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Autore: Bab1974    15/10/2015    1 recensioni
Storia partecipante al contest indetto sul forum si EFP da Naraja 'Verso l'infinito e oltre'.
Thomas è un giovane Tenente spaziale che si ritrova in missione in un pianeta da cui è stato rapito in fasce, per salvargli la vita, faccenda che gli è stata raccontata solo di recente. Sa che durante la missione verrà tutto galla e non sa se riuscirà ad affrontare bene il tutto. Cercherà di battersi contro la paura che lo attanaglia e i demoni che si porta dentro, all'interno degli alberi che costituiscono le abitazioni dei Tritoniani.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'albero del male
L'albero del male



Thomas osservò il panorama che si estendeva davanti a lui: un'infinita marea di stelle. Dopo sei anni la maggior parte degli astronauti cominciava ad annoiarsi della visione, ma lui no, non si sfamava mai dello spazio profondo. Lo aiutava a concentrarsi sui propri pensieri e, se era solo, senza nessuno che lo disturbasse, era ancora meglio. Si isolava spesso dagli altri, tanto che lo ritenevano strano. Non che gli importasse molto, era sempre stato trattato come un diverso. Anche se non era una cosa inusuale che due persone dello stesso sesso adottassero un bambino, si era sempre sentito isolato dagli altri, come facente parte di un altro mondo.
E infondo così era.
Non era un terrestre, anche se la sua specie era talmente simile che poteva confondersi. L'unica differenza erano i simboli che aveva su tutto il corpo, esclusi mani e volto, una specie di strano tatuaggio che molti gli invidiavano, ma che lui avrebbe volentieri cancellato. I suoi genitori terrestri, Claude e Joshua, non avevano voluto, quando era minorenne, eliminarlo, dicendo che faceva parte di lui, del suo passato, poi, appena avuta l'età per fare ciò che desiderava, si era reso conto di non desiderarlo più..
Ora era lì a pentirsi di quella decisione e a chiedersi se non fosse ancora in tempo a tornare sui propri passi.
Una mano posata sulla spalla lo fece sussultare dallo spavento e si portò una mano al cuore, voltandosi all'indietro.
"La smetti di venirmi alle spalle? Un giorno mi farai venire un infarto." esclamò. Il suo sorriso dimostrò che, nonostante le rimostranze, era contento di vedere il suo compagno di viaggio. Era uno dei pochi esseri viventi di cui si fidava, forse perché anche lui aveva avuto un'infanzia difficile, anche se non per i suoi stessi motivi. "Mi chiedo come fai a essere così silenzioso!"
"Le mie ossa non scricchiolano come le tue, caro." lo canzonò Pilar. "Allora, ancora perso nei tuoi pensieri? Spero che tu ne sia venuto a capo dopo un giorno di solitudine."
"Davvero è passato così tanto tempo? Non me ne sono reso conto. Ciò significa che è parecchio che non mangio e bevo."
"E che non caghi. Si capisce da lì che non sei terreste al cento per cento."
La battuta non rallegrò affatto l'umore di Thomas che continuò ad osservare lo spazio infinito.
"Tu non capisci. Potrebbe essere stato un errore mortale, per me, accettare questa missione. Quando Cinthia ha saputo che mi volevano spedire su Triton, il mio pianeta natio, ha dovuto raccontarmi la storia della mia nascita. Fino a qualche mese fa aveva taciuto tutto, forse per non rendere ancora più difficile la mia esistenza, ma non ha potuto farlo oltre."
Pilar si sedette accanto a lui.
"Me lo hai già detto, ma perché non mi racconti i particolari? O non ti fidi neppure di me?" La sua voce aveva un che di offeso, come se si sentisse tradito nei sentimenti più profondi.
Thomas sapeva che Pilar era innamorato di lui, ma preferiva non prenderlo in giro. In realtà provava qualcosa nei suoi confronti, ma non sapeva ancora esattamente cosa, se amore o solo amicizia e, prima di illuderlo, voleva sincerarsi dei propri sentimenti.
"I tatuaggi che ricoprono il mio corpo sono considerati malefici nel pianeta in cui ci stiamo dirigendo, quello su cui sono nato. Zia Cinthia ha rischiato la propria vita pur di salvare la mia, venticinque anni fa, e non ti dico il casino che è successo a livello diplomatico. Ha corso il rischio di far saltare tutti i contatti con quel pianeta retrogrado. Solo la finta notizia della mia morte ha rimesso tutto in gioco. Il pensiero di mettere piede in quel posto mi da i brividi."
Pilar lo aveva ascoltato senza fiatare. Gli credeva: era uno studioso e, ogni volta che doveva partire per una missione in un pianeta nuovo, s'informava su ciò che avrebbe potuto incontrare e il racconto che gli aveva accennato Thomas corrispondeva perfettamente alle caratteristiche degli abitanti. Contadini e marinai ignoranti che consideravano ancora uno starnuto fatto senza ragione un cattivo auspicio.
"Così sei tu il bambino che è descritto nella guida ai pianeti? Pensavo che fosse una leggenda."
Thomas lo guardò per la prima volta in faccia.
"La guida parla di me?" chiese come se non volesse comprendere appieno quello che gli stava raccontando.
"Certo."
