui non fa altro che andare e venire, a suo piacimento. Le parti si sono misteriosamente invertite. Come starà procedendo la gravidanza di Livietta? Mi ritrovo a pensarci senza una ragione, immagino quella figlia che non pensavo l’avrebbe combinata così grossa… in fondo quello che ha fatto non può essere preso benissimo da nessun genitore… si può pensare di aver fallito negli insegnamenti base, però… però, se il sorriso che ha fatto verso George mentre, persa nei suoi occhi, non si era neanche accorta di dover rispondere sì, è sincero… se questa situazione le ha dato la maturità di capire che sua madre è una vita a sé, che sempre ci sarò per lei, ma che la mia felicità è più importante di una rivendicazione infantile… dopo tutto era sempre lei che un anno fa, appena “deportata” a Torino, si lamentava con noi per l’assurdità dell’essere tornati insieme. Pochi mesi fa invece cercava di farmi fare pace con suo padre. La posso capire, anche se i miei genitori, fino… fino alla morte di papà, non si sono mai separati, tipica coppia vecchio stampo, i problemi si risolvono, le cose si aggiustano e non si buttano via, come si fa fin troppo facilmente adesso…
Sto divagando, come al solito. Non posso neanche parlare con Potti. Ma sto sostituto commissario che fine ha fatto? Eh beh, dicevo, da Camilla a Camilla, posso capire lo spaesamento di mia figlia, questo suo esser in bilico tra l’egoismo di una famiglia unita nonostante ciò non sia più possibile, e l’altruismo del pensare prima alla felicità degli altri. Temo che… che la sua paura sia quella di non essere stata il frutto di un vero amore. Ma come diceva… come diceva… sì, come diceva Novalis, quel filosofo un po’ strambo, un figlio è un amore diventato visibile, o qualcosa di molto simile. E lei lo è stata. Io ho amato Renzo per i nostri primi dieci anni con tutta me stessa; negli ultimi dieci, invece, si è andati avanti tra alti e bassi e non solo per “colpa” di Gaetano. Io sono sicura che se anche non lo avessi mai conosciuto sarebbe comunque…
La porta si spalanca di colpo, ma questa volta non si tratta di un bell’uomo dagli occhi color del mare, bensì di un tizio stempiato, ingrigito, niente di che. Il suo sguardo mi fa pensare che non promette affatto bene. Mi alzo in piedi, non sapendo bene come funzionino questi cerimoniali, avendoli sempre saltati e non ricordando più niente di quel caso in cui mi volevano accusare di aver spinto sotto al tram Dora… Scaccio via il ricordo con un rapido gesto e porgo la mano al nuovo entrato.
-Buongiorno, Camilla Baudino.- cerco di fare un sorriso tirato. Lui non ricambia, si limita a scrutarmi.
-Non credo sarà un buon giorno per lei.- sto per ribattere, perché come al solito non riesco a tenermi dentro le parole, ma per fortuna riparla lui –E poi è ormai sera, sono le diciotto, signora Baudino.- e qui gli scappa un sorriso che è tra il sadico e il compiaciuto. Ma a chi mi ha abbandonato, Gaetano mio? Sospiro, rassegnandomi a una chiacchierata tremenda, che partirà dall’idea che io sia colpevole di ciò che mi accusano. Ma questo sembra godere del silenzio e dell’ansia che il non sapere mi provoca.
-Cominciamo. So che gliel’hanno già chiesto, ma ricominciamo da capo. Dove si trovava in data 8 ottobre 2015, tra le ore 22.00 e l’una di notte?- ennesimo sospiro, cerco di prendere forza dai braccioli della sedia, che avranno assorbito chissà quante ansie di innocenti torturati.
-Ero in casa mia. Da sola.- un flash, come di una fotografia, un frammento della mia mente, mi spinge a dire l’amara verità. –Verso le… 23.00 circa, hanno suonato alla mia porta. Sono stata fuori con un… amico per un certo tempo. Ma all’una sono sicura di essere tornata in casa. E anche questa volta, non ho nessun testimone, nessun alibi.- mi parte il sorriso irritato da “stiamo perdendo tempo”. Il tipo se ne rende conto. Si arrabbia.
-Signora, evitiamo di fare sarcasmo.- lancia un’occhiata a dei fogli, con la coda dell’occhio (sono esperta in queste manovre, da quando Gaetano non mi voleva più mostrare prove) riesco a capire che si tratta di una fotocopia dei miei documenti. –Leggo qui che è sposata…- ahia, tassello sbagliato, possibile che sia casuale? O vuole irritarmi ancora di più? -… suo marito non era in casa?- da parte mia, silenzio –Conosco personalmente l’architetto Ferrero e sono sicuro che la sua testimonianza sarebbe utile per le indagini.- tutto di colpo il suo sorriso malvagio mi risulta intollerabile e quello che ho trattenuto in presenza di Gaetano, esplode in faccia al suo sostituto.
