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Autore: oneisnone    11/10/2015    3 recensioni
Si alza sulla testa il cappuccio della felpa e infila le mani nelle tasche. Casa Hale è davanti ai suoi occhi, silenziosa e buia come lo è sempre stata. Come ogni volta, Stiles si stende a terra fra la polvere del terreno e i ricordi ormai bruciati di quella vecchia casa. Fissa il cielo, le stelle, la Luna. Stiles osserva l’immensità del mondo e chiude gli occhi quando tutto sembra gravare sulle sue spalle. Il male che ha fatto, il sangue sulle sue mani, la sua anima macchiata indelebilmente. Stiles avverte quelle sensazioni come un masso pesante sul petto, ma quel dolore lo mantiene vivo. Perché è reale, il dolore è reale. Stiles è reale.
«Cosa ci fai qui?» domanda una voce sopra di sé.
Sobbalza e apre gli occhi per la sorpresa, ma non ha bisogno di guardarlo per dare un volto a quella voce. Derek è alle sue spalle, i piedi ai lati della sua testa, e lo guarda con sguardo corrucciato e le braccia conserti. Riesce a leggere negli occhi di Derek la sorpresa di trovarlo lì, i pensieri che non troveranno mai voce.
Stiles sorride appena e torna a fissare il cielo: «Penso», sussurra.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Diciamo che è ambientata dopo la 3B... sì, potrebbe, anche se me la sono rigirata un po' come mi pare lol.
Se ne avete voglia, leggete la oneshot con la canzone To Build A Home - The Cinematic Orchestra come sottofondo, secondo me dona quel pizzico in più... o forse è solo perché l'ho scritta ascoltandola a ripetizione, quindi. Mi scuso per eventuali e molto probabili strafalcioni, ma sono le 2:20 e io ho appena finito di scrivere e rileggere. Quindi abbiate pietà di me, correggerò domani (oggi?) appena posso. Spero vi piaccia, buona lettura!



Mi innamorai di te come la Luna con le stelle

 

There is a house built out of stone: wooden floors, walls and window sills. Tables and chairs worn by all of the dust. This is a place where I don’t feel alone, this is a place where I feel at home. Cause, I built a home for you, for me. Until it disappeared from me, from you. And now, it’s time to leave and turn to dust. Out in the garden where we planted the seeds, there is a tree as old as me. Branches were sewn by the color of green, ground had arose and passed it’s knees. By the cracks of the skin I climbed to the top, I climbed the tree to see the world. When the gusts came around to blow me down, I held on as tightly as you held onto me.
The Cinematic Orchestra, To Build A Home

 

