«È
caduta da cavallo e non mi riconosce più.»
Fabrizio rivolse ad Antonio uno
sguardo di preghiera, custodendo in lui ogni altro commento sulla
condizione
della sua amata. Il medico sapeva che l’idea che potesse
trattarsi di un
problema permanente l’avrebbe fatto impazzire,
perciò si preparò anche a
mentire. La conseguenza sarebbe infatti stata quella di avere un
secondo
paziente da curare e rassicurare.
La
vita procede ineluttabile, e compito di Antonio era anche quello di
confortare
le famiglie: che avessero perso un figlio o un genitore, o una moglie,
nessuno
avrebbe potuto riportarli a loro. Avrebbero dovuto continuare a vivere
per
mantenere nell’aria la memoria della persona amata: solo
così avrebbero potuto
trovare un significato al progredire della loro esistenza, almeno per i
primi
anni dalla perdita, quando il dolore rende inabili nel compimento anche
dei
piccoli gesti quotidiani.
Il
medico si avvicinò al letto e procedette a esaminare le
condizioni generali
della donna minuta il cui fragile corpo scompariva ricoperto delle
numerose
coltri. Il battito, il respiro, le pupille, le ecchimosi evidenti, i
riflessi,
recitò nella sua mente come rito di ogni visita.
La
donna lo fissava apatica muovere le mani sopra il corpo che non
riconosceva
come proprio. Percepiva i suoi polpastrelli palpare cautamente
l’addome, ma si
sentiva fisicamente bene, perciò si domandava a che scopo
fosse stato chiamato
un medico. Solo non si ricordava come fosse finita in quel posto
così sfarzoso,
colorato e pulito, in mezzo a quel silenzio e a quella gente premurosa.
Avrebbe
ritrovato la strada di casa, se mai l’avessero lasciata
libera.
Antonio
terminò di visitare la donna, che non presentava segni di
emorragie interne, né
contusioni o ferite di grave entità, se non un ematoma al
ginocchio e qualche
segno sui palmi delle mani. Fisicamente si sarebbe ripresa velocemente;
il
problema risiedeva nel trauma cerebrale, e su quello Antonio non aveva
strumenti per intervenire.
Si
stava facendo l’alba, quando si rizzò in piedi e
indicò a Fabrizio di seguirlo
fuori dalla stanza.
Fabrizio
gli strinse il braccio che sorreggeva la borsa di cuoio. «Mi
dirai la verità?»
Non posso giurartelo, amico mio.
«Farò
il possibile» rispose asettico con le parole riservate in
ogni occasione ai
parenti di un malato. «Farò il
possibile» ripeté agli occhi imploranti di
rabbia, pena e terrore di un uomo innamorato che supplicavano che gli
riportassero
indietro Elisa. «È viva, Fabrizio, e adesso
possiamo solo aspettare. Potrebbe
rimanere così per giorni.».
Fabrizio
alzò gli occhi al cielo sussurrando
un’imprecazione.
«Ha
battuto la testa, ma il colpo non è stato forte.»
«L’avevo
rimproverata, è stata colpa mia se è uscita
stanotte.»
«Non
pensarci, la colpa non è di nessuno.» Quante volte
si era ripetuto quella
insulsa filastrocca che ora rifilava a chi si dannava dei propri
sbagli.
«Occupati solo di lei il meglio che puoi.»
«Non
la lascerò un minuto.»
«Con
parsimonia. Lascia che impari a conoscere gradualmente il mondo che
l’accoglie.
Potrebbe chiudersi in se stessa rifiutandolo.»
Fabrizio
annuì, impaziente. «Ci si deve sentire
maledettamente soli e spaesati»
immaginò, gettando un’occhiata a Elisa che si
guardava intorno immobile.
«Devi
starle vicino, ma non impedirle di rielaborare la situazione con la sua
mente. Non
assillarla, non metterla con le spalle al muro. Parlale come se vi
foste appena
conosciuti.»
«E
se…»
Antonio
scosse il capo velocemente. «Non pensarci.»
Ma
Fabrizio non poteva impedirsi di farlo, e lo stesso Antonio.
Fabrizio
ed Elisa avrebbero imparato a conoscersi di nuovo, ed Elisa,
chissà, avrebbe prima
o poi accettato l’idea di essere la persona che era. E se questo non sarebbe successo,
così si ostinava a ripetere Fabrizio,
se Elisa non mi riconoscerà mai
come l’uomo
che l’ama, se mi rifiuterà, se vorrà
andarsene da questa casa che non sente
come sua…
Antonio
cercò di interromperlo nel suo turbamento. Fabrizio era
intelligente abbastanza
per potere accettarlo… testardo sì, ossessivo, ma
se si fosse impegnato a
spiegargli che non avrebbe potuto fare nulla per obbligare una donna ad
amarlo…
Patetico, dichiarato da chi era certo del contrario. Non si guarisce
mai, dalle
ferite del cuore, e poteva scriverlo col sangue ogni volta che entrava
in
quella casa.
Quanto
Antonio aveva gridato e pregato; avrebbe dato l’anima per
potere vedere Lucia respirare
ancora, perché potesse esserle concesso un fiato per
spiegargli la natura del
suo gesto. Non voleva crederci, di avere ucciso una donna per una
vecchia
scelta sbagliata.