-No. Sto… stiamo per separarci e non abita più lì.- digrigno i denti, mentre lui fa un’espressione eloquente.
-Aaaah.- sono sicura di potergli leggere nella mente: questa si fa il nostro Berardi, ma pensa, non sapevo che gli piacessero stagionate… e fa cornuto il marito, ma finalmente l’architetto riesce a fare l’uomo e se ne va… Ho una voglia matta di spaccargli il naso. Non sono mai stata una persona violenta, tutt’altro, il pugno che quel disgraziato del mio ex marito ha dato al mio… a Gaetano, mi ha veramente lasciato senza parole. Ma non riesco a sopportare la sua espressione di sufficienza.
-Potremmo tornare al caso, per favore?- chiedo stringendo i denti e con le mani, i braccioli della sedia, piantandoci le unghie.
-Certo.- sorride. –Lei ha per caso l’abitudine di lasciare le chiavi dell’auto all’interno del suddetto veicolo?- infilzo ancora di più gli artigli e chiudendo gli occhi, sospiro. Li riapro. Ma c’è sempre questo brutto muso, seduto davanti a me.
Prima di rispondere mi passano davanti migliaia di frammenti di anni di smemoratezza. –No. E in ogni caso, non mi è capitato ieri.- rispondo, cercando di restare sulle mie, nascondendo l’irritazione.
-C’è qualcuno che possiede una copia delle suddette chiavi?- nego con un solo cenno della testa. –Quindi mi sta implicitamente dicendo che l’unica persona che poteva guidare la sua auto, era lei, è corretto?- sapendo dove vuole andare a parare, annuisco ancora.
-Sì.-
-Lei conosceva l’ingegner Georgi?- al mio sguardo confuso, specifica –La vittima.-
-No.-
-Senta, professoressa Baudino, voglio giocare a carte scoperte con lei.- spalanco gli occhi sorpresa per il cambio di tono, che non diventa comunque più amichevole o disponibile. –Io so tutto. So tutto della sua storia con il “grande”- fa un gesto con le braccia –Berardi.- il cognome del mio amato lo sputa fuori quasi come bile. Un istinto di protezione innato mi fa quasi alzare. –E so anche delle vostre… abitudini. E della sua… chiamiamola passione? Per i misteri.- tutta questa situazione mi ricorda terribilmente la prima volta che ho visto De Matteis. Ma persino lui riusciva a essere più simpatico. –Le voci corrono, e voi due siete una specie di leggenda per tutti i dipartimenti di Torino. Il suo… uomo, è stato molto corretto a cedere il caso, ma io ho intenzione di andare fino in fondo senza fare nessun favoritismo.- soltanto nel pronunciare l’ultimo termine, mi risulta simpatico. In esso sembra metterci dentro tutte le assurdità compiute dalla giustizia italiana nei confronti di politici e potenti (talvolta questi termini si sommano).
-Io non voglio nessun favoritismo.- proclamo, stringendo le braccia al petto.
-Perfetto. Allora, se ha qualcosa da dire, per favore, me la dica. Una piccola distrazione, un incidente, può capitare a chiunque.- mi guarda fisso, ora il tono si è fatto meno duro. –Come chiunque può farsi prendere dal panico e scappare.- e dicendo questo, guarda verso il soffitto, perso nei suoi pensieri. Per un attimo.
-Sì, ma io non ho investito quell’uomo. Non ho idea di come la mia auto possa essere uscita da sola, ma io non c’entro niente.- ecco che una nuova ombra gli cala addosso.
-Quand’è così, i rilievi effettuati sul suo mezzo e la mancanza di un alibi, bastano per convertire il fermo cautelare in arresto.- quello che temevo, quello che Gaetano aveva previsto. –Vuole che le legga i suoi diritti?- mi chiede, nuovamente beffardo. –Ha diritto a un avvocato e a una telefonata. Immagino quale numero chiamerà. Tasto 3.- e mi molla un telefono del protozoico, prima di alzarsi in piedi, dirigersi verso la porta, voltarsi a guardarmi un’ultima volta e andarsene.
Ma non premo il tasto che mi ha indicato. Compongono un numero profondamente diverso, che, non voglio ricordare neanche a me stessa il perché, conosco a memoria. Continua a squillare a vuoto, poi, quando sto per riagganciare prima che parta la suoneria, finalmente, risponde.
-Pronto?- tono neutro.
-Enrico!- il mio non riesce a essere alla sua altezza.
