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Autore: FloxWeasley    14/10/2015    4 recensioni
“Pensavo che non mi sarei mai abituata alla pioggia, sai” fa allora lei – benedetta Addison, dolce e paziente Addison, che lo conosce come le sue tasche e ha capito, ma non fa domande – “Ma ha il suo perché. Soprattutto sul tetto della roulotte, la notte”
Quel ticchettare ritmico, infinito, le tiene compagnia per ore quando resta sveglia nel buio ad ascoltare il respiro leggero di Derek: immagina che i pensieri che le tolgono il sonno scivolino via come gocce di pioggia e si lascia cullare dal loro ritmo regolare, finendo per assopirsi a sua volta.
“Pensavo che odiassi la roulotte”
“Odiavo anche Seattle, se è per questo. Ma a tutto si fa l'abitudine” replica lei, ignorando la sua leggera ironia e lasciandosi andare ad un piccolo sospiro. “Non è New York, ma potrebbe comunque essere casa”.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Derek Sheperd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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I'm gonna make this place your home

Settle down, it’ll all be clear
Don’t pay no mind to the demons
They fill you with fear
The trouble it might drag you down
If you get lost, you can always be found

Just know you’re not alone
Cause I’m going to make this place your home

[Home, Phillip Phillips]

 


“Mi hai chiamato?”

La voce di Derek è morbida, tranquilla, quando sorprende Addison alle spalle. Sa che lei non sobbalzerà: conosce a memoria il suo passo leggero – i primi tempi era tutto un “Diamine, Derek, devi smetterla di spuntare dal nulla così!” e mani sul cuore a calmare i battiti accelerati, ma sono anni che non si spaventa più per quel suo avvicinarsi silenzioso, lento, le mani affondate nelle tasche del camice; la donna infatti volta appena la testa e gli sorride senza parlare, porgendogli un bicchiere di caffè e tornando poi ad appoggiare i gomiti alla balaustra della passerella che sovrasta l'ingresso dell'ospedale.



Al Seattle Grace Hospital c'è silenzio, un silenzio stanco come quelli conquistati dopo lunghe battaglie: le cinque del mattino sono una parentesi di calma dopo la tempesta della notte – il solito circo della domenica notte, tra gente tanto piena di alcool da non distinguere la strada dalla vetrina di un negozio, giovani in overdose ripresi per i capelli, tentati suicidi da fine week-end, anziani campioni di scivoloni nel bagno, bambini con febbri da cavallo e l'immancabile corredo di influenze, attacchi di cuore, incidenti stradali e travagli inaspettati.
Verso le cinque le sirene tacciono, i corridoi si svuotano lentamente e le sale emergenze vengono pulite, mentre i medici di guardia si buttano su un letto in qualche stanza per riprendere il filo di un sogno perso ore prima, al suono fastidioso del cercapersone.



Derek accetta il bicchiere e appoggia la schiena alla balaustra, dando le spalle alla gigantesca finestra che si apre sul mondo esterno. Prende un piccolo sorso di caffè e resta in silenzio, studiando la figura di sua moglie, accanto a lui, a lungo e senza imbarazzo come si fa con una bella fotografia.
Porta il camice blu scuro da sala operatoria – dettaglio che si concede solo durante i turni di notte, perché di giorno ci tiene ad indossare uno dei suoi vestiti eleganti sotto il camice bianco – e i capelli rossi sono sciolti sulle spalle e ricadono morbidi sul semplice cardigan grigio. Guarda fuori, scruta nella penombra del primo mattino le sagome degli alberi ancora spogli e, in lontananza, i profili delle montagne ricoperte di neve. Ad un tratto, forse insospettita dal lungo silenzio, si volta nella sua direzione e lo coglie mentre è intento ad osservarla.

“Che c'è?” chiede con un'espressione a metà tra l'imbarazzato e il compiaciuto.
“Niente” risponde svelto lui, incrociando le braccia al petto mentre mostra quel suo sorriso un po' sfacciato, come se avesse sempre qualcosa per cui ridere di cui gli altri sono all'oscuro.
Addison sostiene il suo sguardo per qualche momento, decisa a fargli sputare il rospo, ma alla fine sospira divertita e torna a posare gli occhi sul paesaggio di fuori. Derek dal canto suo, per nulla indispettito per essere stato scoperto, continua ad osservarla in silenzio: gli sembra di non guardarla davvero da troppo tempo.