Pilar prese il palmare che portava sempre con sé, dal quale non si separava neppure per andare in bagno, e accedette alla Guida dei Pianeti. Premette il pulsante dell'ultima ricerca effettuata e le immagini e la storia di Triton apparvero sullo schermo. Un altro tocco e lo porse a Thomas.
La sua storia, come gli aveva raccontato Cinthia, era impressa lì, compresi i nomi dei protagonisti. Era la prima volta che sentiva il suo vero nome, Lonar. Lei era stata cacciata con infamia dalla Confederazione dei Pianeti e non poté più partecipare a nessun altra missione interplanetaria, da nessuna parte dello spazio, almeno non quelle convenzionali. Ora capiva anche perché non era stata lei ad adottarlo, dopo averlo salvato. Già era stato un rischio cederlo, parola grossa ma che rendeva l'idea, al fratello gay e al suo compagno, pur di non perderlo di vista.
"Tua zia ha avuto davvero un gran fegato quella volta." si complimentò Pilar "Alla fine è riuscita a salvare te e la situazione politica, anche se ci sono voluti altri vent'anni, prima che firmassero il vero accordo. Credo che abbiano abolito quella legge che permetteva di uccidere i bambini solo per le voglie che hanno sul corpo, altrimenti non gli avrebbero permesso di entrare nella Confederazione. In realtà si dice che non li trattino molto bene, ma almeno non li fanno più morire d'inedia come prima."
Lo sguardo di Thomas, penetrante e triste, gli fece capire che questo non migliorava il suo umore.
"Questo spiega perché hai scelto di occuparti dell'orfanotrofio. Ok, ti lascio stare, ma promettimi di mangiare qualcosa prima dell'atterraggio, altrimenti non avrai la forza di scappare se attenteranno alla tua vita." sbottò poi fuggì, prima che la mano dell'amico si avventasse sulla sua faccia.



Alla fine si lasciò convincere e riempì il suo stomaco con quello che chiamavano cibo, mentre in realtà erano solo pasticche che avevano poco sapore ma tutta l'energia che serviva.
-Non so che darei per un bel piatto di lasagne.- pensò Tommaso, inghiottendo l'ultima pillola. Erano lisce e morbide, in maniera che potessero andare giù senza acqua, poiché non ne avevano a disposizione e riempivano lo stomaco in maniera eccezionale, ma non sapevano di nulla. Entro qualche minuto sarebbero atterrati sul pianeta e voleva essere in forma per affrontare il suo pianeta d'origine, soprattutto dal punto di visto psicologico. Per quanto riguardava il fatto di dover fuggire, la battuta di Pilar non era così capata per aria. Su suggerimento di Cinthia, si era preparato anche a quell'evenienza. Una navetta di salvataggio, che lo avrebbe trasportato nella stazione di rifornimento più vicina, era già pronta, con tutti i programmi attivi. Forse sarebbe stato inutile, ma era meglio prevenire.
Scesero tutti senza casco, solo con la tuta leggera, poiché l'aria era paragonabile a quella terrestre, forse solo molto più umida. Fu proprio in quell'aria tropicale, quasi irrespirabile, che pensò che la sua idea della navicella fosse ottima. I suoi compagni già chiedevano ai superiori se potevano levarsi le tute e lui non poteva neppure sollevare di un millimetro la stoffa senza che si intravvedessero i suoi tatuaggi. Dovettero camminare qualche miglio terrestre prima di arrivare a destinazione, una foresta formata solo da alberi millenari cavi, grandi come condomini, che veniva usati proprio a scopo abitativo. Il più grande di tutti, al centro di quella straordinaria foresta, era la loro meta. Vi si diressero, mentre i compagni di Tommaso si spogliavano della parte superiore della tuta. All'arrivo, solo lui, i superiori per darsi contegno e Pilar per solidarietà con l'amico, erano rimasti intatti.
Gli altri presero in giro il compagno a bassa voce, per non farsi sentire dal comandante. A ogni passo, Thomas si rese sempre più conto dell'errore che aveva fatto. La situazione stava diventando sempre più ingestibile ed erano appena arrivati. Durante i sei mesi seguenti, tanto sarebbe dovuta durare la missione per avvicinarsi al popolo di Triton, avrebbero dovuto imparare a vivere come loro e mangiato i cibi che preparavano. In cambio, la Confederazione Spaziale, avrebbe ceduto la tecnologia necessaria per facilitare i lavori del pianeta, senza alterarne la morfologia, com'era invece accaduto con la Terra. Capì che non poteva nascondere a lungo i suoi tatuaggi e si preparò al peggio. Per prima cosa, decise di scoprire se c'erano altri come lui, con i tatuaggi del male, come li chiamavano. Raggiunse l'albero in cui c'era l'orfanotrofio. Vi venivano allevati i bambini che rimanevano senza genitori e coloro che venivano ritenuti idonei a vivere nella società. Si era reso disponibile volontariamente a controllare la situazione proprio per quello.
"Salve, devo controllare lo stato dell'orfanotrofio." annunciò alla direttrice che era venuto ad accoglierlo. Era una donna alta, magra e dall'aspetto arcigno. Gli ricordò la descrizione che gli aveva fatto Cinthia e in realtà dimostrava settant'anni, quindi poteva essere sempre la stessa a cui era stato rapito.