-Camilla? Ma da dove chiami?- lo sfondo grigio, metallico e impersonale che mi circonda, parla più di me.
-Dalla questura.- avverto il suo sussulto pur non potendolo vedere in faccia. –Senti, Enrico, ti devo chiedere una cosa.- dall’altro capo, silenzio. –Non è che… che per sbaglio…- non riesco a chiederglielo, mi sembra tutto così assurdo! –Non è che… che conosci qualche bravo avvocato?- gli domando infine, cambiando piano.
-Ma che è successo? Tu stai bene?- la sua preoccupazione attraversa il filo invisibile che ci lega e cerca di avvolgermi. Ma io non glielo permetto.
-No, Enrico. Mi vogliono arrestare per qualcosa che non ho commesso!- fatico a trattenermi dallo strillare.
-Va bene, senti, per oggi non riesco a fare niente. Domani… entro domani ti prometto che ti mando il miglior avvocato dello stato, meglio anche di Guerrieri!- anche in una situazione del genere riesce a scherzare, tanto non è mica lui quello sulla graticola. Annuisco, poi mi ricordo che non può vedermi.
-Mmmm… grazie.- chiudo la chiamata. Entrano subito due giovani poliziotti che ho conosciuto alla festa post-matrimonio di Torre e della Lucianona.
-Professoressa, la prego, ci segua.- entrambi guardano verso il basso, come se incarcerare la donna del commissario fosse un peccato che non gli perdonerà mai. Mi scortano in un settore nascosto dell’edificio, che non avevo mai visto. Mi fanno firmare dei documenti, mi accompagnano in una stanza anonima e sigillata, con il minimo confort che neanche certe abitazioni popolari hanno… ma io vivo tutta questa fase come in trance, e in tale stato sono anche quando mi servono il “rancio”, una pasta scotta che nemmeno io saprei cucinare così male e una bistecca che potrebbe fare una crepa nel muro, se ve la lanciassi contro. Il cellulare me l’hanno tolto, ma per fortuna settimana scorsa Gaetano ha rotto il cinturino del suo storico orologio e se n’è comprato uno nuovo, affidandomi il quadrante del vecchio come fosse un talismano.
Sono già le 21.00. Già! È prestissimo, considerando che non riuscirò mai a dormire in questo posto. Una parte di me ringrazia che Livietta sia “grande”, che abbia una vita sua da non trovarsi in questi casini, con la mamma da andare a trovare in carcere… e Renzo? Lo avviseranno, visto che sui documenti non risulta ancora nessun cambiamento dal punto di vista legale-sentimentale? E Gaetano, cosa starà facendo l’amore mio? Ma perché riesco a chiamarlo così soltanto nella mia testa? Perché è così difficile dirlo a voce? Eppure so quanto vorrebbe sentirselo dire, lui che mi ha aspettato per così tanto! In questi ultimi tempi l’ho dato un po’ troppo per scontato, lui ci è sempre stato, è sempre stato dall’altra parte per me e io… io ci ho un po’ marciato su. Ma… ma quando si sarà risolta questa cosa, prometto a me stessa che mi sforzerò di migliorare, di ricambiare l’immenso amore che mi ha sempre dimostrato… anche se è una sfida quasi impossibile.
Qualche effetto personale me l’hanno lasciato. Per esempio un taccuino, terzo sostituto dell’originale, che seppur per un breve periodo, qualche ora, è stato tra le sue mani, tanti tanti anni fa…
*-E ci scrivi tutto, su quel taccuino?- mi aveva guardato con aria colpevole, così io non avevo potuto fare a meno di sospettare.
-Perché? L’hai letto?- il tono che era partito duro gradualmente aveva sfumato verso lo scherzoso. Un sorriso era comparso prima sulle mie labbra, poi, sulle sue.
-N…No…- aveva cercato di negare, ma al mio sguardo inquisitorio era crollato.*
Quanto era bello, dieci anni fa? Non che adesso non lo sia, anzi, la barba che si è lasciato crescere lo rende ancora più macho e… ok, basta Camilla, torna in te. Però, lui non lo sa, non gliel’ho mai confessato, ma io ricordo perfettamente quella prima volta che ci siamo visti, davanti a un citofono. È proprio per questa ragione se in quel caso sulle baby squillo che coinvolgeva anche la mia allieva, davanti alla porta del possibile assassino, mi sono proprio eccitata nel vederlo lavorare a scassinare la serratura, che non ho potuto fare a meno di chiedergli se sarebbe riuscito a introdursi anche in casa mia, con quel metodo. Ma lui! Ma lui mi ha risposto che la questione veramente importante, era riuscire a entrare nel mio cuore! Ma dove lo si trova, un uomo del genere? Non so se sappia neanche questo, ma a ogni frase che mi spara del genere, mi sembra di volare, di diventare leggerissima.
