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Autore: _sonder    15/10/2015    3 recensioni
Un ultimo salto nel buio prima della salvezza; un ultimo salto nel buio della propria mente.
La storia di uno sciacallo.
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Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA:
Sciacalli: è il gruppo di cui fanno parte Iane e i suoi compagni.
Cubo: è una stanza personale per il riposo dei membri della base - ma può riferirsi anche a un letto tecnologico.
Ostroiti: una razza aliena che si occupa di lavori umili, assoggettata agli umani. Hanno scarse doti di combattimento. Provengono dal pianeta Vion. La fazione umana dei Conservatori li ritiene un branco di parassiti e vorrebbe limitarne la presenza fra le mura domestiche.
Vecchio Urlo: è un night club che tratta schiavi/e e li adopera come host e spogliarellisti.
Nine: è una navetta corazzata, che gli Sciacalli utilizzano per le loro missioni.
Ermosa: è una pianta medicinale molto rara e difficile da coltivare in vitro o in serre. La sua delicatezza è tale che si rendono necessarie diverse norme di trattamento per sintetizzare la cura contro il virus.
Coltori: è la razza aliena responsabile del contagio.
Svorak: un pianeta non più abitato dalle colonie umane. È stato uno dei focolai dell'epidemia.


[] "Sto per intraprendere il mio ultimo viaggio,
un grande salto nel buio"
Niente di personale

Iane distolse gli occhi e li assottigliò per guardare il fondo della camera. I pannelli in vetro opaco rivelavano due teste in ombra, che danzavano sulla superficie sbiadita. Sebbene li ritenesse prigionieri di uno schermo piatto, invidiò le loro possibilità di movimento. In alcuni suoi sogni era certa che si trattasse di un uomo e di una donna, nonostante i loro tratti le fossero ignoti. Avevano cerchi neri come capi: cappucci di tenebra deformavano i lineamenti e impedivano a Iane di dare un volto ai due estranei, che si allontanarono sino a ridursi a una coppia di aghi.

Chinò il mento e la mascella indurita tradì tutto il suo astio per il morso della siringa. Il silenzio dell'infermiere ostroita la svilì e la violò: subdolo e ingombrante, un catetere era intento a denudare la debolezza del corpo e, come quel mutismo protratto, iniziò a darle sui nervi. Iane, gli angoli bassi della bocca, puntati in un'espressione greve di resistenza, vagava con lo sguardo dalle dita palmate dell'infermiere alla salma distesa sulla branda: la sua donna era lì e le membra appuntate da tubicini venivano straziate dal tocco insistente dell'alieno.

- Ne hai ancora per molto?

I minuti si trascinavano indolenti e accrescevano l'impazienza di sapersi lontana e in salute, dimentica dell'odore penetrante dei medicinali e del modo in cui riempivano di amarezza gola e polmoni. La frangia castana cadde in avanti, seguendo il moto delle spalle e offuscò un occhio. L'ovale risultava eccessivamente appuntito e le dava un aspetto severo.

L'ostroita tornò ritto e la pappagorgia sotto il mento si gonfiò. Iane ebbe l'impressione di averlo risvegliato dalla meccanicità delle sue mansioni; e levò un angolo della bocca, sgualcendo il velo della mascherina. Si sporse verso di lui, quando il collo dell'infermiere ruotò, rivolgendole ancora le spalle, e due occhi strabuzzati la incontrarono: cagliati, come uova sode; dalla forma tonda, quanto quel ventre che i denti dilaniavano. Iane studiò la purezza dello sguardo e provò repulsione per quel candore anonimo e liscio, senza un'emozione a corromperne le fattezze.

- Ti ho chiesto gentilmente di andartene. Non era un invito a fraternizzare.

L'ostroita non rispose né batté le palpebre: i suoi occhi spogli continuarono a sondare Iane e non tradirono reazione per l'ostilità che aveva colto nelle sue parole. Il volto butterato dalle cicatrici cercò quello della paziente ancorata ai supporti vitali e trasse un giudizio che a Iane non piacque. Vide le spalle sollevarsi con una leggerezza che lei non conosceva più; e la mano flaccida tenderle un volantino.

