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Autore: Nana_EvilRegal    19/10/2015    0 recensioni
Nana ha una vita sicuramente non adatta ad una ragazza di sedici anni come lei. Probabilmente sarebbe inadatta per chiunque, a qualsiasi età. Eppure lei è lì.
Vive.
Ci convive.
La accetta.
Combatte. Anche che non sempre sembra che lo faccia.
Nana vorrebbe essere come una ragazza qualsiasi. Come tutte le altre.
O forse no.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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~~ The ring.
 
Tre giorni dopo alla fine dell'ultima ora mi prolungai nel riordinare tutte le mie cose sul banco. Rimasi sola in aula, ero in attesa. Mi sedetti sulla cattedra, lo zaino sotto i piedi. Non aspettai più di due minuti, la porta si chiuse dietro le sue spalle. Mi arrivò davanti prima che me ne rendessi conto e mi baciò.
- Buon anniversario Panda- scesi dalla cattedra e presi lo zaino. Uscimmo da scuola senza che nessuno ci vedesse e camminammo in silenzio verso casa sua. Non le avevo risposto. Non sapevo davvero cosa risponderle. Era stupido non saperlo, non era difficile. Eppure non avevo detto nulla. Qualcosa mi bloccava e non mi permetteva di dirle nulla di sensato.
Dio, se avessi le mie cose non avrei problemi.
Cercai di scacciare quel pensiero prima ancora che potesse farsi concreto e tangibile. Non ci riuscii. Era sempre così difficile sapere che fino a pochi giorni prima la soluzione era semplice e in quel momento non lo era più. Per un istante pensai che forse l'idea di sprofondare nel cemento non era poi così male. Quasi sperati che fosse possibile e che mi succedesse in quel preciso istante.
- Com'è andata oggi?- le parole uscirono dalle mie labbra prima che potessi controllarle. Dovevo concentrarmi su altro. Non potevo continuare a sperare di morire prima di arrivare a casa sua. Mi guardò quasi stranita, ma non ribatté. Si limitò a rispondere calma come sempre.
- Al solito. Solo che ho dovuto interrogare la mia fidanzata-
- Ah sì? E com'è andata?- un piccolo sorriso le si disegnò sul viso. Cercai di convincermi che, forse, non se l'era preso per la mia innata e solita freddezza. Non sapevo esprimermi a parole.
Le parole facevano male.
Il loro utilizzo era sinonimo di sicura distruzione di ogni cosa.
Le parole avevano il potere di rendere tutto più reale.
E se tutto era reale tutto poteva  sgretolarsi.
Non volevo vedere le macerie di quella relazione.
- Bene, come al solito- provai a sorridere, ma ci riuscii a fatica. Entrammo in casa e di nuovo un silenzio teso si mise tra di noi.
- Mangiamo?- dissi in un sussurro sperando che la situazione si calmasse un attimo e che l’aria tornasse respirabile intorno a noi. Mi sentivo opprimere da quella pressione e sapevo benissimo che era lì per colpa mia.
Perché non sapevo dire due semplici parole.
Perché l’idea di rendere così reale che tra noi fosse passato un anno mi spaventava.
Perché in fondo tutto quanto mi spaventava.
Perché stare bene mi spaventava ed essere felice mi faceva tremare le gambe più di ogni altra cosa.
- Certo- rispose andando in cucina senza nemmeno guardarmi. Avrei voluto urlare, dirle che, sì, era stupido il modo in cui mi stavo comportando, ma non per questo lei doveva fingere che non esistessi, ma non dissi nulla. Mi limitai a seguirla incerta su cosa fare o cosa dire. Cercando di trattenere le lacrime e l’impulso di scappare e tornare a rifugiarmi nel mio vecchio mondo.
Diglielo, cazzo. Qual è il tuo problema? Sei stupida per caso? Cosa ci vuole a dire “buon anniversario”? Apri quella fottuta bocca e dille quelle due parole. Se la ami davvero dove sta il problema.
