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Autore: ninety nine    15/10/2015    5 recensioni
[1987 parole/ Morgana & Gwen / Child!Morgana & Child!Gwen /Seconda stagione - Pre serie Tv]
A Camelot è finalmente giunta la figliastra del re, di cui tutto il popolo da tempo parla. La ragazzina è bella come un fiore a primavera, ma sotto i suoi occhi si notano ombreggiature scure che raccontano di incubi e notti insonni.
Sarà una sua giovane coetanea, Ginevra, ad essere condotta nelle sue stanze per aiutarla e per insegnarle che a un incubo non ne segue mai un altro. Basta chiudere gli occhi.
DAL TESTO:
''Chiudete gli occhi, mia signora. Raramente a un incubo ne segue un altro.''
La ragazza sorrise, ma quel suo sorriso sembrava spento dalle ombre.
''Mi avete detto la stessa cosa la notte del nostro primo incontro'' osservò, con gli occhi perduti fra i ricordi.
''Rammendate quel giorno?''
Morgana annuì piano.
''Come potrei dimenticarmene?''
Poi fece come Gwen le aveva consigliato, quella sera di tanti anni prima e poi ancora per molte nottate nel corso del tempo.
Chiuse gli occhi e lasciò che il sonno sopraggiungesse, questa volta sereno, portando con sé il ricordo di due bambine destinate a crescere insieme.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Gwen, Morgana, Principe Artù, Uther
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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                         Close your eyes, my lady



                                         




Un urlo terrorizzato risuonò fra le mura in pietra della stanza.

Tutta Camelot dormiva, pacifica.

Il castello stesso sembrava immerso in un'atmosfera surreale, illuminato com'era dai riflessi della luna sulle piastrelle del pavimento.

Ed erano proprio quei bianchi giochi di luce che Morgana osservava, seduta sul letto, con i grandi occhi verdi spalancati e ancora persi tra le nebbie dell'incubo da cui si era appena risvegliata.

I lunghi capelli neri le incorniciavano il viso dagli zigomi pronunciati, macchiando la pelle pallida di ombre scure che parevano un infausto presagio.

''Mia signora!''

La ragazza udì con sollievo la voce della serva mentre accorreva in fretta, abituata com'era a quei risvegli improvvisi.

Morgana sapeva che Gwen era legata a lei da un rapporto di profonda devozione, ma le piaceva considerarla come qualcosa di più che una semplice serva. Infatti, era stata l'unica persona simile ad un'amica per lei e la considerava come tale a tutti gli effetti. Uther probabilmente non avrebbe apprezzato, ma negli ultimi tempi sembrava che le divergenze fra di loro si stessero ampliando sempre più.

Sentì i tratti del viso che si rilassavano mentre la giovane si sedeva sul bordo del suo letto.

''Va tutto bene, mia signora?''

Lei annuì, anche se dentro di sé sentiva ancora paura per ciò che aveva veduto, e tornò a stendersi fra i morbidi cuscini.

Stava imparando a convivere con i sogni che sempre più spesso le facevano visita, anche se ogni volta la sconvolgevano maggiormente.

''Sì, grazie, Gwen. Si è trattato soltanto di un incubo. Non dovresti accorrere tutte le volte: ti meriti di riposare, lo sai.''

Ginevra sollevò le spalle, accarezzando il morbido velluto delle coperte e poi le scostò i capelli dalla fronte perlacea.

''Non vi preoccupate per me e chiudete gli occhi, mia signora. Raramente a un incubo ne segue un altro.''

La ragazza sorrise, ma quel suo sorriso sembrava spento dalle ombre.

''Mi hai detto la stessa cosa la notte del nostro primo incontro'' osservò, con gli occhi perduti fra i ricordi.

''Rammendate quel giorno?''

Morgana annuì piano.

''Come potrei dimenticarmene?''

Poi fece come Gwen le aveva consigliato, quella sera di tanti anni prima e poi ancora per molte nottate nel corso del tempo.

Chiuse gli occhi e lasciò che il sonno sopraggiungesse, questa volta sereno, portando con sé il ricordo di due bambine destinate a crescere insieme.

