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Autore: FrecciaJones    12/10/2015    3 recensioni
Eccomi qui, ci riprovo! Sta volta la mia storia ha come protagonista uno degli attori più amati di Game of throne : il bellissimo Kit Harrington alias Jon Snow! Gli altri protagonisti sono invece Emma e il suo amico Tommy che, persi nella caotica Londra, cercano disperatamente il loro posto nel mondo.
Spero vi piaccia tanto da seguirla ...
Ps: Lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate, qualsiasi, positivo o negativo, mi piacerebbe davvero tanto leggere le vostre recensioni e sapere cosa questa storia vi ha lasciato. Io ci provo ... buona lettura!
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Kit Harington
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicono che prima di incontrare l’uomo della tua vita tu debba avere una serie di sventurati appuntamenti, un numero definito di ragazzi con cui uscire prima dell’arrivo di quello giusto. A quanto pare serve per acquistare consapevolezza. 
Insomma, più esci con quelli sbagliati e più diventa facile in futuro riconoscerli e starne alla larga. Ma che succede se di quello sbagliato non puoi più farne a meno?

Per spiegarvi meglio perché Kit fosse così lontano dall’essere l’altra metà perfetta della mela, devo prima accennarvi brevemente a come stavano le cose ai tempi in cui lo incontrai.
Ventiquattro anni, single, disoccupata, senza un soldo in tasca e un cassetto pieno di sogni e speranze. Nella mia agenda figuravano una serie di sfortunati incontri e relazioni finite male prima ancora di cominciare. 

Come ero finita a Londra forse non serve spiegarvelo nel dettaglio, dato che di cervelli in fuga se ne sente parlare praticamente tutti i giorni. Certo, devo ammettere che iscriversi alla facoltà di lettere nel lontano 2008, da un punto di vista lavorativo, non poteva di certo catalogarsi tra le scelte migliori fatte in vita mia. Ma ero una sognatrice e volevo crederci in quella scelta. Avrei scritto un libro entro (massimo) i venticinque anni, venduto milioni di copie, curato una mia rubrica in uno dei tanti quotidiani o settimanali e, in men che non si dica, sarei stata ospite nei migliori salotti letterali televisivi per promuovere l’uscita del mio nuovo lavoro che, ovviamente, sarebbe stato un altro best-seller. A ventitre anni, però, avevo cestinato decine e decine di bozze di storie, racconti, narrazioni e avventure di ogni genere mai finite, e di conseguenza avevo anche abbassato le aspettative. Facevo pratica scrivendo per il giornale on-line dell’università (attività che ovviamente non prevedeva alcun rimborso) e avevo smesso di pensare di avere tra le mani il romanzo del secolo dopo aver scritto solo un paio di capitoli (mi bastava rileggere dopo poche settimane quello che avevo fatto per capire che così non sarebbe stato). Dopo la laurea, viste le circostanze, mi sarei accontenta di qualsiasi lavoro che non scendesse sotto il minimo salariale. Questo, ovviamente, non avvenne, così, dopo l’estate, raggiunsi Tommaso (che adesso si faceva chiamare Tom), un amico e compagno di studi all’Università che, laureato il semestre precedente al mio, viveva a Londra da quasi un anno ormai. 

Prima di lasciarvi fantasticare sulla natura della nostra relazione voglio avvisarvi, nonostante Tom fosse uno dei ragazzi più carini, intelligenti e spiritosi che avessi mai incontrato purtroppo (per la sottoscritta) era anche gay e, quindi, non disponibile sulla piazza. Ho probabilmente distrutto le vostre fantasie che mi vedevano già coinvolta in una relazione struggente e complicata (e sempre non corrisposta) tra me e il mio migliore amico che, in tutte le storie che si rispettino, è sempre innamorato di un’altra. Quasi sempre una ragazza bellissima, ma tanto stupida quanto perfida, una Barbie California che, ovviamente, non merita l’amore del ragazzo migliore del mondo. Tolto un cliché, però, ve ne regalo un altro, quello del migliore amico gay, con cui condividevo avventure, sventure e la stessa sfortuna in campo sentimentale. Con lui condividevo anche casa, una stanza minuscola quando non potevo permettermi altro a dire il vero. Si perché nei mesi precedenti grazie a ripetizioni e baby–sitting avevo racimolato una piccola somma che, secondo i calcoli, mi avrebbe permesso di vivere a Londra almeno per il primo periodo senza morire. Calcoli però che si dimostrarono essere sbagliati perché il periodo di autonomia si dimostrò essere molto più corto di quello auspicato. 

Saltiamo perciò adesso quasi cinque mesi di vita nella grande metropoli e saltiamo anche le spiegazioni sul perché (ormai ovvio) io sia finita a fare qualsiasi lavoro che mi permettesse di pagare le bollette e mettere eventualmente da parte qualcosa per i corsi di letteratura moderna ed editoria che avevo intenzione di frequentare con l’inizio del nuovo anno accademico, e arriviamo dritti alla sera del cinque gennaio 2013, quella in cui incontrai la prima volta Kit. 

