Eroe sì... super forse
Non
appena anche Melanie ebbe attraversato il muro, J.J.
lasciò andare la mano della madre e si guardò intorno. In quella stanza erano
presenti schermi e apparecchiature decisamente più grandi e sofisticati di
quelli che avevano visto fino a quel momento. Jack-Jack non s’intendeva molto
di scienziati pazzi, ma se avesse dovuto immaginarsi lo studio di un
supercattivo non sarebbe stato molto diverso da quello che aveva davanti. Per
un secondo si chiese a cosa servissero tutti quegli strani aggeggi, ma il
sussurro della madre lo riportò alla realtà.
«Probabilmente
Edna è qui intorno.»
Aveva
ragione, erano lì per la piccola donnina isterica ma geniale. Iniziò a cercare
qualcosa che potesse avere l’aria di una prigione, anche solo una gabbia, una
leva per nascondere un passaggio segreto o chissà cos’altro.
Un rumore
lo fece trasalire e, di puro istinto, senza pensarci neanche un secondo, alzò
le mani attirando a sé quattro pistole come se fosse diventato una calamita
vivente.
I
proprietari delle armi uscirono da sotto i tavoli. Erano sette uomini in camice
bianco che lo stavano squadrando interessati, alcuni con dei sorrisi
inquietanti che al ragazzo fecero subito venire in mente proprio Edna.
«Interessante… questo non l’avevamo catalogato, vero?»
«No, ci manca… due poteri, a quanto pare.»
«Intangibilità
e magnetismo… curioso abbinamento! Come li
classifichiamo? Protezione?»
«Il primo
indubbiamente sì, sul secondo avrei qualche riserva…»
J.J. rimase
sorpreso. Tutto si aspettava dai cattivi della situazione fuorché si mettessero
ad analizzarlo sul posto!
Uno degli
scienziati si rivolse direttamente a lui: «Ti dispiacerebbe, per il bene della
ricerca, lasciarti analizzare un pochino? Sarà una cosa rapida e indolore.»
Anche se
coperto dal cappuccio, il ragazzo alzò un sopracciglio: «Ma siete impazziti?
Dopotutto quello che avete combinato vi aspettate ancora che collabori con
voi?»
Lo
scienziato alzò le spalle: «Voi “eroi” siete tutti uguali, egoisti e
megalomani, non pensate mai al bene della scienza… ma
in fondo meglio così… impareremo molto di più su di
te vivisezionandoti direttamente…»
Un
collega premette un pulsante e dei raggi laser provenienti da sopra le loro
teste si diressero dritti verso il gruppo dei salvatori. Senza rifletterci
troppo J.J. allargò le braccia, in un gesto che aveva
sempre visto fare a Violetta, e ricreò la sua stessa barriera lillà per deviare
i raggi. Al vederlo, gli scienziati interruppero immediatamente l’attacco,
esaltati come bambini.
«Avete
visto? Avete visto?»
«Tre poteri! Non ci era mai capitato un
supereroe con ben tre poteri!»
«Tre
poteri di protezione d’alto livello gestiti perfettamente! Questo è un elemento
imprescindibile per la nostra ricerca.»
«Potremmo
cambiare le sorti dell’umanità estrapolando da lui quelle informazioni…»
J.J. deglutì.
Non era sicuro di volere sapere esattamente come
volessero estrapolare informazioni da
lui, e in quel momento dopotutto era un’informazione secondaria.
Approfittando della loro distrazione, si guardò intorno alla ricerca di Edna. Inconsciamente doveva aver attivato la vista a raggi
termici, perché l’ambiente intorno a lui aveva cambiato improvvisamente colore,
diventando tutto blu e verde, con eccezione delle persone e dei computer, che
erano rossi e arancioni. Finalmente, dietro un’anonima parete, vide una sagoma
rossa inconfondibile. Strinse gli occhi fino a farli tornare normali, poi prese
un profondo respiro e si toccò una tempia.
“Mi
sentite? Sto cercando di comunicare senza che questi pazzoidi ci sentano…”
I tre
compagni sussultarono di sorpresa.
“Jack-Jack,
stai… comunicando col pensiero?”
“L’idea
era quella, Melanie, se funziona.”
“Ma
insomma, fratellino, ma quanti ca…”
“Flash,
le parole!”
“Mà, adesso mi controlli pure i pensieri?”
“Potete
continuare dopo? Non so quanto reggo il collegamento e non mi va proprio di
sentirvi litigare anche nel mio cervello…”
“Scusa
tesoro, continua pure.”