Di
averne uccise due, sebbene l’altra riposasse nella propria
stanza qualche piano
sopra la sua testa, ignara che Antonio si trovasse ora nella sua stessa
casa.
Volesse
il cielo che gli si cancellassero dalla mente i vissuti degli ultimi
decenni.
Dovere calpestare le mattonelle di quel pavimento senza
l’idea fissa che i
piedi di quella donna avessero fatto lo stesso, sorridere senza la
vergogna di
ricordare che centinaia di volte l’aveva fatto con lei e
grazie a lei.
«È
per questo che ti consiglio di parlarle lentamente e di limitare le
visite
della famiglia e degli altri della tenuta. Finché non
riprende la memoria,
dovrà costituirne una nuova, e potrebbe non
piacerle.»
L’ultima
rampa di scale prima dell’ingresso l’avrebbe
riportato a galla da quella realtà
che odiava volere accettare, un po’ come rischiava di fare
Elisa di fronte a
quello sconvolgimento della propria mente.
«Fabrizio,
sei tu?»
Antonio
si bloccò, i piedi su due gradini diversi, una mano
aggrappata al corrimano
come una morsa.
Se
si fosse mosso senza rispondere, la sua presenza l’avrebbe
resa sospettosa di
intrusione.
Se
avesse risposto si sarebbe fatto riconoscere alla prima sillaba.
Eppure
non desiderava eseguire nessuna delle due azioni: l’aspettava
voltato di
spalle, affinché la donna per la quale nessuna amnesia
avrebbe potuto fare
svanire l’immagine si stupisse dell’uomo cui era
stato concesso di posare i
piedi su quei gradini. Che fosse un gesto di cattiveria, o di pigrizia,
o di
provocazione poco importava. Forse era solo spaventato, in quanto
qualsiasi
mossa avesse fatto avrebbe fatto insorgere l’ira negli occhi
di Anna. Anche se
lui agognava unicamente di vederli, a prescindere
dall’emozione che essi
serbavano.
«Ma
cosa…»
Non
riuscì nella promessa di non voltarsi.
Le
morbide onde dei suoi capelli cadevano sulle sue spalle e lungo la
schiena,
scivolando sull’avorio del pizzo della veste da camera, che
celava quel corpo
sino ai piedi.
Quale
orrore avere sperato di poterla dimenticare per sempre!
L’ora
non le diede modo di esprimere ad alta voce la sua riluttanza, il suo
odio, la
sua rabbia nell’affrontare quell’ospite non
gradito, sebbene nella penombra
delle candele appese lungo la scala fosse chiaro come il suo compito
nella
tenuta fosse stato meramente di tipo professionale.
Antonio
poggiò la borsa a terra e improntò i gradini per
risalire la scala, ma Anna
indietreggiò ad ogni suo passo, pronta a mantenere la
distanza che aveva
decretato.
Forse
era lei, tra i due, ad essersi imposta di dimenticare. Ma non era
cautela, il
significato delle mani dinnanzi a sé; non denotava
titubanza, la sua bocca
socchiusa, né gli occhi rapidi a cambiare direzione.
Erano
i gesti inconsci di chi conosceva bene la persona con cui si
costringeva a non
voler trattare.
«Spero
di non avervi spaventata.»
«Mia
madre sta male?»
«No,
Elisa è caduta da cavallo.»
«Se
non è richiesta vostra ulteriore presenza in questa casa, vi
prego di
andarvene.»
Gli
volse le spalle, la vestaglia strusciante di protesta contro le gambe
della
donna.
Inseguila, Antonio, corri incontro a quei
capelli ordinati, avvertine il profumo, così come quello
della sua pelle. Gioca
con le ombre delle candele lungo le scalinate, afferrale un polso senza
farle
male, ricorda cosa voleva dire accarezzarla, sorriderle, scombussolarle
la vita
di gesti parole e sguardi. Chiama il suo nome fino a farle male,
piantale il
tuo in mezzo alla memoria sbiadita, strappale l’imposizione
di fuggire lontano
da te. Amala, Antonio, anche se non puoi averla, anche se non
può e non vuole
vedere i tuoi occhi che gridano per avere una seconda
possibilità.
«Anna.»
Ricordati com’era chiamare il suo nome in
mezzo alla gente.
«Anna.»
Ricordati com’era sussurrare il suo nome
da
soli, il fuoco di un camino a spiare i vostri abbracci segreti.
Anna
sostò un istante sulla rampa che portava al piano di sopra,
lo sguardo fisso a
terra e una mano a reggere la stoffa della veste.
E ricordati che non vorresti mai
dimenticarla, anche se ti si prospettasse l’occasione,
perché la corsa di Anna
nel coprire la distanza di un piano confessava solo una cosa. Che anche
lei
avrebbe voluto farlo, avrebbe voluto spazzare via il tuo nome, i tuoi
abbracci,
le tue carezze. Invece si ostinava a ricacciarti in un angolo,
pugnalando il
suo cuore ogni giorno.
«Anna.»
I
passi si tramutarono di nuovo in una pausa silenziosa
d’attesa.
Antonio
sollevò lo sguardo, senza distinguere altro che il dondolio
delle fiamme delle
candele.
No, non aveva dimenticato.