Tommy lavorava per una grande catena di abbigliamento quando arrivai a Londra, così, dopo aver migliorato il mio inglese, riuscì a farmi ottenere un colloquio come addetto alle vendite nel suo reparto. Pochi mesi dopo lui fu promosso responsabile di negozio ed io smisi di preoccuparmi di come avrei dovuto pagare l’affitto se fossi stata licenziata per tutte le volte che arrivavo in ritardo. Tommy era un bravo supervisore e quella sera dopo il lavoro decise di portare a bere qualcosa il gruppo di ragazzi e ragazze che dirigeva. 

          ‹‹ Siamo sopravvissuti al primo giorno di saldi! Dobbiamo festeggiare! ›› disse offrendosi di offrire il primo giro.

In realtà i motivi che lo spingevano a far festa quella sera erano altri. Era stato contatto da una famosa casa discografica per delle canzoni da lui stesso inviate di cui aveva scritto testi e arrangiamenti, ma per scaramanzia non lo volle dire a nessuno. 

Pochi minuti dopo aver lasciato il lavoro insieme a tutti gli altri dovetti tornare indietro, avevo dimenticato la borsa negli spogliatoi degli addetti ai lavori e, dentro di essa, anche soldi e tessera della metro, senza i quali sarebbe stato impossibile muoversi a Londra. Lasciai dunque incamminare il resto del gruppo e andai a prendere le mie cose proprio dove le avevo lasciate.
Arrivata al pub il locale era così pieno che feci fatica in un primo momento ad individuare i ragazzi ma, dopo una prima occhiata, scorsi Tom in fondo alla sala mentre agitava il braccio facendomi segno di raggiungerlo. Al tavolo non c’erano più posti a sedere perciò una volta tolta cappotto, sciarpa, guanti e impalcatura antigelo mi guardai intorno in cerca di un qualche sgabello vuoto.

            ‹‹ Guarda laggiù ›› disse una delle ragazze che era con noi.

Senza aggiungere altro mi incamminai verso quel posto libero quasi furtiva, per evitare che qualcun altro se ne accorgesse sfilandomi la sedia da sotto il naso. Ero stata tutto il giorno in piedi correndo da una parte all’altra del negozio, mi meritavo quella seggiola! Era mia! 
Evidentemente il mio modo di avanzare e le mie guance rosse dovute all’impressionante sbalzo di temperatura avvenuto tra l’esterno e l’interno del locale insospettì l’uomo accanto a Kit (che poi scoprii essere il suo agente).

            ‹‹ Mi scusi potrei … ?! ›› ma non feci nemmeno in tempo a sforzarmi di pronunciare una frase di senso compiuto cercando di coniugare bene i verbi in inglese che l'uomo seduto alla sua sinistre nel tavolo mi interruppe. 
            ‹‹ No! Non adesso! ›› rispose. 

Ero evidentemente perplessa e sorpresa da quel modo di fare, anche infastidita a dire il vero. Gli inglesi non sono di certo famosi per la loro affettuosità ma quella reazione mi pareva un po’ esagerata per una richiesta che non avevo ancora nemmeno avanzato.
           
            ‹‹ Il mio amico è stato un po’ sgarbato ›› disse Kit rivolgendosi a me  ‹‹ è solo che stavamo discutendo di questioni lavorative importanti ›› .
           ‹‹ Esatto ›› aggiunge ‹‹ quindi facciamola finita subito ›› continuò rivolgendosi a Kit ‹‹ fate una foto in fretta e così la ragazza va via ››. 
           ‹‹ Mi scusi ...? Che foto? ››

Non mi furono subito chiare le parole di quell'uomo ma poi mi voltai ad osservare Kit e capii. Era uno dei protagonisti di quella serie tv che stava spopolando tra gli amanti dei fantasy, una di quelle che probabilmente avrei visto se non fossi stata sommersa dal lavoro.

            ‹‹ Beh si … devi essere una delle tante fan giusto? Fammi indovinare ... anche tu sei innamorate di Jon Snow vero? ›› disse l’agente digrignando fastidiosamente. 

Si, va bene, guardando bene Kit avrei potuto benissimo essere una di quelle di cui parlava, ma la superiorità e la presunzione con cui si espresse quell’uomo mi infastidirono così tanto che decisi di giocarmi la carta del “Jon chi?” e fare la parte della ragazza troppo impegnata per stare dietro a "sciocchezze" come quelle. 

             ‹‹ Volevo solo sapere se questa sedia è libera ›› e nel dirlo tirai fuori uno degli sguardi più strafottenti di sempre.
Poi un attimo di silenzio, l’imbarazzo visibile di Kit e una risposta celere :
             ‹‹ Si, lo è ›› 
             ‹‹ Ci scusi ››  

Ero quasi fiera della mia reazione, di solito mi comportavo sempre come la ragazza che inciampa o balbetta di fronte a ragazzi e i panni di quella sicura di se non li avevo mai vestiti approcciandomi con l’altro sesso, tanto che dopo pochi secondi iniziai quasi ad esserne pentita. Non capita tutti i giorni di incontrare una star della tv, non una di così bella presenza per lo meno. Insomma, da ragazzina avevo incontrato Orietta Berti e durante una vacanza in Salento Ale di Ale & Franz, si insomma capite di cosa parlo vero?  