“Grazie… Edna è dietro quel muro.
A giudicare dal calore di quelli che sembrano cavi direttamente dentro la
parete, credo ci sia un passaggio segreto. Mamma, credi di riuscire ad andare a
prenderla?”
“Certo, tesoro.
Ma mi servirà un diversivo.”
“Flash,
mi aiuteresti a dare tempo alla mamma?”
“Oh-oh, cosa odono le mie orecchie? Il mio scontroso
fratellino che si abbassa a chiedere aiuto a un insopportabile supereroe!”
“Flash,
ti prego, piantala che non è proprio il momento!”
“Va bene,
va bene, d’accordo, ma quale dei tuoi mille poteri intendi usare?”
“Se lo
sapessi, te lo direi, ma saltano fuori un po’ a casaccio, non ne ho ancora un
buon controllo.”
“Va bene,
improvviserò. Ma Melanie?”
“Mi
odierai per quello che sto per dire, ma potresti di nuovo attivare l’optional
di invisibilità del costume?”
Melanie
non ebbe il tempo di rispondere, perché gli scienziati sembravano aver finito
le loro elucubrazioni sui poteri di Jack-Jack e avevano deciso di passare al contrattacco.
Flash e J.J. schizzarono in direzioni opposte, mentre
Helen si allungò verso la prigione di Edna e Melanie,
semplicemente, scomparve. Flash si buttò a tutta velocità fra gli scienziati
come un kamikaze per distrarli, J.J., non sapendo
cosa fare, alzò le braccia creando un vento fortissimo che avvantaggiasse il
fratello e disorientasse ancora di più gli avversari. Con la coda dell’occhio,
teneva sotto controllo la mamma, aspettando il momento in cui la stilista
sarebbe stata libera, con il cuore che gli batteva a tutta velocità,
rimbombandogli nelle orecchie, così forte che in quel momento, in un istante
quasi irreale, il mondo sembrò fermarsi. I rumori gli giungevano ovattati,
quasi come fosse immerso in una piscina, e le immagini sembrarono sempre più
confuse, come se ne stesse cogliendo solo delle scie colorate di movimenti
fatti o ancora da effettuare. In quel momento di caos assoluto dei sensi, però,
avvertì qualcosa di diverso, e solo in quel momento si rese conto di aver di
nuovo attivato involontariamente qualche altro potere. Impiegò ancora qualche
istante, che a lui parve infinito, prima di capire definitivamente di stare
muovendosi alla stessa velocità di Flash, che ora poteva chiaramente vedere, e
che ricambiò il suo sguardo sorpreso. Si fermò di colpo, ritrovandosi faccia a
faccia con uno degli scienziati. Dalla sorpresa, lo spinse via con più forza di
quanto avesse voluto, facendolo atterrare malamente dall’altra parte della
stanza. Si guardò le mani ancora più stupito e deglutì. Superforza, di nuovo. Era
passato nel giro di poco più di un minuto per tre poteri diversi e aveva la
netta sensazione che la situazione potesse ulteriormente sfuggirgli di mano. Chiuse
gli occhi, cercando di respirare profondamente. Lasciare fare un po’ al suo
istinto andava bene, ma forse gli aveva lasciato troppa corda, d’accordo fare
da diversivo, ma così non ci stava capendo più niente neanche lui. Si voltò
verso sua madre e finalmente vide anche Edna, per
nulla scombussolata da quanto le stava accadendo, imperturbabile come sempre.
Si stavano guardando intorno alla ricerca di una via di fuga, che però non
c’era. J.J. si morse un labbro. Giusto, era stato lui
a farli entrare, e doveva essere lui a farli uscire.
Pregando
di avere ancora in prestito per un po’ la superforza del padre, Jack-Jack
afferrò uno degli ingombranti macchinari e lo lanciò verso la parete, creando
un grosso buco.
Pur non
sapendo bene in che direzione rivolgersi, senza poterla vedere, il ragazzo
gridò: «Melanie, seguile!»
Ma quell’urlo
attirò l’attenzione degli scienziati: «Mode sta scappando!»
Doveva fermarli. Doveva permettere loro di
fuggire.
A quel
pensiero J.J. sentì le mani diventargli gelide, di un
freddo che mai aveva avvertito prima, e stranamente intuì anche razionalmente
quali poteri gli erano toccati in sorte. Alzò le braccia di colpo e fra le
donne e gli scienziati si frappose un enorme muro di ghiaccio.
«È una
questione fra noi e voi.»
