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Autore: _armida    15/10/2015    2 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XIX: Incontri Inaspettati

Alcune settimane più tardi...

Elettra era impegnatissima con il progetto della biblioteca: ormai mancava davvero poco alla presentazione pubblica. Passava quasi tutto il suo tempo nella bottega del Verrocchio. 
"Trasferisciti qui in via definitiva già che ci sei", le aveva detto scherzosamente Loenardo. Non aveva tutti i torti, in fondo: alle volte restava là fino a tarda notte e capitava spesso che dormisse da lui. 
A Palazzo della Signoria ci andava veramente poco, solo se era strettamente necessario. Di conseguenza aveva visto Girolamo poche volte e sempre in pubblico; per un po' il Conte si sarebbe dovuto accontentare solo delle occhiate furtive che si lanciavano quando si incontravano nei corridoi. Forse era meglio così, si convinse Elettra. Quello che era successo era stato fantastico ma si sentiva in colpa: insomma, era pur sempre finita a letto con un nemico di Firenze! Se avesse potuto, avrebbe evitato Riario il più a lungo possibile.

Quella notte Elettra aveva deciso che avrebbe dedicato un po' di tempo alla sua più grande passione: la pittura. Era da troppo tempo che non prendeva un pennello in mano, non aveva mai tempo. 
Si trovava nella soffitta di casa sua, ovvero nel luogo che prediligeva di più; era disordinato polveroso e parecchio caotico, proprio come la bottega di un artista. 
Il carillon che aveva preso dalla casa dei suoi genitori rilasciava nell'aria una lenta e dolce melodia, quasi una ninna nanna, mentre sul cavalletto dell'artista, un volto prendeva forma. Elettra si sentiva rilassata e felice. Libera.
Non si accorse che qualcuno era entrato in casa, non si accorse neanche che la botola alle sue spalle, che portava al piano inferiore, si fosse aperta e che una figura in abiti scuri avesse fatto il suo ingresso nella soffitta.
Lui la guardò mentre dipingeva: indossava una camicia quasi sicuramente maschile, che le arrivava fino a metà coscia e nient'altro. Era a piedi scalzi e, nonostante avesse il viso e le mani sporche di pittura, era pur sempre bellissima. Gli era mancata.
Senza pensarci due volte le si era avvicinato di soppiatto, arrivando quasi a sfiorarla, senza che lei si accorgesse di nulla. Doveva essere davvero molto concentrata, per non notarlo. Stava dipingendo un ritratto di Gentile Becchi.
Ormai era lì, a pochi centimetri da lei. Doveva pur fare qualcosa, per farle capire che era lì. "Salve, mia diletta", le sussurrò ad un orecchio.
Vide la ragazza irrigidirsi e lasciar cadere a terra la piccola ampolla che teneva in mano. Una chiazza di tempera celeste cominciò ad allargarsi sul pavimento di legno. "Come fate a sapere che abito qui?". Incontrarsi a Palazzo della Signoria era un conto, ma ritrovarsi Riario in casa propria era un'altro.
E poi come si permetteva di salire fino in soffitta?! Nessuno aveva il permesso di salire in soffitta! Neanche Maria. Ed ecco spiegato il perchè essa fosse così polverosa.
"Ho i miei metodi", rispose lui con la sua solita espressione fredda.
Non lo voleva lì. Sospirò. "La porta era chiusa a chiave", gli fece notare, seria in volto.
"Voi non vi siete mai fatta problemi riguardo a questo", disse sarcastico.
A Elettra sarebbe piaciuto ribattere ma la sua bocca restò aperta, senza che ne uscisse alcun suono: per una volta Girolamo aveva ragione. Sbuffò irritata, mentre raccoglieva da terra la boccetta ormai completamente vuota; inevitabilmente si sporcò qualche dito di celeste. Il Conte alle sue spalle se la ghignava di gusto, cosa che la seccò ancora di più. Le venne un'idea. Guardò prima Riario e poi le sue dita con la pittura fresca. Sorrise fra sè e sè e gli si avvicnò cercando di sembrare il più seducente possibile. 
