Il
sogno di
una vita (insieme).
Qualche
fascio di luce penetrava dalla finestra della mia camera, inondando
letteralmente i miei occhi, e facendoli risultare più gonfi
del normale. Era passato
un bel po' dalla fine di maggio, i mesi erano trascorsi, il tempo era
passato e
la vita proseguiva per tutti, tranne che per me. Ero ancorato al
passato, ai
ricordi, alle sensazioni provate fino a poco tempo addietro.
Avevo fatto la stessa fine del Furioso di Ariosto, distrutto dall'amore
ed incapace di accettare la mia sorte. Ognuno è artefice del
proprio destino,
ed onestamente non potevo essere più d'accordo su
quell'affermazione. A causa
del mio temperamento, delle mie scelte (sbagliate), avevo perso l'unica
cosa di
cui m'importava davvero qualcosa: l'amore di Claire.
La nostra storia non era durata molto - nove mesi - ma mai come in vita
mia,
durante tutto quel frangente, mi sono sentito vivo. Mi ha fatto
conoscere
l'amore ed il dolore, la felicità e la tristezza; mi ha
fatto crescere,
maturare, e grazie a lei ero riuscito a capire cosa significava lottare
per
qualcosa. Senza Claire ero perso.
«Manuel!»,
la
voce di mia madre proveniva da un'altra stanza,
forse il bagno, o la cucina, non saprei dire.
Quella mattina d'ottobre spiccava alto nel cielo un sole radioso,
accompagnato
da un fresco venticello, che rendeva l'ambiente che mi circondava
particolarmente gradevole. Ero lì in piedi, impalato, da
circa un quarto d'ora,
mentre facevo roteare il mio cellulare tra le mani.
Chiamo, o non chiamo? , era il mio unico pensiero da quand'avevo
raggiunto quella panchina. Quella panchina dove ci incontravamo il
sabato di
nascosto, quando i suoi genitori non volevano che mi frequentasse,
quella
panchina dove tanti, troppi ricordi riaffioravano nella mia testa, come
un
fiume in piena. Claire aveva sempre lottato per il nostro amore, contro
tutto e
tutti, molto più di quanto io avessi mai fatto.
Forse è proprio vero che capisci di amare qualcuno, soltanto
quando lo perdi.
Composi il numero sul display in due secondi, precedendolo col prefisso
del
numero privato; tu, tu, tu.
«Pronto?»
,
la sua voce. Se c'era una cosa che mi era mancata in
quei mesi più dei suoi baci, era la sua voce. Assomigliava
sempre a quella di
una ragazzina. Trattenni il fiato per circa due o tre secondi, poi
tirai fuori
il coraggio.
«Claire,
sono Manuel, lo so che non ti aspettavi una mia chiamata... Nemmeno
io me l'aspettavo! I-Insomma... Volevo chiederti se ti andava di
incontrarci...
Alla nos-... Vicino la panchina alle spalle della chiesa!»,
esclamai
tutto ad un fiato.
Un secondo, due secondi, tre secondi, quattro e poi...
«Sono
un po' confusa, ma va bene, ci vediamo lì verso le 17:30, a
dopo Manu!»,
ribatté con
tono incerto, come se pensasse fosse uno scherzo. Era tutto perfetto,
ed il mio
cuore cominciò a battere all'impazzata alla sola idea di
rivederla dopo tutto
quel tempo. Tutto perfetto, finché non guardai l'ora segnata
dall'orologio che
avevo sul polso, che per altro mi aveva regalato proprio Claire, erano
le
15.30; mi lasciai scivolare sulla panchina, sarebbero state due ore
molto
lunghe.
Infine arrivò; come suo solito era in ritardo di una ventina
di minuti, ma non
m'importava. Era bellissima. Le lunghe ciocche bionde gli scivolavano
sulle
spalle coperte dalla sua felpa rossa preferita, identica e precisa a
quella di
uno dei suoi attori preferiti.
Ogni passo che faceva per avvicinarsi a me era direttamente
proporzionale
all'accelerazione dei miei battiti cardiaci.
«Ehi
Manu! Aspetti da molto?»,
mi
chiese con un timido sorriso,
senza guardarmi direttamente negli occhi.
«No,
no, tranquilla! Sono qui solo da due...»,
Ore, «...Minuti!»,
mentii
spudoratamente, ma non mi andava particolarmente di fare la parte del
tipo ansioso.
Mi avvicinai, e le stampai un bacio sulla guancia sinistra per
salutarla, e in
quell'esatto momento, ero certo che mi stesse per venire un infarto.
«Allora...»,
iniziò visibilmente imbarazzata,«Sono
un po' sorpresa, come mai mi
hai chiesto di incontrarci?»,
domandò giustamente. Come mai? Come
potevo dirle che in quei mesi lontani, non avevo fatto altro che
pensarla,
pentirmi, pensarla e pentirmi ancora? Non sapevo neppure da dove
cominciare.
Poi la guardai negli occhi, quei dolci ma furbi occhi color nocciola.
Li amavo
quasi quanto lei. Fu tutto spontaneo.
Mi avvicinai al suo viso, accarezzandola, la sua pelle così
liscia, perfetta. E
per ogni secondo che passava, il mio amore cresceva. Al contatto della
mia mano
sulla sua guancia, Claire sussultò.
«Ti
prego lasciami parlare. Da quando te ne sei andata fa tutto schifo,
tutto. Sono qui per scusarmi. Ti chiedo scusa se ti ho trattata come
una cosa
di mia proprietà, e non come la donna della mia vita. Ti
chiedo scusa se non ti
ho fatta sentire abbastanza amata. Ti chiedo scusa per quelle stupide
scenate
di gelosia che ti hanno allontanata da me. Ti chiedo scusa per non
averti detto
altre centomila volte che sei bellissima, anzi stupenda. Ti chiedo
scusa se non
ho creduto abbastanza in noi quando sei tornata da me, per paura di
essere
ferito. Ti chiedo scusa per tutte le lacrime che hai versato. La mia
vita è
diventata un percorso lastricato di sbagli, e non voglio più
che tu sia uno di
questi! Claire, io ti amo, così è e
così sarà, sempre e per sempre!»
«M-Manu
io... Mi dispiace, ma sono andata avanti. Ho una vita felice, degli
amici che mi vogliono bene... Non voglio riprovarci, ti chiedo scusa!»,
esclamò
lei, e all'improvviso sapevo com'era il suono di un cuore quando si
spezza.
Rimasi in silenzio, ogni altra parola sarebbe risultata superflua, e mi
girai.
Passo dopo passo, mi allontanavo da lei, consapevole che probabilmente
non
l'avrei più rivista.
«A-Aspetta!»,
urlò ad un tratto, quando ero già abbastanza in
lontananza.
Mi fermai di colpo. Tornai a guardarla, ritrovandola davanti a me, ad
un palmo
dal mio naso, affannata per la breve corsa. I nostri sguardi
s’incrociarono, il
marrone dei suoi combaciava alla perfezione col verde dei miei occhi. E
poi
avvenne tutto: come due calamite eravamo attratti l'uno
dall'altra, e a
quel punto anche le nostre labbra si unirono. Fu un lungo, dolce ma
passionale,
bacio. Sembrava infinito. E ora lo sapevo con certezza: lei era il mio
mondo, tutto ciò che desideravo e volevo. Tutto
ciò che poteva rendermi felice.
«Manuel,
allora?!»,
tuonò
la voce di mia mamma più vicina. Sussultai
quasi. Non volevo crederci.
«Manuel,
sono quasi le dieci!»,
al suono
delle sue parole, le mie palpebre si spalancarono.