Il tempo
di un respiro e Flash gli fu affianco, schiena contro schiena.
«Bel
lavoro, direi che li abbiamo ampiamente distratti.»
«Già.
Devo ricredermi, ci sai fare se ti ci metti d’impegno.»
«Grazie,
detto da te è un complimento che vale doppio!»
«Peccato
che non t’impegni mai…»
«E tu lo
fai anche troppo! Dopo tutto il casino che hai fatto, credo proprio che quelli
abbiano davvero intenzione di vivisezionarti…»
J.J. deglutì
rumorosamente e Flash, stramente, gli sorrise in modo incoraggiante: «Puoi
usare ancora i poteri di Siberius?»
«Se ti
possono essere utili, penso di sì. Cosa devo fare?»
«Aiutarmi
ad andare ancora più veloce. Se continui a distrarli così posso fermarli tutti.
A meno che non ci tenga a farlo tu, in tal caso per questa volta potrei cederti
il posto…»
«Scherzi,
vero? L’eroe sei tu, l’onore è tutto tuo!»
Flash
ridacchiò, mentre il fratello si limitò a sospirare: «E va bene, proviamoci.»
Aspettò
di sentire nuovamente le mani gelide, poi con un ampio movimento creò una pista
di ghiaccio. Flash ci si buttò subito dentro: «Perfetta così, grazie!»
Il
supereroe schizzò a tutta velocità contro gli avversari, con una foga tale da
sciogliere il ghiaccio non appena i suoi piedi lo sfioravano. Gli scienziati
cercarono di recuperare i telecomandi e le armi varie che erano sopravvissute
alla mezza devastazione avvenuta durante il primo diversivo. Uno di loro
recuperò il comando del laser, costringendo J.J. a
innalzare muri di ghiaccio qua e là per proteggere se stesso e il fratello e
riflettere i colpi. In un momento che gli sembrò favorevole, il ragazzo tentò
la sortita e sbatté violentemente il piede per terra, causando un piccolo
terremoto. Non aveva calcolato però che così, oltre a disorientare gli
scienziati, avrebbe fatto perdere a Flash la solidità della base su cui stava
correndo, facendolo inciampare.
«Ops! Scusa!»
Un
momento di distrazione che fu fatale. Lo scienziato che aveva sbattuto via in
precedenza e di cui avevano scordato tutti l’esistenza, ne approfittò per
digitare qualcosa in un computer alle loro spalle e attivare due paia di
braccia meccaniche, che in un secondo immobilizzarono J.J.
afferrandolo per le braccia e le gambe, nello stesso modo in cui era stata
fatta prigioniera la sua famiglia. Preso completamente di sorpresa, il ragazzo
andò in puro panico, pensando contemporaneamente a una marea di modi in cui
potersi liberare e non riuscendo ad attivare neanche un potere che gli
permettesse di farlo.
Gli
scienziati esultarono per aver catturato un nuovo esemplare di ricerca e
insieme il peggiore ostacolo al loro piano, ma vedere il fratello in quelle
condizioni mandò Flash su tutte le furie. Strinse i pugni e digrignò i denti,
sussurrando: «Nessuno tratta così il mio fratellino
di fronte a me…»
Raccolse
tutte le sue energie, concentrandole nelle gambe. Non aveva mai fatto uso di
quella mossa, ma per Jack-Jack, per
il suo insopportabile e apatico fratellino che non faceva che fregarsene di
qualunque responsabilità attaccando tutto e tutti, per lui, che quel giorno, per loro, aveva mostrato un coraggio che
mai e poi mai gli avrebbe attribuito, diventando, per salvarli, la cosa che più
odiava al mondo, per lui sì,
l’avrebbe fatto. Perché dopotutto aveva maledettamente ragione, lui, a
differenza sua, non si impegnava mai al massimo delle sue possibilità, pensando
sempre che la sua velocità fosse sufficiente per aggirare qualunque difficoltà
e pericolo e che dunque l’unico modo per mostrarsi straordinario, per lui,
degno almeno dei suoi genitori, che erano sempre stati costretti ad impegnarsi
molto di più, fosse sconfiggere i suoi avversari senza avere neanche un po’ di
fiatone o una goccia di sudore alla fine. Invece quel giorno J.J., mettendosi in una marea di guai, finalmente
dimostrandogli che qualcosa del mondo importava persino a lui, gli aveva
sbattuto in faccia una verità scomoda e dolorosa: non aveva importanza il tipo
e la potenza dei superpoteri, senza impegnarsi al massimo non poteva
considerarsi un vero eroe. Sì, si vergognava di fronte a quel fratellino
impacciato, che senza avere il minimo controllo delle sue capacità era riuscito
ad arrivare fino a quel punto, mettendo in gioco non solo la sua vita, ma tutte
le sue più profonde convinzioni. Era giunto il momento di restituirgli il
favore.