Ecco, a pensare a queste cavolate è già trascorsa più di un’ora, ma di sonno neanche l’ombra. Me lo immagino adesso, conoscendolo neanche lui sarai riuscito a addormentarsi, abbraccerà o annuserà il cuscino su cui ho riposato io? Starà pensando a me, come io penso a lui? È proprio un bell’affare, l’amore: un momento sei convintissimo del sentimento che prova l’altro nei tuoi confronti e di quello che provi tu nei suoi, quello dopo sei totalmente in balia delle incertezze!
Ripensandoci tempo dopo non saprei dire come, ma devo essermi addormentata perché mi ritrovo a vedere una me stessa più giovane di un bel po’ di anni, nella casa romana di Gaetano, una Camilla che sta per spezzargli il cuore per l’ennesima volta. Poco tempo dopo il nostro primo vero bacio, che (mentirei, se lo negassi) ho desiderato con tutta me stessa. Eccola che parla del caso, mentre lui, lo capisco solo adesso!, sta pensando a lei, a me insomma. Chissà che cosa voleva dirmi? Già mi amava come adesso? O era solo una forte attrazione? Fatto sta che non riesco a stare qui immobile a guardarmi commettere uno dei tanti sacrifici di una donna che si innamora della persona che non ha sposato.
Voglio svegliarmi! Ho bisogno di svegliarmi! Ma prima che il mio desiderio sia esaudito, mentre vedo i contorni farsi sfocati, e il sogno svanire lentamente, mi sembra di vedere… un’ombra? Uno spirito? Proprio accanto al Gaetano più giovane.
Nero. Riapro gli occhi, la mano cerca subito il suo quadrante, osservo l’ora (le 8.06!) e lo stringo forte al petto, surrogato di lui, dove sarà adesso? Resto in questa posizione non so per quanto tempo. Il dolore che gli ho fatto in tutti questi tempi non fa che farmi sentire ancora più colpevole per ieri sera.
Prima che possa fare i conti con il mio grillo parlante, la porta si apre con un tonfo e mi fa sobbalzare sul posto. È lui! È lui! È Gaetano! Cerco di calmare i battiti impazziti dell’organo che concorre per primo a mantenermi in vita, ma non con grande successo. La gioia per averlo qui dura troppo poco: in un attimo al suo bel volto si sostituisce quello di Enrico.
-Perché non mi hai detto con chi eri ieri sera?- esordisce lui, senza neanche salutarmi, né a voce, né con un bacio. Ricordo improvvisamente che non solo sono implicata in un omicidio, ma siamo pure messi male tra di noi. –O mi dici la verità, o giuro che me ne vado e ti lascio qui.- minaccia –Da sola.- ormai il suo tono duro non mi sorprende più, so di meritarmi questo e altro.
-E’… era solo…- cerco di dire, ma non so quali parole usare con lui, come dirgli questa cosa senza che possa fraintendere, cosa che, dal modo in cui mi guarda, ha già fatto. -…un amico.- dico infine, sapendo di aver sbagliato totalmente i termini, me lo conferma la sua espressione, che se prima era solo arrabbiata, ora è anche delusa. Mi sembra per un attimo di perdere il contatto con il presente. Ridicolo, ma pare proprio che io non possa avere amici maschi! L’ultima persona alla quale ho affibbiato questo termine, è il mio ex marito!
-Bugiarda!- mi apostrofa brusco. –Vuoi fare fesso me?- lo osservo per un attimo, studio meglio la situazione, poi mi butto.
-E va bene…- lo guardo come dire: te la sei voluta tu! -…era un mio ex.- penso che se gli avessi detto di essere incinta di un alieno ci sarebbe rimasto meno male. Me ne resto ferma, attendendo che mi insulti, che mi scrolli (come ha fatto solo in un mio sogno semi erotico di qualche anno fa), che mi dica in faccia tutto quello che pensa di me. Ma lui non reagisce e questa sua reazione mi spaventa ancora di più che tutto quello che mi aspettavo.
-Ti ascolto.- dice solamente, dopo millenni di mutismo. Noto che però ogni tanto guarda l’orologio, quello nuovo, che abbiamo comprato insieme.
*-Scegli tu il colore, così ogni volta che lo guarderò penserò a te.- aveva detto con uno sguardo spensierato, da uomo veramente innamorato.