- Non ci riesco cazzo- urlai più a me che alla donna che stava sparecchiando il tavolo. Durante tutto il pranzo quell’odiosa voce che avevo sempre messo a tacere con le droghe mi aveva tormentata facendomi sentire malissimo. Sapevo che aveva ragione e volevo solo piangere. Dopo un primo istante di silenzio e sgomento la donna mi appoggiò una mano sul braccio. L’istinto mi urlò di spostarmi, non lo feci.
- Non ce n’è bisogno. Va bene, ci sono rimasta un po’ male, ma va bene così. Tranquilla-
No.
Non andava bene così.
Niente andava bene.
Mi alzai di scatto con la sensazione che avrei pianto da un momento all’altro, non successe. Lei era sempre così disposta a capire e perdonare tutto, io non mi meritavo tanto. Non mi meritavo quel trattamento e, soprattutto, non meritavo lei. Non meritavo niente di tutte le cose positive che mi stavano accadendo. A passo veloce andai nella stanza accanto dove avevo abbandonato lo zaino. Sentii i suoi passi dietro di me, ma si fermò non appena mi vide china sulla borsa. Dovetti frugare un po’ in mezzo ai libri. Ero in grado di tenere in disordine anche la cartella. Alla fine trovai quel foglio mal piegato e un po’ rovinato. Quando l’avevo scritto non avevo pensato di darglielo davvero invece, eccomi lì, ferma a fissare il pavimento che glielo porgevo.
- Cos’è?-
- Prendilo e basta- il mio tono era leggermente più duro di quanto avessi voluto. Non se lo fece ripetere due volte. Lasciai l’angolo che tenevo tra le dita quando sentii le sue serrarsi dall’altra parte. Alzai lo sguardo e la vidi andarsi a sedere sul divano. Andai accanto a lei con le gambe incrociate guardandola. Sapevo a memoria le parole che avevo tracciato durante l’ora di inglese.
 
Mi sto annoiando sai? Teoricamente dovrei fare inglese, ma non ne ho voglia. Come se andassi così bene da potermi permettere di fare altro eh… Ok, fai stare zitta la tua mentalità da professoressa e focalizzati sulla mia da studente più che svogliata con un odio per la materia e decisamente distratta. Distratta da tutto quanto. Da me, da te, dal mio cuore che batte, dal mio cervello che non riesce a stare zitto, dalla mia vicina di banco che cerca di parlarmi. Ogni singolo respiro di chiunque è una distrazione per me. Questo mi infastidisce per cui provo a concentrarmi qui. Su questo foglio bianco e questa penna nera che non è nemmeno mia. Sembra facile, ma non lo è. Sai non so cosa scrivere. Cosa posso dirti che tu non sappia già? Ormai mi conosci, capisci cosa penso e cosa voglio prima ancora che lo possa capire io.
Un anno. Ma ti rendi conto? È un anno che siamo fidanzate. Io non me ne rendo conto. Un anno, uno solo eppure ogni singola cosa per me è cambiata. Sei stata in grado di modificare ogni mio comportamento e anche molti miei pensieri. Hai modificato il mio modo di comportarmi e, per una volta, questo mi piace. Mi hai reso una persona migliore e io non vivrò mai abbastanza per ringraziarti. Non troverò mai le parole per dirti quanto ti sia grata e non riuscirò mai nemmeno a dimostrartelo.
Nel mio piccolo posso dire solo che spero davvero che quest’anno sia solo il primo. Posso dirti che non mi allontanerò, cercherò di fare meno cazzate e proverò a rendere questo rapporto più equilibrato. Cercherò di esserci il più possibile per te come tu ci sei stata per me.
Proverò a dimostrarti quanto ti amo e prima o poi riuscirò persino a dirlo a voce.
Buon anniversario Angelo mio.
 
Alzò lo sguardo prima che potessi rendermene conto e mi abbracciò. Quando riuscii a vederla in viso notai che aveva gli occhi lucidi. Avrei voluto poter dire la stessa cosa di me, ma non era così.
