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Autore: _StBerry_    19/10/2015    2 recensioni
" Non lasciare che le persone ti trattino come una sigaretta.
Loro ti usano solo quando ne hanno bisogno, dopo ti schiacciano con la suola delle scarpe contro l'asfalto.
Sii come la droga, sii la loro dipendenza"
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La coperta era scivolata a terra mentre Leòn stava dormendo abbracciato al cuscino, il trillo di una sveglia, proveniente dal comodino posto sulla sinistra del letto, lo svegliò bruscamente. Il ragazzo sbuffò assonnato e si tirò su dal letto facendo forza sulle braccia, appena riuscì ad alzarsi in piedi si infilò una t- shirt spostandosi davanti allo specchio. Si osservò per qualche secondo e iniziò a cercare disperatamente di sistemarsi i capelli pettinandoli con le mani, quando riuscì ad ottenere una capigliatura abbastanza decente uscì dalla stanza. Il corridoio della casa era stretto infatti il castano prese contro a un quadro che traballò pericolosamente prima di riprendere equilibrio. Il divano era ricoperto di vestiti che né lui né sua madre avevano avuto voglia di rimettere dentro gli armadi la sera prima e questo rendeva la stanza ancora più confusionaria. Vargas si avvicinò all'angolo che era riservato alla cucina, davanti al quale un tavolino di legno scuro era occupato da ciotole e scatole di cereali. Una donna con dei lunghi capelli neri armeggiava con i fornelli dando la schiena al ragazzo, canticchiava allegra mentre girava le frittelle avvolta in un maglioncino colorato. “Buongiorno.” Esclamò il ragazzo sedendosi al suo solito posto e avvicinandosi una ciotola colorata.
“Ehi! Dormito bene?” Rispose la donna con i lineamenti esageratamente simili a quelli del figlio mentre appoggiava il resto della colazione davanti al ragazzo. “Abbastanza.” Annuì il ragazzo prima di infilarsi in bocca una cucchiaiata di cereali. Charlotte Galindo passò accanto al figlio e ne approfittò per scompigliargli amorevolmente i capelli passandoci in mezzo una mano ricevendo uno sbuffo di disapprovo da parte del figlio che pochi minuti prima aveva cercato di sistemare adeguatamente i suoi capelli.
La donna aveva cresciuto Leòn da sola da quando l'infermiera glielo aveva appoggiato tra le braccia capì che quello sarebbe stato il suo futuro, suo padre le dava una mano finanziariamente e a lei era sempre stato bene, da soli stavano alla grande infatti né lei né il figlio avevano mai sentito davvero la mancanza di una figura paterna in casa. Si trovavano benissimo anche da soli e lei amava quel ragazzino con tutta sé stessa. La storia con il padre di Leòn era probabilmente stata la più lunga mai avuta dopo l'Università, aveva mantenuto il suo atteggiamento da mangiatrice di uomini e questo non le aveva mai permesso di mantenere relazioni durature. Sua madre diceva che non la vedeva poi tanto diversa dalla ragazzina che prendeva in giro chiunque le passasse vicino ma lei pensava tutto il contrario, si vedeva davvero cambiata da quando aveva per la prima volta posato lo sguardo sugli occhioni color smeraldo di Leòn. 

Si era sempre fatta in quattro per far felice il suo bambino e il bisogno di avere un partner accanto a sé era stato lentamente dimenticato in un angolino della sua mente. A volte ripensava a Nicholàs*, non si parlavano da parecchi anni ormai e il momento in cui si consideravano maggiormente era quando si incrociavano a scuola per le riunioni genitori – insegnanti. Non era ancora riuscita a rispondere alle domande che le vagavano per la mente sul genere di persone che amava, ma non aveva neanche tempo di fermarsi a rifletterci su, aveva un figlio, un lavoro e una casa da mandare avanti.

