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Autore: Bolide Everdeen    13/10/2015    0 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 4, Morgane Willblues.]
Una persona contro quella che spesso viene chiamata follia. E forse, è più sana di ogni giudizio.
Stai ridendo. Senza motivo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Risa

Stai ridendo. Senza motivo. Morgane se ne rese conto quando le sue labbra ed il suo corpo furono all'apice delle convulsioni, evitando che la ragione potesse trainare la sua vita, i suoi movimenti. Erano tutte delle stupidaggini, delle vanità, delle abitudini che aveva represso dalla sua infanzia ed adesso riemergevano nella follia. Gliel'avrebbero potuto concedere, d'altronde, no? Contro tutte le ferite inflitte, era normale che anche la sua ragione fosse evasa dal suo corpo con il sangue. Anche perché lei non era altro che una ragazza di quindici anni la cui vita era scorsa come un aggirarsi di sofferenze, di coincidenze per soffiare altrove un qualunque conforto. Ed adesso, quelle condizioni inseguivano due Pacificatori che si girarono a constatare quanto fosse matta quella ragazzina, matta irrecuperabile, futile lasciarla vivere. Dopotutto, erano le loro istruzioni. Portarla fino all'orfanotrofio, e concedere agli altri la maledizione che la follia avrebbe donato a quel luogo. Una piccola percentuale di follia in più non avrebbe decretato la morte di simili edifici. Non ancora.

Prima mio padre e mia madre, poi mia nonna. Cioè, lei non è morta. Ma è come morta, e la cosa non ha tanto valore. Perché non dovrei ridere? Perché no? Probabilmente, la gente considererebbe più adeguate le lacrime, e una volta che i loro occhi ne spargono migliaia desiderano solo il riso... è contraddittorio. Sto abolendo il problema alla sua base. Non è magnifico? Morgane tentava di argomentare quella che gli altri denominavano una caratteristica incontrastabile con queste brevi frasi. Che senso avrebbe avuto evadere da essa, quando sarebbe potuta collidere con il mondo senza dolori? Come se non avesse avuto consistenza. Avrebbe dovuto analizzare la situazione.

Giunsero all'orfanotrofio. Lei, e i due Pacificatori che erano consapevoli di quanto pericolo contenesse quella ragazzina, per le pratiche che si susseguivano nelle sue mani, l'unica eredità di sua nonna, ancora più folle di lei. La cedettero ad una donna, la quale si dedicò ad interminabili manfrine per rendere più ordinario il clima. Morgane aveva già ceduto nel ridere. Si era adeguata ad una sorta di assente, indefinibile indifferenza. Aveva compreso tutto, nonostante la donna stesse cercando di delineare la situazione, e di imporle l'idea che fosse l'opzione migliore. D'altronde, tutti erano consapevoli del fatto che le pratiche di divinazione di sua nonna fossero fandonie, e non sarebbe stata una scelta giusta scegliere la sua strada, e ritrovarsi nelle sue condizioni nel futuro...

«Sì, sì, sì, lo so. Si chiama idromanzia, comunque. E so perfettamente cosa mi deve dire, può anche evitare.» Le era naturale assumere questi comportamenti talmente bruschi, erano solo la conseguenza dei soffi di violenta tempesta suscitata dalle frasi degli altri. Indottrinarla, ecco qual era il loro scopo. Concederle di precipitare nel loro mondo, nel loro torpore, nella loro diffidenza, per cosa? L'incredulità era una malattia che, espandendosi, disperdeva il suo germe, e la sua ragione, e abrogava ogni possibilità di cura. Avrebbero dovuta ringraziarla, premiarla, per la sua resistenza. Invece, la confinavano a quella stanza, la recludevano in una stanza di orfanotrofio mentre sua nonna diveniva la paziente di un manicomio gestito da matti, popolato da persone contrariate dall'immedesimarsi nella malattia del distretto. Era il loro destino. C'era qualcosa di estremamente piacevole in esso, nonostante tutti gli sconforti di cui era abbigliato.

«Morgane, cerca di capire. Non devi essere così scontrosa con noi, lo stiamo facendo per il tuo bene. E per il bene di tua nonna. Imparerai un lavoro, qui; un modo per vivere; incontrerai altri ragazzi della tua età nella tua condizione, e condividerete dei bei momenti insieme...» La ragazza osservò la donna nel suo concitato gesticolare. Era bassa, di forma rotonda, irrilevante, nel complesso. Irrilevante, come le sue parole. Abitando nel distretto 4, quale sarebbe divenuto il suo eventuale lavoro a cui l'avrebbero cordialmente costretta? Pescare? Pulire le prede? Oh, magnifico. Erano azioni che aveva compiuto anche in solitudine, ogni tanto, quando era obbligata. Non c'era niente di spettacolare, di magnanimo, di prodigato, in quelle prospettive. Solo l'annebbiamento dell'odio.

«Sì, sì, va bene, come preferisci. Potrei essere lasciata in pace, un secondo, per favore?» Era come se con quelle interiezioni tutto ciò che sarebbe dovuto scaturire naturalmente riaffiorasse, l'integrità della sua stravaganza svanisse, e la trascinasse a riapprodare in una condizione umanamente meschina. E queste si presentassero sotto la condizione liquida di lacrime, si affacciassero ai suoi occhi, le rimembrassero la vita. La vita è qualcosa di serio. La vita si può leggere, o si può non leggere, ma mai interpretare. L'idromanzia non le avrebbe mai rivelato il senso di un gesto. Neanche delle sue lacrime, infine. Neanche del motivo per il quale le reprimeva.