-Ma come, ti serve un orologio per pensare a me?!- avevo risposto io, al mio solito, scherzando. Però poi avevo posato la testa sulla sua spalla, indicando un cinturino rosso.*
Stringo il quadrante nella tasca –Non c’è niente da dire. L’ho rivisto dopo anni e anni…- e fin qui, niente di falso. –E’ stato… la mia prima fiamma adolescenziale.- e anche qui, nient’altro che la verità. Ma una verità che, se detta completa, gli farebbe solo più del male. E io lo voglio proteggere, non voglio aggiungere dolore al dolore. Ma so già che è una battaglia persa. Lui vuole sapere.
-Posso chiederti una cosa che esula dalle indagini?- chiede con un tono insicuro, che mi ricorda i primi tempi, dieci anni fa, quando la confidenza stava appena sbocciando, quando non sapeva ancora cosa gli era lecito dire e domandare, e non tempo dopo, quando lui stava per sposarsi e Renzo dava già di matto. È paradossale, ma ora che ci penso, non siamo mai stati così “intimi” come in quel periodo, proprio quando entrambi eravamo “seriamente” impegnati. Da chi andavo dopo le litigate individuali con Renzo? A chi chiedeva, oltre che a Nino, consigli sentimentali, lui? Anche gli atteggiamenti, in generale, si erano fatti più rilassati.
-Spara…- dico infine.
-E’…- non ce la fa. –…è stato anche il…- deglutisce e io con lui.
-Perché vuoi farti del male?- gli chiedo, cercando con la dolcezza della voce di fargli capire che sbaglia. Lui non cambia idea. –Ma se ci tieni proprio…- dura, gli dico ciò che vuole (non vuole) sentirsi dire. -…sì. Mi dispiace.- però mi sento in debito e così aggiungo –Non è colpa mia se tu eri impegnato a- mi sento ridicola mentre faccio questo esempio a caso, non mi ha mai raccontato della sua infanzia, del suo passato, a parte dei problemi con Francesca –guardare il tenente Colombo mentre io leggevo Il nome della rosa…- il primo titolo che mi è venuto in mente.
-Camilla…- eppure dal suo tono mi sembra di capire tutto. I suoi occhi mi parlano e mi dicono “Capisco, io, finalmente, riesco a capire tutto.” E ancora di più “Mi fido di te, qualsiasi cosa possa succedere, io mi fido di te.”. Non ho bisogno di altro, ma poco dopo mi rendo conto di come anche questo sia falso. Le sue labbra premono contro le mie e la roccia che protegge il cuore, si frantuma. Ma non possiamo distrarci, quanto rischia a stare qui? Sono sicura che in un altro momento me ne sarei fregata, ma non voglio che lo radino dall’albo per causa mia!
-Gae… Gaetano, no, ti prego…- anziché darmi ascolto, mi stringe più forte. E sento che non resisterò ancora a lungo. È più forte di me, e non glielo confesserò mai, ma quando sono troppo vicino a lui perdo completamente l’orizzonte. Non c’è altro al di fuori di lui, e questo accade da ben prima (ma veramente ben prima!) dell’anno scorso.
-Non mi desideri, professoressa?- chiede il bastardo, sapendo che qualsiasi cosa io risponda, non va comunque bene. Mi alzo dal letto e cerco di arretrare, ma finisco contro un muro. Nessuno squillo arriva a darmi man forte.
-No… sì…- Gaetano ignora i miei sforzi. –Sì, ma non in questa situazione.-
-Lasciati andare. Non mi puoi resistere.- quale verità fu mai maggiormente vera? Ma non possiamo, cerco di dirgli, almeno a gesti.
-Non ho diritto a un avvocato? E alla facoltà di non rispondere?- parole sbagliate, che mi riportano alla memoria uno dei tanti sogni erotici che facevo l’anno scorso con soggetto lui… e delle manette, il suo accappatoio… per poi svegliarmi e vedere Renzo, con la musichetta che si interrompeva degradando verso il basso. Penso sia stato quello il segnale che mi ha fatto capire quanto fosse grave, anche da parte mia, la situazione. Quanto non potessi più fare a meno di stare senza Gaetano e quanto il mio matrimonio con Renzo fosse diventato una farsa.
-No. Non questa volta.- l’ultima speranza la ripongo in uno sguardo disperato. Sortisce l’effetto sperato. Gaetano fa per abbracciarmi e io mi fiondo tra le sue braccia, tremando.
-Gaetano io… io ho…- deglutisco, guardo i suoi occhi azzurri –paura…- lui accarezza i miei capelli (sa che è una cosa che mi fa impazzire).
-Adoro che tu sia riuscita a ammetterlo. Vedrai che ce la faremo.- afferma, poi aggiunge, prendendomi la mano. –Insieme.-
Non so spiegare il perché. Dopo tutto nessuno è in grado di spiegare come nascano certe cose, come inizi quel fenomeno che avviene ai concerti, chi sia il primo che comincia a cantare, alla cui voce poi tutte le altre si uniscono. Fatto sta che mi scappa quella parola. Rivolta a lui.