 

                                                                                ***

 

La carnagione bronzea di Ginevra brillava nella luce del sole.

Anche lei, come tutto il popolo, era corsa in piazza non appena aveva saputo che la giovane figliastra del re stava giungendo a Camelot.

Non sapeva che cosa aspettarsi da quella figura avvolta nel mistero e tutto ciò che c'era nella sua fantasia era frutto di sussurri uditi tra le viuzze della città.

Si diceva fosse bella come un fiore in primavera, ma con un carattere peperino; qualcuno addirittura osava affermare che sarebbe riuscita a tenere testa a Uther molto meglio del ragazzetto biondo che lo osservava non da figlio, ma con la deferenza di un suddito.

E tutti dicevano che lei, la figlia del fabbro, era destinata ad essere la sua serva.

Dentro di sé non sapeva se esserne onorata o se averne paura. Sua madre era stata la serva della regina Igraine, prima che questa spirasse dando alla luce l'erede del Pendragon. A quel punto, si era ritrovata senza un lavoro e aveva chiesto al re di poter essere trasferita dove necessario: nelle cucine del castello.

Le sue mani, già rovinate, avevano iniziato a scheggiarsi come i bordi di quei piatti che doveva lavare. Era soltanto l'occhio attento di Gaius che permetteva alle ferite di non infettarsi.

Fino al giorno in cui il medico era dovuto rimanere al fianco del piccolo Artù caduto da un cavallo che non avrebbe dovuto montare e i tagli di sua madre avevano iniziato ad infettarsi, fino a costringerla a letto con la febbre. Fino ad ucciderla.

Quante lacrime aveva versato la bambina quella notte? Quanto aveva implorato il padre di farla tornare in vita? Soltanto le mura della sua umile casa potevano saperlo.

Lei ricordava soltanto il sapore salato delle lacrime sulle labbra, le mani del padre sui capelli ricciuti e le sue parole: ''Chiudi gli occhi, tesoro. Chiudi gli occhi e promettimi che non odierai il principe per questo.''

Di solito era la madre che le diceva quelle parole, dopo la storia della buona notte. Leggende di fate e di streghe e di antiche religioni. Leggende bandite, ma che continuavano ad essere tramandate nel silenzio della notte.

In quanto alla seconda parte, lei non avrebbe odiato Artù. Quel ragazzino la incuriosiva e le faceva pena. Lo immaginava correre da solo tra le imponenti sale del castello, senza nessuno con cui giocare, senza poter sporcarsi, cresciuto tra tutori e soldati ma senza un padre o una madre ad osservarlo e a guidare i suoi passi. Perché avere un padre re era come non averlo.

Non lo avrebbe odiato per essersi preso Gaius, perché il posto dell'uomo era quello. Sua madre era stata fortunata ad averlo accanto per quasi sei anni, oppure sarebbe morta molto prima e lei non ne avrebbe nemmeno serbato il ricordo.

No. Se avesse avuto l'occasione per farlo, e soprattutto la necessaria sfrontatezza, avrebbe detto ad Artù quanto lo considerava idiota per aver montato il cavallo del re e per essersi fatto disarcionare, ma non l'avrebbe odiato.

Ed ora, mentre osservava proprio quel cavallo, cavalcato dal legittimo proprietario nel cortile di Camelot, in attesa di una carrozza il cui rumore già iniziava ad udirsi in fondo alla via, Ginevra cercava di dare un viso alla ragazzina che vi sedeva all'interno e quel viso prendeva i tratti di sua madre. Conosceva l'improbabilità di quelle fantasie, che venne infatti confermata.

Carnagione d'avorio, capelli morbidi e corvini, occhi verde- azzurro tanto intensi da sembrare dipinti con l'acqua del mare.

Morgana sembrava davvero una regina. Pareva che un pittore avesse preso tutti i colori che in natura si opponevano fra l'oro e li avesse uniti magistralmente in un unico quadro.

A rendere ancora più intensa quella sensazione erano le occhiaie, che a Ginevra non sfuggirono. Sul biancore della pelle eburnea sembravano macchie, ma aiutavano a renderla ancora più bella e misteriosa.