Prima c'era stato l'ultimo anno a New York, con i suoi alti e bassi al lavoro e i mille impegni che li avevano progressivamente allontanati; poi c'era stato Mark e per un po' gli era stato difficile guardare sua moglie senza provare un vago disgusto – e forse per quello era finito tra le braccia di Meredith, Meredith così diversa da Addison, così giovane e ingenua e fresca, una ventata d'aria frizzante dopo la delusione di trovare sua moglie a letto con il suo migliore amico.
Ma poi anche la nausea era passata.

Forse i primi tempi non aveva davvero perdonato Addison per quello che gli aveva fatto, ma oramai riconosce la propria buona dose di colpa nel rendere il loro matrimonio il gran casino che è diventato e non le porta più rancore.
Vuole davvero ritrovare quel rapporto così speciale che hanno condiviso per quasi quindici anni, perché anche se si è innamorato di Meredith non può ignorare il fatto che il suo cuore sia appartenuto ad un'altra donna per tutto quel tempo: ha amato Addison come si può amare la donna della propria vita, tanto intensamente da perdere il fiato e le forze.
Ciò che vuole capire è se quello che prova per Meredith è passeggero: riprendere in mano il suo matrimonio, riscoprire sua moglie e il loro rapporto forse sarà in grado di far sbiadire i sentimenti che nutre verso Meredith e restituire loro ciò che condividevano.

E mentre osserva Addison e si rende conto che è bella, è davvero bella in un modo che non ricordava, si dice che il tempo sistemerà tutto.



“Pensavo alla terrazza, a New York. Quando non atterravano gli elicotteri” prorompe dopo un po' lei, rigirandosi pensierosa il bicchiere di carta tra le mani. Sembra aver già dimenticato il veloce scambio di battute che c'è appena stato, visto lo sguardo intenso che gli punta in volto. Uno sguardo che collega presente e passato.
“Ne abbiamo una anche qui” replica Derek continuando ad osservarla, il mezzo sorriso sornione di chi a sa lunga. Addison fa un piccolo cenno del capo, come a concedergli di aver detto una cosa giusta, ma non si lascia distrarre.
“Mi piaceva andarci a quest'ora. Qualche volta riuscivamo a vedere l'alba” ricorda piano, e sotto lo sguardo che scivola di nuovo fuori dalla finestra si dipinge un panorama diverso, con miliardi di luci piccole e grandi, insegne al neon e lampioni che si spengono tremolando mentre la città che non dorme mai si sveglia pigramente. C'è un giovane con un vecchio cappotto che la stringe a sé in quel ricordo, braccia gentili che le circondano la vita e parole sussurrate all'orecchio, mentre il cielo scuro si tinge di striature rosate.

“Possiamo farlo anche qui” suggerisce la voce di Derek, di nuovo gentile, quasi non volesse disturbare il suo sogno ad occhi aperti. O forse vede anche lui le due figure silenziose che, strette l'una all'altra, sembrano confondersi nel trionfo di luce di quell'alba lontana, ed è loro che non vuole disturbare. “Anzi, a dir la verità mi piacerebbe vederla al molo dei ferry boats”.
Addison torna a guardarlo, prende un sorso di caffè e sorride.
“Piacerebbe anche a me” ammette, appoggiando a sua volta la schiena alla balaustra e facendosi un poco più vicina al marito. Sospira appena e, dopo un breve momento di indecisione, posa la testa sulla sua spalla e chiude gli occhi.



Non è sempre facile, con Derek.
Non lo era a New York, gli ultimi tempi prima di Mark, e sicuramente non lo è a Seattle: spesso suo marito si pone ancora sulla difensiva oppure resta lontano, rendendole impossibile capire che cosa gli passi per la testa.
Ma Addison tiene duro. Non è arrivata fin lì, in quella piovosa città che non ha nulla a che fare con lei, per lasciarsi scoraggiare: ci stanno provando. Devono stringere i denti nei momenti difficili e godersi i piccoli passi della riconciliazione, per riuscirci davvero.