"Lo crede necessario?" gli disse, osservandolo da capo a piedi con fare disgustato "Non ha caldo, così coperto? Se vuole posso recuperarle qualche veste più comoda."
"Per ora sto bene, grazie, ci penserò più avanti." la rassicurò "E sì, è necessario. Il punto principale, per cui la trattativa è durata tanto tempo, è che il vostro governo si rifiutava di trattare come esseri umani certi bambini. D'ora in poi, anche quando non ci saremo più, arriverà qualcun altro che sarà il controllore. Comunque mi chiamo Thomas Tryner."
"Io sono Miss Dravania Krader e potete chiamarmi Miss Krader e darmi del voi." ribatté lei piccata "Questi significa che io non conterò più nulla, suppongo."
"Dipende da voi. Le regole sono cambiate da tempo e per fortuna che vi siete adeguati o rischiavate delle repressioni fisiche. Io comincerei subito con i bambini con il tatuaggio particolare, giusto per mettere le cose in chiaro."
La donna sbuffò scocciata e, senza aggiungere altro, entrò e lo precedette. Camminava svelta per le stanze che conosceva bene e Thomas dovette faticare a starle dietro. All'improvviso, dopo aver percorso molta strada e aver lasciato quella che sembrava la zona abitata, si ritrovarono davanti a un enorme recinto. La zona era esterna all'albero, una costruzione fatta negli ultimi anni, come se contenesse qualcosa che non doveva contaminare gli abitanti della casa. Tipo i portatori di certi tatuaggi malefici. Per tutto il viaggio aveva osservato i disegni sulla pelle della donna e si era chiesto che differenza ci fosse con i suoi, da essere considerati demoniaci. Forse avevano una forma diversa, meno appuntita, ma non per questo riusciva a credere che li trovassero pericolosi.
"Perché è chiuso a chiave?" chiese a Miss Krader.
"L'unico maniera per convincere i tritoniani ad accettare di non eliminare questi esseri pericolosi, è stato che non potessero venire a contatto diretto con loro. Noi diamo loro cibo, vestiti, acqua per pulirsi. Non gli facciamo mancare nulla, ma non li vogliamo attorno. Mi sembra un buon compromesso." Il tono freddo della donna gli fece venire i brividi, ma cercò di non darlo vedere.
"Suppongo che l'affetto non sia tra le cose che voi ritenete necessarie." commentò alla fine, prima di mettere piede dentro il recinto.
Erano state costruite tante piccole casette tutte uguali. Erano almeno venti e alcune sembravano disabitate.
"Ci risulta che abbiate dodici bambini al momento, tutti sotto i ventuno anni, perciò minorenni." lesse Thomas su un tablet che gli avevano consegnato "Che succede a quelli che raggiungono la maggiore età?"
"Vengono pregati, con le buone, di abbandonare un pianeta in cui nessuno li desidera." raccontò la donna "Fino a questo momento non abbiamo problemi a cacciarli."
"Questo significa che potrebbe nascere una o più progenie di tatuati in un altra parte dell'Universo?"
"So che i sette che sono andati via finora si sono riuniti in seguito. Probabilmente anche gli altri andranno con loro, sperando che non appestino qualche pianeta."
"Chi si occupa dei piccoli?"
"Si arrangiano tra di loro. All'inizio abbiamo tentato di metterci qualcuno, ma non abbiamo avuto molta fortuna. Nessuno li voleva. Abbiamo anche tentato di darli in adozioni in altri pianeti, ma quando vedono i loro tatuaggi scappano."
-Allora scapperebbero anche per i tuoi, deficiente.- pensò Thomas che si stava irritando sempre di più del tono superiore di quella donna.
"Va bene." disse, trattenendo l'istinto di strozzarla. "Lasciatemi con loro. Chiudetemi pure dentro a chiave, non ho paura di rimanere solo."



Miss Krader chiuse a chiave la porta e Thomas si ritrovò in una gran distesa di prato. Il pianto di un bambino piccolo attrasse la sua attenzione e si avvicinò a una delle casette. Dentro una bambina, che non doveva avere più di sette anni, stava cullando un lattante. Entrambi avevano i tatuaggi appuntiti come i suoi.
"Ora il latte arriva, non preoccuparti, non possono più farci morire di fame, lo sai." sussurrò la bambina per consolarlo, ma il piccolino sembrava non comprendere quelle parole e continuava a frignare. Si voltò verso la finestra e vide Thomas che la fissava stupito.
"Chi va là? Come avete fatto a entrare?" lo rimproverò la bambina, stringendo di più il neonato come per proteggerlo.
Il ragazzo si scosse e si chiese se Miss Krader lo aveva fatto apposta o si era davvero dimenticata di sfamare quel bambino.
"Sono l'addetto della Confederazione Spaziale. Devo controllare le vostre condizioni e tentare di migliorarle, dove è possibile."
La bambina sorrise, ma non parve davvero divertita.
"Capita spesso che vi lascino senza cibo?"
Lei alzò le spalle, come se la cosa non le importasse davvero.
"Si tratta di una specie di congiura psicologica. Ho fatto il conto: ogni giorno ritardano di qualche minuto. Ormai riceviamo la cena per il pranzo, ma ci siamo abituati. Siamo troppo orgogliosi per lamentarci, tanto nessuno ci ascolta. Però Seon è troppo piccolo, ancora non capisce che vincerebbero loro se li  pregassimo."