Stiles cammina silenzioso nel bosco, il buio lo avvolge e lo tiene stretto a sé in un dolce abbraccio. Le foglie e i rami si spezzano fragili sotto ai suoi piedi, mentre la luna illumina il sentiero. Ed anche se ormai conosce a memoria quella strada, anche se l’ha percorsa decine di volte, si aggrappa agli alberi per non inciampare. È notte fonda e non c’è nessuno in giro, nessuna voce, nessun volto a ricordargli cosa ha fatto. Dovrebbe essere nel proprio letto, ma da tempo i sogni sono diventati incubi e non gli permettono di dormire. Quindi, più spesso di quanto osi ammettere anche con se stesso, sente il bisogno di uscire e pensare, semplicemente. Andare da qualche parte e magari lasciare che i pensieri scorrano via dalla sua mente come l’acqua fresca di un torrente. E non sa dire quando o come sia successo, ma spesso Stiles si è ritrovato a casa Hale. Le rovine bruciate, lo spiazzo polveroso e gli alberi tutt’intorno. Aveva continuato a tornarci, notte dopo notte, incubo dopo incubo. Era tornato lì, come se quel posto avesse il potere di curare le sue ferite, come se potesse ascoltare. Come se tutte le anime che la casa racchiude, non se ne siano mai andate. 
Una folata improvvisa di vento lo fa stringere nelle spalle, infreddolito. Si alza sulla testa il cappuccio della felpa e infila le mani nelle tasche. Casa Hale è davanti ai suoi occhi, silenziosa e buia come lo è sempre stata. Come ogni volta, Stiles si stende a terra fra la polvere del terreno e i ricordi ormai bruciati di quella vecchia casa. Fissa il cielo, le stelle, la Luna. Stiles osserva l’immensità del mondo e chiude gli occhi quando tutto sembra gravare sulle sue spalle. Il male che ha fatto, il sangue sulle sue mani, la sua anima macchiata indelebilmente. Stiles avverte quelle sensazioni come un masso pesante sul petto, ma quel dolore lo mantiene vivo. Perché è reale, il dolore è reale. Stiles è reale.    
«Cosa ci fai qui?» domanda una voce sopra di sé.
Sobbalza e apre gli occhi per la sorpresa, ma non ha bisogno di guardarlo per dare un volto a quella voce. Derek è alle sue spalle, i piedi ai lati della sua testa, e lo guarda con sguardo corrucciato e le braccia conserti. Riesce a leggere negli occhi di Derek la sorpresa di trovarlo lì, i pensieri che non troveranno mai voce. 
Stiles sorride appena e torna a fissare il cielo: «Penso», sussurra.
Sente i passi pesanti di Derek, si muove lentamente fino a fermarsi al suo fianco. «E non potevi pensare a casa tua?»
«No», risponde sinceramente, lo guarda dritto negli occhi. «Non posso.»
Inaspettatamente, Derek si stende con lui. Ci sono parecchi centimetri a dividerli, ma Stiles riesce a sentire il calore che emana il corpo dell’altro. Ed è piacevolmente strano. Perché anche se il suo obiettivo era sempre stato quello di estraniarsi dal mondo intero e rimanere solo, la presenza di Derek non lo disturba, affatto. Il licantropo è discreto, aggressivo e impulsivo a volte, ma meglio di chiunque altro può capire quello che passa per la testa di Stiles in questo periodo. Quei pensieri e quelle emozioni.  