Un braccio di Derek le cinge le spalle e lei si rilassa un poco contro il suo fianco, lasciandosi andare ad una piccola risata.
“Sarà un'impresa riuscire a trovare una giornata di sole, da queste parti”.
Derek ridacchia a sua volta e segue con lo sguardo un infermiere che passa loro davanti con passo stanco. La mano carezza lenta il braccio della moglie, distrattamente.
“Male che vada ci rimane questo posto. Non è come il molo, ma a me piace”
“È bello, sì” concorda Addison alzando la testa e sorridendogli con dolcezza, mentre l'uomo le sorride di rimando.

Un tempo l'avrebbe baciata, l'avrebbe baciata senza pensarci perché era così raro riuscire a ritagliarsi un momento solo per loro in cui non essere inopportuni nel via vai infinito dell'ospedale, e quando lei gli sorrideva in quel modo gli era davvero difficile tenersi lontano dalle sue labbra.
Ora però non lo fa. Sa che il suo sguardo tradisce quell'esitazione, ma non lo fa: non sa bene nemmeno lui perché, forse è per Meredith o forse è per Mark o perché nella sua testa c'è tanta di quella confusione che potrebbe farsi ricoverare in psichiatria e nessuno avrebbe da obiettare.
Sorride a sua moglie e poi distoglie lo sguardo, limitandosi a stringersela addosso e a nascondere quel breve momento di imbarazzo dietro il bicchiere del caffè.

“Pensavo che non mi sarei mai abituata alla pioggia, sai” fa allora lei – benedetta Addison, dolce e paziente Addison, che lo conosce come le sue tasche e ha capito, ma non fa domande – “Ma ha il suo perché. Soprattutto sul tetto della roulotte, la notte”
Quel ticchettare ritmico, infinito, le tiene compagnia per ore quando resta sveglia nel buio ad ascoltare il respiro leggero di Derek: immagina che i pensieri che le tolgono il sonno scivolino via come gocce di pioggia e si lascia cullare dal loro ritmo regolare, finendo per assopirsi a sua volta.

“Credevo che odiassi la roulotte”
“Odiavo anche Seattle, se è per questo. Ma a tutto si fa l'abitudine” replica lei, ignorando la sua leggera ironia e lasciandosi andare ad un piccolo sospiro. “Non è New York, ma potrebbe comunque essere casa”.

Derek non risponde. Apre appena la bocca per dire qualcosa – che Seattle diventerà casa, devono solo avere pazienza e fare un passo alla volta e tutto si risolverà – ma la richiude quasi subito, limitandosi ad annuire e a posare un bacio leggero sulla testa di sua moglie.



È solo questione di minuti prima che i loro cercapersone riprendano a suonare come impazziti e l'ospedale si riempia di nuovo di vita e morte, dando il via ad una nuova, faticosa giornata in cui rimettere insieme i pezzi del loro matrimonio. Ma in quel momento – nonostante l'alba sia ancora lontana, nonostante non ci siano i grattacieli di New York a fare da sfondo ad un bacio e anzi, non ci siano né baci né lo stesso amore di allora né alcuna certezza che ce la faranno – in quel momento non importa se Seattle non è casa: quell'abbraccio è la cosa che più le assomiglia.








Angolino dell'autrice
I professori ci riempiono di studio e io riempio la sezione di Addek. Sensato, no?
Il fatto è che le idee di queste storie mi tormentano per tutto il giorno, a scuola, ma quando arrivo a casa diventa davvero lungo e difficile buttare giù per bene quello che ho in testa - ovvero un gran casino per la maggior parte del tempo - e rubo un sacco di tempo allo studio.
Ma tant'è. 
In TV stanno rifacendo la seconda stagione di Grey's Anatomy (la terza, da oggi) e io mi sono lasciata trascinare dalla nostalgia nel rivedere insieme Addison e Derek (troppe poche scene, a mio parere. Ovviamente).
Che altro dire? Spero che questo esperimento - perché per la prima volta esploro i pensieri di Derek a Seattle - sia riuscito e che a qualcuno piaccia :)
Alla prossima e stay Addek! ;)

  
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