Più di ogni cosa, odiava che qualcuno sottolineasse le sue vulnerabilità. Lo sapeva bene, perché l'orgoglio l'aveva superata in stazza e si era nutrito di borse sotto gli occhi e crampi durante l'addestramento militare.

Stirò la carta e scorse le illustrazioni e la scritta morbida che recitava: Problemi di stress? Consulta il nostro studio di assistenza psicologico! Verrai seguito da professionisti del settore per affrontare al meglio delle possibilità il percorso verso una gestione più sana della tua vita. Chiama "Decido Io".
Iane sorrise e la piega sulla mascherina si accentuò. Alzò il pollice in segno di approvazione e appallottolò consiglio e foglio sino a farne una pallina; gettò la stessa nella borsa del camice bianco e tornò a sedere. Dal basso osservava il fragile esoscheletro dell'alieno e l'addome gonfio; non trattenne lo sprezzo, che l'altro registrò con un lieve cambiamento della carnagione. Iane lasciò dondolare il piede e si crogiolò nella soddisfazione di averlo spinto verso i suoi meccanismi naturali di difesa. La sfiorava l'idea di aver pareggiato i conti, ma non amava sentirsi allo stesso livello di un pattumiere adibito al cambio di pannolini.
La porta pressurizzata sbuffò e Iane si irrigidì, nell'anticipazione di incrociare chi fosse in procinto di varcare la soglia. Le mani si aggrapparono alle estremità della seduta e raschiarono la vernice per l'azione ripetuta delle unghie.

- Kobalwski, lascia Xebi al suo lavoro.

Un altro camice bianco. Iane sospirò e alzò le mani in segno di resa.

- Risparmiami il solito, Al - disse con espressione neutra.

L'uomo le rispose sfiorandosi la fronte con due dita, che ricaddero lungo il fianco. Si assicurò di chiudere la stanza e pigiò un pulsante per la decontaminazione del corridoio esterno.

Iane si concentrò sulla sua schiena e dimenticò la presenza dell'alieno. Che avrebbe detto il vecchio a saperla in compagnia di un parassita del pianeta Vion? Forse avrebbe lucidato la lente, che elaborava immagini e colori e rimpiazzava il suo occhio cieco, e avrebbe blaterato un: Cazzo, ti ho allevata per la propaganda dei conservatori, non per passeggiare col nemico, smidollata!
Chiuse le palpebre e andò col capo indietro. Il soffitto si apriva senza motivi ornamentali ed era quasi certa di essere stata inghiottita in un cubo che imitava il grembo materno.
Al dette un'occhiata ai dati olografici e morse il labbro inferiore. Il pizzetto rado salì in maniera buffa sul viso.

- Quanto ti resta sul terminale? La stasi non è gratis.

Gli occhi di Iane si ridussero a un paio di fessure. Picchiettò l'indice sul braccio e abbassò lo sguardo. La piega del discorso non era di suo gradimento.

- Dove vuoi arrivare?

Al si voltò verso di lei. La manica del camice, ripiegata e appesa sulla spalla, svolazzò vuota come per carezzarla e tornò a oscillare debolmente al fianco del medico.

Il mio stipendio non copre più i costi. Anziché dare addosso agli ostroiti, dovresti cercare l'esemplare per l'antidoto.

- Rod e Gabe sono pronti a partire?

Al annuì. Con una penna aggiornò la cartella medica. Esitò, gli occhi al suolo, che evitavano di guardare le due donne e l'alieno.

- Riesci a perdonare i tuoi errori?

Iane fissò Wes, legata alla vita da sofisticate macchine, e tracciò con lo sguardo una linea dalla dormiente ad Al. Gli diede le spalle, richiamata dal suono di atterraggio della navetta d'esplorazione. L'intelligenza artificiale della Nine si interfacciò, formando il solito ologramma graffiato dalle interferenze.

- Sai, ci sono due detti: il primo dice che "tutti commettono errori"; il secondo che "l'Adepto perdona"... non lo trovi strano? Tutti si concedono di agire come meglio credono ed è soltanto una macchina a giudicare se meritiamo una seconda chance.

Alzò una mano e si sbilanciò su un fianco: - Sempre che tu creda ciecamente nell'Adepto.