La donna arretrò, la squadrò con una cupa espressione di sconfitta, e la accettò sussurrando un “D'accordo, se è così che vuoi”. La porta si chiuse. D'altronde, era così che voleva, no? Aveva necessità di pensar,e la presenza estranea di quella donna lievitava tutti i suoi pensieri in direzione della banalità. Delle solite offese.

Qualcosa vorticava nella sua mente. Presto si accorse che quel qualcosa non aveva un significato delineabile, un nome per descriverlo e procedere verso la sua scomparsa. Una nebbia di suoni. La conclusione. Una sottospecie di mal di testa, probabilmente. Morgane trascinò le sue mani fino alla mente, ed intentò un ragionamento sul suo futuro per scorgere uno spiraglio in quelle sensazioni. Ma le urla divenivano ancora più lancinanti, il silenzio persisteva nel suo rumore. Niente da fare. Aveva necessità di ordine, di sfogare, di risvegliarsi. Avrebbe avuto bisogno di una espiazione per la sua oppressione. L'idromanzia, probabilmente, era il suo strumento più usuale.

C'era qualcosa di detestabile in quella pratica. Le parole proferite da sua nonna quattro anni prima, quando aveva scorto nelle increspature dell'acqua il suo futuro: tributo degli Hunger Games. Non aveva completato la sua sorte scoprendo se il suo destino sarebbe stato la vita o la morte, ma aveva destabilizzato abbastanza le sue membra per suscitare una sorta di prima tremolante follia. Il desiderio di purificare la pratica di sua nonna, scoprire cosa le avrebbe arrecato l'idromanzia se lei l'avesse privilegiata della sua credulità. Seguirla, per essere retribuita. Però, non era un dettaglio che era stato imposto dai suoi terreni movimenti. Probabilmente, derivava dal destino. Ma Morgane non voleva affidarsi del tutto a quelle congetture.

Si allenava, spesso, per sviare l'idea della morte. Ed ad ogni mietitura scorgeva che gli ambigui indizi per delineare la figura di un nuovo tributo imperversavano in tempeste di esattezza, risvegliavano il suo timore con brividi e necessità di rafforzarsi, una volta di più, rendere più fine la sua mira, appuntire la sua determinazione. Ma, adesso, era svanita. Ogni probabilità era svanita, asfissiata da quella mura. E non aveva neanche gli strumenti necessari per prevedere quale sarebbe stato il suo futuro, ma non avrebbe avuto fortuna il domandarli all'ipocrisia della donna. Non dopo la sua reazione. Non sarebbe stato adeguato, non sarebbe stato coerente. Aveva la necessità di viverlo, e non di programmarlo. Un timore flebile accompagnò questo pensiero, però lei non volle dilungarsi a riflettere sulla sua origine.

Esaminò la stanza. Un letto, un tavolo, una sedia. Probabilmente, il bagno era localizzato sul fondo del corridoio, colliso nella sporcizia di tutti gli abitanti di quel luogo. No, non voleva condursi lì. Osservava il colore predominante nelle lenzuola, nelle pareti, persino in ogni singolo atomo dell'aria: il grigio. Era terrorizzante, ad un certo modo. Il dettaglio più diffuso nel distretto 4, almeno fino a quel giorno della sua vita, era stata la soffusa e cordiale luce solare, accompagnata dal fluttuare del mare in un sonoro paesaggio azzurro, onnipresente, e colmo di tranquillità. Ed allora tramutavano la sua vita in grigio.

Un altro conato di risa si presentò alla sua bocca, violentemente, senza che lei lo potesse confinare ad una certa pacatezza, nel fingersi, e quella crudeltà si tramutò presto in copiose, inafferrabili, incontrastabili lacrime. Per quale reazione si affacciavano? Adesso, avrebbe dovuto vivere nel grigio, quando il suo colore era sempre stato l'azzurro. L'acqua del mare, il modo in cui descrivevano il suo elemento, il modo in cui si colorava nel filo e nelle perline intrecciate nei suoi capelli. Sarebbe stato l'unico ricordo rituale che avrebbe compreso sua nonna, quello. Una ciocca di capelli. Magnifico, no? Continuò ad annegare nelle sue lacrime, e nelle sue risa, e non delineare una ragione, un statua, un idolo a cui votarsi per inibire al sua folla di risate. Non era positivo? Non era deprimente?

Avrebbe dovuto sedere. Avrebbe dovuto sedere? No. Quella era un'azione dedicata agli altri, a chi considerava quella come un'aberrante malvagità, come un difetto, e non un metodo per splendefe. E poi, adorava pensare che qualcosa di azzurro e di marino fosse presente anche nella sua bocca, la privilegiasse della tinta che adesso le era stata depredata. Avrebbe continuato con l'arte della nonna, avrebbe continuato con l'amore per quelli sconosciuti che erano i suoi genitori, e per la pazzia della sua antenata. Si era trovata bene, no, dopotutto?

Lei, contro un intero distretto.

Lei contro, un colore di alcune pareti.

Lei, in un certo verso, contro lo stato.

Che le risa avessero inizio.

 

Spazio autrice

In un certo modo irrilevante, come storia. Queste sono le mie considerazioni, rendendomi conto che il desiderio di Morgane non potrà divenire il realtà, mostrarsi, ridere per essere. Non so. Non è un'offesa, ovviamente. Una minuscola riflessione.

Perdonate il mio ritardo nel pubblicare; vi giuro che è giustificabile. Morgane Willblues è il tributo del distretto 4 nell'edizione straordinaria degli Hunger Games per i 500 anni di anniversario dalla nascita di Panem, nella storia interattiva “500”; perciò, non è un mio personaggio. Spero di averla rappresentata nel giusto modo, di averla motivata, in qualche via. A voi sta il giudizio.

Ok, evaporo.

Alla prossima,

Bolide

 
  
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