Lei
si chiamava Angelica, ma nessuno l’aveva chiamata mai
col suo vero nome, né lei lo aveva mai usato. Per tutti era
semplicemente
Angie, la maga.
Praticava in fatti la magia bianca, ad alto livello, ed
era rispettata e temuta dai più. Di natura prevalentemente
buona –era della
fazione light- sapeva, infatti, essere anche cattiva con i nemici
più odiati e
spesso la freddezza con cui si divertiva nel scagliare nugoli di
schegge
affilate era sconcertante.
La sua sinuosa figura camminava ora attraverso la vasta
radura verdeggiante, cercando di domare quel senso di ansia che la
premeva
dentro.
I capelli lisci color dell’oro lunghi fino alla vita
ondeggiavano a ritmo del suo camminare ed alcune ciocche erano sospinte
qua e
là dalla leggera brezza serale, che le accarezzava
dolcemente i delicati tratti
del viso.
Angie avrebbe dovuto essere ovunque tranne che lì.
Avrebbe dovuto essere alla Loggia cittadina, di cui era diventata
Console da
poco più di tre mesi ad amministrare la città.
Avrebbe dovuto trovarsi nella redazione
del giornale “Occhi d’Oracolo”, la cui
situazione stava precipitando dopo che
l’amico Row l’aveva incastrata cedendole il posto
di redattore e tutti i
compagni giornalisti avevano abdicato, lasciandola sola tra le pagine
del
giornale, con una sola nuova giornalista,
Ma quella sera aveva deciso di abdicare anche lei a suo
modo. Si era presa del tempo per sé ed era scappata dai
mille impegni senza
dire niente a nessuno ed ora si trovava a vagare senza meta, sola.
Suo unico compagno era il fedele micio nero Salem,
regalatole da Row il giorno del suo ultimo compleanno.
Sospirò, assaporando gli infiniti profumi di quella sera
d’estate, che l’aveva ormai portata ai piedi della
collina.
La scalò senza difficoltà in meno di
mezz’ora, arrivando
alla sua sommità, che tanto adorava.
Le rovine dell’antico castello rilucevano dei pallidi
raggi lunari e sembravano più mistiche che mai.
Angie sorrise alla vista tanto famigliare e a tutta
Witchcraft, che poteva vedere ai suoi piedi e si sedette sul
“suo” solito
muretto, quello basso di fronte proprio all’ingresso, dove un
tempo c’era
l’antico e pesante portone in legno.
Chiuse gli occhi, cullata dalla calma di quella notte...
Lui
era Frost. O Lestat. Ma per i più Frost.
Era bello e forte, pericoloso e cattivo. In passato, era anche stato
light,
ma non era realmente mai stato buono, nemmeno tra i buoni. Ora era uno
Shadow,
ma lui diceva sempre di non avere una fazione precisa, che lui non era
né buono
né malvagio, era Frost e basta. Ed era vero.
Determinato e deciso, erano noto ai più come colui che aveva
cambiato più
volte fazione. Era stato un cacciatore, un oris, un sicario e infine un
vampiro.
Era una creatura della notte, viveva nelle tenebre e si cibava di
sangue
umano. Si definiva solitario e difatti preferiva non avere amici,
condurre la
sua vita senza particolari legami con chiunque potesse poi deluderlo;
aveva
sofferto troppo in passato per commettere lo stesso errore.
Quella sera era per il vampiro una notte come le altre, una notte di
fame,
caccia, morte, sangue.
Si era appena cibato, rubando la vita a una giovane donna bionda, una
ragazza particolare, una preda diversa, che non aveva nemmeno urlato
quando lui
l’aveva morsa, anzi era sembrata godere dei suoi denti
affilati bucare la tenera
pelle del suo collo.
E ora, ancora stordito da questo strano avvenimento vagava senza meta.
Non
era ancora de tutto sazio, ma non aveva più voglia di
uccidere, stranamente.
Era avvolto nel pesante mantello nero che di giorno lo proteggeva dai
raggi
solari e di notte lo rendeva praticamente invisibile
all’occhio mortale,
camminava velocemente diretto verso la collina che dominava la radura
di
Witchcraft, dove avrebbe potuto rilassarsi e riflettere.
Chi l’avrebbe incontrato quella sera probabilmente avrebbe
notato soltanto
gli occhi rosso accesso, rosso sangue e un ciuffo dei capelli
bianco-argentei
sfuggiti dal cappuccio.
Sul suo cammino non incontrò nessuno, eccezion fatta per un
mucchio di ossa
abbandonate poco lontano dalle rovine, pasto di qualche suo simile
già passato
di lì.
Eccolo. Lassù, dominatore di tutta Witchcraft, sul suo punto
più alto, la
vecchia torre quasi a pezzi.
Si osservò in torno, scrutando il nulla. Laggiù
c’era qualcuno, ma chi?
Aguzzò la vista fino a scorgere una figura famigliare.
Sorrise tra sé e sé...
-Ciao
Angie-
La ragazza si scosse. Qualcuno l’aveva salutata eppure
non ne aveva udito la voce e non ne udiva l’eco. Era come se
qualcuno fosse
entrato nella sua mente e vi avesse parlato dentro.