-Amore mio…- e mentre la dico, capisco che se non usciva dalle mie labbra era perché era stata fin troppo abusata nei confronti di un altro uomo, e che avevo quindi solo paura, paura, come diceva lui, di scottarmi ancora… e come ho detto alla povera moglie di un pervertito “le relazioni passate influenzano quelle future”. Io davvero non volevo crederlo, non volevo ammettere di essere banale come tutti. Di avere paura di amare e essere amata. –Grazie.- aggiungo poi. Gaetano mi da un bacio sulla fronte, una carezza sulla guancia. Mi guarda negli occhi ancora una volta, poi esce.
Ma è come se sapessi che lui ci sarà, che come mi ha detto un attimo fa, ne usciremo insieme. Stringo più forte il quadrante del suo orologio vecchio, spettatore muto di tante situazioni tra di noi. Sento che non mi abbandonerà. E anche se, poco prima che arrivasse, ero inconsciamente convinta del contrario, anche se questa cosa la credevo anche di Renzo, anche se nel “per sempre” ci hanno creduto tutti quelli che poi sono stati piantati in asso… in questo momento, per ora, io ci credo.
 
^epilogo
 
L’uomo in giacca, ma senza cravatta, esce di fretta dalla stanza, chiama un numero, parla velocemente, poi si precipita fuori dall’edificio e si dirige verso un bar.
-Gaetano!- esclama un altro essere umano di genere maschile, che dimostra circa la sua età, vestito a sua volta elegantemente, forse un po’ di più.
-Roberto, grazie per essere venuto nonostante il poco preavviso.- esclama quello che è stato nominato come Gaetano. Si siedono a un tavolo e guardano distrattamente il menù. Il cameriere giunge, prende le ordinazioni (due thè alla pesca) e se ne va.
-Allora, al telefono non ti sei spiegato molto bene… che succede?- chiede Roberto.
-Una mia amica…- il primo guarda per un attimo il secondo, poi scuote la testa. –No, è la mia fidanzata… ti ricordi della prof…?- esita appena. L’altro annuisce, poi sgrana gli occhi, sorpreso, divertito, ma soprattutto fiero. Batte una pacca amichevole sulla spalla di Gaetano.
-La famosa prof! Allora ce l’hai fatta! Dopo quanto? Cinque, sei anni?- contagiato dall’umore dell’amico, Gaetano sorride.
-Macché! Dieci anni!- esclama, bevendoci su.
-Dieci anni? Porc…- Gaetano annuisce.
-Già. Comunque Camilla è nei guai. Qualcuno la vuole incastrare. Ne sono sicuro. Guarda qui.- gli porge il cellulare, già impostato sulla visualizzazione dei messaggi. Roberto legge rapidamente, le pupille si muovono come impazzite. Mentre borbotta, annuisce.
-Rintracciabile?- domanda, assumendo un’aria profondamente diversa da quella che caratterizzava l’uomo di poco fa. Inforca gli occhiali, prende alcune carte dalla ventiquattrore che ha posato accanto alla sua sieda.
-Ma figurati.- risponde Gaetano, sbattendo una mano contro il tavolo, e facendosi anche male.
-Lo immaginavo.- continua a riflettere, il commissario può quasi immaginare le rotelle che compongono gli ingranaggi del cervello dell’amico, girare all’impazzata. –Spiegami tutto.- Roberto sorride, Gaetano comincia a parlare, cercando di non tralasciare nessun dettaglio e di cacciare in un angolino il pensiero di lei, torturata da Dragoni (il poliziotto che l’ha sostituito)!
-Mi sembra tutto chiaro.- Gaetano alza gli occhi al cielo, come a dire “Solo a te”. –Lei si è vista con questo tizio, no? Come hai detto che si chiama?- nel momento esatto in cui gli viene fatta la domanda, pensando alla risposta da dare, si rende conto di non averla.
-Non lo so. Io… non gliel’ho chiesto.-
-Ma come!- Roberto guarda in modo strano l’amico. –Capisco il tuo “problema”- dice con fare comprensivo, ricordando un certo giovanotto (già all’epoca molto apprezzato dalle donne) e la gelosia nei confronti della sorella, sua prima fiamma –ma in questo caso avresti dovuto sorvolare. La vuoi aiutare no?- Gaetano si limita a annuire. –E allora gli devi chiedere come si chiama, per lo meno!-
-Ma perché, tu sospetti di sto bell’imbusto?- chiede il poliziotto, mentre anche i suoi ingranaggi cominciano a girare.