È taciturno come sempre e, azzardando una veloce occhiata, Stiles lo vede intento a fissare il cielo. Gli occhi verdi persi in qualche ricordo. Ha le braccia piegate dietro la testa, il petto si alza e abbassa seguendo il respiro calmo e regolare. Indossa una semplice maglia nera a mezze maniche, e Stiles si chiede se non abbia freddo. Quasi senza pensare, allunga una mano nella sua direzione e, sfiorandolo con la punta delle dita, appoggia la mano sul bicipite di Derek. È caldo sotto la sua mano, è piacevole. È accogliente. E Stiles, per un fugace istante, pensa di potercisi raggomitolare contro, dimenticandosi del mondo intero. Dimenticandosi del dolore.
Gli occhi di Derek fanno avanti e indietro, fra la mano di Stiles e quegli occhi color miele che sembrano guardarlo spaesati. Il secondo dopo, in un battito di ciglia, Stiles ritira la mano e torna a fissare il cielo sopra di sé.
«Non sono mai entrato,» dice in un sussurro, come se avesse paura di svegliare la natura attorno a loro. Come se stesse rivelando un segreto inconfessabile.
Derek non lo guarda, ma fissa la luna luminosa sopra le loro teste. «Dove?» domanda confuso.
«In casa, intendo», sospira, «Non sono mai entrato.»
«Okay.»
«Non mi sembrava giusto, così sono sempre rimasto qui fuori,» spiega velocemente, senza prendere fiato. «Sapevo che ormai te ne stavi nel loft e…» chiude gli occhi, «Ho pensato che potesse andar bene se fossi venuto qui un paio di volte. Anche se poi sono diventate più di un paio.»
«Va bene, Stiles.»
«Mi dispiace.» E non sa per cosa si stia scusando, ma da qualche tempo ha preso l’abitudine di chiedere perdono per ogni cosa, anche quando non ce n’è bisogno. 
Derek si volta nella sua direzione, lo guarda accigliato. Da quando si conoscono, Derek non ha mai visto Stiles così vuoto, svuotato di ogni emozione, di ogni energia. E per un solo istante, Derek rivede se stesso in Stiles. Distrutto.
«Ho detto che va bene, Stiles.»  
Il silenzio cala di nuovo fra di loro. Non parlano per diversi minuti, cullati dal lento frusciare del vento fra le foglie e l’aria pungente che gli accarezza la pelle. 
«Torni spesso qui?» domanda Stiles.
Derek annuisce, silenzioso, consapevole degli occhi del ragazzo su di sé. «Ogni volta che posso.»
«Com’era?»
Derek socchiude gli occhi e respira profondamente, «Era casa.» Sente Stiles muoversi, il suo cuore battere un po’ più veloce e il suo odore cambiare velocemente. Derek lo segue con lo sguardo, finché il ragazzo non è seduto a gambe incrociate nella sua direzione.
«E tu com’eri?» domanda ancora, curioso.
«Uno stupido adolescente come tutti.»
Stiles ridacchia e si gratta il retro della testa. Non riesce a credere a ciò che sta accadendo proprio davanti ai suoi occhi: Derek sta parlando, proprio con lui. Non sa perché, non sa come, ma non vuole farsi sfuggire questa occasione.
«Perché te ne sei andato?»
«Non me ne sono mai andato, sono sempre stato qui e questa rimarrà sempre casa mia. Qui c’è la mia famiglia, i miei ricordi. C’è tutto quello che ho perso, e queste rovine, questa casa bruciata, mi ricorderanno per sempre cosa ho fatto.»
«Derek-»