- È meglio di qualsiasi cosa avessi potuto dire-
- Mi sento così stupida- dissi portandomi le mani in mezzo ai capelli. Sbuffai. Era vero. Mi sentivo stupida. Davvero molto stupida.
- Perché?- mi prese un braccio facendomelo abbassare e prendendo la mia mano tra le sue. Rimasi zitta a fissare le nostre dita intrecciate. Chiusi gli occhi e sospirai prima di trovare le parole con cui rispondere.
- Perché non so dire due parole obiettivamente semplici-
- Va bene. Non riesci a dirle, sarebbe strano il contrario dopo tutto quello che hai passato-
- Perché fai sembrare ogni cosa normale e bella? Non lo è. Io dovrei saperti dire quello che provo e dire quant’è che stiamo insieme senza sentirmi male. L’altro giorno l’ho detto, perché oggi non ci riesco? Vorrei poterti dire tutte le cose che ti ho scritto. Vorrei poterti fare un regalo senza sentirmi svenire. Vorrei poter uscire di casa senza farmi venire attacchi di panico. Vorrei semplicemente avere una vita normale. Quella che ogni ragazza dovrebbe avere a diciotto anni-
- Questo include considerarmi una professoressa, magari stronza- alzai gli occhi al cielo.
- Sai cosa voglio dire-
- Lo so, ma se tu non avessi passato quello che hai passato non saremo qui- si alzò velocemente senza darmi il tempo di risponderle. Non aveva tutti i torti.
Se fossi stata una ragazza qualunque di diciassette anni quando l’avevo conosciuta non mi sarei trovata lì in quel momento.
Se fossi stata una ragazza qualunque lei non mi avrebbe nemmeno vista.
Se fossi stata una ragazza qualunque sarei stata fuori con le mie amiche o chiusa nella mia stanza a fare chissà cosa.
Invece ero lì e non ero una ragazza qualunque. Non lo ero mai stata e non lo sarei mai diventata. Ero una sopravvissuta.
La vidi rientrare nella stanza con un sorriso stampato in viso. In un paio di passi fu di nuovo al suo posto, accanto a me. La guardai immobile quasi spaventata dal suo sguardo sovraeccitato. Guardava da tutte le parti e contemporaneamente da nessuna. Scrutava ogni singolo particolare mentre sembrava non notare nulla. I suoi occhi sembravano correre ovunque nella stanza e al tempo stesso rimanere fermi su di me.
- Cos’hai?- la mia voce tremava e non ero nemmeno certa di voler ricevere una risposta.
L’avevo vista felice, triste, distrutta a causa mia, preoccupata, ma mai così.
Le venne da ridere, ma cercò di trattenersi con un risultato strano.
- Tieni- disse in un sussurro, quasi un sospiro. Aveva un piccolo pacchetto in mano. Non mi mossi.
- Io…- non sapevo cosa dire e non avevo ancora nemmeno sfiorato la scatola incartata. Inclinò leggermente la testa poi sorrise.
- Non ti sto chiedendo di sposarmi. Aprila e basta- allungai un mano. Tremavo. Tremavo più di quanto fosse per me normale. Afferrai il pacchetto blu con due dita e lo avvicinai al mio petto. Mi bastò un piccolo movimento con un dito per far cadere la carta sulle mie ginocchia. Dentro c’era davvero una scatola per gioielli e il mio cuore iniziò a battere. La guardai. Sembrava non vedere l’ora che sollevassi il coperchio. Io non ero certa di volerlo fare. Non le avevo preso nulla di troppo costoso, non avevo la disponibilità per farlo. Chiusi gli occhi per un istante poi alzai il coperchio. Li riaprii e il mio cuore sembrò sprofondare e saltellare allo stesso tempo. Avrei voluto essere in grado di piangere.
Piangere di gioia.
Piangere perché quello che avevo davanti era la cosa più bella che potessi immaginare.
Piangere perché ero davvero felice.
Senza filtri. Senza menzogne.