Girolamo abbassò la guardia, concentrandosi unicamente sui suoi occhi azzurri. Esattamente quello che Elettra voleva. Avvicinò il proprio volto al suo, le loro labbra quasi si sfiorano. Fu quando il Conte chiuse gli occhi, cercando di annullare quella distanza, che la ragazza agì: fece un passo indietro e poi toccò con un dito sporco di vernice il suo naso , lasciandoci una bella macchia color celeste.
Lui aprì gli occhi sorpreso e cercò di osservarsi il naso. La sua espressione in quel momento doveva essere parecchio buffa, perchè Elettra si mise a ridere.
Riario alzò un sopracciglio, contrariato. "Mi vendicherò presto, molto presto", le disse con tono intimidatorio. Vi era però una vena di ironia, nelle sue parole. 
"Come pensate di vendicarvi, mio signore?", chiese Elettra con tono malizioso, cercando di rimanere seria. Era chiaro che sarebbe scoppiata a ridere da un momento all'altro.
Per tutta risposta il Conte si passò la lingua sulle labbra, in un gesto più che eloquente. Lei si morse un labbro, cercando con tutte le sue forze di non ridere. "Sapete che uno dei giri di ronda delle guardie della notte passa proprio qui davanti?", gli disse avvicinandosi alla piccola finestra, l'unica presente nella soffitta. "Oh guardate, Conte, il Capitano Dragonetti sta passando ora", continuò con quel suo tono impertinente che Girolamo amava e odiava allo stesso tempo. "Salve, Capitano!", urlò sporgendosi fuori.  
Riario vide l'altro rispondere al saluto e poi fare segno ad Elettra di evitare di fare baccano. Peccato che ormai era troppo tardi. "C'è più di un cimitero a Firenze. Pensate di svegliare anche i morti con il tono della vostra voce?", disse ironico con uno dei suoi soliti sorrisi taglienti.
"A questo ci dovrebbere pensare il vostro Dio, no?", ribattè lei sarcastica. "Comunque, tornando alla questione di prima: voi fate un passo falso, io urlo e il Capitano Dragonetti irrompe qui con i suoi uomini", concluse Elettra.
"Mi state forse minacciando, mia diletta?". Ora sì che si stava davvero divertendo.
"Avete una mente arguta, Conte. Traetene voi le dovute conclusioni"
Girolamo scoppiò a ridere. Elettra doveva considerarsi davvero fortunata: era una tra le pochissime persone al mondo che potevano minacciare così apertamente Girolamo Riario, senza subirne le conseguenze. "Dovreste soppesare di più le parole che intendete usare", le disse quasi sussurrando, "O potreste finire in spiacevoli situazioni". Detto questo, con un veloce gesto, prese Elettra in braccio. Nonostante il modo di fare non molto delicato del Conte, lei si mise a ridere. "Non intendete urlare?", la canzonò. I loro visi erano talmente vicini che le loro labbra quasi si sfioravano. "Magari più tardi", disse Elettra sporgendosi in avanti, per poter toccare quelle labbra. Lui non aspettava altro e rispose al bacio con altrettanta passione.
Girolamo, dopo aver liberato un vecchio comò  da tutte le scartoffie che lo ricoprivano, buttandole a terra, vi appoggiò Elettra.
"Quegli schizzi li avevo appena messi in ordine!", si lamentò lei, staccando per un attimo le labbra da quelle del Conte. Lui in risposta, alzò un sopracciglio, perplesso. Lo stava prendendo in giro o cosa? "Voi siete siete disordinata, irresponsabile, impertinente e..."
"Si, lo so che ho molti difetti. Ma se vi ho colpito così tanto un motivo ci sarà"
"Io non ho mai detto che li considero dei difetti", disse, "Specialmente la vostra impertieneza, la trovo molto... eccitante", le sussurrò ad un orecchio.
Elettra si morse un labbro, trattenendo a stento una risatina. Prese il viso di Girolamo tra le mani e lo avvicinò al suo, unendo nuovamente le loro labbra. Le mani della ragazza erano ancora sporche di vernice e, involontariamente, colorò le sue guance di azzurro, rosso, verde e altre tonalità indefinite. Dopodichè lasciò scendere le sue mano fino al petto del Conte cominciando a slacciare bottone per bottone la sua casacca nera; nel mentre sentiva le mani di Girolamo passare sulle sue cosce, tra le sue cosce, divaricarle appena e posizionarsi nel mezzo.