«Questa casa mi tiene legato a ciò che ero e ciò che sono diventato.»

«Quindi tornerai qui ogni volta?»
«Tornerò fino a quando i ricordi felici non lasceranno posto alle fiamme, alle urla.»
Stiles sente un peso sul fondo dello stomaco e, in qualche modo, riesce a capire Derek. C’è così tanto dolore e rassegnazione nelle sue parole, che Stiles se ne sente sopraffatto. Guarda la casa alle loro spalle, bruciata e distrutta dalle fiamme. Pensa alla famiglia che una volta viveva lì, al ragazzino felice e un po’ problematico che doveva essere stato Derek, ai momenti quotidiani di vita. E tutto ciò che rimane adesso sono macerie e polvere. Distruzione. 
«Avevamo una stupida tradizione,» Derek aggiunge quasi sussurrando.
Il cuore di Stiles galoppa nel petto quando lo sente parlare, di nuovo. Era sicuro che non avrebbe ricevuto altre risposte dal licantropo, e invece ora sta parlando di sua spontanea volontà. Non sa perché lo stia facendo, non ha il tempo di elaborare una giustificazione, consapevole che potrebbe sparire davanti ai suoi occhi. Ma a Stiles va bene, perché parlare con Derek è inaspettatamente piacevole, e si sente rilassato. Libero.
Derek si alza con un movimento fluido e veloce, spazza via dai vestiti la terra e aspetta che Stiles faccia lo stesso, iniziando poi a camminare in direzione dei boschi. «Piantavamo un albero per ogni membro della famiglia,» accarezza la corteccia di un albero e, sfoderando gli artigli, segue le iniziali intagliate nel tronco. D.H.«Mia madre diceva che era come essere legati ai boschi, come se instaurassimo un legame profondo tra la nostra parte animale e la natura. E magari fare in modo che trovassimo sempre la strada di casa.» 
Stiles si guarda curioso attorno, studiando gli alberi lì accanto, ma soprattutto le iniziali di Derek impresse nel tronco. «È bello.»
«Circondano completamente la casa,» ritira gli artigli e osserva Stiles, che ricambia lo sguardo affascinato e completamente perso nelle parole di Derek. «Mi arrampicavo con Laura per raggiungere la cima.»
«Deve essere bello, visto da lassù.» Alza gli occhi verso la chioma alta dell’albero, le foglie verdi e vive che si muovono cullate dal vento.
«Vieni.»
Stiles guarda la mano che Derek gli sta porgendo, il palmo rivolto verso l’alto. Lo afferra quasi con timore, e quando sente il calore del palmo dell’uomo contro il proprio, lascia andare il fiato che non sapeva di aver trattenuto. Le loro dita sono intrecciate, unite in un abbraccio silenzioso. 
Non aveva mai pensato che avrebbe tenuto per mano Derek Hale. Ma era bello, incredibilmente bello.
Così Derek aiuta Stiles ad arrampicarsi sull’albero, suggerendogli dove mettere le mani o appoggiare un piede. Ed è goffo e Stiles ride di se stesso, ride di come Derek lo guarda quasi spaventato di vederlo spappolarsi al suolo, e di come lo afferra velocemente quando un piede scivola via e rischia di cadere. Stiles sorride come non fa da tempo, e guarda Derek fare lo stesso, bello come non avrebbe mai creduto.
Alla fine, non senza qualche imprevisto, Stiles e Derek raggiungono il ramo più alto dell’albero.
Stiles ha il fiato corto e la pelle accaldata, ricoperta da un leggero strato di sudore. Un brivido gli percorre la schiena quando una folata di vento li raggiunge, l’aria è leggermente più fredda e pungente, ma ne è valsa totalmente la pena. Trattiene il fiato quando guarda il paesaggio che si estende per chilometri davanti a loro e le luci di Beacon Hills brillare in lontananza come lucciole. 
«Wow… è fantastico!» sussurra. Girandosi dall’altro lato, casa Hale è lì dove l’hanno lasciata solo qualche minuto prima. È bellissima nella sua solitudine.
«Stiles non devi più venire,» dice Derek senza giri di parole, riportandolo velocemente alla realtà.
Spalanca gli occhi nella sua direzione, agitato e confuso: «Cosa- Perché?» 
Derek guarda la casa, la guarda come se quella fosse l’ultima volta: «La demoliranno,» sussurra.
Stiles vorrebbe urlargli contro che non può lasciarglielo fare, vorrebbe scuoterlo e magari prenderlo anche a pugni. Quella è casa sua, non può lasciare che venga distrutta. Non può.
Fa per voltarsi, intenzionato ad urlargli in faccia, ma un piede scivola via facendogli perdere l’equilibro. Stiles chiude gli occhi e aspetta di sentire la sensazione del vuoto, di cadere giù. Ma niente di tutto ciò arriva, perché una mano lo afferra velocemente per il braccio e lo tira indietro. E poi eccolo, il calore che Stiles aveva cercato a lungo, il suo cuore batte più forte e le emozioni sembrano riaffiorare dalla melma che le tenevano prigioniere. Ed ecco che tutto torna al proprio posto, perché Derek lo tiene stretto fra le braccia e Stiles pensa di non essere mai stato bene come in quel momento. Si aggrappa a lui, affonda il viso nel suo collo e respira il suo odore. E si sente a casa, si sente bene. E tutto ciò che voleva dirgli scivola via, soffiato via dal vento. Derek respira l’odore pungente della pelle di Stiles, il naso che strofina contro la pelle del collo. 
Ed è in quel momento che Stiles capisce di non essere lui quello aggrappato, ma Derek. Derek lo sta abbracciando, si sta aggrappando a lui come se fosse l’unica cosa sensata da fare, come se non ci fosse più nulla da dire. 
Stiles lo tiene stretto e chiude gli occhi mentre affonda una mano nei suoi capelli, accarezzandolo dolcemente. Non c’è nulla che può dire, così rimane lì in silenzio, in piedi su un ramo di un albero mentre tiene stretto a sé Derek finché lui vorrà, finché glielo permetterà.
Mentre si aggrappano l’uno all’altro.
 