Si sentiva piccola nel guardarla, piccola e popolana. Eppure, anche da lontano si poteva notare come la principessa fosse infelice, mentre scendeva dalla carrozza e veniva aiutata a montare sul cavallo, quasi in braccio a Uther, che le cinse le spalle con fare protettivo e poi, salutando la folla, rientrò nel castello. Dietro di lui, a piedi e con la schiena diritta, rientrò Artù, ma Ginevra non poté non notare lo sguardo che aveva lanciato alla sorellastra, che sembrava aver conquistato il cuore del re in pochi istanti ben più di quanto non avesse fatto il bambino in dieci anni di vita.

Anche Gwen si voltò e corse a casa, senza sapere che le voci al mercato avevano ragione: le strade sue e di Morgana si sarebbero incrociate di nuovo.

 


Quella sera, Ginevra era a letto e ascoltava i rumori prodotti dal padre nella fucina. Era dalla morte della moglie che Tom lavorava fino a tardi. Diceva che era per compensare la sua mancanza a livello economico, ma la ragazzina era perfettamente consapevole che lo faceva anche per tenersi occupato e non cedere al dolore. Esteriormente, sembrava ancora la roccia di un tempo, ma dentro di se presentava alcune crepe, sapientemente riempite di metallo fuso, come diceva lui stesso ogni volta che qualcuno toccava l'argomento.

Di conseguenza, per Gwen non c'erano più state storie della buona notte, ma soltanto un frase, pronunciata ogni sera dal padre prima che si ritirasse nel laboratorio.

Chiudi gli occhi, tesoro.

Gwen lo aveva appena fatto quando sentì qualcosa mutare sulla strada. Passi pesanti, passi da soldato, che si fermavano di fronte al loro uscio. Si mise a sedere sul letto e rimase a guardare la porta, non sapendo bene cosa aspettarsi. Anche Tom sentì i rumori ed entrò nella stanza appena in tempo per sentire i colpi all'uscio.

''Stai tranquilla, Gwen'' sussurrò alla figlia prima di aprire ai cavalieri, ma a lei non era sfuggito il suo sguardo preoccupato. Cosa potevano volere da loro a quell'ora della notte?

''Il re richiede la presenza di una bambina a palazzo. La giovane figlia di Gorlois fatica a dormire e...''

Tom annuì, interropendo la giovane recluta che gli stava davanti e che sembrava incredibilmente in imbarazzo nel fare quella richiesta.

''E avete pensato alla mia Ginevra, dato che il re conosceva bene le capacità di sua madre.''

Il fabbro si voltò con il viso teso e osservò la figlia, in piedi, con le gambe magre che spuntavano dall'orlo della camicia da notte.

''Accetterete?'' domandò il cavaliere, sottovoce.

Più paia di occhi si puntarono sulla ragazzina, che sollevò il mento. Lo diceva la gente al mercato, che le strade sue e della figliastra di Uther erano parallele. Finse di non sentire la paura che faceva capolino nel suo cuore.

Sarebbe andata là, vicino a dove aveva camminato sua madre. Avrebbe visto gli stessi corridoi. Le stesse stanze. Le stesse persone.

Prima che il ricordo della donna dalla carnagione color caramello che se n'era andata ormai da anni tornasse con troppa insistenza, annuì.

 

 

Eccola lì, Morgana. Una bambola di porcellana adagiata in un letto troppo grande per lei.

Le ombre scure che aveva sotto gli occhi sembravano essersi intensificate e Gwen avrebbe potuto giurare di aver visto una lacrima scivolarle su una guancia. Una perla piovuta dal cielo, un regalo della luna per rendere ancora più bella quella creatura.

''Morgana.''

Uther Pendragon in persona l'aveva accompagnata nelle stanze della figliastra. Ginevra si era sentita come uno straccetto in mezzo a rotoli di seta, ma aveva mantenuto il mento e le spalle ben diritte.