Per
Jack-Jack, appeso a testa in giù e immobilizzato, fu impossibile capire davvero
cosa accadde in quel secondo, e per poterlo comprendere pienamente dovette
impiegarci successivamente parecchi minuti. Se avesse potuto vedere la scena al
rallenty, avrebbe visto suo fratello puntellarsi
sulla gamba destra e fare uno scatto tremendo, così violento da lasciare incisa
sul pavimento l’impronta della sua scarpa con evidenti segni di bruciature,
correre verso il computer, armeggiarci un po’ per cercare di capire come
liberare il fratello senza riuscirci, perdere la pazienza, tirare un pugno alla
tastiera, chinarsi, sfondare con la sola forza d’urto uno dei pannelli, tirare
fuori una marea di cavi, srotolarli, andare dagli scienziati e legarli insieme,
mandando in tilt il computer e liberando il fratello. Quello di cui
quest’ultimo poté rendersi conto fu la sensazione di caduta libera, fermata
prontamente da Flash che lo afferrò al volo.
J.J. si
ritrovò fra le sue braccia, appoggiato al suo petto che, per la prima volta,
sentì sudato e in continua contrazione per il fiatone.
«Come…»
«Non ho
tenuto il nome Flash senza ragione. Velocità della luce, fratellino! Un po’
stancante, ma in un secondo si possono fare una marea di cose…
se non mi credi, dovresti udire il rumore del pugno che ho dato…
ora!»
Jack-Jack,
ancora fra le braccia del fratello, trasalì. Flash aveva ragione, il rumore si
era sentito, eccome! Ma non era stato un tonfo… bensì due…
Entrambi
si voltarono, in direzioni opposte. Flash fu attirato dalla sirena poco
rassicurante che era partita dal computer che aveva appena distrutto, ma J.J., voltandosi nell’altra direzione, vide l’ultima cosa
che avrebbe mai voluto vedere.
Melanie.
Incastrata dentro un macchinario.
Coperta di sangue.
Con la
testa completamente vuota, Jack-Jack si precipitò da lei.
«Cosa… cos’è successo?»
Melanie, con
un bel taglio orizzontale sulla fronte che sanguinava imperterrito, ancora
cosciente ma parecchio ansimante, gli fece un mezzo sorriso, incapace di
muoversi ulteriormente: «Perdonami J.J., non sono stata… abbastanza veloce… per
scappare quando… me l’hai detto…»
Il
ragazzo ripercorse la sequenza degli eventi nella sua mente. Sì, le aveva detto
di fuggire, ma essendo lei invisibile, non si era assicurato che ci fosse davvero riuscita…
«Ho schivato… tutto… e poi qualcosa… mi ha quasi investita…
e il colpo… ha rotto il costume, credo…»
Nella
testa di J.J. tutto prendeva drammaticamente posto:
impossibile, per Flash, vederla… doveva averla sfiorata
alla velocità della luce, sbalzandola con una violenza inimmaginabile fin lì. E tutto perché lui le aveva detto di attivare l’invisibilità del costume. Anzi, era stato
proprio lui a erigere quel muro di
ghiaccio che le aveva impedito di salvarsi. Voleva proteggerla e invece… invece…
Quello
che nell’animo di Jack-Jack era già stato incrinato si ruppe completamente. Il
ragazzo rimase lì, immobile, con gli occhi sbarrati, sordo alle richieste del
fratello di allontanarsi subito da lì e cieco a null’altro che fosse il sangue
di Melanie. Quasi non notò che la ragazza, sforzandosi oltre ogni misura,
chiamava aiuto agitata, accorgendosi che qualcosa in lui non quadrava. Vedeva
solo rosso. Rosso sangue. Sangue sulle sue mani, sui suoi occhi, sulla sua
coscienza.
Ed
esplose.
Bob si
guardò intorno preoccupato: «Helen, senti, io entro. Ci stanno mettendo
troppo.»
Violetta
annuì: «Ha ragione papà!»