Thomas si chiese se lo facevano apposta come gli era stato appena raccontato, ma sarebbero stati davvero idioti a farlo proprio mentre c'era il Controllore, o era talmente grande la loro ignoranza che non se ne rendevano conto?
"Cerco di recuperare il cibo, poi parleremo." Ritornò verso l'entrata e suonò il campanello che Miss Krander gli aveva indicato per uscire. La donna aprì uno spioncino per controllare chi suonava, poi fece un ghigno che stava perfettamente sulla sua faccia sterile.
"Si è già stancato, vedo." sogghignò "Sapevo che non potevano farle che cattive impressioni, a causa di quei disegni."
"Apriamo una parentesi. Io non vedo alcuna differenza fra quei segni e i vostri, quindi non mi fanno paura, né schifo, nessuno dei due." la apostrofò stufo di quel tono di sufficienza "Se sono qui è perché la prima cosa che ho visto, è un neonato che piange per la fame. Non so se lei ha figli, ma di certo non è informata del fatto che a quell'età devono mangiare ogni tre, quattro ore. Quindi se non mi fa portare del latte immediatamente, oltre che un rimprovero si avvererà la sua previsione di essere sollevata dall'incarico di direttrice. E poi parleremo anche della regolarità dei pasti per gli altri bambini."
Il tono di Thomas, che si era a malapena trattenuto nel primo dialogo con la donna, risultò talmente sgradevole che si diede i brividi da solo e sperò che non perdesse tempo a lamentarsi con qualcuno, piuttosto che si sbrigasse.
"Farò del mio meglio. La cucina è un po' lenta."
"Non si preoccupi per questo, da domani saranno i ragazzi più grandi a preparare i pasti, così non ci saranno più problemi."
"Non capisco."
"Non importa, faccia quello che lo ho detto e faccia presto."



Raggiunse di nuovo la casetta e avvertì la bambina che presto sarebbe arrivato il latte per il piccolo e la pregò di chiamare gli altri per poter parlare anche con loro, poi si guardò attorno. C'era molto spazio, a sufficienza perché potessero piantare un orto e un piccolo allevamento, compresa una capra per il latte del piccolo. I ragazzi avrebbero potuto imparare qualche mestiere, che non fosse quello del babysitter e avrebbero avuto più speranza di uscire da quell'inferno. Era ancora lì a rimuginare, quando fu raggiunto dagli altri abitanti di quella specie di prigione.
Dodici minorenni tatuati, come del resto gli altri Tritoniani, solo con disegni diversi dagli altri.
"Bene, vi dispiace presentarvi in ordine di età decrescente? Non ho ancora avuto occasione di vedere i vostri incartamenti. Comincio io. Mi chiamo Thomas Tryner, ma potete chiamarmi Tom."
I ragazzi si guardarono fra di loro, indecisi, poi uno di quelli che sembrava più grande mosse un passo in avanti.
"Mi chiamo Randar, ho quasi vent'anni." disse, con voce atona, quasi rassegnata.
"Quindi fra poco sarai maggiorenne? Dove hai intenzione di andare appena potrai?"
Randar si guardò attorno, nel recinto che era la sua casa da quando era nato, poi tornò a fissare di nuovo Thomas.
"Da nessuna parte. Rimarrò qui e mi occuperò dei miei fratellini."
La parola usata per descrivere gli altri lo commosse fino al punto che temette di non riuscire a parlare senza che la voce si rompesse. Riteneva suoi fratelli dei ragazzi con cui non aveva nessun legame di sangue, solo un disegno sulla pelle simile. Un carattere secondario raro che veniva trattato come simbolo del male. Respirò a fondo prima di continuare, non prima di aver preso appunto sul suo tablet.
"Potrebbero non mantenerti, una volta che non ne saranno obbligati."
Il ragazzo abbassò la testa, rendendosi conto che aveva ragione ed era certo che nessuno gli avrebbe dato un lavoro e la possibilità di vivere degnamente.
"Non mi hai detto il tuo cognome?"
"Non ne abbiamo. Il nostro stato ci rende figli indesiderati."
"Non è mai capitato che un genitore si sia rifiutato di consegnare il proprio figlio?"
"Da quando non veniamo più lasciati morire di fame, no. Almeno sanno che siamo vivi. Prima è capitato spesso che alcune madri abbiano cercato, in ogni modo, di nascondere il difetto del figlio, ma non si sa di nessuna che ci sia riuscita. L'ultima volta, prima che il bambino fosse rapito da una donna che ebbe pietà di lui, la madre cercò in ogni maniera di convincere tutti che la creatura che aveva portato in grembo per nove mesi non poteva essere malvagia, ma non ci fu verso. Alla notizia della fuga e dalla successiva morte, tentò il suicidio."
Thomas impallidì: stava parlando di sua madre?
"Sta male, signore?" chiese la bambina con il neonato in braccio.
"No, non vi preoccupate, è che queste storie mi fanno venire l'angoscia." si scusò Thomas "E non chiamarmi signore, ti prego, mi fai sentire vecchio. continuate a presentarvi."
"Elsia, ho diciotto anni." Femmina.