Lo aiutò a togliersi la giacca e poi passò ad aprire la camicia. Nel frattempo il Conte incominciò a slacciarsi i pantaloni. Avevano entrambi il fiato corto e il cuore che batteva all'impazzata.
"Al piano di sotto ho una camera da letto, sapete?", gli disse Elettra.
"Potremmo utilizzare anch'essa, più tardi", sussurrò lui con voce roca.
"Potremmo" 
 
 ***

Qualche ora più tardi...

Elettra si svegliò nel suo letto, stretta tra le braccia di Girolamo. Aveva sete e così, facendo attenzione a non svegliarlo, aveva sciolto quel rassicurante abbraccio. Si sentiva protetta, quando si trovava con lui. Un senso di protezione che non provava da molto tempo; prova di questo era il fatto che quella notte non aveva neanche messo il suo piccolo pugnale sotto il cuscino. 
Indossò una vestaglia e scese le scale con l'intenzione di dirigersi in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, ma poi, una volta arrivata in fondo, si ricordò di quell'invitante bottiglia di whisky, appena arrivata dall'Inghilterra. Cambiò direzione e, invece di svoltare a destra, vero la sala da pranzo e la cucina, si diresse a sinistra, verso il salotto. Là, sul mobile vicino allo stipite della porta, ci stava quella fantastica bottoglia. Fece un passo all'interno della stanza e, immediatamente, tutte le candele presenti si accesero; una calda luce si propagò nell'ambiente. Elettra si guardò intorno, parecchio stupita. Era davvero convinta di essere sveglia, di non stare ancora dormendo. Ma, visto quello che stava succedendo, non doveva essere così. 
"Ahi!", le scappò dopo essersi data da sola un pizzicotto. Le avevano detto che funzionava...
"Non state sognando, Elettra", disse una voce che la ragazza conosceva bene.
Lei guardò nella direzione da cui proveniva la voce, sorridendo tra sè e sè per non averlo capito subito. Ovviamente, chi altri poteva fare quelle entrate così ad effetto? 
Al-Rahim, seduto comodamente su una delle eleganti poltrone del salotto, le sorrise a sua volta. Le fece segno di avvicinarsi e di sedersi anche lei.
"Visto che il vostro amichetto non disturba più i miei sogni, mi sembra ovvio che i Figli di Mitra abbiano mandato qualcun'altro ad infastidirmi", disse Elettra con sarcasmo.
"Quando vi siete tolta il vostro ciondolo, durante la vostra ultima visita alla biblioteca, il contatto è stato interrotto. Ci vuole un po' di tempo, per ricrearlo"
"Fantastico...", ribattè lei con ancora più sarcasmo, "E io che pensavo che mi avreste lasciata in pace"
"Voi siete una risorsa troppo importante per la confraternita. Non possiamo di certo lasciarvi andare così"
"Ovviamente...". Il tono della sua voce avrebbe fatto desistere chiunque, dal continuare quel discorso. Chiunque tranne Al-Rahim. Quell'uomo era dannatamente testardo. Ma mai quanto Elettra. "Posso almeno sapere perchè siete qui?".  
"Per parlarvi di alcune importanti questioni riguardanti voi e il Libro delle Lamine"
"Il Libro delle Lamine... mi sembrava troppo strano che voi foste venuto qui per parlare d'altro". Sospirò seccata mentre si dirigeva verso il mobile su cui era appoggiata la bottiglia di whisky. Se prima essa era solo una possibilità, ora si era resa necessaria. "Volete anche voi?", gli chiese cercando di sembrare gentile; dovette sforzarsi parecchio ma il risultato non fu un granchè.
"Volentieri, grazie", rispose il Turco.
Elettra riempì i due bicchierini e poi appoggiò il tutto sul tavolino al centro del salotto, sedensosi poi dall'altra parte, rispetto ad Al-Rahim, dando così le spalle alla porta.
"Alla fine ce l'avete fatta a salvare vostro zio", commentò il Turco.
"E senza l'aiuto vostro o della vostra preziosa confraternita", gli fece notare la ragazza.