Helen
guardò Edna e Steve alla ricerca di un appoggio: «Aspettate
ancora un attimo, forse…»
La donna
trasalì. Quasi come se si fosse teletrasportato, si ritrovò davanti Flash,
ansante, accompagnato dai sette scienziati impacchettati e da una figura
piccola, gracile e ferita che teneva in braccio.
«FLASH!»
«MELANIE!»
«Oddio,
Melanie, ecco dov’eri…»
L’urlo
attirò l’attenzione della maggior parte dei supereroi liberati, che si
avvicinarono incuriositi. Il ragazzo, nonostante il fiatone, parlò velocemente
e con molta ansia: «Mi serve aiuto! Lei è ferita, ho distrutto il computer e
temo di aver fatto un pasticcio e J.J. …»
Helen lo
fermò: «Una cosa per volta o non capisco! Cosa le è successo?»
«L’ho sfiorata
mentre mi muovevo ad altissima velocità e l’ho fatta schiantare contro un
computer.»
Bob
trasalì: «Bisogna portarla subito in ospedale!»
Steve
intervenne: «Non possiamo, medici e infermieri sono ancora tutti sotto
l’effetto del fischio, non ci ascolterebbero!»
Uno degli
scienziati sbuffò: «Tanto sarebbe inutile, tra poco esploderemo tutti…»
«COSA???»
«Questo
genialoide ha distrutto in un secondo anni di lavoro, e ora sta per andare
tutto in fumo… e voi con noi, insieme a tutto il
resto della città.»
Flash
annuì imbarazzato: «Ve l’ho detto che avevo fatto un pasticcio…»
Bob cercò
di fare mente locale. Da una parte, il fatto che tutta la città fosse ancora
sotto ipnosi era un vantaggio, non sarebbero riusciti a gestire una crisi di
panico così grande; dall’altra, però, significava nessun aiuto dalla
popolazione, che anzi sarebbe rimasta inerte a saltare in aria invece che
mettersi in salvo. Prendendo un profondo respiro, chiese a Violetta di radunare
un gruppo di supereroi in grado di cercare di annullare o limitare
l’esplosione, mentre lui si sarebbe occupato di un altro gruppo volto a mettere
in salvo i cittadini. Detto questo, ognuno di loro si allontanò dagli altri.
Intanto Steve,
chino su Melanie, fece segno a tutti di stare zitti: «Sta dicendo qualcosa, non
sento se parlate anche voi!»
Con un
sussurro appena udibile, la ragazza declamò con fatica: «J.J.
… non me, J.J. … aiutatelo, io…
non posso…»
Flash
fece una smorfia: «Ecco, questa è l’ultima parte del problema…»
Helen si
fece improvvisamente seria: «Cos’è successo?»
«Non sono
riuscito a portarlo via in alcun modo. È rimasto imbambolato di fianco al
computer che sta per esplodere.»
In quel
momento un piccolo boato li fece voltare tutti. Per un attimo molti pensarono
che il macchinario fosse già esploso, ma quello che videro li lasciò tutti a
bocca aperta, mentre Steve ed Edna sbiancarono.
«No…»
Qualcosa
aveva sfondato la parete del laboratorio, ma era impossibile definirlo
ulteriormente, perché il suo aspetto e dimensione variavano in modo continuo e
inarrestabile, passando da figure pseudo umane a mostruose o a elementi
naturali, influenzando in modi sempre nuovi l’ambiente circostante. L’unica
cosa visibile e riconoscibile era un paio di occhi. Occhi rosso sangue.
Edna si
precipitò da Melanie: «Ragazzina, non dirmi che quello…»
«Aiutate… J.J. … è più… importante… J.J. …»
Steve
deglutì: «Ha perso il controllo…»
Helen
prese per il bavero Edna, sollevandola di peso:
«Cosa. È. Successo. Al. Mio. Bambino?»
La donna,
per la prima volta da quando la supereroina la conosceva, aveva gli occhi
sbarrati e spaventati: «La cosa peggiore che potesse accadere a Jèjè… non ha solo perso il controllo dei suoi infiniti
poteri, ha perso completamente la sua personalità e la sua coscienza! Quello
ora non è più Jèjè, è… non so nemmeno cosa possa
essere.»
Steve
intervenne: «Si era reso conto subito del rischio, non appena i suoi poteri si
erano risvegliati, così ha chiesto a Melanie di aiutarlo a mantenersi
cosciente, chiamandolo se necessario. Ma ora che ha passato il limite…»
Helen era
a dir poco terrorizzata. Non potevano dirle che aveva appena perso l’ultimo dei
suoi figli, non così.
