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Autore: Hypnotic Poison    13/10/2015    6 recensioni
«Si era svegliata con un leggero mal di testa, e la strana sensazione di essersi dimenticata qualcosa – ma aveva controllato l’agenda, e non aveva lasciato niente indietro. [...] Era la sensazione più strana che avesse provato. Non era certa che fosse un déjà-vu, ma se solo avesse ricordato…»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Until the next time

 

 

 

 

 

 

Just one universe could not hold us

 

 

 

 

Il brusio del Caffè era il sottofondo ideale per studiare, almeno ancora adesso che non stava soffocando tra i compiti e gli esami. Le piaceva sentire la gente mormorare attorno a sé e annusare l’aroma caldo delle bevande e dei dolci, molto più accogliente della fredda e silenziosa biblioteca.
Fece dondolare la matita tra le dita mentre continuava a leggere quel passaggio che le stava risultando particolarmente difficile, o forse era perché aveva la testa da un’altra parte.
Si era svegliata con un leggero mal di testa, e la strana sensazione di essersi dimenticata qualcosa – ma aveva controllato l’agenda, e non aveva lasciato niente indietro.
Prese un sorso di cappuccino, permettendo al liquido caldo di riposare qualche istante sulla lingua così da assaporare il mix di cacao e cannella con cui aveva ricoperto la schiuma. Forse settembre non era ancora il mese adatto per certe bevande, ma lei non riusciva proprio a farne a meno.
Sottolineò finalmente l’ultima parola, contenta almeno di essere riuscita a finire il paragrafo, e si abbandonò contro lo schienale della sedia con un sospiro, decidendo che cinque minuti di pausa poteva decisamente permetterseli.
La porta d’ingresso si aprì in quel momento, portando con sé i rumori della strada affollata e un poco di brezza più fresca.
Inclinò un po’ la testa verso di essa mentre si stiracchiava piacevolmente la schiena indolenzita, osservando pigra le persone che stavano entrando.
Avvertì uno strano formicolio all’altezza del collo, e la sensazione di essersi dimenticata qualcosa si ripresentò un po’ più forte.
Poi incrociò lo sguardo di quel ragazzo che aveva appena varcato la soglia passandosi una mano tra i capelli biondi per risistemarli dopo essersi tolto il casco.
 
 
 
“Sai, ogni tanto mi mancano le orecchie e la coda da gatto.”
“Ma se dovevo controllare i tuoi impulsi omicidi tutte le volte che ti spuntavano.”
“Lo so, ma sarebbe bello rivedere la faccia che facevi quando succedeva.”
“Posso sempre lavorarci.”
 
 
 
Sbatté le palpebre un paio di volte, si sentiva confusa. Un po’ come se avesse la mente annebbiata.
Si sedette più dritta sulla sedia; non sapeva perché, ma aveva le guance un po’ calde. Non era la prima volta che si scambiava qualche sguardo con un bel ragazzo, insomma. Perché doveva agitarsi così tanto, ora?
Forse era soltanto la temperatura di quel Caffè.
Ritornò a concentrarsi sull’ambiente circostante, prese un altro sorso del suo cappuccino. Poteva vedere il ragazzo con la coda dell’occhio, in fila per il suo ordine. Riusciva a capire che anche lui, ogni tanto, le lanciava occhiatine confuse.
Lei si morse un labbro, si schiarì la gola, cercò di pensare. Forse l’aveva visto da qualche parte prima, magari all’università?
Se lo sarebbe ricordato, però. Un ragazzo con quell’aspetto non veniva certo dimenticato facilmente.
Si scostò i capelli dal collo, pensando che quel formicolio fosse provocato dal solletico delle ciocche contro la sua pelle.
Aveva fatto quel gesto così tante volte, eppure ora le sembrava che avesse un altro significato oltre la familiarità, come se non fosse sempre stata lei a farlo…
E si stava dimenticando qualcosa. Ne era certa.
Aveva dato da mangiare al gatto?
 