"Volevo congratularmi con voi, vi abbiamo sottovalutata. Non avremmo mai creduto che ce l'avreste fatta"
Elettra gli sorrise nervosa. Era vero. Ce l'aveva fatta. Ma quanto aveva dovuto sacrificare? Se Al-Rahim avesse saputo anche solo la metà delle cose che aveva dovuto fare, probabilmente non si sarebbe mai congratulato con lei.
"So quello che avete fatto", le disse facendola impallidire. "I Figli di Mitra sono informati su ogni vostra mossa". Sapeva anche leggere nel pensiero?
"Non vado fiera di quello che ho fatto, ma era necessario. Non avevo altra scelta". Il tono di voce di Elettra era serio e sicuro.
"Noi avevamo predetto la morte di Gentile Becchi ma voi siete riuscita a modificare il corso degli eventi. Non è cosa da poco". Sulle sue labbra comparve un sorriso soddisfatto. "Siete più potente di quanto pensassimo"
Elettra lo guardò perplessa, per la prima volta senza parole. 
"Tornando al motivo per cui sono venuto qui... Vorrei chiedervi cos'è successo il 13 giugno di otto anni fa", disse il Turco.
Alla ragazza si gelò il sangue nelle vene: era il giorno in cui Lucrezia e sua madre erano scomparse. Non parlava mai di quel giorno. Era una ferita che non si era mai rimarginata completamente. "Non c'è proprio niente da dire su quel giorno!", sbottò.
"C'è molto da dire, invece". Al-Rahim con lei aveva sempre un tono quasi paterno e paziente. "Fidatevi di me, Elettra"
Lei lo guardò con gli occhi che cominciavano a riempirsi di lacrime. "Non posso", sussurrò. Sapeva che appena avrebbe provato a riportare quei ricordi alla mente, avrebbe avuto un attacco di panico. Era sempre così, quando pensava a quel giorno.
"Si che potete", disse dolcemente il Turco, "Ora chiudete gli occhi e concentratevi sul suono della mia voce. Pensate solo al suono della mia voce e a nient'altro"
"Mi volete mettere sotto ipnosi?". Elettra non era per niente convinta di volerlo fare.
"Qualcosa del genere". Il sorriso di Al-Rahim era davvero convincente.
La ragazza, seppur controvoglia, tentò di rilassarsi, mettendosi più comoda sul divano, e chiuse gli occhi. Con una mano stringeva forte il suo ciondolo a forma di cuore. Lo faceva sempre, quando era nervosa.
"Ora ditemi cos'è successo quel giorno".
Nell'aria si diffuse uno strano odore che ricordava vagamente delle fragranze orientali. Ed Elettra si perse nei suoi ricordi.

Il viaggio in carrozza sembrava non finire mai. Le mura di Firenze erano solo una linea indefinita all'orizzonte e davanti vi erano solo prati e la campagna toscana.
"Siamo quasi arrivati?", chiese Elettra annoiata. Odiava i viaggi in carrozza. E in quel momento odiava anche sua madre: a quell'ora doveva essere con Giuliano a testare il nuovo arco che le aveva dato papà, non chissà dove in una carrozza! L'unico lato positivo era che almeno avrebbe passato un po' di tempo con Lucrezia.
Sua madre si limitò ad osservarla, senza proferire parola. La bambina si mise a studiarla con i suoi grandi occhi azzurri: poteva quasi vedere un lampo di paura e preoccupazione, nelle iridi della sua mamma. Nonostante quella donna non le dimostrava mai il suo affetto, provò un po' di pena per lei. Istintivamente le si mise di fianco e le strinse una mano. Si sarebbe aspettata un insulto da un momento all'altro, invece lei ricambiò, sorridendole.
"Siamo arrivati", disse Anna dopo diversi minuti. Fece cenno al cocchiere di fermarsi. "Ora voi restate qui. Per nessun motivo dovete scendere dalla carrozza. Intesi?". Le bambine annuirono. Sospirò, come se volesse scacciare un po' di tensione, e scese.
Elettra la vide dirigersi verso una donna che se ne stava immobile, in mezzo alla strada. Portava un lungo mantello scuro, con tanto di cappuccio a coprirle il volto, tipico di chi vuole passare inosservato. Quando Anna le fu vicina, la vide abbassarsi il cappuccio, scoprendo un volto dalle fattezze medio orientali. 