La donna premette play sullo stereo che si faceva notare su uno degli scaffali del salotto, la voce di Freddie Mercury si espanse per la stanza gridando la sua “Somebody to love” che ogni volta le rapiva il cuore. Leòn canticchiò la prima strofa con la madre divertito, lui era cresciuto e molte cose erano cambiate, ma se c'era qualcosa che era rimasto completamente immutato erano i loro duetti mattutini, sin da quando il ragazzo era bambino la madre era solita accendere lo stereo e gli insegnava tutte le canzoni che quell'apparecchio decideva di sparare fuori dalle casse. Conosceva quasi tutti i pezzi dei Queen a memoria grazie a lei.

“Devo prepararmi, è tardissimo.” Grugnì il moro con la bocca piena.
“Oh certo, ti aspetto per pranzo?” Charlotte si alzò sfregando le mani ancora sporche di pastella sul grembiule assolutamente con poca grazia.
“Sicuro.” Rispose schioccandole un bacio sulla guancia, cercò di allontanarsi ma fu bloccato dalle mani della donna che lo afferrarono ai lati del viso.
“Non fare cazzate, capito? Aprire la porta e trovarmi un poliziotto sulla soglia alle due di notte mi è bastato per una vita, siamo intesi?” Ordinò decisa tenendo lo sguardo puntato su quello del figlio. In quel momento si ricordò di quanto fosse cresciuto, solo qualche anno prima rimanevano fronte contro fronte mentre lei gli faceva la ramanzina e ora il ragazzo aveva superato la madre di più di una spanna.
“Intesi.” Ripeté piegando l'angolo della bocca in uno strano sorriso.
“E non mi guardare così. Vai su.” La donna diede una lieve spinta al figlio verso la porta e osservò il ragazzo sparire in camera sua con un sorriso dipinto sul volto.

La macchina si fermò davanti al marciapiede dietro al liceo con un rumore stridulo.
“Prima o poi imparerai a fermare la macchina in modo decente Pablo?” Lo provocò il ragazzo tenendosi le mani sulle orecchie.
“Ho un nipote proprio simpatico.” sorrise ironico Pablo Galindo.
“Devi esserne molto fiero.” Continuò scherzando mentre tirava giù la maniglia della portiera.
“Muoviti a scendere prima che ti arrivi un calcio ragazzo.” Lo minacciò Galindo. Leòn ridacchiò aprendo la portiera, appoggiò un piede sull'asfalto e mentre tentava di fare lo stesso con il secondo fu ritirato dentro dalle braccia bisognose di affetto di suo zio.
“Ti voglio bene.” Pablo lo strinse al petto. Gli tornò in mente quando da bambino sua madre stava fuori fino a tardi la sera, nel periodo in cui si divideva tra tre o quattro lavori per mantenerlo al meglio, lui aveva circa tre anni e quando era costretto ad addormentarsi senza di lei e tenendo la mano di suo zio, che lo accudiva come se fosse suo figlio. Charlotte preferiva chiedere un favore a suo fratello anziché lasciare suo figlio nelle mani di uno sconosciuto qualsiasi, poi il bambino sentendo il suo odore così familiare riusciva ad addormentarsi senza problemi.
“Ti voglio bene anche io....anche se non sai guidare.” Mormorò il ragazzo, Pablo tirò un pizzicotto al nipote dopo aver sentito l'ultimo commento.
“Ci vediamo dopo.”
“Ciao Leòn, non fare casini.” La chiusura della portiera fu accompagnata dalle ultime parole di Galindo che poi si allontanò con l'auto. Leòn rimase a fissare la macchina rossa dello zio che si perdeva nel traffico di Buenos Aires. Quando la macchina scomparve dalla sua vista si girò diretto verso l'edificio. Il moro scorse una ragazza avvolta in un vestitino color crema e con i capelli lunghi che svolazzavano sospinti dal vento poco lontano da lui e allungò il passo per raggiungerla
.

