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Autore: proudtobea_fangirl    18/10/2015    2 recensioni
Jocelyn Morgenstern – no, Fairchild – posò finalmente i piedi a terra, dopo più di sette ore in volo.
L’alba si estendeva sulla città di New York, rilucente come l’interno di una perla. Dai finestroni del JFK s’intravedevano alti palazzi di vetro e acciaio, così diversi dai rustici edifici di Alicante, in mattoni e pietra.
Tuttavia, Jocelyn non ebbe il benché minimo ripensamento sulla sua scelta. Scappare da Idris, da Valentine, era la cosa giusta da fare. Perché sì, era certa che lui fosse ancora vivo e le aveva promesso che avrebbe reso la sua vita un inferno e aveva paura che il bambino che portava in grembo potesse essere come Jonathan...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jocelyn Fray, Luke Garroway, Valentine Morgenstern
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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American Oxygen
American Oxygen

Oh say, you see
This is the American dream.
Young girl, hustlin’
On the other side of the ocean


Jocelyn Morgenstern – no, Fairchild – posò finalmente i piedi a terra, dopo più di sette ore in volo.
L’alba si estendeva sulla città di New York, rilucente come l’interno di una perla. Dai finestroni del JFK s’intravedevano alti palazzi di vetro e acciaio, così diversi dai rustici edifici di Alicante, in mattoni e pietra.
Tuttavia, Jocelyn non ebbe il benché minimo ripensamento sulla sua scelta. Scappare da Idris, da Valentine, era la cosa giusta da fare. Perché sì, era certa che lui fosse ancora vivo e le aveva promesso che avrebbe reso la sua vita un inferno e aveva paura che il bambino che portava in grembo potesse essere come Jonathan...
Con uno scatto d’ira si costrinse a non pensarci più. Era probabile che Valentine fosse ancora in circolazione, ma Jonathan era morto. Morto. Ucciso dal suo stesso padre, dal mostro che lei credeva di amare. E, cosa più disgustosa di tutte, si sentiva sollevata. Sapeva di essere una persona orrenda, dal momento che percepiva quella rivoltante sensazione. Ma niente da fare: non poteva ricacciarla indietro.
Forse era meglio così. Forse dimenticare Jonathan poteva esserle d’aiuto per affrontare tranquillamente i rimanenti mesi di gravidanza. Più facile a dirsi che a farsi, pensò amaramente.
Si accorse di essersi poggiata una mano sul ventre. Non sapeva se lì dentro ci fosse un maschietto o una femminuccia, né se gli esperimenti di Valentine fossero andati a segno anche stavolta. Ma una cosa era sicura: nell’uno o nell’altro caso, non avrebbe commesso lo stesso errore. Si sarebbe imposta di amare, o almeno di provare ad amare, suo figlio o sua figlia. La tara che più la rodeva era la mancanza di un padre. Magari, se ci fosse stato Luke...
Luke.
Si erano separati all’aeroporto di Orly, da dove lei era partita per New York con un biglietto acquistato grazie alla vendita dell’amuleto del Circolo di Valentine nel mercato delle pulci di Clignancourt.
Luke l’aveva pregata di non lasciarlo. Le aveva detto che l’avrebbe accompagnata, che avrebbe cresciuto suo figlio come il proprio, che non faceva importanza che il genitore biologico fosse Valentine.
Ma non ha mai incontrato Jonathan.
Jocelyn rifiutò tutto. Come poteva mettere Luke davanti a una prospettiva di vita così pericolosa? Se lei avesse avuto ragione sulla sorte di Valentine, Luke avrebbe rischiato la pelle. Era sulla sua lista nera, e Valentine lo voleva morto. E se veramente il bambino che cresceva dentro di lei si fosse rivelato esattamente come Jonathan, non si sarebbe mai perdonata per aver costretto Luke a condividere il suo orrore.
Questo avrebbe significato non rivederlo mai, mai più. Il solo pensiero mandava in frantumi i resti del suo cuore.
Erano rimasti abbracciati finché dagli altoparlanti non ebbero chiamato per l’ultima volta il suo aereo. Solo allora Luke l’aveva lasciata andare, e con gentilezza l’aveva spinta verso il varco delle partenze.
All’ultimo minuto, Jocelyn era corsa indietro e gli aveva sussurrato all’orecchio: — Valentine è ancora vivo. — Poi era tornata sui propri passi, mentre il viso le si riempiva di lacrime.
E adesso era lì, ferma davanti a un gigantesco vetro, a contemplare da lontano la città che, sperava, l’avrebbe protetta. La sua ancora di salvezza. L’ultimo appiglio a cui aggrapparsi.
Turisti e pendolari la urtavano, la spintonavano, senza la minima accortezza. Il tanfo rivoltante di migliaia di corpi sudati mischiato alla puzza di olio da frittura scadente e all’odore di plastica le faceva venire la nausea – come se non ne avesse avuta già abbastanza. E sebbene fosse ancora distante da New York, le sembrò quasi di riuscire a sentire le miriadi di rumori cittadini.
, disse fra sé e sé. La Grande Mela mi nasconderà perfettamente.



And you can be anything at all
In America, America!
Oh say, you see,
Just close your eyes and breathe.