Le vide discutere a lungo. Dai gesti, quella donna sembrava essere parecchio agitata. Con una punta di preoccupazione, notò che anche sua madre aveva qualcosa che non andava. 
"Riesci a capire cosa si dicono?". La voce dolce di Lucrezia la riportò alla realtà. Distolse lo sguardo dalla scena fuori dal finestrino e scosse la testa. Quando tornò a guardare, la donna misteriosa non c'era più. Spalancò gli occhi, stupefatta. 
Vide sua madre tornare a lunghi passi verso di loro. 
Nel mentre da una collinetta poco lontano arrivarono un gruppetto di cavalieri; Elettra si accorse del loro arrivo dal rumore degli zoccoli dei cavalli. Spostò la sua attenzione da Anna a quegli uomini: erano completamente vestiti di nero ed indossavano degli strani elmi. Non le piacevano per niente. 
Dimenticandosi delle raccomandazione fatte poco prima, si sporse fuori dal finestrino, indicando alla mamma quelle losche figure. Lei si mise a correre, facendo segno di far partire la carrozza. 
Elettra vide uno di quegli uomini prendere un arco e mirare ad Anna, colpendola di striscio. Sua madre cadde a terra, sembrava svenuta. Lucrezia si mise ad urlare.
L'arcere lanciò una seconda freccia, colpendo alla testa il cocchiere. 
Elettra osservò l'uomo alla testa del gruppo smontare da cavallo ed avvicinarsi alla sua mamma, ancora a terra. 
No, non poteva permettere che le vacessero del male. 
Prese in mano il suo arco e, ignorando i singhiozzi disperati di Lucrezia, tirò fuori un dardo dalla faretra. Cercando di farsi notare il meno possibile, prese la mira e scoccò. La freccia andò a conficcasi nella gamba dell'uomo che cadde a terra urlando dal dolore. I banditi si guardarono, spiazzati da quell'improvvisa imboscata. Aprofittando della momentanea distrazione, Eletra scagliò un altro dardo, che però colpì l'erba.
Uno degli uomini indicò agli altri la carrozza: erano state scoperte.
"Quando ti dico di correre, tu corri", disse a Lucrezia. Lei, tra una lacrima e l'altra, annuì. Si acquattarono sul pavimento, pronte a scattare al segnare. Elettra  incoccò un'altra freccia, pronta a scagliarla se ce ne fosse stato bisogno. 
La maniglia della portiera si abbassò. 
L'arco si tese ancora di più.
Uno di quei banditi fece la sua comparsa nell'abitacolo. Istintivamente la bambina lasciò la corda e il dardo partì, andando a conficcarsi nella fronte dell'uomo, che cadde a terra morto. 
Elettra lasciò cadere l'arco, spaventata da quello che aveva appena fatto. Ci pensò Lucrezia, a farla tornare alla realtà. "Elettra, dobbiamo andarcene di qui!", disse strattonando la  giacchetta della gemella.
A quel punto la bambina non ci pensò due volte e si mise a correre, seguita a ruota dalla sorella. 
Elettra non seppe dire, per quanto tempo aveva corso. Si fermò solo quando sentì le gambe incominciare a cedere. Si trovava nel bel mezzo di un campo di grano. Si guardò intorno, cercando Lucrezia. La chiamò fino a quando ebbe esaurito tutta la voce. Non ottenne mai una risposta.
Si nascose in un fosso lì vicino, lasciandosi andare allo sconforto. Non sapeva ancora dare un nome alla sensazione di sentire la propria gola restringersi a poco a poco e a quel cuore che si era messo a battere all'impazzata, ma lo avrebbe trovato presto.


Elettra aprì gli gli occhi di scatto e provò a tirarsi su, ma venne bloccata da due mani che la costrinsero a stendersi nuovamente sul divano. Faticava a respirare e le sue guance erano solcata da due lacrime che sembrava non avessero mai fine.
Si ricordava tutto. Si ricordava di aver visto sua madre essere colpita da una freccia. Si ricordava di aver ucciso un uomo. E si ricordava di non essersi mai voltata per controllare che Lucrezia fosse dietro di lei.