"Venimer, quindici." Maschio. 
"Jenima, quindici." Maschio.
"Wendel, quattordici." Maschio.
"Polita, tredici." Femmina.
"Erbal, dieci." Maschio.
"Tenis, otto." Maschio.
"Grandia, sette." Femmina, che stringeva sempre il piccolo.
"Zibet, cinque." Maschio.
"Anira, tre:" disse con voce squillante e infantile una bambina piccola.
"E questo," aggiunse Grandia, " è Seon. Ha tre mesi."
Thomas osservò i nomi che aveva inserito nel computer portatile e si chiese se poteva fare qualcosa per loro, per renderli più umani e meno diffidenti. Era logico che guardassero tutti con timore, essendo considerati scarti della società. Espose loro la sua idea di trasformare quel posto immenso in una piccola fattoria. Mentre raccontava di come avrebbero potuto coltivare verdure e allevare piccoli animali da cortile, tipo anche caprette che dessero il latte ai neonati, vide nascere sul volto dei più grandi un sorriso che poteva definirsi finalmente rilassato.
"Sarebbe bello." commentò infine Randar, che essendo il maggiore era stato scelto come portavoce. "Ci ritengono degli inetti buoni a nulla, solo a causa dei segni che abbiamo sul corpo. Passiamo la nostra giornata a zonzo, come unico compito solo quello di badare l'uno all'altro. Non puoi immaginare che significa vedere da vent'anni la faccia di una sola persona e sapere che questa ti odia per partito preso. Non abbiamo mai incontrato nessuno, a parte Miss Krander. Quando ci sono dei lavori da completare in una delle casette, ci chiude tutti in un'altra, perché nessuno possa rimanere offeso della nostra vista e non risparmia mai di ricordarci che saremmo tutti all'inferno da un pezzo, se fosse stato per lei."
"Davvero una santa donna." commentò sarcastico Thomas, strappando qualche risolino ai ragazzi "Le proporrò le mie idee e obbligherò qualcuno dei vostri amati concittadini a farmi qualche lavoretto e a regalarmi degli animali. Dovranno anche avere qualche contatto con voi, poiché voglio che vi insegnino tutto, per poi proseguire da soli."
Il campanello suonò e tutti i ragazzi rizzarono le orecchie. Corsero verso la porta e Miss Krander entrò spingendo un carrello stracolmo di roba. Grandia prese subito il latte cercando poi di svegliare Seon che, stremato, aveva finito per addormentarsi. Il piccolo, appena si rese conto di avere la tanta agognata pappa tra le manine, cominciò a succhiare con tanta foga, rischiando di rimanere soffocato. Gli altri si trattennero e attesero che la donna se ne andasse. Prima di farlo, però, Thomas le ricordò la regolarità nei pasti dei ragazzi e il latte per il neonato ogni quattro ore, notte compresa.
Miss Krander uscì a testa alta, cercando di mantenere un contegno.



I ragazzi approfittarono della bella giornata e mangiarono all'aperto, sopra a delle coperte non troppo pulite. Stavano borbottando tra loro, chiedendosi quanto sarebbe durato quello stato di grazia. Non riuscivano a fidarsi fino in fondo e poteva capirli. Nessuno aveva mai lottato per quei piccoli, non che si ricordasse, almeno e, chi lo aveva fatto, aveva avuto dei grossi problemi con la giustizia locale.
Assaggiò un poco dei piatti che erano stati preparati e fu sul punto di rimettere. Ridendo uno dei maschi chiese se non fosse troppo delicato di stomaco e dovette ammettere che i loro anticorpi anticorpi naturali dovessero essere davvero forti. Aveva già assaggiato pietanze locali, fatte con materie prime ottime e non gli aveva fatto quell'effetto.
O si trattava d un effetto secondario del viaggio, anche se non gli era mai accaduto personalmente, poteva succedere.
Oppure davano da mangiare a quei ragazzi i loro scarti, l'immondizia.
La seconda ipotesi gli diede la nausea e si chiese cosa potesse esserci nel latte che il Seon trangugiava con ingordigia.
Per un attimo la testa gli girò. Quel caldo, unito al cibo scadente e allo sporco presente ovunque, rischiò di farlo svenire e non c'era neppure una fontanella cui rinfrescarsi.
"Non stai bene?" chiese Randar, avvicinandosi preoccupato e cercando di sbottonargli la tuta,
A quel gesto Thomas si riebbe: non era ancora tempo che loro sapessero chi era e lo fermò.
"Ma non hai caldo con quell'affare addosso? Dovresti metterti qualcosa di più leggero. Se vuoi ti presto qualcuno dei miei abiti, dovrebbero starti." propose ancora il maggiore.
Thomas scosse energicamente la testa e si rialzò.
"Devo discutere di alcune faccende che vi riguardano con i miei superiori, prima lo faccio, prima avremo un riscontro positivo." si scusò abbandonandoli. Era vero, ma voleva anche a controllare di persona se il cibo che mangiavano fuori di lì era altrettanto disgustoso. Il suo stomaco brontolava, ma non era così disperato da mangiare quello schifo.
-Quasi, quasi, rimpiango le pillole, il che è tutto dire.-
Si avvicinò alla porta e suonò il campanello. Una scocciatissima Miss Krander, tornò da lui.