Steve,
senza preavviso, corse verso la creatura. Helen allungò un braccio per fermarlo.
«Cosa
stai facendo?»
«Cerco di
salvare il mio migliore amico, ecco cosa sto facendo! Se Melanie non può più
chiamarlo, lo farò io.»
Edna lo
richiamò: «Cerca di ragionare, ragazzino! È fuori controllo, potrebbe non
riconoscerti nemmeno!»
Steve si
aggiustò gli occhiali, per non far vedere le lacrime: «Nemmeno io l’ho
riconosciuto la prima volta che ha cercato di salvarmi! Lasciatemi andare.
Voglio salvarlo! Voglio passare altri pomeriggi con lui, a ridere, a scherzare,
ad ascoltare musica insieme… vi prego…»
Helen
annuì: «Flash, vai a chiamare papà, per favore, potremmo avere bisogno di lui.
Io vado con lui. Due voci sono meglio di una.»
Edna tirò
fuori la sua amata bacchetta e gliela puntò al collo: «Tesoro, stai pensando
davvero di lasciarmi a fare da tappezzeria?»
«E
Melanie?»
Flash
intervenne: «Me ne occuperò io, dopo aver chiamato papà. Farò in fretta,
promesso. E poi è colpa mia se si è ridotta così… e
se J.J. …»
La madre
allungò il collo per schioccargli un bacio sulla guancia: «Non pensarlo nemmeno,
tesoro. Ho già i sensi di colpa di un altro figlio da calmare, non darmi altro
lavoro, ok?»
Flash,
con gli occhi leggermente lucidi, annuì, per poi sparire.
«Andiamo.»
«Jack-Jack!»
«J.J.!»
«Jèjè!»
«Tesoro,
mi senti? Sono la tua mamma!»
La
creatura senza nome e senza passato udì le voci, ma quasi non ci fece caso. Non
avevano significato, per lui. L’unica cosa che avvertiva era un profondo senso
di vuoto a cui non sapeva dare né un nome né un senso. Intravvedeva appena le
tre figure che gli giravano intorno, ma ai suoi occhi erano equivalenti a un
sasso posato sul terreno. Continuò ad avanzare, senza rallentare né accelerare.
Quasi non si rese neanche conto della bacchetta che gli venne lanciata contro e
della vocetta stridula che gli gridò: «Un minimo di rispetto
quando tua madre ti parla, Jèjè, insomma!»
Fu
l’unica voce maschile ad attirare la sua attenzione, per la prima volta:
«Capisco che sei dispiaciuto per Melanie, ma non è questo il modo di affrontare
la cosa, e lo sai!»
Melanie.
Un nome
che gli risultava familiare, in qualche modo.
Era forse il nome che poteva dare a quella
stretta nel petto?
No.
Melanie
era qualcosa di diverso, lo sapeva. Doveva solo ripescarlo dai meandri della
sua memoria. Era qualcosa di… rosso…
Un flash
a ritroso, fatto di associazioni mentali a catena.
Rosso.
Sangue.
Una ragazza coperta di sangue.
Una ragazza rimasta lì per colpa sua.
Sua.
Di un ragazzino incapace di controllare i
suoi poteri.
Un ragazzino che aveva bisogno di lei per controllarsi.
Che per colpa sua si era ridotta così.
Sua.
Di Jack-Jack Parr.
Uno stupido incapace combinaguai.
Helen
vide la creatura portarsi le mani alla testa, per poi piantare un grido di
disperazione.
«Io ho ucciso Melanie! L’ho uccisa!»
La donna
trasalì. Associare quella voce disumana al suo bambino era per lei quasi
impossibile. Vide la sua disperazione e si sentì impotente. Avrebbe voluto
proteggerlo, come ogni brava supereroina, come ogni buona madre. E invece cosa
aveva fatto per aiutarlo? Niente.
Steve,
quasi indifferente, continuò: «Non l’hai uccisa, stupido di un J.J.! È viva, tanto per cominciare. E poi non sei stato
tu!»
Quasi
come se fosse stato colta sul vivo, la creatura prese finalmente un aspetto
definito, quello infuocato, e si voltò prepotentemente verso il ragazzo: «Come fai a dire che non è colpa mia? Io le ho suggerito di rendersi invisibile, io
l’ho illusa di poter fuggire e poi le ho
sbarrato la strada! Io. L’ho. Ferita! Lei
doveva aiutarmi e io l’ho ferita! Che scusa posso avere, Steve? Quale? QUALE?»
