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Autore: nettie    16/10/2015    1 recensioni
Sentii salire alla gola un senso di nausea, disgusto, non avrei mai potuto credere di non essere l’unico a toccare la mia donna.
Già, la mia donna. Era mia, ma era come se non lo fosse mai stata.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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I saw red,

when I opened up the door.

I saw red,

my heart just spilled onto the floor.

I didn’t need to see his face …

‘cause I saw yours,

I saw red

and then I closed the door.

I don’t think I’m gonna love you anymore.

 

Ho aperto la porta.

Un semplice gesto che mi ha svelato ciò che non avrei mai voluto vedere.

E’ proprio vero che niente è come sembra, diamine, mi chiedo come io abbia potuto impiegarci così tanto tempo per capirlo.

Ho aperto la porta.

L’ho aperta, ma di poco, quel poco che bastava a non farmi scoprire. Restò socchiusa, e io lì dietro come il peggiore degli spioni, ad osservare ciò che non avrei mai - e dico mai - voluto vedere: c’era la tua figura avvinghiata a quella di un uomo che non conoscevo, né mi sembrava di aver mai visto in tutta la mia vita. Penso che il tempo si sia fermato a quel semplice gesto, dopo di ché, sì è congelato tutto.  

Tutto.

Sentii la rabbia impossessarsi di ogni singola parte del mio corpo, ma in un piccolo e dimenticato angolo c’era un sentimento che veniva trascurato da troppo tempo al quale mai ho saputo dare nome.

Ho aperto la porta.

Non cigolò né fece rumore, come se si volesse dimostrare mia complice ed aiutarmi in qualche modo. Fatto sta che vidi tutto, e sperai più volte che i miei occhi mi stessero mentendo, sperai più volte di trovarmi in un viscido incubo non desiderato. Rimasi lì dietro la porta proprio come un manichino, con un’espressione corrucciata tanto quanto perplessa stampata sul volto. Il sospetto. Sì, cazzo, sì: il sospetto. Si era rivelato tutto tremendamente vero che quasi non volevo crederci, e mi odiai tanto per non essermi protetto prima da te.

Le sue disgustose mani sui tuoi fianchi lisci e candidi, le tue braccia che tanto mi avevano accolto erano intorno al suo torace, e no, non potevo accettarlo. Eravate immersi nella penombra e si notava solo il profilo fatto di luce dei vostri corpi intrecciati l’uno all’altro, eravate poco più che due ombre, ma mi sembrò come se vi foste messi sotto il più luminoso dei lampadari a fare l’amore, davanti i miei occhi sofferenti, davanti a me, a me che come un perfetto stupido non reagii.

Mi lasciai calpestare il cuore più e più volte mentre voi continuavate a scambiarvi baci ed effusioni come una coppia di adolescenti ignari del pericolo che stanno correndo.

Mi lasciai calpestare il cuore più e più volte mentre le sue mani percorrevano il tuo corpo caldo e mentre i vostri sospiri riempivano la nostra casa, quella dove noi sigillammo la nostra promessa quante volte solo Dio lo sa.

Sentii salire alla gola un senso di nausea, disgusto, non avrei mai potuto credere di non essere l’unico a toccare la mia donna.

Già, la mia donna. Era mia, ma era come se non lo fosse mai stata.

Rimasi nel più completo silenzio stringendo i pugni per evitare di fare gesti indesiderati, per evitare di interrompere tutta quell’oscenità, perché disturbarla ed interromperla mi sembrava quasi un grandissimo peccato. Mi morsi così forte il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue scorrermi giù per la gola, placando quella voglia straziante di urlare che partiva dal fondo dello stomaco.

Ho aperto la porta.

Ho aperto la porta, e quando ti ho vista nel mio cuore si è aperto uno squarcio che già so non potrò riparare. Mai, mai e poi mai. Poi, ho visto due perle azzurre sbucare dall’ombra, e solo dopo ho realizzato che erano quelle due perle azzurre.

I tuoi occhi, i tuoi occhi pieni di sgomento e terrore, che paralizzati guardavano un punto fisso davanti a me, le tue mani serrate sulle sue braccia, le vostre gambe ancora intrecciate.

Ora, i tuoi occhi guardavano proprio me, guardavano nella mia direzione e stavano dicendo qualcosa che mai seppi afferrare alla perfezione.

Non seppi mai se erano scuse, se erano rimproveri, non seppi mai cosa magari stavi per dire o fare in quel fresco pomeriggio di Maggio.

Ho chiuso la porta.

Quando i miei occhi incontrarono i tuoi, decisi di chiuderla senza pensarci due volte, lo feci nel più totale silenzio proprio come la aprii. Lo feci senza fiatare, nella speranza che tu mi ricordassi solo come un miraggio lontano, e che io ti ricordassi solo come una sgradevole avventura.

Ho chiuso la porta.

Me la sono chiusa alle spalle, e in quel momento ho sentito una parte di me andarsene, venir strappata via con tutte le forze possibili, venir strappata via senza il mio permesso.

Ho chiuso la porta.

L’ho chiusa, e mi sono sentito privare dell’aria, della terra sotto i piedi, del calore del sole. Un semplice gesto che mi venne più che istintivo, un semplice gesto che segnò la fine di un capitolo. Rilassai i pugni e sospirai profondamente sperando che non tu mi venissi a cercare: non lo hai mai più fatto.

Scesi lentamente gli scalini del palazzo nonostante non mi sentissi più le gambe, e abbandonai quella che era stata la nostra dimora per troppo tempo. Lo feci con più naturalezza possibile nonostante stessi morendo dentro,

Semplicemente, ho chiuso la porta.

 

“La gente va e viene. E’ cattiva, e molte volte non merita il nostro affetto. Quante volte ci siamo ritrovati a passare anni ed anni interi accanto alla stessa persona, che fosse un amico, una compagna, e poi, ci siamo visti sbattere in faccia la realtà nelle peggiori delle situazioni?

Lasciate perdere, cari, lasciate scorrere: non ne vale davvero la pena piangere dietro tutto ciò, non ne vale neanche la pena cercare una spiegazione, perché la vera non vi verrà mai data. Ciò che vi hanno tenuto nascosto per tanto tempo è sotterrato dietro altre bugie che vi sarà difficile sostenere una volta venuti a conoscenza, quindi limitatevi ad accettare il tutto e andare avanti. Ci saranno quelle notti nelle quali desiderereste non svegliarvi più, ci saranno quelle mattine nelle quali desidereste di non essere mai esistiti, ma se è andata così e non siete ancora morti ci sarà un motivo, giusto? Quante porte abbiamo chiuso e quanti portoni ci sono stati aperti, o quanti portoni abbiamo aperto senza neanche rendercene conto? E quando magari ce ne siamo resi conto, abbiamo sofferto fin troppo, perché realizzare che qualcosa di importante sta cambiando non è mai una buona cosa.

Tutto passa, tutto viene sepolto dagli attimi a venire, e a volte anche scordato. Le cicatrici rimangono, ma la ferita passa. Passa sempre.

   
 
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