 
 
La festa di Natale della compagnia non era la stessa senza quell’orribile CD gracchiante di carole a tema che puntualmente si inceppava alla quarta traccia e continuava ad agonizzare per ore. Lui avrebbe tanto, tanto voluto spegnerlo, ma era ben conscio di quanto il capo ci tenesse – l’aveva masterizzato sua figlia, o qualcosa del genere.
Prese un sorso dal suo bicchiere di plastica colmo di spumante da poco prezzo, guardandosi intorno con aria annoiata. Erano sempre le stesse persone con cui condivideva le lunghe giornate in ufficio, e tutte sembravano desiderose quanto lui di tornarsene a casa per festeggiare con i propri cari o, almeno, di poter sfuggire a quell’incontro.
“Buon Natale, Ryan!”
Voltò appena il viso verso una delle segretarie più anziane, quella che sempre aveva un pacchetto di biscotti aperto sul tavolo così chiunque poteva approfittarne.
“Buon Natale anche a te, Carol.”
“Ancora qualche ora e sarà tempo di aprire i regali, no?”
Le sorrise, non si poteva resistere alla dolcezza di quel viso segnato da qualche ruga. “Non penso Babbo Natale si sia ricordato di me, quest’anno.”
“Oh, non dire così,” Carol agitò una mano “Sono sicura che passerai delle belle giornate.”
“Almeno siamo in ferie,” scherzò, prendendo un sorso dal suo bicchiere.
Un brusio proveniente dalla porta d’ingresso catturò la sua attenzione; erano arrivati altri colleghi, tra cui un ragazzo bruno che lavorava a poche scrivanie di distanza da lui.
Non erano amici, davvero, ma nemmeno si detestavano. Lui e Mark, quello era il suo nome, avevano un cordiale rapporto tra colleghi – erano capitate birre insieme e battute, ma niente di che.
Non l’aveva mai colpito particolarmente, anzi, c’era sempre stato qualcosa in lui che lo infastidiva.
Chi l’aveva colpito, invece, era stata la ragazza che era entrata insieme a lui. Aveva un sorriso radioso come non mai, nonostante si potesse vedere la timidezza che traspariva per l’essere ad una festa di sconosciuti. Lunghi capelli rossi le incorniciavano il viso tondo e tinto di rosa per la neve che turbinava fuori dalla finestra, e quegli occhi… c’era qualcosa di familiare in quegli occhi color cioccolata, qualcosa che non sapeva definire, ma che sembrava chiamare proprio lui. Probabilmente era solo stanco, ma una sensazione di déjà-vu gli prese lo stomaco.
“Scusami un secondo,” salutò Carol con un mezzo sorriso, avvicinandosi a Mark e alla ragazza.
Si avvicinò guardingo, come se i suoi sensi gli stessero suggerendo di procedere con cautela, ma al tempo stesso era come se stessero gridando di spicciarsi.
Incrociò lo sguardo del collega, che gli sorrise ed alzò una mano verso di lui: “Ah, Grant! Buon Natale!”
Ryan annuì, tentando di non fissare la ragazza accanto a lui, che lo stava osservando con altrettanta singolare curiosità. “Buon Natale anche a te, Mark. Tutto bene?”
“Non potrebbe andare meglio, siamo passati per fare un saluto dopocena. Voglio presentarti la mia ragazza; tesoro, questo è Ryan Grant, lavoriamo insieme da un paio di anni.”
Il biondo, infine, la guardò, sentendo la pelle bruciare allo sguardo che lei gli stava rivolgendo, la strana sensazione che ritornava a galla.
Lei gli sorrise, e gli tese la mano. “Zoey, piacere. Molto piacere.”
 
 
 
Anche il suo cuore, ora, stava battendo più forte. Non aveva molto senso cercare di concentrarsi sui suoi appunti, quando il suo cervello era talmente scollegato, impegnato a cercare tra i meandri della memoria quella cosa che le stava sfuggendo.
Prese un altro sorso di cappuccino, il sapore del cacao che le solleticava piacevolmente le papille in maniera più ostinata; non si era resa conto di averne messo troppo?
Fece un respiro, tentò di calmarsi, e decise di arrischiarsi ad un’altra occhiata verso il ragazzo.
Aveva ora raggiunto la cassa, e stava dialogando con la ragazza dietro al bancone, un accenno di sorriso sul volto.
Lei se ne lasciò scappare uno a sua volta. Era come se fosse un riflesso condizionato. Come se avesse sempre sorriso a quel sorriso.
Era come se lo conoscesse.
Però era impossibile.
Non aveva mai visto quel ragazzo in vita sua… no?
Strinse la matita, ormai troppo curiosa, pensando, sfiorando con un dito il pupazzetto rosa shocking attaccato al suo astuccio ricoperto di gattini neri.
Era la sensazione più strana che avesse provato. Non era certa che fosse un déjà-vu, ma se solo avesse ricordato…
 
 
 