-Beh, sì. Dal poco che mi hai raccontato, la cosa più plausibile mi sembra che si siano incontrati qualche tempo fa, lei non ti abbia detto niente, e conoscendo il mostro verde che ti prende ogni tanto, non le do torto.- Gaetano guarda le proprie scarpe e sospira, fa cenno a Roberto di continuare. –Poi questo qui le avrà chiesto la sera del delitto di vederla, solo per parlare o scuse simili. Lei, che a quanto mi hai detto in questi anni, è sempre stata molto disponibile… ehi, non guardarmi in quel modo, sai in che senso intendevo!- si difende dall’espressione dell’ex compagno di studi. –Dicevo, lei è sempre stata molto… interessata ai problemi degli altri, così ti piace di più?- l’altro annuisce. –Quindi accetta, e questo tizio ci prova, lei lo rifiuta. Le prende le chiavi e…- Gaetano lo ferma.
-Ma non sta in piedi! Roberto! Dal miglior profiler italiano, mi aspettavo qualcosa di più.- risentito, il nominato da un sorso al bicchiere, poi con lentezza lo posa sul tavolo e guarda l’altro uomo.
-Senti, con gli elementi che mi hai dato, ho fatto anche troppo. So anche io che è difficile da provare, ma… aspetta, hai una foto di questo, giusto?- il poliziotto si batte una mano sulla fronte, la cerca nella tasca dei jeans e gliela porge. –Mmmm…- Roberto medita a lungo, incurante dei versi spazientiti dell’amico. –Ma lo sai chi è questo?- Gaetano stringe i denti pensando che lo sta aiutando quando poteva mandarlo a quel paese e cerca di sorvolare sulla sua aria saccente.
-No. Dimmelo tu.- sorride, ma non è un sorriso amichevole.
-Ma come, è Enrico Renati, uno dei più grandi magnati marchigiani.- vedendo come Gaetano lo fissa, prosegue. –Certo che aveva dei bei partiti la tua… va bene, non dico niente. Comunque, se tu sei sicuro dell’innocenza della tua donna…- altro sguardo omicida -…ok, ok, non parlo più. Devi trovarlo in ogni caso, per quanto non ti piaccia, lui potrebbe essere l’unico alibi che ha. Ma toglimi una curiosità…- esita, e fa bene visto l’umore del suo interlocutore –Perché non eri con lei, quella sera?- una domanda troppo personale, lo capisce subito. Gaetano fa comunque per rispondere, ma gli suona il cellulare. L’espressione cambia.
-Camilla?! Sei tu?- chiede, sorpreso. Dall’altro capo del telefono, giunge una risata un po’ folle.
-Amore mio!- lo apostrofa la donna dai capelli castani, cercando di ricomporsi. –Ti chiamo dal tuo ufficio.- lui non può fare a meno di notare quando calchi sull’aggettivo possessivo. –E’ finita, Gaetano.- per un attimo teme di aver capito male, o troppo bene. Ma non fa in tempo a dire niente, che Camilla prosegue. –Sono libera! Il coroner ha stabilito che l’uomo è morto prima di essere stato investito, per un infarto.- lui riesce avvertire anche se solo attraverso un filo, la serenità della sua amata, angosciata anche solo dall’idea che la sua macchina, anche se non guidata da lei, potesse aver posto fine alla vita di un essere vivente.
-E i segni di investimento?- chiede Gaetano, come se non volesse lasciarsi andare a credere che davvero il problema è risolto. Roberto nel frattempo non ci sta capendo un cavolo. Ma è abituato.
-Quelli sulla mia macchina si spiegano molto semplicemente. Non ci crederai mai, ma devi ringraziare Renzo!- Camilla può immaginare lo sguardo confuso che si dipinge sul volto del fidanzato e quindi si sbriga a spiegare. –Sì, il tuo collega, quel… non ricordo come cavolo si chiama, mi aveva chiesto se qualcun altro avesse accesso alle chiavi della mia aiuto. Io, risentita anche dal modo in cui conduceva l’interrogatorio, gli ho detto sovrappensiero di no… ma in realtà… ne aveva una copia Renzo e si dal caso che Carmen fosse stata presa da una terribile voglia di anacardi, li avesse finiti e che al suo prode cavaliere sia toccato uscire per comprarglieli… ma non gli partiva l’auto, così, allarmato per l’ira o la crisi di pianto che avrebbe colto la spagnola, ha pensato che per una volta, usare la mia aiuto non avrebbe fatto male a nessuno. Mentre succedeva questo, io ero già nel letto con Potti.- la cosa che più nota Gaetano è la quasi spensieratezza con cui la sua donna nomina l’ex marito e colei che ha fatto sì che divenisse ex. –Mentre i segni sull’uomo morto…- qui la voce di Camilla si fa più triste. –Mentre quel tuo collega lì, stava per farmi sbattere in una cella e buttare via le chiavi, è entrato Torre, che, non è riuscito a trattenere un minimo sorriso e ha detto che c’era un ragazzo che doveva parlare col commissario… aveva lasciato una deposizione firmata dove affermava che la sera del 8 ottobre aveva sentito un colpo, proprio in quella via, ma aveva pensato fosse “solo” un animale e aveva proseguito senza fermarsi… poi però, guarda un po’ il caso- qui sorride, anche se sa che lui non la può vedere –proprio il fidanzato della sorella lavora qui in questura e gli ha accennato qualcosa, così ha preso coraggio e è venuto a dire la verità…- Gaetano si alza dalla sedia e si allontana di qualche passo, lasciando al tavolo un Roberto ancora più stranito, che ormai ci ha rinunciato a capirci qualcosa.