"Che cosa vuole questa vola? Non è ancora soddisfatto? Mi faccia una lista di tutte le sua lamentele, ho un sacco di amici che hanno voglia di ridere." lo apostrofò, secca.
"Davvero divertente, dovrebbe fare la comica." ribatté Thomas "Devo uscire e parlare con i miei superiori, se non le spiace."
"E... di cosa?" La donna sembrava preoccupata, tutto d'un tratto. Forse quel ragazzino non la spaventava, ma temeva il gruppo che si sarebbe creato lì.
"Del necessario. Ora mi fa la cortesia di aprirmi?" la invitò, cercando di essere meno scorbutico possibile, anche se era difficile.
Con riluttanza la donna obbedì e Thomas si sentì libero come non era mai stato.



"Allora, tenente Tryner, cosa ne pensi delle condizioni dell'orfanotrofio?" gli chiese il comandante della nave, vecchio amico di famiglia.
"Per ora ho controllato solo gli indesiderati, se posso chiamarli così e mi è sembrato di essere in una galera."
Lo informò di tutto ciò che aveva visto e delle idee che aveva avuto, chiedendo il suo parere.
"Beh, se non trovi nessuno che può aiutarti, potrei interessarmene io. Avrei fatto il contadino, se mi fosse andata male come pilota di caccia." rise l'uomo. "E tu, come stai? Cinthia si è raccomandata di tenerti d'occhio."
"La conosci da molto tempo?" s'informò, invece che rispondere.
"Ero un giovane alla mia prima missione importante, quando lei fece quella cosa. Non pensavo che sarei mai riuscito a vedere la fine di questa storia, sono un popolo talmente orgoglioso. Scommetto che hai un caldo bestiale."
"Non me lo ricordare! Non posso restare così a lungo. Non fanno che chiedermi se ho caldo, il che peggiora la situazione."
Furono interrotti da un uomo, che si tolse il cappello e li disturbò con un tossire discreto. I due lo squadrarono un attimo, poi il comandante Frase lo interpellò.
"Mi dica, cosa vuole che faccia per lei?" chiese.
"Mi chiamo Pertis Dunnar, Miss Krander mi ha detto che cercate qualcuno che aiuti quei ragazzi a rendersi indipendenti e vorrei rendermi disponibile per quanto riguarda l'agricoltura e l'allevamento degli animali. Mia moglie, invece, potrebbe insegnare alle ragazze a cucinare e cucire." L'uomo tacque e Thomas si ritrovò a bocca aperta, senza riuscire a dire nulla.
"Ci... sono dei problemi a riguardo?" chiese l'uomo timidamente.
"No, no, scusi, ma sono stupito." ammise il giovane "Miss Krander mi aveva assicurato che sarebbe stato difficilissimo trovare persone disponibili, e invece non sono passate neppure due ore."
"Potreste trovare altri, come noi. Abbiamo creato un'associazione segreta che riunisce chi è contrario alla segregazione di quei bambini. Non abbiamo potuto fare molto finora, ci siamo accontentati che stessero bene, ma con la vostra presenza contiamo di migliorare le loro condizioni."
Thomas prese con le mani dal piatto di Frase e si portò il cibo alla bocca, ignorando lo sguardo di rimprovero dell'uomo.
"Per cominciare, smetterei di sfamarli con quella merda. Certo che devono avere una salute di ferro, se non si ammalano. Quello che non ti uccide, ti rende più forte." poi si rivolse a Frase "Sono ancora in orario per mangiare? Ho fame e devo cavarmi dalla bocca quel saporaccio."
Frase gli cedette il suo piatto, poi si rivolse all'uomo.
"Gli appartenenti a quest'associazione, sono i genitori dei bambini rinchiusi lì dentro?"
Pertis annuì.
"Quindi anche suo figlio è uno di loro?"
Questa volta la sua testa scosse in un triste dondolio.
"Lui non è più tra noi." ammise "Solo per questo Miss Krander è venuta da noi, crede che siamo gli unici a voler contatti con loro."
"Suo figlio è morto d'inedia?" chiese con un filo di voce Frase, commosso.
"Come, non si ricorda? Eppure era presente anche lei, quella volta." insistette l'uomo "Nostro figlio fu rapito da una dei vostri soldati. Ci fu detto che erano morti entrambi durante la fuga."
Frase cominciò ad avere qualche flash di quell'uomo e dovette ammettere che la sua somiglianza con Thomas a quell'età era imbarazzante. Il ragazzo rischiò di strozzarsi con il boccone che stava masticando e si mise di spalle all'uomo sentendosi arrossare in volto. Quello era suo padre!
"Capisco, quindi Miss Krander pensa che voi siate gli unici interessati?"
L'altro stava per rispondere, quando furono interrotti da un giovanotto facente parte della missione.
"La donna di cui parlavate prima è Cinthia Carter, vero?" s'informò. Prima che qualcuno potesse rispondergli, tirò fuori il suo Pad e mostrò una foto. "Sono certo che sia questa e che sia più che viva. L'immagine risale a qualche mese fa. Per ragranellare qualche soldo, anche se è proibito, ho viaggiato per alcune compagnie non accreditate e lei era uno dei comandanti."