Ero felice.
Le mie pupille non riuscivano a separarsi da quei due anelli d’argento. Esattamente identici e perfetti. Due mani, un cuore, una corona. Conoscevo nei minimi dettagli ogni cosa riguardante quegli anelli. L’anello Claddagh*. Ne desideravo uno da così tanti anni che nemmeno me lo ricordavo.
- Avevo imparato a memoria anche tutto il discorso, ma ora non me lo ricordo più- la sua voce era bassa e sembrava quasi che si vergognasse di ammettere quel piccolo particolare. Io sorrisi, ma non ero poi così certa che fosse importante. Ne presi uno e lo indossai poi presi l’altro tra le dita e strinsi la sua mano.
- La mia gente, se ancora posso chiamarla così, si scambiava questo anello in segno di devozione: la corono significa fedeltà, le mani amicizia e il cuore… beh lo sai… mettilo con la punta del cuore rivolta verso di te, vuol dire che appartieni a qualcuno. Così…- le infilai l’anello al dito e sorrisi. Avevo appena citato a memoria una battuta di Buffy l’ammazzavampiri come se fosse una cosa normale. Come se venisse direttamente da me, ma nessuna di quelle parole era mia. Una parte le sentivo mie, alcune le avevo sentite così tante volte da farle diventare mie, ma altre non centravano nulla con me. Eppure mi sembrò che ogni respiro e ogni suono provenisse da me. La guardai. Anche lei sorrideva.
- Allora… ti piace?- non avevo più parole. Non sapevo neanche come fossi riuscita a fare tutta quella citazione. I miei occhi non riuscivano a smettere di spostarsi dal suo viso agli anelli. Potevo sentire il metallo ancora freddo sulla mia pelle e il mio cuore non sembrava voler rallentare il battito.
- Ti amo- nel momento stesso in cui dalle mie labbra uscirono quelle due parole mi portai una mano davanti alla bocca. Lei sgranò gli occhi e rimase in silenzio un istante.
- Ti amo anche io, ma… ce l’hai fatta. Dicevi sempre di sentirti in colpa perché non riuscivi a dire a parola nulla. L’hai detto- non riuscivo nemmeno più a capire cosa stesse davvero succedendo. Avevo detto quelle due parole. Avevo reso tutto reale, tangibile. Ce l’avevo fatta. Chiusi gli occhi e iniziai a ridere. Se ci fossi riuscita avrei pianto.
Mi alzai per darle quel piccolo pensiero che le avevo preso io. In confronto a tutto quello che stava succedendo non era nulla, ma non mi interessava. Presi il pacchetto dallo zaino e glielo appoggiai sulle ginocchia.
- È solo un pensiero e in confronto…-
- Qualsiasi cosa sia non mi interessa. Quello che importa è che siamo qui, noi due- non ero certa che quelle parole mi convincessero e mi facessero stare meglio, ma non dissi nulla. La guardai togliere la carta con calma per svelare la copertina di quel libro di cui parlavo fin troppo spesso. Lo prese in mano poi sfiorò la cornice che comparve sotto. In un anno che stavamo insieme di foto ne avevamo fatte davvero poche e una ora era lì, incorniciata.
- So che…-
- Smettila. È perfetto e finalmente lo leggo anche io- prese in mano la copia di “Nessun luogo è lontano” e iniziò a sfogliarlo. Rimasi a guardarla finchè non finì poi le presi il viso tra le mani e finalmente la baciai. 


 
 
NdA: eccomi di nuovo.. Con un giorno in anticipo anche (mi stupisco di me stessa). A questo punto non so davvero più cosa dire se non ringraziarvi, come sempre, per il tempo che riservate per leggere questa mia storia.
Grazie, davvero.
Ah… per tutti quelli che continuano a dire che li uccido ad ogni capitolo perché sono pesanti spero vi siaate goduti questo piccolo scenario quasi idilliaco.
Alla prossima settimana con l'ultimo capitolo.
   
 
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