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Autore: CactuSora23    17/10/2015    1 recensioni
[Il gioco dell\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'angelo]
“Succede di continuo, David, ma la maggior parte degli scrittori preferisce ignorare questo fatto e continuare a produrre pagine senz'anima, per abitudine o per profitto. O ancora per non ammettere di essere divenuti sterili.”
“Non voglio essere così” rispose il piccolo Martin prima ancora che l'angelo potesse riprendere fiato.
“Lo so, David. É questo il motivo della mia visita. Si tratta di una scelta.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Crollò sfinito sulla tastiera consunta della Underwood, dopo l'ennesima notte di scrittura a cottimo, e annegò in un sonno fumoso guidato dagli effetti di una poderosa sbornia.

Per questa ragione non seppe mai se il vivido sogno che la sua mente stanca produsse quella notte fosse solo il risultato onirico di una vita stressante e infelice, oppure una sorta di rivelazione mistica.

Non appena le palpebre si fecero sufficientemente pesanti da oscurargli la vista, difatti, si ritrovò in una vecchia camera buia e muffa, accoccolato sotto una coperta di lana lisa, con l'angolo rinforzato di un libro che gli sfiorava la guancia da sotto il cuscino. Camera sua. O meglio, la camera del David Martin di un ventennio prima, quando ancora era un ragazzino sognatore e oltremodo amante dei racconti di Jules Verne, che condivideva un vecchio appartamento all'estrema periferia di Barcellona con un padre analfabeta che si cacciava continuamente nei pasticci per faccende di soldi.

Era una notte straordinariamente umida, e il piccolo David cercava di contenere i brividi che gli percorrevano costantemente il corpo, mentre un po' aspettava e un po' temeva il momento in cui avrebbe sentito sbattere l'uscio di casa e udito il padre caracollare oltre la soglia, magari imprecando a tutta gola per la difficoltà riscontrata nell'infilare la chiave nella toppa, gonfio come un otre di vino scadente.

Suo padre tuttavia non era una cattiva persona. Certo, a volte si arrabbiava vedendo il figlio perdere intere giornate a divorare tomi che solo dio sa che idee astruse gli avrebbero ficcato in testa, e a volte gli tirava quattro scapaccioni per insegnargli a vivere in questo mondo di merda, come amava definirlo, ma si era preso cura di lui da quando la madre se l'era portata via un malanno, anni addietro.

David non riusciva ad odiarlo, ma nemmeno a volergli sinceramente bene, a quell'uomo distrutto dal dolore e dall'alcool.

Perciò continuava a rigirarsi nel letto, aspettando il sorgere del sole per poter sfogliare qualche altra pagina del Giro del mondo in 80 giorni, rifuggendo la squallida realtà che quotidianamente era costretto a vivere.

D'un tratto tuttavia avvertì una presenza nella stanza, e senza indugi si tirò a sedere sul letto.

Poco mancò che non ci restasse secco per lo spavento, quando i suoi occhi incontrarono quelli di ghiaccio della figura alta e vestita di scuro che si stagliava in mezzo alla stanza.

L'uomo percepì la sua paura, e con voce estremamente calda e suadente pronunciò poche parole: “David, non preoccuparti. Non sono qui per farti del male.”

“Chi sei tu?!” la domanda affiorò spontanea alle labbra di David, che la sputò contro l'estraneo con voce spezzata.

“Il mio nome non è importante, David. Quel che devi sapere è che sono un angelo.”

“Un...angelo? Non è vero! Papà dice sempre che se gli angeli, Dio e tutte le altre cose che dice la Chiesa esistessero davvero la mamma sarebbe ancora con noi!”

L'uomo non riuscì a trattenere un mezzo sorriso, che scoprì due file di denti candidi e perfetti: “David, non ti ho mai detto che Dio o gli angeli di cui parla la Chiesa esistano. Ti assicuro però che io sono un angelo, e sono qui per te.”

David non capiva, ma il terrore iniziale ora si stava gradualmente tramutando in bruciante curiosità.

“Se sei davvero un angelo” esordì “dove sono le tue ali?”

Il sorriso dell'uomo si fece ancora più ampio. “Puoi toccarle, se vuoi” lo invitò, avvicinandosi al letto escostando un lembo del mantello da viaggio che indossava.

David allungò una mano, timoroso, e passò il palmo su quelle che parevano piume eccezionalmente sericee, che rilucevano come perle alla tenue luce lunare che filtrava dalla finestra.