Jocelyn chiuse gli occhi e respirò per l’ennesima volta. Il momento tanto temuto – e tanto atteso, anche se continuava a negarlo – era arrivato.
L’avevano portata in ospedale tra calci e urla. A forza di braccia l’avevano caricata su un grosso veicolo chiamato dai vicini, che emetteva un suono spaccatimpani. A distanza di due ore, le facevano ancora male le orecchie.
Era così diverso dal partorire ad Alicante...
Regolarmente un’ostetrica entrava nella stanza e le controllava la dilatazione. Chiunque le prestasse anche la più piccola attenzione lo faceva con una sorta di distaccata premura che a Jocelyn piaceva. Tutti sembravano interessarsi a lei, in quel posto. Nonostante le pareti bianche, fredde, le gelide luci al neon e tutte quelle terrificanti macchine che facevano bip, l’ospedale le appariva quasi come un luogo di rifugio, in cui sentirsi al sicuro.
E forse era davvero così.
L’America l’aveva accolta tra le sue braccia, una madre gigante che aspetta impaziente l’arrivo del figlio. La società era talmente diversificata, talmente variegata, che a Jocelyn pareva di essere ancora a Idris, dove si incontravano Cacciatori provenienti dai più remoti angoli del globo. Ma a differenza di Idris nessuno, a New York, l’aveva fissata con disprezzo misto a timore, con quello sguardo che sembrava dire “È la moglie di Valentine”.
L’America era per lei, in quel momento più che in qualsiasi altro, un riparo privo di pericoli. L’America era il nido; Jocelyn l’aquila. Il bambino che stava per venire alla luce, l’aquilotto appena uscito dall’uovo.
Un’altra contrazione le attanagliò le viscere. Con Jonathan non erano esistite contrazioni.
Al tempo aveva appena scoperto dei mostruosi esperimenti di Valentine. Aveva appena capito che suo marito aveva fatto qualcosa di terribile a loro figlio. Aveva appena avuto il tempo di abbassare lo sguardo per realizzare di essere distesa in una pozza del suo sangue che continuava ad espandersi. Infine era svenuta.
Quando si era svegliata aveva sete, e la sua pancia era piatta. Sua madre le aveva consegnato il fagotto dopo averle dato da bere.
La copertina era morbida. Il bambino si adattava perfettamente alle sue braccia; era così piccolo e delicato, con un solo ciuffetto di capelli biondi, quasi bianchi, sulla cima della testa.
Poi lui aveva aperto gli occhi. E Jocelyn si era sentita come se tutto il male del mondo avesse scelto Jonathan come ospite. Come se l’avessero presa di peso e buttata nell’acido. Riuscì a malapena a non gettare il bambino per terra e cominciare ad urlare.
Dicono che ogni madre sia in grado di riconoscere istintivamente il proprio figlio. Jocelyn supponeva che fosse vero anche il contrario.
Ma per quella piccola creaturina che ora scalpitava per nascere... be’, certo, provava dolore. Un dolore infernale, a dire il vero. Però c’era anche qualcosa di diverso, di giusto.
L’entrata dell’ostetrica, a seguito di due colpi sulla porta, la riscosse dai suoi pensieri. Non era la stessa di mezz’ora prima; Jocelyn intuì che le avesse dato il cambio.
— Buongiorno signora Fairchild, sono Theresa Burke, molto piacere — disse, tendendole la mano. Jocelyn gliela strinse vigorosamente, squadrandola da capo a piedi. Sembrava di soli pochi anni più grande della biondina che l’aveva visitata in precedenza. — Allora, Sarah mi ha informato che la dilatazione era a sei centimetri, conferma?
— Sì. — Jocelyn annuì. — Può darmi del tu? Mi fa sentire vecchia così.
— Certo. — Theresa sorrise. — Valga la stessa regola per te, però. Anche a me non piace sentirmi vecchia.
Mentre l’ostetrica la controllava – procedimento alquanto fastidioso – passandosi la lingua sulle labbra Jocelyn percepì qualcosa di salato. Solo quando i suoi occhi cominciarono ad appannarsi capì che erano lacrime, che iniziarono a scorrere copiose.
A stento sentì la voce di Theresa annunciare che il travaglio era finito. A stento intese che due donne, comparse all’improvviso, le tenevano ferme le gambe.
Quasi per miracolo comprese di dover cominciare a spingere, se voleva che tutto finisse il più presto possibile. E che l’Angelo la fulminasse, se non lo voleva.
I suoi pensieri tornarono a Jonathan. A Jonathan, nato mentre sua madre era incosciente. A Jonathan, morto per mano di suo padre.
Pianse. Oh, quanto pianse. Singhiozzò, e si dimenò, e strillò.
Sarà come lui. Sarà come lui. Vi prego, vi prego uccidetelo se ho ragione. Non me lo fate nemmeno vedere. Uccidetelo.
Forse le ostetriche pensarono che fosse pazza. Ma a lei non interessava. Sarebbero diventate pazze anche loro, se avessero potuto provare anche solo un briciolo del dilaniante terrore di cui lei era preda.
Smise di piangere solo quando Theresa esultò: — Eccola! È una femminuccia, congratulazioni!
Be’, se non hanno avuto un infarto mia figlia è normale, si disse. Ma ne ebbe la risposta solo minuti dopo, quando l’infermiera gliela riportò in camera.
Non aveva capito perché non gliel’avessero data subito. Può darsi, magari, che avessero avvertito la necessità di effettuare qualche controllo.
Jocelyn abbassò lo sguardo. La copertina era morbida. La bambina si adattava perfettamente alle sue braccia; era così piccola e delicata, ma stavolta i capelli erano rossi. E gli occhi verdi, verdi come le colline di Idris.
Un’ondata di sollievo e amore riscaldò il corpo di Jocelyn. Pensò che Clarissa – sì, che nome stupendo: Clarissa – fosse la cosa più perfetta ad essere mai venuta al mondo.
Era la sua bambina, sua. Non c’era niente di suo padre in lei, niente di mostruoso o demoniaco.
Inspirò a fondo.
Certo, c’erano ancora molti ostacoli da superare. Ma avevano una vita davanti. Una vita che si sarebbero costruite con le unghie e con i denti. Una vita per la quale valeva la pena vivere.


Breathe in, this feeling
American, American Oxygen!
  
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