-Quando possiamo vederci?- chiede solamente.
-Anche subito, ho già firmato. Ma dove sei? Ti vengo incontro?-
-No, no. Vengo a prenderti io. Ti devo fare vedere una cosa… ci vediamo tra dieci minuti, allora… e…- questa volta non fa in tempo a dirlo per primo.
-Lo so. Mi ami. Non che non voglia sentirmelo dire ma… penso che tocchi a me dirlo…- dall’altro capo del telefono, silenzio. –Ti amo, Gaetano. Ti amo da morire e non ho più paura di dirtelo. Ci voleva un caso così incasinato, per farmelo capire.- il poliziotto sorride, manda un bacio e chiude la chiamata.
-Allora? Mi sa che non servo più, ho ragione?- Roberto sorride.
-Già. Tutto risolto. Comunque la tua teoria con quel tizio colpevole non mi dispiaceva, sai, dietro le sbarre era più facile da controllare… sto scherzando.- anche Gaetano sorride. –Adesso io dovrei proprio andare.- aggiunge, mentre pone una banconota sul tavolo.
-Vai, vai! Dopo dieci anni chissà quante cose avrete da recuperare!- lo prende in giro l’amico. Il poliziotto non fa in tempo a salutarlo che già si ritrova davanti al suo luogo di lavoro. Il tempo scorre rapidissimo quando si tratta di vederla. Mentre sta ancora camminando, scorge una donna alta, snella, dai capelli castani riccioluti. Lei. Sta dirigendosi proprio nella sua direzione. Gaetano sorride.
-Camilla!- ecco, il miracolo piovuto dal cielo.
-Gaetano…- ma nel tono di lei c’è tutta la dolcezza, l’amore di cui lui ha bisogno.
-Hai visto che non hai avuto neanche bisogno di me?- lo dice con voce scherzosa, ma non troppo.
-Io ho sempre bisogno di te- non ci spera neanche, forse per questo lei lo dice –amore.- un infarto, l’ennesimo colpo al cuore della giornata. Un dolore così bello da provare… -Allora, che dovevi farmi vedere?- si prendono a braccetto mentre i piedi di entrambi, senza aver parlato, si dirigono verso il loro bar.
-Ma niente di importante. Stamattina mi è arrivato un messaggio strano… guarda.- le porge il suo telefono. –L’allegato era… una tua foto con il tuo ex mentre… lui ti baciava…- Camilla si volta verso di lui, cerca il suo sguardo, come per rassicurarlo. –Non ti preoccupare, ho superato questa fase, almeno un po’.- sorride. –Solo non capisco chi possa essere stato a mandarmi questa cosa.- riconosce lo sguardo della sua donna.
-Beh… possiamo scoprirlo insieme, no?- Gaetano trema, ma è un tremore dolce, quello della consapevolezza che la sua Camilla non perderà mai quel meraviglioso vizio che li ha uniti, almeno in questa vita.

Spazio autrice:
questa storia parte dalla puntata di domenica 4 ottobre. La dedico a tutti quelli del gruppo che hanno commentato la precedente, se scrivo qui è un po' anche colpa vostra ;)
Un ringraziamento particolare va a Soul of Paper per il sostegno che mi ha sempre dimostrato.
E' un esperimento letterario, rivivere le stesse situazioni da due punti di vista diversi, poi da un terzo neutrale. La ragione è che, nella seconda parte (svolgimento), i due sono distaccati (così come mi sono parsi nella puntata), mentre nella terza e ultima (epilogo), si riavvicinano, comprendendo l'uno le ragioni dell'altra, mi è sembrato quindi giusto che non prevalesse nessuno dei due.

Alla prossima,
Angy_Okimar

 
  
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