Storie originali > Epico
Ricorda la storia  |      
Autore: RodenJaymes    16/10/2015    1 recensioni
One shot che riguarda il mito di Orfeo ed Euridice.
Dal testo: "Gli occhi della ninfa si riempirono di lacrime calde che, copiose, scesero a rigarle le rosee guance. La vista le si offuscò.
E fu un attimo.
Tornò a guardare davanti a sé, cercò di correre più veloce. Il fruscio, la risata, l’affanno. Tutto aumentò.
E cadde. "
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
In altre circostanze, il fruscio della veste contro l’erba alta sarebbe stato un suono piacevole all’orecchio, carezzevole. Le era familiare, correva spesso per quei campi fioriti che considerava la sua casa. Passava lì molto tempo ad ammirare la Madre Terra ed i suoi prodigi, abbondanti e meravigliosi.
Il cielo era terso, non una nuvola offuscava il blu perfetto. Zeus padre quel giorno non era adirato, offriva ai mortali e agli dei minori una piacevole giornata nonostante fossero già arrivati i mesi infecondi, i mesi in cui Kore1 era lontana dalla divina madre.
Lei correva, correva senza avere più fiato. Il giovane volto crucciato, il sudore che lo imperlava dolcemente  increspandosi in piccole goccioline sulla fronte stretta, sulla nuca, sul collo sottile, sul piccolo mento.
Sentiva i polmoni bruciare, i piccoli seni si alzavano e si abbassavano in maniera aritmica seguendo il respiro irregolare, ormai affannoso; il corpo posto ad uno sforzo più grande di quanto potesse sopportare.
Il tempo sembrava essersi dilatato, non ricordava più quando la sua corsa fosse iniziata e non importava. Importava, invece, quando sarebbe finita. Sperava al più presto, sperava immediatamente. Era stanca, sfinita, stremata.
Piccoli sterpi ed erba fresca e molle di rugiada sfioravano le caviglie sottili dell’amadriade2.
I piedi nudi e pallidi aderivano al terreno giusto il tempo per dar la spinta allo scatto successivo. Un corsa infinita la sua, o almeno, così le sembrava.
Sentiva dietro di sé  passi pesanti sempre più vicini. Volse per un attimo indietro il capo: Aristeo3 correva, la inseguiva, cercava di prenderla e di farla sua.
Dal bosco arrivò indistinta la risata divertita di Febo4 suo padre.
Gli occhi della ninfa si riempirono di lacrime calde che, copiose, scesero a rigarle le rosee guance.  La vista le si offuscò.
E fu un attimo.
Tornò a guardare davanti a sé, cercò di correre più veloce. Il fruscio, la risata, l’affanno. Tutto aumentò.
E cadde.
Cadde nell’erba verde che l’accolse, come sempre faceva. Tentò di rialzarsi, in preda al panico, ma qualcosa la bloccava, la fermava.  Vide una grossa serpe nera fuggire via fra la vegetazione e il dolore arrivò, acuto, bruciante. Un dolore strisciante, come chi glielo aveva inferto, che si appropriava di tutto il suo fragile corpo.
Due grossi fori aveva, la bella ninfa, sulla caviglia sinistra.
Il sangue uscì copioso, macchiando l’erba.
Ella sentì pian piano la vita abbandonarla, il cuore pesante come un macigno. Aristeo era, forse, sempre più vicino ma ormai nulla importava.
Apparve davanti a lei un uomo altero, dal volto di porcellana e gli occhi neri come la notte.
Thanatos cuore di ferro5 era venuto a reclamarla.
Le tese la mano.
Così Euridice spirò.

