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Autore: saljd    16/10/2015    1 recensioni
E ora lo sapevo con certezza: lei era il mio mondo, tutto ciò che desideravo e volevo. Tutto ciò che poteva rendermi felice.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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il sogno di una vita assieme

Il sogno di una vita (insieme).

Qualche fascio di luce penetrava dalla finestra della mia camera, inondando letteralmente i miei occhi, e facendoli risultare più gonfi del normale. Era passato un bel po' dalla fine di maggio, i mesi erano trascorsi, il tempo era passato e la vita proseguiva per tutti, tranne che per me. Ero ancorato al passato, ai ricordi, alle sensazioni provate fino a poco tempo addietro.
Avevo fatto la stessa fine del Furioso di Ariosto, distrutto dall'amore ed incapace di accettare la mia sorte. Ognuno è artefice del proprio destino, ed onestamente non potevo essere più d'accordo su quell'affermazione. A causa del mio temperamento, delle mie scelte (sbagliate), avevo perso l'unica cosa di cui m'importava davvero qualcosa: l'amore di Claire.
La nostra storia non era durata molto - nove mesi - ma mai come in vita mia, durante tutto quel frangente, mi sono sentito vivo. Mi ha fatto conoscere l'amore ed il dolore, la felicità e la tristezza; mi ha fatto crescere, maturare, e grazie a lei ero riuscito a capire cosa significava lottare per qualcosa. Senza Claire ero perso.
«Manuel!», la voce di mia madre proveniva da un'altra stanza, forse il bagno, o la cucina, non saprei dire.

Quella mattina d'ottobre spiccava alto nel cielo un sole radioso, accompagnato da un fresco venticello, che rendeva l'ambiente che mi circondava particolarmente gradevole. Ero lì in piedi, impalato, da circa un quarto d'ora, mentre facevo roteare il mio cellulare tra le mani.
Chiamo, o non chiamo? , era il mio unico pensiero da quand'avevo raggiunto quella panchina. Quella panchina dove ci incontravamo il sabato di nascosto, quando i suoi genitori non volevano che mi frequentasse, quella panchina dove tanti, troppi ricordi riaffioravano nella mia testa, come un fiume in piena. Claire aveva sempre lottato per il nostro amore, contro tutto e tutti, molto più di quanto io avessi mai fatto.
Forse è proprio vero che capisci di amare qualcuno, soltanto quando lo perdi.
Composi il numero sul display in due secondi, precedendolo col prefisso del numero privato; tu, tu, tu.
«Pronto?» , la sua voce. Se c'era una cosa che mi era mancata in quei mesi più dei suoi baci, era la sua voce. Assomigliava sempre a quella di una ragazzina. Trattenni il fiato per circa due o tre secondi, poi tirai fuori il coraggio.
«Claire, sono Manuel, lo so che non ti aspettavi una mia chiamata... Nemmeno io me l'aspettavo! I-Insomma... Volevo chiederti se ti andava di incontrarci... Alla nos-... Vicino la panchina alle spalle della chiesa!», esclamai tutto ad un fiato.
Un secondo, due secondi, tre secondi, quattro e poi...
«Sono un po' confusa, ma va bene, ci vediamo lì verso le 17:30, a dopo Manu!», ribatté con tono incerto, come se pensasse fosse uno scherzo. Era tutto perfetto, ed il mio cuore cominciò a battere all'impazzata alla sola idea di rivederla dopo tutto quel tempo. Tutto perfetto, finché non guardai l'ora segnata dall'orologio che avevo sul polso, che per altro mi aveva regalato proprio Claire, erano le 15.30; mi lasciai scivolare sulla panchina, sarebbero state due ore molto lunghe.
Infine arrivò; come suo solito era in ritardo di una ventina di minuti, ma non m'importava. Era bellissima. Le lunghe ciocche bionde gli scivolavano sulle spalle coperte dalla sua felpa rossa preferita, identica e precisa a quella di uno dei suoi attori preferiti.
Ogni passo che faceva per avvicinarsi a me era direttamente proporzionale all'accelerazione dei miei battiti cardiaci.
«Ehi Manu! Aspetti da molto?», mi chiese con un timido sorriso, senza guardarmi direttamente negli occhi.
«No, no, tranquilla! Sono qui solo da due...», Ore, «...Minuti!», mentii spudoratamente, ma non mi andava particolarmente di fare la parte del tipo ansioso. Mi avvicinai, e le stampai un bacio sulla guancia sinistra per salutarla, e in quell'esatto momento, ero certo che mi stesse per venire un infarto.
«Allora...», iniziò visibilmente imbarazzata,«Sono un po' sorpresa, come mai mi hai chiesto di incontrarci?», domandò giustamente. Come mai? Come potevo dirle che in quei mesi lontani, non avevo fatto altro che pensarla, pentirmi, pensarla e pentirmi ancora? Non sapevo neppure da dove cominciare. Poi la guardai negli occhi, quei dolci ma furbi occhi color nocciola. Li amavo quasi quanto lei. Fu tutto spontaneo.
Mi avvicinai al suo viso, accarezzandola, la sua pelle così liscia, perfetta. E per ogni secondo che passava, il mio amore cresceva. Al contatto della mia mano sulla sua guancia, Claire sussultò.
«Ti prego lasciami parlare. Da quando te ne sei andata fa tutto schifo, tutto. Sono qui per scusarmi. Ti chiedo scusa se ti ho trattata come una cosa di mia proprietà, e non come la donna della mia vita. Ti chiedo scusa se non ti ho fatta sentire abbastanza amata. Ti chiedo scusa per quelle stupide scenate di gelosia che ti hanno allontanata da me. Ti chiedo scusa per non averti detto altre centomila volte che sei bellissima, anzi stupenda. Ti chiedo scusa se non ho creduto abbastanza in noi quando sei tornata da me, per paura di essere ferito. Ti chiedo scusa per tutte le lacrime che hai versato. La mia vita è diventata un percorso lastricato di sbagli, e non voglio più che tu sia uno di questi! Claire, io ti amo, così è e così sarà, sempre e per sempre!» 
«M-Manu io... Mi dispiace, ma sono andata avanti. Ho una vita felice, degli amici che mi vogliono bene... Non voglio riprovarci, ti chiedo scusa!», esclamò lei, e all'improvviso sapevo com'era il suono di un cuore quando si spezza. Rimasi in silenzio, ogni altra parola sarebbe risultata superflua, e mi girai.
Passo dopo passo, mi allontanavo da lei, consapevole che probabilmente non l'avrei più rivista.
«A-Aspetta!», urlò ad un tratto, quando ero già abbastanza in lontananza. Mi fermai di colpo. Tornai a guardarla, ritrovandola davanti a me, ad un palmo dal mio naso, affannata per la breve corsa. I nostri sguardi s’incrociarono, il marrone dei suoi combaciava alla perfezione col verde dei miei occhi. E poi avvenne tutto: come due calamite eravamo attratti l'uno dall'altra, e a quel punto anche le nostre labbra si unirono. Fu un lungo, dolce ma passionale, bacio. Sembrava infinito. E ora lo sapevo con certezza: lei era il mio mondo, tutto ciò che desideravo e volevo. Tutto ciò che poteva rendermi felice.

«Manuel, allora?!», tuonò la voce di mia mamma più vicina. Sussultai quasi. Non volevo crederci.
«Manuel, sono quasi le dieci!», al suono delle sue parole, le mie palpebre si spalancarono.

   
 
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