Edna diede
una gomitata ad Helen: «La buona notizia è che a quanto pare abbiamo
recuperato, in un modo o nell’altro, il nostro Jèjè.»
«E la
cattiva?»
«Che s’incendia
sempre quando è arrabbiato e non è mai riuscito a controllare quella forma. Tra
pochi secondi si scorderà di tutto e di tutti e inizierà a incendiare qualunque
cosa si trovi di fronte.»
«Come lo
fermiamo?»
«Come
abbiamo fatto finora, tesoro, parlandogli. Ma non l’ho mai visto così furioso,
non so se basterà stavolta…»
Bob,
nascosto dietro un angolo, reclinò la testa all’indietro, appoggiandola
stancamente al muro. Era accorso non appena Flash l’aveva chiamato, ma si
sentiva comunque in tremendo ritardo. Aveva desiderato tanto per il suo figlio
più piccolo una vita super, ma non
così, non a quel prezzo. Perché era stato così sconsiderato da non dargli
ascolto, da non accontentarsi di quello che aveva? Aveva un figlio buono,
gentile, bravo a scuola e con un gran senso del dovere. Perché non l’aveva
visto fino a che non l’aveva perso?
Prese un
sospiro. Era lui che lo aveva spinto a quel punto e toccava a lui rimediare. Si
allontanò velocemente, correndo verso l’università. Nei sotterranei una ventina
di supereroi cercava in ogni modo d’impedire l’imminente esplosione. Riconobbe
immediatamente la sua bambina, che manteneva un campo di forza attorno al
macchinario per trattenere l’esplosione, e la persona che stava cercando.
«Ho
bisogno del tuo aiuto.»
Siberius gli
rifilò un’occhiataccia: «Scusa, Bob, forse non l’hai notato ma sarei un filino impegnato a congelare
un’esplosione!»
«E io sarei
molto impegnato a salvare Jack-Jack.
Ho bisogno di un favore che posso chiedere solo a te.»
L’uomo
smise immediatamente quello che stava facendo: «Ti ascolto.»
Jack-Jack
era furioso, come mai lo era stato in vita sua. Non con qualcuno in
particolare, ma con se stesso. Si sentiva stupido, idiota, incapace, inutile e
dannoso. Se avesse capito come fare, si sarebbe autodistrutto, ma non ci
riusciva. Così faceva l’unica cosa che era in suo potere, sfogare la sua rabbia
nella speranza di dimenticare il suo insopportabile dolore.
Steve si
riparò sotto una panchina per schivare una fiammata: «Non so se ho migliorato o
peggiorato la situazione…»
Edna, avendo
perso definitivamente la sua bacchetta, prese un sasso. Sconvolgerlo urlando il
suo nome e colpendolo la volta precedente aveva funzionato, poteva riprovarci.
Lanciò il sasso, ma prima che potesse anche solo aprire bocca, questo si
sciolse al contatto con il corpo di J.J., lasciandola
basita.
«Oh bè, a quanto pare Jèjè stavolta
ci sta dando dentro. È un ragazzo che s’impegna con tutto se stesso in quello
che fa, dovresti essere fiera di lui, Helen.»
«Non è il
momento di fare ironia, Edna! Io sono sempre fiera di lui, anche se forse non
glielo dico abbastanza…»
La donna
provò più volte ad allungare le braccia, ma era sempre costretta a ritirarle
per il troppo calore. Essere una donna elastica era problematico quando si
voleva abbracciare il proprio figlio in fiamme, non riusciva neppure ad
avvicinarsi che si sentiva sciogliere come cera. Era certa che l’unica cosa che
gli servisse era un po’ di consolazione e lei non poteva dargliela.
Jack-Jack,
intanto, si dirigeva proprio verso i palazzi del centro. Dimentico delle
persone che erano chiuse all’interno, desiderava solo scioglierli e bruciare
tutto, tutto, compreso il suo dolore, compresi i suoi sentimenti, compreso lui
stesso e la sua coscienza. Tanto nessuno
poteva fermarlo.
«Jack-Jack,
adesso basta.»
La
creatura di fuoco sussultò dalla sorpresa, non tanto per il tono di voce calmo,
quanto per la mano sulla spalla che lo teneva con presa salda e sicura. Chi
poteva essere in grado di toccarlo a quelle temperature?
Si voltò,
trovandosi faccia a faccia con suo padre, che, seppur con gli occhi lucidi, gli
sorrideva orgoglioso: «Sei stato bravo, bravissimo, hai fatto molto più di
quello che dovevi. Sono orgoglioso di te, da molto tempo, non solo da oggi.»