Proprio come sua madre aveva detto il re osservandola qualche istante più del dovuto. Proprio come Igraine aveva aggiunto poi, nominando la moglie defunta.

Era stata paragonata sia a una serva che a una regina, quella sera. La ragazzina non sapeva se sentirsi onorata oppure spaventata.

''Lei è Ginevra. Spero possa aiutarti, tesoro.''

Tutti i padri chiamavano i figli tesoro? Anche Tom lo faceva, con lei.

Qualche battito di ciglia, il cigolio del legno che si serrava ed erano rimaste sole.

La principessa e la serva, nascoste tra le ombre della luna piena.

La seconda mosse qualche passo verso il letto, senza sapere bene che cosa fare. Non aveva fratelli, non sapeva che cosa volesse dire avere un coetaneo da far addormentare. A dire la verità, non sapeva nemmeno bene cosa volesse dire rapportarsi con un coetaneo, sopratutto se era un gradino più in alto e non c'era modo di colmare quella distanza.

''Mi chiamo Ginevra. Ma potete chiamarmi Gwen.''

Si morse il labbro, sentendo che a quella frase mancava qualcosa. Ripensò alle storie di sua madre e aggiunse ''Mia signora.''

Parole che suonavano strane fuoriuscite dalla sua bocca, ma a cui si sarebbe dovuta abituare. Nemmeno un lampo di sorpresa passò negli occhi di Morgana. Ci era abituata, lei. Per tutti una figura della famiglia reale, per tutti una signora.

Eppure, le faceva pena. Non le sarebbe piaciuto essere seduta tra quelle coperte, tormentata da incubi e famigliari morti in nome della gloria di un regno.

Era già troppo difficile sapere di avere una madre morta per portare qualcosa in tavola.

''Se avete già avuto un brutto sogno, potete chiudere gli occhi, ora. Quasi mai a un incubo ne segue un altro'' sussurrò nel buio della stanza.

Ed eccolo, un lampo di sorpresa nel verde impassibile, subito coperto dalle palpebre che si abbassavano e da un ''Grazie'' pronunciato quando il sonno aveva già quasi avuto la meglio.

E lei, Ginevra, quasi fosse una cosa normale andò a sedersi sulla morbida poltrona di fianco al letto e chiuse gli occhi a sua volta, assopendosi, pronta a risvegliarsi per allietare di nuovo Morgana.

Ma non successe, perché a un incubo non ne segue mai un altro.

 

 

 

Aiuto gente. Sappiate che ho quasi paura a pubblicare questa storia, poiché è il mio primo esperimento sul fandom di Merlin nonché il mio primo esperimento pubblicato nella sezione serie TV.

Ebbene, ho deciso di raccontare di Morgana e Gwen, il cui rapporto mi ha molto colpito nelle prime due stagioni (ehm...dalla terza cambiano un po' di cose, ma ho immaginato la prima parte di questa storia ambientata nella seconda stagione, prima della comparsa di Morgause ma quando già Morgana iniziava ad essere in disaccordo con Uther sulla questione magia).

E ho colto al volo il prompt ''Chiudi gli occhi'' della Challenge ''Bdenvenuti al banco dei prompt'' per raccontare del loro primo incontro.

Ho un debole per i personaggi bambini e spero di averli resi al meglio...in qualche istante della storia compare anche quel piccolo asino di Artù ^^

A proposito di lui, l'episodio della caduta da cavallo l'ho gentilmente preso in prestito dal libro ''Le nebbie di Avalon''!

Piccole note temporali su questa storia:

1.Dalla secondo episodio in poi, i protagonisti hanno all'incirca dieci anni, come accennato nella serie

2. Ho immaginato che la madre di Gwen fosse la serva della regina Igraine. Quindi, il suo trasferimento nelle cucine avviene con la nascita di Artù, dieci anni prima della vicenda narrata, e la sua morte quando il principe e quindi Ginevra hanno intorno ai sei anni.

Spero così sia più chiaro ^^

Spero tanto che questa storia vi sia piaciuta, lasciatemi un commento e vi regalerò un piccolo cuccioloso Artù bambino XD

A presto 99

 

 

  
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