Rod la attendeva sul punto d'imbarco, intento a lucidare le bambine. L'idea del contagio lo aveva reso paranoico su qualunque ciuffo verde, persino di erbe medicinali sintetiche. Spostò il peso sulla ringhiera del ballatoio e incrociò le gambe.
Dai portelli panoramici della nave osservava lo spazio estendersi in un abisso scuro, falciato da un colabrodo di stelle. A volte, immaginava di lacerare lo strato oscuro con la sua Tess e cavarne fuori dasil a sufficienza per vivere in comodità e smettere l'attività di cacciatore di taglie. Versò sulla lingua della menta liofilizzata fino a tingersela di verde, per spaventare quel cagasotto di Mutande imbrattate. Era uno sfizio vedere quel sacco di lardo alle prese con catetere e cessi delle stazioni di rifornimento: gli era capitato di assistere a una sessione per soli uomini, in cui Occhiali fatati aveva deciso di sterilizzare la toilette, allestendo uno di quei picnic dell'era dei Coloni.
Ognuno reagiva all'epidemia a modo suo; parecchi satelliti erano rimasti scoperti. Una fortuna per lui e per la banda degli Sciacalli: soltanto la suocera, Al, li aveva ammoniti di fare attenzione... come se non nuotassero tutti nella stessa merda. Carezzò il calcio del fucile a ioni e lo imbracciò, puntando il mirino sulle rovine del giacimento minerario all'esterno. Alluminio e acciaio erano stati strozzati da rovi e nidi di mutanti, che si erano diffusi di colonia in colonia. Dal primo embargo galattico erano trascorsi secoli prima che il virus mutageno venisse isolato. I tanti che non potevano concedersi la stasi, diventavano delle piante del cazzo, nutrimento per i Coltori. La pelle si deteriorava in terra o prendeva l'aspetto di una corteccia malata.

Rod scostò l'arma e notò Iane. Si inginocchiò e le accompagnò le ciocche dietro le orecchie.

- Sembri una di quelle imbellettate del Vecchio Urlo: poche poppe e sguardo da Coltore in cerca di cibo. O di una sveltina, nel tuo caso.

Iane incrociò le braccia e scosse il capo. Si limitò a sfidare i tre occhi violacei di Rod e a premere un anfibio sugli ultimi gradini della scala.

- Dov'è Matt?

- Ad arredare i bagni. Mi chiedo se lo trovi quando toglie la tuta.

- Sei in astinenza? Ultimamente non fai che parare in una direzione.

- Bimba, io e Tess facciamo faville a sufficienza. Cazzetto da esposizione ha una moglie, poi. Immagino attaccata alle sue entrate o non mi spiego la loro relazione.

- Forse lo ama così com'è?

- ... e si consola con qualche colono non contagiato.

Matt sgusciò fuori dalla sala motori e sistemò i due monocoli sulle palpebre.

- Capo, siamo pronti per partire.

Iane lanciò un'occhiata a Tess e Vinny, la bambola di mitraglia a cui aveva dato il nome della moglie: come Wes, anche lei dormiva profondamente per evitare l'avanzare della malattia.

Tuttavia, le sue funzioni vitali si erano deteriorate. Rod non pareva prestarci attenzione e la visitava costantemente, munito di tuta protettiva: si accomodava sull'amaca accanto ai supporti e si complimentava in modo imbarazzante delle gambe, del seno prosperoso e delle sue curve. Le raccontava storie di cui si era beato fra una rissa e l'altra: come aveva preso a calci in culo i rivali per la sua mano, le conquiste degli anni in accademia e i bei tempi al Sole Nero, dove ingaggiava combattimenti clandestini. Talvolta, Iane metteva in dubbio la sua condotta e gli ricordava delle scappatelle con aliene e umane, mentre sua moglie era relegata a un letto.

- Potresti unirti, se sei invidiosa, bimba.

Le strizzava due occhi e poi guardava di fronte a sé.

- Non hai molta voglia di scherzare. Perdi colpi, Rod.

Iane ne fissò il sorriso a mezzaluna, troppo pulito per essere genuino.

- Sai, bimba, rimanere troppo a guardarla, mi ha fatto capire solo una cosa: non riuscirò a salvarla. Posso crivellare tutti quei Coltori e salvare le chiappe del signorino pilota, ma mia moglie ha preso un biglietto di sola andata.