“Buongiorno.”
“Giorno.” Violetta sorrise in direzione del ragazzo.
“Come mai così allegra?”
“Diciamo che ho fatto un incontro interessante....un vecchio amico di mio padre.” Spiegò osservando il ragazzo, con quel suo strano sguardo che però sembrava attrarre tutti come una calamita.
“Ma sono anche preoccupata, non ho aperto un libro ieri.” la ragazza si passò una mano tra i capelli.
“Oh bè, niente di nuovo per me e sappi che oltre al rischio di ricevere l'ennesimo voto negativo la mia voglia di entrare in classe è morta e sepolta.” Rispose Leòn tentando di tirarla su di morale. Non si era mai preoccupato tanto per la scuola, anzi, aveva la sufficienza in quasi tutte le materie, ma niente di più era più che abbastanza per lui. Sua madre non era mai riuscita a tenerlo sui libri per più di un'ora e dire che ci provava dai tempi delle elementari. Il ragazzo si bloccò all'improvviso e fece lo stesso con la ragazza afferrandole il polso.
“Vieni.” Leòn iniziò a correre con lo zaino che sbatteva sulla schiena, sentiva i passi di Violetta dietro di lui. I passanti li guardavano poco convinti, visto che la maggior parte dei ragazzi della loro età a quell'ora andava verso la direzione opposta. Quando superarono l'incrocio dal quale bisognava passare per arrivare a scuola finalmente si fermò con il fiatone. La Castillo gli si piazzò davanti con un'espressione interrogativa dipinta sul viso. Il ragazzo stette a fissare il vestitino della castana svolazzarle intorno alle gambe come una bandiera per qualche secondo mentre prendeva fiato e poi si decise a porre fine ai suoi dubbi.
“Dai andiamo al parco!” La pregò. “Non ho nessuna voglia di passare la mattinata a fingere di essere minimamente interessato alle equazioni di secondo grado e cazzate varie. Vieni con me.” Il ragazzo le porse la mano con un sorriso parecchio convincente. La ragazza lanciò un'occhiata titubante in direzione della scuola.
“Fanculo. Andiamo a fare un giro.”