***

 
Derek e Stiles non si sono rivolti la parola, come in un tacito accordo, se non per cose riguardanti il branco. E Stiles non si finge nemmeno sorpreso, consapevole sin dall’inizio che Derek sarebbe tornato velocemente ai monosillabi. Ma se lo fa andare bene, almeno per adesso. 
E lui, come promesso, da quella notte non è più tornato a casa Hale.
Succede qualche settimana più tardi.
Stiles salta la scuola inventando una bugia nemmeno troppo convincente. Non dice nulla ai suoi amici, non dice dove sta andando. Salta nella sua Jeep, agitato e impaziente, e sfreccia via per le strade deserte di Beacon Hills. Frena di colpo e parcheggia la macchina sul ciglio della strada, guarda l’orologio del cellulare segnare le 8.
Così Stiles corre, corre fra gli alberi senza nemmeno guardare dove mette i piedi, rischiando di cadere più volte. Stiles corre fino a che i piedi leggeri non toccano più il suolo.
Quando finalmente arriva, quel posto che era stato il suo rifugio per molte notti, non è più silenzioso come lo aveva lasciato. Sente i motori e le voci degli operai, e Stiles sa che è già iniziato. Quando il rumore di legno che si spezza ferocemente giunge alle sue orecchie, Stiles si guarda velocemente attorno, senza fiato. 
Deve trovarlo, subito.
Così inizia correre, di nuovo, guardandosi attentamente intorno, sperando di trovarlo da qualche parte. Quando si ritrova al punto di partenza, Stiles sente il panico iniziare a prendere il sopravvento. «Dove sei?» sussurra mentre si appoggia ad un albero. 
E un pensiero, una possibilità, si insinua velocemente nella sua mente. Così corre ancora e, quando riconosce le inziali sul tronco di un albero, si ferma e guarda in alto. Non è sicuro di quello che sta facendo, non è nemmeno sicuro di trovarlo lì sopra, ma deve almeno provarci. Prende un respiro profondo e inizia ad arrampicarsi, provando a ricordare i suggerimenti di Derek perché questa volta non ci sarebbe stato nessuno a salvarlo se avesse perso l’equilibrio.
Si arrampica lentamente, facendo attenzione ad ogni minimo spostamento. Impreca a bassa voce, ma non si arrende. Si asciuga il sudore della fronte con la manica della felpa, e quando sente l’aria più pungente sulla pelle sa di essere quasi arrivato. Guarda in alto fra le foglie, ed eccolo lì, seduto sul ramo più alto.
Non sembra aver fatto caso a lui, ma Stiles sa che non c’è nemmeno la possibilità che Derek non l’abbia sentito arrivare. Così, con un piccolo ed ultimo sforzo, si arrampica sul ramo, sedendosi accanto alla figura immobile del licantropo. Non parla, nessuno dei due lo fa.
Derek guarda in basso, dove la sua casa viene lentamente distrutta, pezzo dopo pezzo, portandosi via ricordi e tutto ciò che ha rappresentato per lui. Stiles chiude gli occhi e una lacrima sfugge dalle sue lunghe ciglia.
Derek non muove un muscolo e la mascella è contratta, ma dal suo viso non traspare nessuna emozione. Stiles si chiede quanto debba aver sofferto Derek in tutta la sua vita, e in quella posa rigida vede la sua parte più umana. Vede tutto ciò che ha dovuto superare in silenzio e, molto spesso, da solo.
E, come quella notte, Stiles decide che Derek non dovrà superare tutto questo da solo. Non ancora. 
Abbassa lo sguardo sul ramo, dove gli artigli affilati di Derek lacerano il legno. Copre la sua mano con la propria e l’accarezza lentamente con il pollice. «Mi dispiace, Derek», sussurra.
Derek lascia andare un sospiro mentre ritira le unghie, e inaspettatamente, gira la mano con il palmo rivolto verso l’alto, stringendo la mano di Stiles fra la propria. Calda come quella notte di poche settimane prima.
Restano lì, seduti su quel ramo, anche quando gli operai se ne vanno e un mucchietto di macerie è tutto ciò che rimane di casa Hale. Rimangono in silenzio per molto tempo, stringendosi semplicemente la mano, aggrappandosi l’uno all’altro, in quel modo che gli riesce dannatamente bene.