Iane, a disagio, afferrò il proprio polso dietro la schiena e lo torturò. Quando le iridi cerulee di Wes avevano smesso di guardarla, aveva pensato in cuor suo: "Meglio a lei che a me". Non si era tolta di dosso il sollievo di essere stata risparmiata dal contagio. Le ore trascorrevano e la disperazione di saperla in quelle condizioni mutava nella consapevolezza di essere sopravvissuta. Contava i suoi respiri e li cronometrava manualmente, per poi soppesare il peggioramento dei dati. Dentro di sé, tuttavia era raggiante per averla scampata e si faceva largo in lei una tranquillità che aveva del molesto. Wes, distesa sul letto, era in balia delle sue decisioni ed esisteva in funzione delle scelte di Iane.

- Bimba... - riprese Rod, - ciò che non sopporto è la sua faccia impassibile. Mi sbatto qualche pollastra tra una visita e l'altra e mia moglie è, come dire... indifferente. Noi stiamo dall'altra parte della barricata, a consumare energie per mantenere dei cadaveri in vita. Non ha senso: sgobbiamo, barattiamo cibo, non arriviamo al mese seguente senza derubare qualche sfigato o intascare una taglia. Ci consumiamo il cervello e il sonno. Soffriamo per queste vittime... e diventiamo dei servi del cazzo attaccati ai loro piedi.

Iane deglutì. La vicinanza di Rod la innervosì e percepì quell'identica lunghezza d'onda a cui viaggiavano entrambi. Capiva il suo sfogo, perché per prima voleva porre fine alla propria schiavitù, ma un desiderio più bieco la tratteneva.

- Avresti dovuto tenere il moccioso che ti ho messo in quel ventre. Forse avrebbe ripreso il tuo culo piatto.

- O il tuo cervello, cosa che, onestamente, mi spaventava.

Rimasero a guardare le supernova in lontananza.

- Voglio che soffra.

Iane girò gli occhi sulla pelle di Rod e fissò le rughe rigargli la fronte.

- Deve soffrire quanto me in tutti questi anni senza di lei. Deve svegliarsi e provare rabbia e dolore... per compensare le mie.

Iane annuì. Era questo il desiderio che le ardeva nel petto.

Era pronta all'ultimo viaggio. Un salto nel buio del sottosuolo di Svorak, dove le piante di ermosa crescevano rigogliose. Iane indossò la tuta bianca e si armò di una lama caesar, cangiante alla reazione con le spore del vegetale, e di un'arma a propulsori. Rod la seguiva a distanza, coprendo le retrovie, gli occhi incollati al triplo mirino.

- Se vedo uno di quegli stronzi, sparo. Vedi di non metterti sulla linea di fuoco, bellezza. Sarei triste se rimanessi vittima di un incidente.

Iane sollevò il dito medio e si spinse nella luce verdognola dei bassifondi. I minerali rilucevano sinistri, come grandi contenitori di acido. L'odore di carne putrescente e animali morti fendette l'aria, nonostante indossassero entrambi i caschi di contenimento.

Guardò sul fondo della discesa e vide i propri pensieri torbidi sparpagliarsi e ruzzolare nelle tenebre. I colpi di Rod le lisciarono una spalla e cadde in un pozzo sottostante: melma e cadaveri produssero un suono appiccicoso sotto i suoi piedi. Iane piegò le ginocchia e cercò di adattarsi all'oscurità. Un tempo, quello doveva essere stato un rifugio per gli addetti ai lavori, ma aveva funzionato meglio come bara per tutti loro, pensò. Dai recessi dei cunicoli provenivano dei suoni che trafiggevano le pareti. Erano versi seguiti da altri che masticavano e deglutivano con foga.

Udì un grido di stizza sopra di lei e una scarica di colpi. Si addentrò nel buio, un'ultima volta, prima di imboccare il sentiero giusto.

Un pezzo di carne le cadde addosso: la mano inanellata di Rod le picchiò una spalla e Iane saltò sul posto. La scansò con un piede e incontrò le zanne madide di saliva del Coltore. Senza occhi, l'essere le corse incontro e si preparò a saltare.

Iane si spostò di lato e sentì un braccio bruciare. Sollevò la manica della tuta e vide la pustola infetta che le torturava le carni. Reagiva al Coltore e pulsava per annebbiarle i movimenti. Gridò e il caricatore si svuotò sulla creatura sino a farle graffiare le pareti con le strida.