ll suo chitoniskos6 frusciava leggero, spostato dal vento.
Era un rumore fastidioso e molesto mentre correva, mentre cercava di farsi strada fra quelle erbe ingiallite e intricate.
Cercava di andare sempre più veloce, il tumulto nell’animo che lo inseguiva, lo scortava; quel tumulto che gli era compagno.
La clamide7 che portava sulle spalle cadde e la lasciò andare, anzi accelerò. La lira che teneva nella mano sinistra sembrava caldissima a contatto con la sua pelle sudata; sembrava fremesse.
Il giovane sentiva i polpacci dolere, il sudore trasparente appiccicargli i ricci castani alla nuca. Ogni respiro gli era sempre più doloroso, sempre più amaro. Sentiva in bocca sapore di fiele e al contempo la gola riarsa.
Il tempo parve accelerare, scorreva veloce da lui, sgusciava via dalle sue giovani dita in una corsa infinita. O almeno, così gli sembrava.
Improvvisamente scorse delle figure accucciate fra l’ebra, fra gli sterpi. Figure di donna, vestite di bianco, tutte vicine.
Eccole.
In un ultimo scatto, egli inciampò e cadde goffamente al suolo, in ginocchio davanti quelle figure.
Si sbucciò le ginocchia e i palmi delle mani e un bruciore secco lo prese; non se ne curò. Il bruciore che provava al cuore era più grande, profondo, infinito.
Le amadriadi piangevano, si percuotevano il petto, si tiravano i capelli.
“Euridice, dolce Euridice!”, dicevano in coro.
Piegato dal dolore, il giovane raggiunse carponi le donne, si fece spazio fra i loro corpi.
La vide.
Euridice era lì, immobile.
 L’erba aveva accolto il suo corpo in un verde abbraccio , i capelli ebano scarmigliati così in contrasto con la veste bianca, ormai macchiata di fango. Le labbra non erano più rosse, le dolci gote avevano perso il loro colore.
Tuttavia la trovò bella, anche nella morte.
Due fori orribili e vermigli sfiguravano la sua caviglia, lì intorno l’erba era molle del suo sangue.
Il giovane fu preso da un grande tremore e sentì le membra fredde e rigide, come quelle della sua sposa. Il cuore, però, il suo cuore batteva. Palpitava e doleva, gonfio e grosso di terribile e insistente dolore.
Lacrime calde scesero veloci dai suoi occhi azzurri come il cielo, quel cielo sotto il quale la sua amata era morta.
Sotto il cielo dove quei Numi avevano osservato impassibili morire Euridice.
-Numi, crudeli Numi! Quale dolore, quale affanno!
Così Orfeo il cantore gridò.


Note.
1. 
Kore è la dea della Primavera, figlia di Zeus e Demetra, dea delle messi. Il mito narra che ella fu rapita da Ade, dio dell'Oltretomba, divenendo sua sposa e regina di quel luogo. Da quel momento, fu deciso che la fanciulla trascorresse metà anno con la madre e metà con lo sposo. Quando Kore (chiamata poi Persefone negli Inferi) tornava da Demetra, ella, felice, permetteva alla natura di rifiorire (periodi primaverile ed estivo). Quando, invece, la fanciulla tornava dallo sposo, la madre, triste, portava il freddo e la terra non produceva più nulla, divenendo infeconda (periodi autunnale ed invernale). Così veniva spiegato il cambio delle stagioni.
2. Le amadriadi sono un tipo particolare di ninfe appartenenti alla categoria delle driadi. Erano delle figure mitologiche che vivevano dentro gli alberi fino a diventarne, addirittura, personificazione. 
3. Aristeo era un pastore, figlio di Apollo e della ninfa Cirene. S'invaghì della ninfa Euridice.
4. Epiteto attribuito ad Apollo. 
5. Personificazione della morte, figlio della Notte e fratello gemello di Hypnos, dio del sonno. Egli viene definito da Esiodo, nella sua Teogonia, cuore di ferro. 
6. Indumento maschile della Grecia antica, lungo fino alle ginocchia e legato in vita da una cintura. 
7. Mantello corto di tessuto leggero legato sulle spalle o intorno alla gola con un fermaglio. 

  Angolino dell'autrice.
Ciao a tutti! Sono nuova qui e questa è la mia prima storia. O meglio, non sono proprio nuova... sono sempre stata una lettrice silenziosa. Oggi, però, ho preso coraggio ed ho deciso di pubblicare! Ho scelto di scrivere di Orfeo ed Euridice poiché sono una delle mie coppie mitologiche preferite; ho scelto di trattare il momento della corsa in un parallelismo che porta entrambi ad una "fine". Spero vi sia piaciuto e se siete arrivati a leggere fino a qui, vi ringrazio! Mi farebbe piacere se mi lasciaste qualche recensione, dicendomi cosa ne pensate. La mitologia greca è un campo vasto e pieno di rimandi; spero che le mie note siano utili e non troppo confusionarie.
Beh, ho scritto fin troppo!
Un bacio. :)
RodenJaymes.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: RodenJaymes