Il suo cuore mancò un battito per la sorpresa, quando scoprì che erano effettivamente saldate alla schiena dell'uomo, ma non ritrasse il braccio: era rimasto letteralmente ipnotizzato dalla sensazione che quelle penne straordinarie donavano al tatto, e cominciava a credere veramente di star dialogando con una creatura ultraterrena.

“Ora mi credi?” domandò l'angelo, visibilmente divertito.

“Forse” concesse il bambino, riscuotendosi dal torpore e tornando guardingo. “Ma perché saresti qui? Perché mai un angelo vorrebbe parlare con me?”

“Perché ho bisogno di sapere alcune cose” rispose l'uomo, guardando David dritto negli occhi.

Il piccolo Martin si sentì trapassare da quello sguardo glaciale, ma si sforzò di sostenerlo.

“Quali cose?”

“So che ti piace leggere. Che ami leggere. E, anche se forse ancora non lo sai, hai un talento naturale per la scrittura.”

David non lo sapeva, dopotutto a dieci anni non aveva prodotto ancora nulla che si potesse definire un vero libro, ma percepiva di essere in qualche modo portato per trasmettere ad altri la sua vivida immaginazione sotto forma di fiumi di parole.

“Sì, mi piacciono i libri” si limitò a rispondere.

“E, dimmi, ti piacerebbe diventare uno scrittore?”

Cavolo se mi piacerebbe, pensò David. È l'unico mestiere che sento di voler fare da grande.

“Credo di sì. Ma cosa c'entra tutto questo?”

L'angelo si accostò al letto, e con un movimento elegante si sedette di fronte a David, senza distogliere un attimo gli occhi dal suo volto.

“Devi sapere, David Martin” cominciò in un soffio, facendo una piccola pausa dopo aver pronunciato il suo nome, “che il dono della scrittura è un fardello.”

“In che senso?”

“Beh, David...nessuno vorrebbe mai essere un ottimo scrittore senza essere riconosciuto come tale, no?”

“No, non penso...ma se uno è bravo lo devono vedere per forza anche gli altri!”

L'angelo abbassò per un momento lo sguardo, prima di catturare ancora una volta gli occhi e l'attenzione del bambino che gli sedeva di fronte.

“Vedi, è proprio qui il pasticcio...non sempre gli uomini riconoscono il valore della buona pagina, quando la leggono. Anzi, molte volte non percepiscono nemmeno il fremito che un libro ben scritto provoca nell'anima, né riconoscono i semi che esso pianta nella loro mente, quando germogliano. Se germogliano, perché spesso essi sono talmente aridi da non consentire nemmeno alla più fertile delle idee di attecchire nei loro cervelli muffi.”

“Ma è orribile! Quando un libro emoziona non si può non riconoscerlo, è la cosa che rende leggere così bello! Non possono esistere uomini tanto stupidi!” replicò David, visibilmente sconvolto.

“Esistono, David, e sono moltissimi. Più di quanti potresti mai immaginare. Ma non è questo il problema più grande.”

“No?!”

“No. Il vero dilemma è quando nemmeno tu ti emozioni più leggendo ciò che hai scritto.”

“Può succedere?”

“Succede di continuo, David, ma la maggior parte degli scrittori preferisce ignorare questo fatto e continuare a produrre pagine senz'anima, per abitudine o per profitto. O ancora per non ammettere di essere divenuti sterili.”

“Non voglio essere così” rispose il piccolo Martin prima ancora che l'angelo potesse riprendere fiato.

“Lo so, David. É questo il motivo della mia visita. Si tratta di una scelta.”

“Quale scelta? Chi mai sceglierebbe di essere un cattivo scrittore?”

“Piano. Non ti ho ancora parlato del prezzo.”“Quale prezzo?”

“Il prezzo per essere un bravo scrittore in ogni singolo momento della tua vita.”

David Martin dovette sforzarsi parecchio per ricacciare indietro le lacrime, e riuscì a malapena a rispondere con un filo di voce: “Sono povero.”

“Non è col denaro che puoi comprare questo privilegio, David. Serve qualcosa di molto, molto più prezioso. Per questo devi riflettere bene prima di scegliere.”

“Cosa mai dovrei dare in cambio di questo?” domandò il bambino, la cui speranza si era riaccesa come una fiammella.

“La tua intera felicità.”

“La mia...felicità? Come posso darti la mia felicità se scrivere bene è tutto ciò che desidero?”

“Tu non hai ancora conosciuto la vera felicità, David. E nemmeno l'infelicità. Per il momento alterni entusiasmo, tristezza, rabbia, paura...ma non sai cosa siano la felicità e la sua assenza.”

“E cosa sono?”