***

 
Stiles inizia ad andare nel loft di Derek non molte settimane dopo quella mattina, quando casa Hale è stata demolita. E a Derek va bene, anche se Stiles si presenta nelle ore più improbabili, anche se lo fa quasi sempre senza chiedere il permesso. Derek apre sempre la porta, e anche se lo fulmina con gli occhi, Stiles sa che lo lascerà entrare, sempre. Gli lancia qualche gomitata e lo prende un po’ in giro, in quello strano rapporto di amicizia che si è instaurato tra di loro. 
Derek parla poco come sempre, ma ascolta molto. 
In una delle sue improvvisate notturne, Stiles si presenta di nuovo nel loft di Derek.
Derek gli ha aperto praticamente mezzo nudo, con addosso solo un paio di boxer neri, ed è più che certo che Derek abbia notato il suo rossore sulle guance e praticamente tutto il fottuto corpo. Si siede sul divano e si guarda attorno accigliato. «Lo arrederai mai, questo loft?» domanda. Il loft di Derek è triste, le pareti sono scure e spoglie e non c’è praticamente nulla che renda quella casa una casa. È fredda e, in qualche modo, rispecchia il suo carattere.
Derek alza le sopracciglia, mentre si infila una maglia (che sia lodato il cielo!): «Non ne vedo il motivo.»
«Ma è casa tua!» urla esasperato. «Dovrebbe essere tipo la tua tana, il posto in cui ti senti al sicuro! Un letto e un divano non fanno di questo posto una casa.»
«Il tavolo,» aggiunge subito dopo, Derek.
«Che?»
«Ho anche il tavolo,» Derek indica con le sopracciglia dietro alle spalle di Stiles.
Stiles ruota gli occhi e sbuffa: «Scusa se ho dimenticato il tuo stupido tavolo che, ci scommetto 500 dollari, nemmeno usi. Non hai nemmeno la tv, come fai a tenerti aggiornato su quello che succede nel mondo?! Manco fossi il vecchietto della montagna, tutto solitario e scorbutico.»
«Leggo,» risponde Derek.
«Sì, il signorino legge! Hai mai sentito parlare di internet? Ma almeno ce l’hai un computer?»
«Stiles.»
Stiles si lancia sul divano, coprendosi il volto con le mani: «Lo so, lo so… Sto zitto.» 
 

***

 
«Cos’è questa roba?» domanda irritato Derek quando, aprendo la porta, Stiles gli getta fra le mani due buste bianche piene di cianfrusaglie per arredare il loft.
«Le teste di due cacciatori,» risponde serio. Poi si getta sul divano, come ormai d’abitudine, e accende la tv che Derek ha comprato un paio di giorni prima. Stiles non ha domandato, Derek non ha dato spiegazioni. La tv è semplicemente apparsa nel suo loft, quasi per magia.
Derek tira fuori da una busta un piccola pianta, poi una cornice per foto e una lampada, che poi appoggia sul tavolo per tornare a rovistare silenziosamente nella busta. Non riesce a credere che Stiles abbia comprato tutta quella spazzatura, ma non riesce a fare a meno di sorridere.
«Cosa dovrei farci con questo?» domanda confuso dopo qualche attimo, quando si ritrova fra le mani un peluche di un lupo. 
Stiles glielo sfila velocemente dalle mani: «Questo è mio!» sorride raggiante, «Puoi tenere il resto, però.»
E anche se Stiles sembra avere questo assurdo piano di voler rendere casa di Derek una vera casa, stanno bene nelle loro stranezze, anche se si aggrappano ancora l’uno all’altro.
 

