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Autore: Laylath    11/10/2015    3 recensioni
Dublith, febbraio 1912.
L’orologio alla parete ticchettava tranquillo, l’uomo dietro al bancone approfittava della quiete per sistemare i conti della settimana e solo ogni tanto lanciava una rapida occhiata all’unica coppia di avventori. Una strana coppia, a dire il vero, due personaggi che sembravano non c’entrare nulla uno con l’altro: un giovane soldato dai capelli e dalla divisa ancora fradici per la neve, ed un robusto ed alto uomo che, alla faccia del freddo, aveva le braccia scoperte e sopra la canotta indossava solo un giubbotto di pelle smanicato.
Prima classificata al contest Most Loved
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Greed, Kain Fury
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Prima classificata al contest Most Loved


 

Snow in Dublith



Dublith, febbraio 1912.
 
Era ancora mattina presto e in quel locale del centro città c’erano ben pochi avventori: l’improvvisa e forte nevicata iniziata la sera prima scoraggiava chiunque ad uscire di casa. Quel bar costituiva una lodevole e coraggiosa eccezione: forse il proprietario aveva un animo particolarmente pietoso e aveva aperto per quei pochi sprovveduti che si fossero avventurati in strada.
L’orologio alla parete ticchettava tranquillo, l’uomo dietro al bancone approfittava della quiete per sistemare i conti della settimana e solo ogni tanto lanciava una rapida occhiata all’unica coppia di avventori. Una strana coppia, a dire il vero, due personaggi che sembravano non c’entrare nulla uno con l’altro: un giovane soldato dai capelli e dalla divisa ancora fradici per la neve, ed un robusto ed alto uomo che, alla faccia del freddo, aveva le braccia scoperte e sopra la canotta indossava solo un giubbotto di pelle smanicato.
A completare il bizzarro quadretto vi era una vecchia e malandata radio che occupava quasi tutto il tavolino, tanto che le due tazze di bevanda, precedentemente ordinate, erano costrette all’estremità, con il concreto rischio di cadere.
Il soldato, dagli spessi occhiali, muoveva le sue dita snelle su quel disastrato apparecchio: ogni tanto dalle tasche della divisa tirava fuori qualche piccolo attrezzo necessario alla sua opera di riparazione.
L’altro invece lo osservava con divertita attenzione, come se fosse sinceramente sorpreso di quanto stava vedendo: gli occhialini dalle lenti scure erano scivolati sulla punta del naso e gli occhi tra l’azzurro ed il violetto non si distoglievano un secondo dalle mani del soldato che procedevano con il lavoro.
 
Greed non parlava: gli piaceva osservare la concentrazione di quel giovane dai dritti capelli neri. Era rimasto affascinato dal cambiamento avvenuto in quel viso infantile che, se prima aveva espresso solo ingenuità e timore, ora mostrava una serietà fuori dal comune.
Nemmeno un’ora prima, mentre camminava per le strade innevate di Dublith, non pensava certo di fare un incontro così particolare. Si era semplicemente assunto l’incarico di portare a riparare la patetica radio del Devil’s Nest che Dolcetto, la sera prima, aveva accidentalmente urtato durante una sua brillante esibizione con la katana… o forse era meglio definirla brilla dato che, assieme agli altri, aveva passato la serata a consumare un’intera cassa di alcolici che, casualmente, era approdata nel loro rifugio piuttosto che nelle cantine dei grandi capi dell’esercito.
A pensarci bene, era paradossale che a riparare la radio fosse proprio un soldato e l’homunculus si chiese come avrebbero reagito Martel e gli altri nel sapere che c’era stata la contaminazione da parte di componente dello stesso esercito che aveva ridotto lei e gli altri a chimere nascoste dal mondo.
Non ne sarebbero stati entusiasti e Greed in parte li capiva: per quanto avessero un qualcosa in più che li rendeva straordinari, avevano perso la possibilità di una vita normale. In loro era presente un senso d’insoddisfazione perenne che si poteva paragonare alla sua avidità che mai si sarebbe potuta saziare.
E nemmeno lo scudo perfetto poteva compensare un simile vuoto.
E’ per questo che l’hai fatto…
Il pensiero arrivò improvviso e leggermente irritante, ma Greed ebbe l’onesta di non cacciarlo via.
Sì, inutile negarlo: quella mattina era uscito, nonostante il tempaccio, perché gli faceva piacere fare qualcosa per i suoi ragazzi, sebbene ridicola come portare la radio a riparare… in qualche modo si sentiva compensato e parte fondamentale di qualcosa. Sebbene, chiaramente, non avrebbe mancato di lagnarsi per quell’ingrato compito che si era assunto dato che la maggior parte di loro non sarebbe stata in condizione di alzarsi in piedi per tutto il resto della giornata.
“… coraggio, perché non vuoi entrare nella tua sede?”
Il mormorio del suo compagno lo fece riscuotere, riportando la sua attenzione al lavoro di precisione che veniva svolto davanti a lui. Sebbene la voce fosse stata a malapena udibile, le orecchie acute dell’homunculus non mancarono di coglierne la sicurezza, in netto contrasto con il pigolio timido e acuto che aveva sentito nemmeno un’ora fa, davanti alla saracinesca impietosamente abbassata del negozio d’elettronica
“Mi… mi scusi, sa se deve aprire?” .
Effettivamente la prima impressione che Greed aveva avuto di Kain Fury, così si era presentato il soldato, era stata quella di un bambino che aveva rubato la divisa del padre per gioco: il viso occhialuto ancora troppo infantile, l’espressione ingenua e timorosa, come se parlare con un estraneo fosse ancora una cosa proibita dai genitori. Dalle decorazioni sulle spalline si evinceva che era un soldato semplice e tutto il suo atteggiamento faceva intuire che non aveva ancora trovato il giusto compromesso tra la sua giovane età e la divisa.
“… ed i cavi elettrici rispondono alle tue domande?” chiese divertito, mettendosi a braccia conserte.
                                     