“Non posso rivelartelo, o influenzerei la tua scelta. Io sono solo un emissario, non posso guidarti. Posso solo dirti che la scelta che farai stanotte non sarà di per sé vincolante, ma in ogni caso sarai tu a non voler tornare indietro.”

“Perché?”

“Lo scoprirai da solo, David. Ma deve esserti chiaro che, se vorrai essere davvero un ottimo scrittore, soddisfatto ed emozionato da ogni singolo rigo che scriverai, non potrai mai essere compiutamente felice.”

“Non voglio essere felice. Voglio essere uno scrittore” affermò il bambino con vigore, senza pensarci troppo.

Leggere e scrivere erano state le sue sole ancore di salvezza dalla putrida quotidianità che lo circondava, ed era fermamente convinto che se avesse passato la vita a fare ciò che più gli piaceva al mondo non sarebbe stato poi così infelice.

“Va bene, David. Ero sicuro che avresti scelto questo.”L'angelo rivolse al bambino un sorriso mesto, prima di alzarsi dal letto, rassettarsi placidamente la veste e avviarsi verso la soglia della stanza.

“Ehi, aspetta!!!” David cercò di alzarsi dal letto, ma le gambe parevano non rispondere alla sua volontà.

“Dove stai andando? Cosa succederà ora?”

“Quello che hai deciso tu, David” rispose l'angelo, voltandosi appena a guardare la figuretta spaurita seduta sul materasso. “Ci rivedremo presto”, concluse, sibillino, prima di uscire dalla stanza inghiottito dal buio vischioso della notte.

David cercò invano di divincolarsi dalle invisibili catene che sembravano costringerlo a letto, e iniziò a chiamare l'angelo a pieni polmoni, senza ricevere risposta.

Gridò, si sfozò di muoversi e gridò ancora, ma dopo pochi attimi una densa caligine grigiastra sembrò insinuarsi nella camera dalla finestra semichiusa, avvolgendo tutto ciò che incontrava al suo passaggio.

David aveva paura, avrebbe voluto scappare, ma in una manciata di secondi la nebbia aveva divorato anche lui, che ora annaspava, i polmoni pieni di nulla.

Perse i sensi, ed un attimo dopo un David Martin adulto e madido di sudore si svegliò di soprassalto afferrando un portapenne, col fiato corto.

La testa gli doleva come non mai, e si afferrò con forza le tempie per tentare di frenare il moto vorticoso della stanza attorno a sé, e con esso l'acuto senso di nausea che cresceva ad ogni istante.

Stette immobile per qualche minuto, dopodiché si azzardò ad aprire gli occhi: la stanza era immersa nell'ombra, la scrivania sulla quale giaceva la Underwood appena rischiarata da un mozzicone di candela morente.

Si alzò dalla sedia e si trascinò giù per le scale, fino alla cucina, dove accese i fornelli e mise sul fuoco una moka piena di caffè.

Mentre attendeva la preparazione della sua “energia liquida”, come era definita la bevanda tra gli scrittori squattrinati, ripensò all'angelo del sogno.

I suo tratti gli erano in qualche modo familiari, a partire dagli occhi azzurrissimi e penetranti, e anche l'eloquio calmo e cadenzato solleticava un remoto angolo della memoria, senza tuttavia concretizzarsi in un nome ed un volto conosciuti.

O sei un bravo scrittore, o sei felice. Bell'affare, David, hai scelto proprio l'alternativa migliore, si disse.

E d'un tratto gli sovvenne alla mente il viso di Christina, sorridente, che lo guardava dal letto che durante qualche notte fugace avevano condiviso. Christina serena, sicura del loro futuro assieme, pronta a lasciare il marito multimilionario, bellissimo e pazzo di lei per il problematico, cinico Martin.

Un'acuta fitta di rimpianto trapassò il petto di David al ricordo di quei momenti. Era stato illusoriamente felice, al tempo. Schifosamente felice per una manciata di giorni, nei quali aveva accantonato la Underwood e tutte le penne di questo mondo per cominciare finalmente a vivere, e non ad immaginare. Non avrebbe più sognato una vita ideale, né avrebbe delineato scenari da incubo per consolarsi della sua meschina esistenza, ma avrebbe goduto della meravigliosa occasione che gli era stata concessa.

La moka brontolò, distogliendo Martin dalle sue elucubrazioni, e lui si affrettò a versare l'intruglio nero come la pece in una tazza sbeccata.

Bevve avidamente, godendosi il bruciore corroborante del caffè, e ripensò alle parole dell'angelo.

Maledetto bastardo, avevi ragione. Essere infelice è l'unica spinta che ho per scrivere, e scrivere è l'unico rifugio al riparo dalla mia infelicità.

   
 
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