Era in ritardo, si disse come al solito, e la scelta di indossare quegli stivaletti nuovi era stata davvero pessima. Doveva muoversi in fretta, ma non aveva la minima voglia di trovarsi con una caviglia slogata.
Si strinse maggiormente la sciarpa intorno al collo, stava davvero cominciando a fare freddo, già poteva vedere nuvolette di vapore sollevarsi dal suo respiro. Anche la miriade di persone intorno a lei sembrava accusare quel cambiamento repentino di temperatura, tutti sembravano più frettolosi del solito, meno disponibili e di cattivo umore.
Guardò ancora l’orologio, maledicendosi mentre vedeva che mancavano soltanto due minuti all’appuntamento – Corinne l’avrebbe decisamente sgridata, ma davvero, ora non aveva molto senso correre, e aveva decisamente bisogno di una tazza di caffè bollente.
Si guardò in giro, ricordandosi dell’esistenza di un bar all’angolo con la strada successiva, e vi si avviò felice.
Incrociò solamente per un breve istante lo sguardo di un ragazzo biondo che stava camminando nella direzione opposta alla sua, due occhi azzurri brillanti che l’avevano distratta dalla folla.
Aggrottò le sopracciglia ed avvertì sulla punta della lingua quella sensazione di dover dire qualcosa, di dover chiamare un nome che non torna alla mente, di un’occasione per parlare perduta; poi, si diede della sciocca, scosse la testa, e riprese a camminare.
 
 
 
Lo guardò di nuovo; anche lui la stava fissando intensamente mentre aspettava che gli fosse consegnata la tazza con ciò che aveva preso.
Quegli occhi azzurri la stavano scrutando attenti, come se stessero cercando di catturare ogni suo singolo particolare… e comunque, come se avessero sempre osservato ogni sua piccola caratteristica.
Se Minto fosse stata lì con lei, si sarebbe lamentata del fatto che fosse una cosa molto sgradevole e sgarbata, e lei non poté pensare che sarebbero state esattamente le parole che la sua amica avrebbe usato, perché l’aveva già fatto.
In qualche modo, le aveva già sentite.
Cosa diavolo si stava dimenticando?
Lui fu distratto dalla ragazza al bancone, che gli consegnò l’ordine, e lei ne approfittò per respirare di nuovo.
Tutto ciò era molto curioso. Molto familiare…
Abbozzò un altro sorriso, non perché avesse qualcosa davvero per cui sorridere, ma perché le nacque spontaneamente.
Lui la guardò ancora, e poi si avvicinò.
 
 
 
“Non ho fatto in tempo.”
Lei scosse la testa, una smorfia di dolore sul viso mentre tossiva. “Non importa. Mi basta vederti.”
Lui si inginocchiò accanto a lei, le appoggiò delicato le mani sulle guance: “Avrei dovuto fare in tempo.”
Lei sorrise, si lasciò andare contro di lui: “Farai in tempo la prossima volta. Farai sempre in tempo.”
Lui si corrucciò, scostandole una ciocca rossa dalla fronte: “La prossima volta?”
Lei annuì, e chiuse gli occhi. “La prossima volta.”
 
 
 
“Scusa, non vorrei sembrarti sgarbato,” esclamò, e la sua voce le risuonò nella mente così chiara e conosciuta, che le pareva poter quasi presagire le parole che avrebbe detto “Ma ho la netta sensazione di averti già vista da qualche parte.”
Lei si scrollò nelle spalle, e continuò a sorridere: “Non credo, ma… capisco quello che stai dicendo.”
Il ragazzo annuì, si passò una mano tra i capelli: “E’ strano.”
“Molto.”
Lei si morse il labbro, e tese la mano: “Mi chiamo Ichigo.”
Lui la strinse, e il mondo si rivoltò. “Ryo. Nice to meet you.”
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

…….. mmmmmmm okay, sooo… è un trip mentale, lo ammetto :3

Spero che si sia capito tutto, e che abbiate fatto attenzione al cambiamento dei nomi – più o meno ho cercato di basarmi su quelli per farvi capire l’alternanza di “vite” o “universi”, o come li vogliate chiamare… così da rimanere sul fatto che sono sempre loro.

Ryan è rimasto Ryan per il semplice fatto che Elliott mi fa schifo. Ahahah

Ovviamente, non è venuta fuori come volevo io, ma quando mai?

Bacioni grandi, ditemi se ci sono problemi o se vi è piaciuta!!!

 

Hypnotic Poison

   
 
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