Fury sobbalzò con aria colpevole, tanto che il piccolo cacciavite che aveva in mano rischiò di cadere.
Non si era nemmeno reso conto di aver parlato a voce alta: stava collezionando una serie di figuracce tale che Havoc e Breda l’avrebbero preso in giro a vita.
Arrossì fino alla radice dei capelli e, per la millesima volta, si chiese cosa ci faceva in quel bar, con quello sconosciuto così strano ed inquietante, dagli occhi che avevano avuto la capacità di farlo sentire osservato speciale, più di quanto avessero mai fatto quelli del colonnello.
Con uno sforzo di volontà tornò a lavorare alla radio: chiunque avesse fatto cadere quella povera apparecchiatura era un pericolo pubblico. Per lo meno i pezzi c’erano ancora tutti: si trattava di ricomporre il delicato puzzle del circuito.
E se poteva rimettere in sesto una radio Fury era felice, a prescindere dal proprietario.
Questo gli fece dimenticare il disagio che gli procurava il suo strano ospite, ma dopo un minuto di tranquillità alcuni starnuti lo obbligarono ad interrompersi.
“Non sei stato molto furbo ad uscire senza cappotto…” mormorò l’uomo di cui Fury si rese conto di non sapere nemmeno il nome.
Tuttavia l’osservazione era  corretta e questo gli fece pensare che sarebbe dovuto tornare in albergo e ricongiungersi alla squadra: sebbene non avessero impegni, in attesa del treno del giorno dopo, sicuramente dovevano essere parecchio preoccupati per la sua improvvisa sparizione.
Gli era bastato il rimprovero del colonnello quando si era accorto che la radio si era danneggiata durante il viaggio… aggiungere anche quello per assenza prolungata ed ingiustificata sarebbe stato il colmo.
Ed il tenente si infurierà se mi ammalo.
“… ero… pensavo di fare in fretta…” balbettò con aria di scusa.
Ed effettivamente le intenzioni erano state quelle fino a quando non aveva visto quella povera radio che fuoriusciva dalla scatola di cartone e, in maniera del tutto involontaria, si era offerto di dare un’occhiata.
Tirando col naso, alzò di nuovo gli occhi scuri e sbirciò timidamente il suo ospite.
Ma come fa a non avere freddo?
“Mi trovi molto interessante?” chiese l’altro, intercettando il suo sguardo.
“No! E’ che… mi scusi, sono io che non sono abituato a questo tempo.”
“Guarda che per Dublith una nevicata simile è una novità.”
“Ah, capisco…”
 