Vedendo il volto della zia Thomas ebbe un brivido: doveva essere stata scattata poco prima che lo raggiungesse e gli raccontasse la storia della sua nascita.
"Ehi, ma questa non è tua zia, Tom?" chiese un'altro suo collega, poi lo guardò "Ma non hai caldo?"
"Sembrate tutti molto preoccupati per i miei calori." lo apostrofò secco "In effetti, però, sto davvero morendo."
"Così mostrerai a questi contadini i tuoi di tatuaggi. In fondo non sono molto diversi dai loro." rimarcò l'amico.
"Già." accordò Thomas, poi, senza alcun preavviso, si sfilò la parte superiore della tuta, rimanendo a petto nudo.
La reazione delle persone presenti, la maggior parte dei quali nativi del pianeta, fu violenta, soprattutto a livello emotivo. Osservare quei disegni appuntiti, che molti avevano visto solo in immagini, fece loro pensare ai loro incubi peggiori. Non c'era nulla che potesse competere con il perdere un figlio in quella maniera e per una leggenda che non alcun vero fondamento.
L'uomo che era di fronte a loro li osservò un attimo imbambolato, non certo che ciò che aveva registrato il suo cervello fosse vero. Qualcuno alle sue spalle lo scosse e lui ritrovò la parola.
"Tu sei Lonar?" chiese con un filo di voce, non riuscendo a dirlo più forte. Thomas non rispose a quella domanda, ma neppure negò. "Quando tua madre ti vedrà..." allungò una mano verso il figlio ritrovato, ma la ritirò subito "No, glielo devo dire, se non la preparo questa volta le viene un infarto e muore sul serio." E corse via, lasciando il ragazzo circondato da persone che lo offendevano, senza osare avvicinarsi. Solo una donna,con gli occhi umidi, osò allungare il passo verso di lui.
"Tu... hai visto il mio piccolino? Sta bene?"
Un uomo dietro di lei la rimproverò, ma lei tornò ad avanzare imperterrita verso Thomas, le mani congiunte come in una preghiera.
"Lei è la madre di Seon?" chiese Thomas.
La donna annuì, cercando di dominare i suoi sentimenti, anche se si sentiva che faceva fatica.
"Tutti dicono che ci si abitua al dolore, ma credo che solo se mi cavassero il cuore dal petto, ci riuscirei."
Thomas si commosse per la dichiarazione d'amore di quella donna verso la creatura a cui aveva dato la vita e cercò di trattenersi.
"I bambini stanno tutti bene, anche se sono malnutriti e trattati come se non fossero che bestie. I vostri concittadini vogliono che siano indesiderati ed è così che si sentono. Mi stupisce che abbiano un linguaggio decente."
"Miss Krander fa loro lezione. Nessuno sembrava volersi occupare di loro e i genitori non se ne potevano interessare, per non rischiare la prigione o il manicomio."
"Gran donna! Mi fa paura pensare che starebbero peggio di così, senza di lei." Il sarcasmo di Thomas non fu ben accolto dai Tritoniani, che lo osservavano con disgusto. "Qualcuno ha una maglietta? Credo di aver già dato abbastanza spettacolo per oggi." aggiunse e prese al volo qualcosa che gli lanciò un compagno. "Torno al lavoro. Chiunque voglia aggregarsi per aiutarmi è ben accetto. Si rivolga a Pertis e ci raggiunga... quando tornerà." E uscì.



La reazione di Miss Krander, alla vista di quei tatuaggi, fu violenta quanto si aspettava. La donna si ritrasse, come se avesse visto un fantasma e i suoi occhi si inumidirono. Forse stava per piangere dalla paura. Si bloccò in mezzo alla porta non lasciando alcun passaggio.
"Miss Krander, le dispiace farmi entrare?" La donna, ancora imbambolata, dondolo da una parte.
"La avverto che fra breve potrebbero arrivare Pertis e qualche altro per iniziare un sopralluogo. Mi raccomando, faccia passare chiunque abbia voglia di unirsi a noi. E quando dico chiunque, intendo anche i genitori dei bambini rinchiusi qui dentro. Intanto mi faccia visitare il resto dell'orfanotrofio." ordinò.
Miss Krander, contraendo la mascella, precedette il ragazzo nella visita. Il resto dell'edificio era piuttosto regolare, quanto lo poteva essere un luogo ricavato da dentro un pianta più che millenaria.
"In che epoca fu costruito questo edificio?" chiese Thomas, mentre fulminava con gli occhi i bambini che lo osservavano per il suo tatuaggio strano, diverso dai loro.
"Circa ventimila anni fa, assieme al resto del nostro piccolo pianeta." raccontò la donna, la cui voce era meno ostile di quanto s'immaginasse "Ci fu una guerra fra quattro fazioni opposte. Alla fine si distrussero l'un l'altra, non vincendo nessuna. Questi alberi enormi, che lo erano già all'epoca, furono gli unici a rimanere intatti e i sopravvissuti decisero di usarli come casa. Fino a oggi e spero anche nel futuro, ci hanno protetto da ogni temperatura, dalla più fredda a quella tropicale, senza che una virgola cambiasse in loro. Abbiamo imparato dai nostri errori e ora siamo uno dei popoli più pacifici dell'Universo."