"L'ho abbandonata... io...io ho abbandonato Lucrezia", sussurrò tra un singhiozzo e l'altro. 
"Avevate solo dieci anni, non potevate fare niente di più", provò a rassicurarla il Turco, "Siete stata brava". Sul suo volto comparve un luminoso sorriso.
Lei scosse la testa: non aveva fatto assolutamente niente, per meritarsi quel complimento.
"Grazie ai vostri ricordi ora ho una certezza in più", disse Al-Rahim.
"Sono morte. Lucrezia è morta..."
"Io credo invece che loro siano ancora vive"
"Come avete detto?". Elettra non era certa di aver sentito bene. Dalla sorpresa si tirò di colpo in piedi, ma dovette risedersi sul divano e chiudere gli occhi: il mondo girava parecchio intorno a lei.
"Avete capito bene"
"Come fate ad esserne così certo?". No, non poteva ancora crederci.
"Non ne ho la certezza assoluta ma, se fossero morte, lo avremmo saputo. Come ben sapete noi Figli di Mitra siamo in grado di superare il limite che divide la vita dalla morte"
"E dove sono? Perchè Lucrezia non è tornata da me?"
"A questa domanda non posso ancora darvi una risposta."
Sospirò a metà tra lo stupefatta e lo sconfortata: certo, la sua amatissima gemella era probabilemente viva ma, per non aver dato notizie di sè in tutti quegli anni, doveva esserle successo senz'altro qualcosa. 'Oppure se ne è andata perchè tu, papà e Aramis non potevate capirle. Voi non eravate dei Figli di Mitra.', le sibilò la propria coscienza. No. Elettra scacciò via quel brutto pensiero. Sua sorella non l'avrebbe mai abbandonata così.
"C'è un'altra questione di cui vorrei discutere con voi", disse Al-Rahm interrompendo i suoi pensieri pessimisti.
Per Elettra ora era difficile concentrarsi su qualcos'altro che non fosse Lucrezia. Gli fece cenno di proseguire, cercando (almeno) di apparire attenta alle parole parole del Turco.
"Chi sarà l'architetto della biblioteca che avete progettato?". Al-Rahim lo sapeva già, ma preferiva comunque chiederglielo.
"Bartolomeo della Gatta", rispose lei. Era stato un allievo del Verrocchio. Lo conosceva bene e si fidava di lui, abbastanza da affidargli la sua opera.
"E' un Figlio di Mitra"
Quella rivelazione la spiazzò completamente. Si chiese se l'uomo che aveva davanti avesse già previsto tutto. "Che cosa?"
Il Turco la guardò quasi divertito e le porse delle carte che aveva portato con sè. 
Elettra riconobbe subito che il progetto disegnato su di esse era quello della sua biblioteca. Ma c'era qualcosa in più.
"Ci siamo permessi di apportare qualche modifica", disse  Al-Rahim. 
La ragazza gli tirò un occhiataccia: come si erano permessi, quei Figli di Mitra, di modificare una sua creatura?! 
"Sapete, Elettra, Zenodoto costruì la biblioteca d'Alessandria con un scopo ben preciso: creare un qualcosa in cui si potesse preservare e diffondere le conoscenza"
"Si dice che essa fosse la più grande biblioteca mai realizzata", gli fece notare lei.
"Ma la conoscenza di cui stiamo parlando è tutt'altra: la biblioteca fu costruita per ospitare il Libro delle Lamine. Il resta era solo pura facciata"
La ragazza lo guardò stupita. Aveva immaginato che il libro doveva essere stato lì, in una qualche epoca lontana, ma non si aspettava di certo che quello di custodirlo fosse lo scopo principale.
"Come ben sapete la biblioteca andò a fuoco circa un migliaio di anni fa"
"Nel 642. Furono gli arabi a bruciarla"
"Esattamente". Sul volto del Turco comparve un sorriso soddisfatto. "I Figli di Mitra riuscirono a portare via il Libro delle Lamine prima che la distruzione fosse completa e lo portarono in un luogo lontano"
"La terra ad occidente, nella mappa di Leonardo"
Annuì soddisfatto. Era riuscito ad attirare la completa attenzione della ragazza. "Quando voi e Da Vinci troverete il libro, esso verrà messo nella camera sotterranea che abbiamo aggiunto al progetto. Firenze è la città giusta per preservare il Libro delle Lamine. La vostra sarà una nuova e gloriosa biblioteca d'Alessandria", concluse in bellezza.