Sì, non stai trovando nessuna spiegazione – sogghignò Greed – sei in netta difficoltà, ma non ti sei ancora alzato da quella sedia per scappare via. Te ne stai qui, con uno sconosciuto che suscita in te inquietudine, eppure sei deciso a finire la riparazione. Sei proprio curioso, soldatino.
“Allora, come va con la radio?” chiese, cercando di farlo uscire da quel divertente stato di perenne disagio.
“Direi che ho fatto – mormorò l’altro, sorpreso da quel brusco cambio d’argomento: ma fu rapido nel prendere il coperchio ed iniziare a rimontarlo – è tutto in ordine. Se la vuole provare possiamo…”
“No, mi fido di te – scosse il capo l’homunculus – anzi, se ti devo qualcosa...”
“Oh no! L’ho fatto con piacere – Fury riuscì persino a sorridere con sincerità, come se l’aver aggiustato quella misera radio fosse per lui fonte di gioia – però devo proprio andare! La mia squadra sicuramente si starà preoccupando.”
“Non sono mica la tua famiglia…” commentò Greed dubbioso, osservandolo bere tutto d’un fiato la cioccolata rimasta.
“Oh, sì che lo sono!”
Il sorriso che illuminò il viso dalle labbra sporche di cacao ebbe il potere di far scorrere un brivido sulla schiena dell’homunculus.
Era un sorriso che parlava di un vuoto definitivamente colmato, di un’avida ricerca che alla fine era stata portata a termine. Quel soldatino era felice perché ad attenderlo, a preoccuparsi per lui, c’erano delle persone che reputava estremamente speciali.
Come hai…?
“Allora, arrivederci! E grazie per la cioccolata!”
Come a spezzare quello strano incantesimo Fury si alzò dalla sedia e, dopo aver recuperato in tutta fretta i suoi attrezzi, corse verso la porta del locale, provocando un forte scampanellio.
A Greed non restò che fissare alternativamente quella sedia ormai vuota e la radio riparata, poi, dopo qualche secondo, scoppiò in una risata sarcastica e soddisfatta allo stesso tempo. Gli esseri umani non avrebbero mai finito di sorprenderlo, non c’erano dubbi: non avevano scudi perfetti o chissà che altro, eppure non smettevano mai di andare avanti e colmare i vuoti delle loro piccole vite.
Rimise la radio nella scatola e poi, con un cenno di saluto al barista, che l’aveva osservato tra l’incredulo ed il sospettoso, si diresse verso l’uscita.
Appena fuori venne accolto dai fiocchi di neve.
Rimase per qualche istante immobile, a godere di quelle strane carezze  sulle braccia nude, sulla testa, sulle mani… sensazioni piacevoli che avevano il potere di farlo sentire vivo .
Era in simili momenti che si sentiva più che mai convinto di aver fatto bene ad andare via dal Padre e dai suoi fratelli: loro non avevano la capacità di godere dei dettagli del mondo.
E, se mai l’avessero, probabilmente la negherebbero.
Ma lui era l’Avidità e voleva tutto, anche ciò che gli regalava ogni singolo fiocco di neve che si posava sulla pelle, diventando in qualche modo sua proprietà.
E fino ad un minuto fa, in quel bar, era stato suo anche quel soldatino che era riuscito a spiazzare lui, l’homunculus Greed, con una semplice ed ingenua frase.
Famiglia, eh?
Osservò con un sorriso divertito la radio, che, curiosamente, sembrava molto più nuova nonostante la riparazione fosse stata fatta nei circuiti interni, e poi si avviò per tornare al Devil’s Nest.
Aveva un gruppo di chimere ubriache fradice a cui pensare.
 
“Soldato, sono veramente furente con te! Che cosa ti salta in mente di stare tanto tempo fuori senza avvisare… e di non prendere nemmeno il cappotto?”
Fury arrossì colpevolmente, ma qualsiasi giustificazione che potesse rivolgere al tenente Hawkeye venne interrotta da un asciugamano che iniziò a venir frizionato con forza sui capelli bagnati.
“Signora – balbettò – posso pensarci io…”
“Taci e lascia fare! – sbottò Riza non ammettendo repliche – ci manca solo che ti asciughi male e peggiori il raffreddore che hai sicuramente in preparazione! Havoc! Che cosa stai mettendo in quel the?”
“Non lo correggiamo con whiskey? – chiese il biondo, fermandosi a metà strada con la fiaschetta – è un rimedio fantastico contro il raffreddore!”
“Sì, e poi avremmo Fury col naso libero, ma ubriaco… proprio un bel cambiamento!” sorrise sarcasticamente Breda, posando la giacca bagnata del compagno su una sedia vicino al caminetto.
“Passa a me, Havoc – fece il colonnello – dopo la preoccupazione che ci ha fatto prendere questo idiota ne ho proprio bisogno!”
“Signore, non dovrebbe bere! – si accigliò Riza – E poi, se vogliamo dirla tutta, se avesse evitato quella scenataccia per la radio rotta, Fury non avrebbe preso quest’iniziativa e…”
“Ah, ora è colpa mia? Suvvia, tenente!”
“Comunque, per tornare al problema principale, posso andare giù alla hall per chiedere se hanno qualcosa – disse pacatamente Falman – giusto a titolo preventivo. Tanto la febbre se deve salire lo farà solo tra qualche ora.”
Mentre tutti i suoi compagni si affaccendavano attorno a lui, non senza una notevole dose di rimproveri, Fury si sentì estremamente in colpa, ma anche sollevato. Anche se era una semplice stanza d’albergo, si sentiva come in un nido caldo e sicuro, circondato dalla sua meravigliosa famiglia.
L’incontro con quello strano signore di cui non sapeva nemmeno il nome stava già passando in secondo piano, obliato da quell’asciugamano che gli frizionava la chioma in maniera decisamente più dolce.
“Niente più sciocchezze simili, va bene soldatino?” mormorò Riza intercettando il suo sguardo e non riuscendo a reprimere un sollevato sorriso.
“Va bene, signora.” annuì lui.
Ed il volto di quello sconosciuto svanì completamente dalla sua mente.






________
nda
Nel 1912, ossia qualche anno prima degli eventi del manga, secondo i calcoli che ho sempre usato nelle mie fic, Fury ha diciotto anni (diciannove li compirà a settembre) ed il rango di soldato semplice.

 

  
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