Violetta osservava il castano comprare due bibite al piccolo chiosco, che era la cosa più simile ad un bar che si potesse trovare nei pressi del parco, il ragazzo stava cercando le monete dentro la tasca dei jeans, appena le trovò le porse all'uomo che lavorava al chioschetto che lo salutò con un sorriso. La Castillo era sdraiata sul prato, i fili d'erba le facevano solletico alle gambe, che il vestito color panna lasciava scoperte. Le nuvole si muovevano leggere sulla sua testa e un gruppo di bambini si rincorreva poco lontano. La ragazza stava giocherellando con una margherita quando sentì Leòn sedersi accanto a lei, incrociando le gambe.
“Per te.” Il ragazzo le porse una Coca Cola ghiacciata che aveva appena rimediato. Ne afferrò e una e stappò la bottiglia rinfrescandosi la bocca troppo secca. Fino a pochi secondi prima era quasi sicura che sarebbe morta di sete su quel prato, per questo svuotò quasi per metà la bottiglia di plastica e finalmente soddisfatta staccò le labbra dall'apertura in alto. Deglutì ripetutamente tentando di alleviare quel il fastidio delle bollicine che le si stava espandendo lungo tutta la gola e appoggiò la bibita sull'erba.
“Ferma, ferma! Non ci tengo a vederti stramazzare a causa di una congestione.” Vargas la fissava con un sopracciglio alzato tenendo la sua Coca, ancora sigillata, tra le mani. Il ragazzo scosse la testa e si sdraiò sul prato assumendo la posa che la ragazza aveva preso poco prima. La ragazza lo imitò quasi immediatamente e riprese a fissare il cielo.
“Se mio padre lo scopre mi uccide.” Mormorò dopo aver vagato un po' con lo sguardo lei.
“Mia madre non è di vedute poi così differenti. Diciamo che da quando un poliziotto mi ha scortato fino a casa nella volante alle due di notte è diventata parecchio più severa.”
“Che strano.” Commentò la ragazza sardonica.
“Stai dicendo che non hai mai fatto niente di male prima di oggi?” Il ragazzo si girò su un fianco in modo da trovarsela di fronte.
“No. Ma a quanto pare sono più brava di te a non farmi scoprire.” Quell'affermazione lasciò il ragazzo con la bocca cucita, togliendogli ogni possibilità di replicare. Cosa che succedeva assai raramente, vista l'incredibile parlantina che era solito sfoggiare nelle situazione più disparate, sopratutto durante le ore di letteratura. Niente era piacevole come zittire quel vecchio fumatore incallito che il preside pretendeva insegnasse il valore della parola e l'inevitabile necessità di esprimersi in versi. Aveva appena la sufficienza in tutte le materie, ma non era stupido. Semplicemente preferiva imbucarsi in qualche angolino sperduto di Buenos Aires con un paio di sigarette e il suo iPod, piuttosto che passare le giornate con la schiena ricurva su montagne di appunti senza un senso o un'utilità comprensibili per il suo cervelletto da adolescente di provincia. Cavolo però se leggeva, fin da bambino quando sua madre era al lavoro e lui era costretto in casa con la vicina settantenne, che gli faceva da babysitter quando Pablo era occupato, aveva sempre sospettato soffrire di narcolessia visto che non aveva mai tenuto gli occhi aperti per più di mezz'ora in sua presenza, era solito chiudersi nella sua stanza e divorare ogni cosa che assomigliasse vagamente ad un libro che si trovava sotto mano. Aveva letto il ritratto di Dorian Gray ben cinque volte, ed era rimasto incantato dai romanzi della Bronte, nonostante fossero decisamente più adatti ad un pubblico femminile. Ma questo ovviamente non lo sapeva nessuno. Eccetto sua madre e Betsy, la vicina di casa. Dopo svariati minuti riuscì a rispondere alla minuta ragazzina che gli stava accanto.
“Mi piace farmi notare.”
“Questo penso che lo abbiano notato tutti.” Ribatté lei. Stava osservando le nuvole, che le scivolavano davanti, ognuna aveva una forma e una sfumatura particolare. Parecchio tempo prima sdraiata in quello stesso parco giocava a vedere delle figure nelle bizzarre forme che assumevano le nuvole con suo padre.
“Soprattutto il preside Alvarèz.”
“Ormai conosce il tuo fascicolo a memoria.”
“E io potrei elencarti tutti i titoli dei libri presenti nel suo ufficio, anche se sospetto che non ne abbia mai aperto nemmeno uno.” L'ufficio del preside era la sua seconda casa ormai, passava più tempo a chiacchierare con Alvarèz e con la consulente scolastica che in classe.
“Perché fai così?” Improvvisamente si trovò lo sguardo profondo e color nocciola della ragazza.
“C..c..così come?” Balbettò passandosi una mano tra i corti capelli castani.
“Sei un ragazzo intelligente, hai talento da vendere. Perché devi buttare tutto all'aria per un paio di birre e la fama da cattivo ragazzo?” Si spiegò meglio. Violetta notò subito che era riuscita a mettere in difficoltà il super spavaldo Leòn Vargas con una stupida domanda, che però era la domanda giusta. La castana aveva centrato il punto, d'altronde era sempre stata brava a capire la gente, probabilmente perché aveva sempre preferito osservare le persone piuttosto che buttarsi nella mischia.
Sapeva quante volte al giorno Ludmilla schizzava in bagno a sistemarsi trucco e capelli e dove fosse solito parcheggiare il preside, quante volte alla settimana il bidello pulisse il corridoio principale e aveva notato la mania di Maxi di fissarsi i piedi quando non sapeva cosa dire. Lei era un po' come la bambina che fissava della storia di Burton, osservava la gente, il cielo e gli alberi, non aveva mai avuto nessuno intorno che la distraesse permettendole di fare altro, eccetto suo padre. Ma dopo aver vissuto sedici anni passati a scrutare nel profondo delle persone si chiedeva quando avrebbe offerto ai suoi occhi vacanze e balocchi.