***

 
Stiles non ha la più pallida idea di come ci sia finito in quella situazione, legato ad un palo mentre il resto dei suoi amici lotta con un branco di licantropi che vuole prendere il possesso di Beacon Hills. E hanno preso Stiles come ostaggio, perché ovviamente è il più debole fra tutti e anche il più facile da mandare al tappeto con un pugno. Quindi, adesso è legato a questo fottutissimo palo e una tizia dai capelli rossi gli punta alla gola gli artigli affilati.
«Ti taglierò la gola appena faremo fuori tutti i tuoi amici,» sussurra al suo orecchio la psicopatica.
«Be’, buona fortuna allora,» sorride sardonico quando Scott manda al tappeto uno degli avversari. Le unghie della ragazza spingono più forte sulla sua pelle: «Potrei ucciderti adesso, che ne dici?» ride mentre tamburella impaziente le unghie sulla carotide di Stiles. La sente premere più forte, e Stiles quasi piagnucola e inizia a sudare freddo.
«Possiamo parlarne-» dice senza fiato.
«Potrei farti mordere e farti diventare uno di noi… Sei carino», gli accarezza la guancia e respira il suo odore.
Stiles spalanca gli occhi e scuote la testa, «Non pensare nemmeno per un secondo che permetterò ad uno di voi di infilare le sue luride zanne nella mia carne», si muove scomposto nel tentativo di mettere più spazio possibile fra lui e quelle zanne raccapriccianti, ma la corda che lo tiene fermo non è d’aiuto. «E poi non sei il mio tipo, mi dispiace.» 
Più avanti, in mezzo ai due branchi in combattimento, qualcuno ringhia talmente forte da far calare il silenzio per un solo istante, poi la lotta riprende fra urla e sangue. Stiles non lo vede arrivare, ma sente solo un movimento veloce alle sue spalle e poi un guaito. Gli artigli sulla sua gola sono improvvisamente scomparsi e, mentre prova a guardare alle sue spalle, qualcuno rompe velocemente le corde e lo libera. 
E prima ancora di vederlo, Stiles ne riconosce l’odore. Derek. 
«Grazie», dice con un mezzo sorriso mentre distende i polsi indolenziti. Derek ha un taglio che gli squarcia la maglia e il petto, graffi e sangue su ogni superficie visibile. I suoi occhi sono accesi di un blu intenso, le zanne che sfiorano il labbro inferiore spaccato. E Stiles pensa che non abbia visto nulla di più bello in tutta la sua misera vita da inutile essere umano. Arriccia le labbra e allunga una mano per sfiorare le ferite del lupo.
«Vattene prima che-» Derek si interrompe di colpo, tossisce un po’ di sangue e trema sulle gambe. Quando cade in ginocchio sull’asfalto, rivela la figura affannata della psicopatica dai capelli rossi; gli artigli macchiati del sangue di Derek e un sorriso sghembo sulle labbra.
«Ora tocca a te», cammina minacciosa verso Stiles.
Ed è pietrificato, non respira, non si muove. I suoi occhi rimangono fissi su Derek, riverso sull’asfalto in mezzo ad una pozza di sangue scuro, immobile. Stiles non riesce a respirare, e sa che sta per avere un attacco di panico. 
Nemmeno si rende conto della freccia scagliata da Allison, con precisione letale colpisce la ragazza dai capelli rossi che cade a terra velocemente.
«Stiles» urla Allison, «Portalo via, andate via!»  
E non sa come, ma Stiles trascina Derek per le braccia, finché non arrivano alla Camaro. Fruga nelle tasche di Derek, senza trovare le chiavi. Sferra un pugno contro il cofano e geme frustrato. «Cazzo!»
Si inginocchia accanto a Derek, gli afferra il volto e lo stringe forte, affonda le unghie nelle sue guance e lo scuote. «Derek», sussurra senza voce. Chiude gli occhi e appoggia la fronte contro la sua, che respira lentamente. «Solo… non morire, per favore», appoggia le labbra contro la pelle ruvida di Derek, macchiata di sangue e ferita, respira il suo odore pungente e gli bacia la guancia. Quando riprende una parvenza di lucidità, apre lo sportello dalla parte del guidatore e inizia a cercare le chiavi, trovandole velocemente. Infila Derek sul sedile del passeggero e sfreccia via, pigiando sull’acceleratore. Derek non sembra guarire, e se lo sta facendo, non è abbastanza velocemente. Stiles gli stringe una mano abbandonata sul fianco e gli lancia qualche occhiata preoccupata: ha la fronte appoggiata contro il finestrino e gli occhi chiusi, i vestiti sono pregni di sangue e terra.
Quando finalmente arriva sotto casa di Derek, Stiles nemmeno si preoccupa di parcheggiare la macchina in modo decente. Scende dall’auto e si trascina il corpo pesante di Derek su una spalla, lo tiene per un fianco mentre arranca verso il loft. «Non provare a morire, stupido lupo!» sussurra senza fiato, quando finalmente varca la soglia del loft. Si lascia cadere sul letto insieme al corpo inerme di Derek. «Se solo ti azzardi a lasciarmi qui, ti riporto in vita solo per ucciderti con le mie stesse mani.»