-Anche se siete crudeli con i vostri stessi figli.- pensò il ragazzo. Non si espresse a voce, supponeva che ormai si capisse quanto detestava la loro ideologia e anche il perché e non gli sembrava il caso di infierire. Stranamente fu proprio lei che ne accennò.
"Lei chi è?" chiese all'improvviso, appena finito il giro di tutto l'orfanotrofio, prima di tornare dai reclusi "Io sono qui da tutta la vita, da quanto non possiamo più decidere della sorte dei bambini, li ho allevati, volente o nolente, eppure non mi ricordo del suo volto. Perché?"
"Miss Krander, lei non ha davvero idea di chi potrei essere? Il signor Pertis, invece, l'ha avuta abbastanza chiara fin da subito, anche se, secondo quello che gli fu detto, avrei dovuto essere morto."
"Tu sei la fonte di ogni male?" chiese inorridita "Sì, avresti dovuto morire quel giorno, anche se dubito che sarebbe cambiato molto." Si toccò le meningi. "Sono stanca, mi hanno lasciata da sola a badare a quelle creature ignobili."
"Miss, sinceramente non vedo la forzo, visto che a fatica gli date da mangiare e da bere. E non credo che lei da sola si sia occupata di tutto, quindi la smetta di fare la vittima e prenda coscienza del fatto che se vuole continuare con questo lavoro, si deve adeguare più di quanto abbia fatto fino a ora."
La smorfia sul volto della donna, simile a una di un dolore cronico con cui si è costretti a convivere, lo rassicurò del fatto che poteva fidarsi di lei.
"Appena arriveranno i suoi concittadini per aiutarmi a sistemare le cose, li faccia passare." E si fece chiudere di nuovo con i bambini maledetti.



Appena messi gli occhi sui suoi tatuaggi, lo sommersero di domande. Thomas rispose come poté e raccontò loro la sua storia. Alla fine, il solito Randar, s'intromise.
"Quindi tu non sapevi nulla, prima che ti fosse affidata la missione?" chiese.
"No, la donna che mi portò via da qui e suo fratello, a cui mi affidò, preferirono non rivelarmi la verità, almeno non finché non mi proposero di partire. allora capì che dovevo sapere, per non rischiare inutilmente la vita."
"Quindi anche lei è viva?"
Thomas annuì.
"Finse la morte di entrambi per evitare che la nostra presenza influisse negativamente sui trattati che stavano proponendo a questo pianeta. Il vostro imperatore, però, fu costretto da allora a impedire che uccidessero i bambini con il tatuaggio sbagliato e, per quello che ne sapiamo noi, nessuno è più morto."
Il campanello suonò. Miss Krander apparve dallo spioncino.
"Quelli sono arrivati." disse senza trattenere un certo disgusto nella voce.
Thomas, capendo che con quelli intendeva i genitori dei bambini presenti nella prigione, fece subito largo. Con stupore si accorse che non erano da soli: con loro, la maggior parte, aveva portato altri bambini di tutte le età, fratelli che erano cresciuti con l'idea che mai avrebbero conosciuti i congiunti. Una bambina, che assomigliava in modo impressionante a Grandia, sia per fisico che per età, si avvicinò e gli tirò un lembo della maglietta.
"A scuola ci insegnano che i Tatuaggi del Male sono stati la causa della fine della nostra precedente civiltà. È vero?" chiese.
"Solo la follia degli uomini, può causare danni del genere. I bambini non fanno la guerra." cercò di spiegare Thomas, poi osservò la madre.
"Sono gemelle, vero?"
La donna annuì, le lacrime agli occhi.
"Pensavo che sarebbe stato più facie per me, rinunciando solo a uno dei miei figli, ma è solo una bugia che mi sono raccontata per evitare di soffrire. Oltretutto, pur non conoscendola, poiché abbiamo cercato di nascondere la verità, Ruthy ha sempre sentito la sua presenza, il suo dolore."
Thomas fece entrare tutti, cercando di ignorare gli sguardi della donna accanto a Pertis, che era bloccata, forse aspettando un cenno da parte sua. Lo spettacolo di quelle famiglie che si riunivano fu commovente ma mai come il primo incontro delle due gemelle. All'inizio Grandia non reagì, perché aveva ancor Seon in braccio, poi, una volta che la madre aveva preso con sé il neonato, si buttarono l'una fra le braccia dell'altra, come se non si fossero mai lasciate. Quindi le famiglie, rotto il ghiaccio in quella maniera, si riunirono. I ragazzi più grandi cercavano di rimanere seri, un po' come Thomas con i suoi, ma alla fine cedettero anche loro.
Thomas si sentì improvvisamente stanco: non si era fermato un attimo da quando era arrivato lì e aveva mangiato pochissimo. La rimpatriata, dopo anni di attese, non poteva essere trattenuta. Avrebbe pensato poi alla realizzazione dei suoi piani. Chiamò con la sua radiolina Fraser che lo raggiunse e prese il suo posto.
La moglie si voltò verso Pertis.
"Sei sicuro che sia lui?" chiese.
"Non sei contenta? Dicevi che era impossibile che fosse morto."
"In fondo forse è meglio così. Si vede che è cresciuto in una famiglia che l'ha amato. Ma non c'è fretta, abbiamo tutto il tempo dell'Universo per conoscerlo meglio.
  
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