            ‹‹ Che volevano? ›› domandò Tom quando arrivai al tavolo.
            ‹‹ Niente … un selfie ›› farfugliai sorridendo. 

Evidentemente Tommy non poteva capire a cosa mi riferissi veramente e senza alcun interesse nel farlo aggiunse:

            ‹‹ Già che sei in piedi … chiedi al cameriere che fine hanno fatto le nostre birre ››.
            ‹‹ Certo! ›› risposi sarcasticamente. Sarcasmo che evidentemente sfuggì a Tom che, dal suo comodo posto, continuò ad aspettare le due "chiare"

Chiesi al ragazzo dietro al bancone della nostra ordinazione ma non ebbi molto successo nella risposta. Cercai di ripetermi usando parole diverse perchè quando ordinavo qualcosa nei bar inglesi temevo sempre di non spiegarmi bene. Per questo motivo, quando il ragazzo mi riempì due boccali con della birra scura alla spina al posto delle due birre in bottiglia pensai di aver sbagliato per l’ennesima volta e non dissi niente.

            ‹‹ oh ma Certo! ›› farfugliai tra me e me senza nemmeno provare a spiegare l'errore al bar-man. 
            ‹‹ Italiana? ››

Mi voltai e non riuscii a  credere ai miei occhi. Kit stava piazzato davanti e mi guardava sorridendo, a me! Stava sorridendo a me! E le uniche cose più profonde del suo sguardo in quella sala erano le mie occhiaie da doppio turno.

            ‹‹ Si … ›› farfugliai, ed ecco che in un attimo ritornai ad essere Emma.
            ‹‹ Io ho origini italiane ››  e gallesi, scozzesi, irlandesi, olandesi , spagnole e asiatiche, come lessi poi su Wikipedia ‹‹ ho studiato diversi anni italiano come seconda lingua alle superiori ed ho passato un intero anno a Firenze durante il college ›› .
            ‹‹ Ah bene … ›› “Ah bene?! Ah bene? Solo questo Emma? Di qualcosa di intelligente su!”.
            ‹‹ Permettimi di offrirti qualcosa per scusarmi per quello che è successo prima, Adam è stato proprio scortese ››
            ‹‹ Scusami tu ›› risposi io ‹‹ in realtà so benissimo chi sei, il mio ex era ossessionato dal tuo show, non volevo solo darla vinta al tuo amico ›› e questa, forse, poteva essere una buona uscita.
            ‹‹ E tu? Sei una ragazza che si prende troppo sul serio per guardare una serie con dei tizi in costume e creature sovrannaturali? ››
            ‹‹ No faccio solo dei turni massacranti a lavoro ›› fu la mia risposta.

Mentre tornavo ad interrogarmi su quello che avrei potuto dire per non fare la parte dell’ebete,dietro Kit Tom era tornato ad agitare le sue braccia. Era arrivato Joshua, il tizio che lavorava da noi in amministrazione, mi ero presa una cotta per lui dalla prima volta che avevo messo piede a lavoro e Tom aveva fatto dei giri pindarici per riuscire a far unire a noi quella sera lui con alcuni suoi colleghi senza destare troppi sospetti. Era la mia occasione e, dopo la seconda birra, potevo anche giocarmela bene.
            ‹‹ Beh è stato un piacere conoscerti … Jon Snow ›› cercai di sforzarmi nel ricordare il suo nome, ma fu inutile così, non avendo la minima idea di come si chiamasse veramente, mi buttai sull’ironia, e poi aggiunsi ‹‹ adesso però devo andare … mi aspettano ›› .
            ‹‹ Te ne vai così? Senza nemmeno dirmi il tuo nome? ››
            ‹‹ Io te ne ho appena attribuito uno di fantasia … puoi farlo anche tu se vuoi ›› . Sorrisi e allontanandomi mi meravigliai di essere stata così brillante. Forse la consapevolezza che non l’avrei più rivisto era stata la causa scatenante di quel mio atteggiamento.
Al tavolo tornai più di una volta a pensare a lui, provai con lo sguardo a cercarlo nuovamente tra la gente del locale ma non lo vidi più , così, alla fine, decisi che avevo fatto bene a tornare da Joshua, ne era valsa la pena, soprattutto quando a fine serata mi aveva proposto di uscire insieme qualche volta. Lui era carino e gentile, vestiva sempre bene e aveva un buon profumo. Lo sapevo perché, al contrario di Kit, a lui lo vedevo tutti i giorni. L’affascinante Snow probabilmente stava solo cercando di essere gentile e dopo averci scambiato qualche parola mi avrebbe liquidato come una delle tante e poi chissà quando e se lo avrei rivisto.

Si perché che probabilità avevo io di rivederlo? Poche vero? Beh … vi sbagliate!







          
           











 
  
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