Gli appoggia una mano sul petto, rassicurato dal sentirlo respirare, dal battito regolare del suo cuore, dal calore della sua pelle. Dalla sua semplice presenza.
Quando lo butta sotto l’acqua fredda della doccia, Derek sembra riprendersi un po’ di più e, finalmente pulito dal sangue rappreso, Stiles riesce a vedere le ferite che lentamente guariscono. Lo asciuga e lo riveste con un certo imbarazzo, ma quando lo infila sotto le coperte, si lascia sfuggire un sospiro. Derek è lì, non lo ha lasciato. Derek respira, vivo. Si siede sul letto e lo accarezza con lo sguardo, come se avesse paura di vederlo sparire come una nuvola di fumo.
Il cellulare nella sua tasca vibra e Stiles legge il messaggio di Scott, che gli comunica che va tutto bene e che il branco avversario è stato sconfitto, sono al sicuro almeno per ora.
Spegne il cellulare e si chiude in bagno per darsi una veloce pulita, strofinando via il sangue di Derek dalle proprie mani. Si appoggia al lavandino quando inizia a tremare, quando ormai l’adrenalina sparisce e tutto lo stress, la paura che ha provato nell’ultima ora si fanno più vivi che mai.
Si infila sotto alle coperte insieme a Derek, scivola sul materasso e lo abbraccia: il petto premuto contro la schiena di Derek e le gambe intrecciate. Affonda il naso nella piega del suo collo e sfiora con le labbra dischiuse la pelle calda. Chiude gli occhi e, dopo molto tempo, si addormenta senza sognare, cullato dal calore di Derek.
Quando si sveglia, Stiles non sa dire con certezza se sia trascorsa solo qualche ora o dieci anni da quando si è addormentato. Una cosa di cui è certo è che si sente incredibilmente stanco, e che ad un certo punto Derek deve essere scivolato via dal suo abbraccio, o qualcosa di simile.
Apre lentamente gli occhi e, quasi come colpito da un raggio di sole, sorride senza ritegno quando trova gli occhi di Derek intenti a fissarlo.
«Derek», biascica, «Stai bene, sei guarito» fa scorrere lo sguardo in ogni punto del volto, fin dove i suoi occhi possono guardare, e sulla pelle di Derek non c’è più alcuna traccia di ferite o sangue. Derek sta bene. Sta bene.Sospira e affonda il volto nel cuscino, sorridendo felice.
«Mi hai fatto prendere un colpo, credevo-»
«Sto bene, Stiles.»
«Lo so, ma io non so cosa avrei fatto se…»
E Derek lo abbraccia, lo spinge contro il proprio petto e Stiles sospira, arrendevole. E non è strano, anche se sono sdraiati nello stesso letto, e condividono la stessa aria, lo stesso spazio. Stiles si sente bene, si sente a casa.
E poi Derek sussurra qualcosa di inaspettato nel suo orecchio: «Grazie.»
Stiles alza velocemente la testa, fissando Derek negli occhi. «Sei quasi morto per colpa mia, non dovresti ringraziarmi.»
Derek scuote la testa e chiude gli occhi, come se stesse pensando se dare o meno voce ai suoi pensieri. Quando li riapre, Stiles si perde in quel verde profondo, e potrebbe affogarci. Potrebbe morire per ogni cosa che rappresenta Derek, e Stiles ne sarebbe semplicemente felice.

«Grazie per aver riempito la mia vita con la tua presenza.»
Stiles quasi scatta in piedi, ma Derek lo tiene fermo.
«Grazie per essere rimasto, anche quando non c’era più nulla da dire» Derek gli accarezza il volto, e Stiles non può far altro che trattenere il respiro e morire silenziosamente in quel letto.
«Grazie per aver tentato e non esserti arreso. Grazie per aver colmato i miei silenzi», appoggia la fronte contro quella di Stiles, e lo guarda dritto negli occhi, nell’anima.
«Grazie per aver tentato di rendere questa casa un posto sicuro e nel quale non mi sarei sentito solo, anche se sei tu tutto ciò di cui ho bisogno per sentirmi a casa.»
E Stiles semplicemente lo bacia, lo bacia e finalmente respira. Ed è come se, nell’esatto momento in cui le loro labbra collidono, tutte le ferite celate di Stiles iniziassero a guarire lentamente. Lo stringe a sé e affonda la mano nei suoi capelli morbidi, mentre le loro labbra si accarezzano per la prima volta. Ed è perfetto, perché quella è casa, costruita con le loro stesse mani mattone dopo mattone. E Stiles prova l’irrefrenabile istinto di perdersi in Derek, di diventare tutt’uno con lui.
Derek si allontana e percorre con la punta delle dita il profilo di Stiles, che trema impercettibilmente sotto il suo tocco. Si ferma ad ascoltare il suo cuore, calmo anche se veloce. E sorride, più luminoso del sole. 
«Grazie per essere diventato la mia casa, quando non ne ho più avuta una.»

   
 
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