Iane guizzò di lato verso la rientranza in cui cresceva l'ermosa. La tagliò di netto e risalì la superficie. Rod era in un vicolo cieco e premeva il polso.

- Quel bastardo mi ha tranciato la mano. Ho aspettato mesi per un donatore che tirasse le cuoia.

Iane lo tirò su.

- Hai preso quello che dovevi, bimba?

Iane negò, la spada rinfoderata, mentre cercava di aiutarlo a sollevarsi.

- Che ti ho detto? È inutile pensare di salvarle. Non esiste antidoto.

Spostò un piede e incontrò il telo termico, ammassato sul bordo del letto. Il sudore scivolò sul collo e si insinuò nel top attillato; la curva accennata del seno fu macchiata da una pozza leggera sulla stoffa elastica. Alcuni dettagli del sogno si affacciarono nella mente e gli occhi di Iane si levarono con circospezione lungo il cubo. Il respiro era accompagnato da versi agitati, che presero a scuotere la gabbia toracica. Ricordava di aver baciato Wes e il sapore metallico del suo sangue, che si fondeva sulla pelle e le colava fra le labbra. Assaggiava le sue ferite, mentre lei la supplicava di fermarsi, di non morderle il collo. Iane sentiva e capiva, ma i denti si stringevano attorno alla carne e la tiravano con forza. Sembrava simile agli occhi di Xebi, a quel bianco da insozzare e movimentare. Pensò che fosse bella ridotta a un animale sanguinante, incapace di sfuggirle e cadde in un sonno confuso. Vedeva ombre che formavano un arco teso; avvicinatasi, notò che si trattava di due persone. I loro gemiti divennero chiari e molesti.

- Al, non qui... C'è Iane di là...

Era docile e remissiva, mentre l'altra sagoma calava su di lei e univa i tratti ai suoi. A guardarli, dietro il pannello di vetro, fu chiaro persino a Iane: non fingevano. Si cercavano con la ferocia di due animali incuranti dei rischi.

Iane si era resa conto di stringere le dita e di osservare la scena come un flusso distante, di cui era in grado di predire le sorti. Sorrise e tornò nel suo cubo, pronta a collegarsi alla matrice del sogno indotto: il casco le calzò e iniettò una dose di ansiolitici.

Wes la svegliò il giorno dopo. Indossava una tuta che le copriva la pelle. Iane rise della sua ingenuità: era tanto pruriginosa quanto lasciva sotto le dita di Al o quando il suo pizzetto scorreva sull'intimità. Eppure, il ricordo più dolce, secondo Iane, era stato il senso di controllo che si era impadronito delle sue membra, quando il sangue di Wes le impiastricciò la lingua e il viso.

- Wes, ti ho preparato un regalo, - mormorò, adagiata sul letto. Le dita sfiorarono le guance piene della sua amata e si posarono sulle labbra per tracciarne il contorno.

- Nel mio ultimo viaggio, - proseguì, la lingua d'improvviso secca che inciampava sulle parole, - ho recuperato l’estratto di una pianta dolcissima per gli infusi.

- Per me? - la sovrastò Wes; i suoi occhi brillarono di cupidigia e senso di colpa; li spalancò e poi strinse le dita, circondando la mano di Iane.

- Per chi altri? - disse lei, il suono della voce morbido e materno. Sfiorò la bocca di Wes in un bacio lieve.

- Preparerò subito un infuso per entrambe!

Iane sussultò, il cuore che pompava piacevolmente il sangue e le riscaldava le gote; annuì e attese.

Nel cubo dove Wes dormiva, c'erano ancora piccoli segni della loro vita assieme. Iane le carezzò i capelli biondi e restò a osservare il prodotto delle sue azioni: Wes era tranquilla, mentre il corpo sfioriva, ignara di tutto. Comprese le parole di Rod, la necessità di avvertire la sofferenza dei dormienti e la fame d'odio che la separazione causava, senza appagare gli istinti.

Iane le lasciò fra le mani il loro pegno. Preparò la pistola di siero e rimase inerte a guardare Wes. Piegò il braccio e premette il grilletto a stantuffo.

- Vai prima tu fra i morti... niente di personale, tesoro.

  
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