"Una volta trovato, il Libro delle Lamine verrà portato a Roma, negli archivi segreti vaticani", disse una voce alle spalle di Elettra. Era una voce fredda, che la ragazza conosceva fin troppo bene. Sobbalzò, più di paura che di sorpresa.
Girolamo Riario entrò nella stanza con passo lento e sicuro. Aveva sentito tutto, dalla descrizione dell'agguato di otto anni fa, fino alle notizie riguardanti il Libro delle Lamine e i Figli di Mitra. Avrebbe avuto parecchio da riferire a Sua Santità nella prossima missiva.
Elettra si girò per osservarlo meglio: lo vedeva dal suo sguardo che stava celando tutta la sua ostilità dietro quell'espressione glaciale e quel sorriso affilato; era pronto a scattare ed affondare la sua spada nel corpo del Turco. "Il libro non verrà mai a Roma con voi", ribattè convinta, alzandosi dal divanetto.
Lui le lanciò un occhiata di fuoco. "Vi ho detto più volte di prestare cautela a quello che dite, Elettra", le disse a denti stretti.
"E così ci rivediamo, Conte Riario", lo salutò il Turco, facendo stupire notevolemente la ragazza.
"Come fate a conoscervi già?", chiese stranita e un po' confusa.
"Chi persegue gli stessi obbiettivi è inevitabile che prima o poi si scontri", rispose Al-Rahim.
Lo sguardo di Elettra passò dal Turco a Riario, in cerca di una risposta più soddisfacente. Nessuno dei due però aveva più proferito parola; si limitavano a studiarsi a vicenda.  La ragazza notò che la mano del Conte stava indugiando un po' troppo sull'elsa della spada. Stava per far notare a Girolamo che forse era il caso di abbassare le armi, quando lo vide estrarre del tutto la propria lama e, con un gesto fulmineo, avventarsi su Al-Rahim. Quest'ultimo, poco prima di essere colpito, scomparve in una nuvola di fumo.
Quando la nube si diradò, di lui non vi era più traccia.
"Dov'è andato?", sibilò ad Elettra, puntandole contro la spada. 
Lei lo guardò terrorizzata: non lo aveva mai visto così furioso. "Girolamo, calmatevi", gli sussurrò facendo un passo in avanti. "Secondo voi quell'uomo viene a dire a me dove va? Credo che mi abbiate confusa con qualcun'altro", ironizzò.
Quella parole sembrarono rilassarlo un po' di più; rinfoderò la propria lama. Aveva capito di aver sbagliato, a prendersela con lei. Sospirò. Sapeva benissimo cosa le avrebbe fatto piacere sentirsi dire, ma il suo orgoglio non gli permisi di pronunciare quelle semplici cinque lettere. "Siamo su fronti opposti anche per la ricerca del Libro delle Lamine", notò amareggiato.
"Dovremmo aggiungere una clausola al nostro contratto, Conte", disse lei facendo qualche passo in avanti e portandosi a breve distanza da lui.
"Cosa avete in mente, mia diletta?", chiese Girolamo avvicinandosi ancora di più.
" Dovremmo proibirci di parlare degli affari di Roma e Firenze, o del Libro delle Lamine". Tra i loro corpi ci passava appena un foglio di carta sottile.
"Avete avuto una buona idea"
"Approvata all'unanimità?". Le loro bocche quasi si sfioravano.
"Certamente", rispose lui baciandola appassionatamente.
Girolamo avrebbe voluto approfondire ancora di più quel bacio, ma Elettra si staccò da lui. "Sarà meglio che voi andiate, ora", disse.
"E perchè mai?"
"Perchè io ora devo lavorare". Lo aveva fregato, un'altra volta.


Nda
Prima di tutto volevo ringraziare _Anaiviv e Yuliya per le loro fantastiche recensioni; seconda cosa volevo scusarmi per il ritardo.
Beh... grandi colpi di scena in questo capitolo! Forse ho un po' esagerato con la lunghezza ma le cose da dire erano molte. Fatemi sapere cosa ne pensate ;)
 
   
 
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