Si alzò in piedi guardigna, ma non disse una parola.
Boooom.
Improvvisamente, un rumore di pietre franate al suolo.
Probabilmente, quel qualcuno si era lanciato dall’alto delle
rovine, facendo
cadere dei massi, forse di proposito. Ora lo sentiva. Ne percepiva la
presenza,
ma non poteva vederlo.
Strabuzzò gli occhi, ma questi non penetrarono le
tenebre.
Anche il suo stesso respiro le sembrava rumoroso, ora che
si sentiva osservata e non poteva osservare, come un pesciolino rosso
in una
boccia.
Due occhi, uno rosso e uno azzurro, emersero dalle
tenebre quando la misteriosa presenza si avvicinò.
Un vampiro.
-Ciao Angie-
La salutò ancora, nello stesso modo di prima.
Un vampiro che conosceva il suo nome.
Chi sarebbe potuto essere? Non le veniva in mente
nessuno. Di vampiri ne conosceva fin troppi, ma nessuno di quelli
l’avrebbe
chiamata Angie né non l’avrebbe attaccata.
Solo quando il vampiro misterioso emerse dalle tenebre lo
riconobbe.
Ebbe solo una visione del ragazzo, poiché questo
sparì.
Ricomparse dietro le sue spalle e l’abbracciò
posando il capo sulla sua spalla.
-Ciao Angie-
La fredda voce vampiresca era colorata di un insolito
colore probabilmente accompagnato da un sorriso.
-Ciao Frost..-
Non sapeva come mai, ma era felice di vederlo. Anche se
era strana la situazione. Quante volte aveva combattuto con lui
quand’era
ancora light? Quante volte avevano parlato. Sorrise ricordandosi di
quella
volta che, già vampiro, l’aveva avvertita a
proposito di una congiura contro
una sua amica e solo grazie a lui era riuscita a salvarla.
Lui sciolse il calore di quell’abbraccio e si sedette di
fronte a lei.
In suo rispetto, i denti si ritrassero e gli occhi
tornarono grigi: ora le incuteva meno timore.
-Ma come va??è da tanto che non
ci si vede per parlare solamente-
-E' vero. ultimamente i nostri incontri sono
stati piuttosto..
Ecco,
movimentati. Io tutto bene, direi, tu invece? Com'è la vita
da cattivo?-
Sorrise mestamente ricordandosi di uno dei loro ultimi
incontri. Lei era il giudice dello scontro tra lui e il fratello, Ensi,
ma alla
fine quest’ultimo aveva abbandonato l’incontro e
Frost aveva rivolto la sua
attenzione sulla maga, istigandola. Morale della favola, lei lo aveva
ucciso e
lui era resuscitato vampiro, ma –lei non lo sapeva- lui le
era sempre stato
grato.
-la vita da cattivo?dai non
male,un pò violenta però...te la buona
gratifica?manco fra i light?
Rispose lui in un sussurro,
quindi si alzò dal muretto e le riavvicinò in
silenzio, immobile di fronte a
lei, gettando a terra il cappotto.
-Beh, la solita vita, anche se
a volte è difficile essere buoni. Sai, si sente la mancanza
di chi non c’è più
in Fazione.-
Un brivido di freddo le corse
per la schiena, facendola sussultare. Lo fissò negli occhi
grigio perla,
attendendo che lui parlasse nuovamente.
Lui, che non sentiva freddo,
capì immediatamente cosa lei provava e prese il cappotto da
terra. Lo appoggiò
sulle spalle della ragazza, coprendola e abbracciandola.
-Si sente anche la mancanza di
chi si lascia.-
Rispose senza abbandonare il
contatto con la maga.
-Grazie-
Sussurrò lei lentamente.
Frost la guardò a lungo. Si
avvicinò ancora di più, le prese il viso tra le
mani e...tentò di baciarla
dolcemente.
Angie rimase sorpresa, le
labbra socchiuse come un pesce che boccheggia senz’acqua. In
un secondo ripensò
a tutto. A Giulio, con cui si sarebbe dovuta sposare. A Giulio, che
aveva
abbandonato quelle terre mesi prima senza dirle nulla. A Giulio, che
ormai non amava
più. A Frost, che non aveva mai pensato di amare. A Frost,
ora che capiva che
lui le piaceva davvero.
Avvicinò le labbra a quelle di
lui, appoggiandole dolcemente sulle sue. Un dolce bacio a fior di
pelle, che
non durò più di cinque secondi, poiché
entrambi si allontanarono, stupiti.
-Scusami, io...non volevo. Cioè
si volevo, ma non dovevo.-
Frost era ora appoggiato al
muro, come se non riuscisse a reggersi in piedi e lei gli si
avvicinò,
appoggiandogli dolcemente una mano sul braccio.
-Non ti preoccupare. Frost,
dammi qualche tempo per pensare. Mi aspetterai?-
-Sono immortale, io.- Sorrise
prendendole il viso tra le mani.- Ti aspetterò.-
E con queste ultime parole si
volatizzò, lasciandola sola con i suoi dubbi e le sue
incertezze.
Sola, con un pesante cappotto nero ancora
sulle spalle.