“E' così tremendo non essere dei completi idioti” Aggiunse vedendo che il ragazzo non si decideva a rispondere.
“Io...” Borbottò. “Tu invece perché non hai amici?E' così tremendo convivere con persone della tua età?” Leòn urlò in faccia a Violetta quel dubbio che le si affondò nel petto come un coltello decisamente affilato.
“Io sarò anche un cazzone o tutto quello che ti pare, ma almeno la gente non mi considera pazzo o associale.” Vargas era stato decisamente infastidito dalle domande insistenti della ragazzina magrolina che si ritrovava davanti e visto il caratterino che si trovava non aveva potuto fare a meno di rispondere. Erano fatti suoi se preferiva acculturarsi di nascosto e farsi vedere come un ragazzo interessante con una canna sempre in mano. Erano cavoli suoi. La castana girò la testa di lato per non farsi vedere da lui quando si accorse che gli occhi le stavano diventando umidi e il mondo diveniva sfocato, tutto grazie all'ultima osservazione di Leòn. Le aveva dato fastidio come le aveva urlato addosso, ma aveva sentito solo un debole fastidio in fondo alla gola ma l'ultimo commento l'aveva distrutta. Deglutì. Nessuno si era mai azzardato a farle franare addosso quella scomoda verità. Sapeva quello che tre quarti della scuola le mormorava alle spalle. Veniva da una famiglia composta da due padri gay, già questo era considerato tutto fuorché normale, inoltre uno dei due li aveva abbandonati e lei non parlava praticamente con nessuno dai tempi delle elementari. Andava in giro saltellando, con tutti quei vestitini colorati addosso. Ma lei non era pazza, lei aveva semplicemente qualcosa da dire a differenza di quelle decine di Cherleaders e giocatori di Football, che avevano in testa solo il proprio aspetto e che non vedevano più in là delle mura del liceo. Lei viaggiava su tutta un'altra onda, lei fuggiva via da Buenos Aires tutti i giorni con la mente e spesso non voleva tornare più indietro e non lo faceva fino a che suo padre non si decideva ad agitarle disperatamente una mano davanti alla faccia. Valeva mille di loro ed era convinta che per Leòn fosse lo stesso, non conosceva ancora le miriadi di parole mai dette che quel ragazzo aveva sempre nascosto, ma sentiva che aveva qualcosa di speciale. Proprio per questo quella reazione eccessiva l'aveva messa a disagio, lei non lo avrebbe mai attaccato così. Non lo avrebbe mai fatto perché capiva come ci si potesse sentire.
“Vilu mi dispiace.” Dopo lunghi minuti di attesa si era reso conto di aver decisamente esagerato e di aver cosparso di limone una ferita ancora aperta. Le appoggiò una mano sulla spalle, ci aveva messo un po' a calmarsi ma ora aveva capito di essere stato un idiota, come sempre.
“Vaffanculo!” La castana si rialzò come una furia. Afferrò la borsa di stoffa a una velocità impressionante e puntò lo sguardo su di lui. Erano una calamita quegli occhioni marroni che lo fissavano disperati, non aveva mai visto tanta forza in uno sguardo.
“Mi dispiace non dovevo io...” Il moro tentò di scusarsi di nuovo.
“Non ti preoccupare ora tolgo il disturbo, mi aspettano al manicomio.” Violetta corse via sparendo piano piano alla vista del ragazzo che rimase seduto su quella distesa d'erba senza poter muovere un muscolo.



*Nicholàs: Insegnate di Storia di Leòn con cui sua madre si frequentava.

ANGOLO AUTRICE: Ragazzi salve a tutti!! Lo so che questa storia fa schifo ma ho deciso comunque di postarla per sapere il vostro parere! Diciamo che questa si trova nella mia cartella dedicata alle storie da tantissimo tempo.
Il primo capitolo penso sia abbastanza lungo, introduce la vita di Leòn e troviamo anche una piccola parentesi con il rapporto fra lui e Vilu.
Sono amici da qualche mese, si trovano nella stessa classe di chimica e lì hanno legato. Da come si può ben vedere Leòn sembra abbastanza interessato ma lei? Eh questo lo sapremo più tardi...
La trama è molto semplice ma non differente tra le altre: parla dell'amicizia di Leòn e Violetta che si tramuterà in amore grazie alla passioe per la musica.

Con questo ho finito
baci

 

 

 

   
 
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