«Ma… Melanie…»
«Sai
quante persone abbiamo sulla coscienza io e la mamma? Tante, tantissime. È
umano commettere degli errori, e anche noi siamo esseri umani, anche se a volte
le persone sembrano dimenticarlo. Anche noi ci siamo sentiti come te. Ogni
volta fa male, malissimo, ma per fortuna!
Quando smetteremo di sentire questo dolore, smetteremo non solo di essere eroi,
ma persone degne di questo nome. Però non devi affrontarlo da solo, mai, o ti sembrerà di soffocare. Ci
siamo noi per te. Tutti.»
Lacrime
di lava scesero sul volto di J.J., che per asciugarle
abbassò il volto. Solo allora notò il braccio sinistro che stringeva con forza
la sua spalla. Non era bruciato, né avrebbe mai potuto esserlo. Era
completamente congelato, incastonato in un ghiaccio così spesso che ancora non
aveva iniziato a sciogliersi.
«Papà… cosa…»
Di tutta
risposta l’uomo lo strattonò al petto: «Un braccio vale molto ma molto meno di
un figlio… di
te, così come sei. Ti voglio bene, Jack-Jack.»
Il calore
di quell’abbraccio e di quelle parole rotte dall’emozione fu così forte che al
confronto J.J. si sentì un mucchietto di cenere
fredda, e si spense, piangendo disperatamente al petto del padre, che lo cinse
con entrambe le braccia.
Da
lontano, Melanie sorrise nel vedere nuovamente Jack-Jack in forma umana, e il
sollievo fu così grande che finalmente si sentì libera di perdere i sensi fra
le braccia di Flash.
Il
silenzio completo fu rotto delicatamente da qualche piccolo rumore di
sottofondo, che la fece passare in dormiveglia. Molte volte Morfeo cercò di
riprenderla fra le sue calde braccia e le ci volle un tempo che le parve quasi
infinito prima che trovasse la forza di aprire gli occhi. Sbatté le palpebre
più e più volte, fino a mettere fuoco i volti che aveva davanti.
«Melanie!»
«Melanie!»
«Ti sei
svegliata!»
«Finalmente…»
La
ragazza dovette inumidirsi un po’ le labbra prima di poter rispondere: «Steve… J.J. …»
Sbarrò
gli occhi, cercando di mettersi seduta: «J.J.! Come…»
Una fitta
alla schiena la costrinse a desistere dal suo tentativo di alzarsi. I ragazzi
subito le furono affianco, cercando di sostenerla e di riappoggiarla con
delicatezza sul letto d’ospedale. Jack-Jack, con gli occhi un po’ lucidi, le
sorrise: «Calma, calma. Mi dispiace, ma temo che dovrai prenderti un po’ di
riposo forzato dopo quest’avventura.»
«Quanto?»
Steve le
rivolse un mezzo sorriso: «Almeno due mesi. Hai tre costole rotte, un paio di
distorsioni al ginocchio e alla spalla e si è appena riassorbito l’ematoma al
cervello.»
La
ragazza esclamò con voce allarmata: «L’ammissione al conservatorio!»
Steve
sospirò: «Temo che dovrai rimandarla…»
La
ragazza alzò un braccio, legato da flebo e cerotti, per toccarsi la fronte,
trovando un grosso cerotto che l’attraversava.
J.J. fece una
smorfia: «Di quello potrebbe rimanerti la cicatrice. Mi dispiace…»
Melanie
scosse appena la testa: «Non fa nulla. Cos’è successo? Ricordo che tuo padre ti
abbracciava e poi…»
Steve
continuò per lei: «… poi finalmente gli altri supereroi sono riusciti a impedire
l’esplosione del computer e a disattivare il fischio ipnotico e la
mimetizzazione della città. Così abbiamo potuto portare te in ospedale, gli
scienziati pazzi in carcere e subire l’assalto di tutte le persone che erano
appostate fuori dalla città.»
Jack-Jack
rabbrividì: «Non voglio mai più avere a che fare con così tanti giornalisti… sono riuscito a dileguarmi prima che
iniziassero a subissarmi di domande, ma sono comunque riusciti a scattarmi
delle fotografie e la stampa si sta facendo mille domande sul “nuovo supereroe
della città”. Edna se lo sogna che rimetta quel
costume, ma neanche…»
Melanie
rise nel vedere le smorfie sul volto dell’amico, ma dovette smettere quasi
subito per il dolore.
«Quanto
sono rimasta qui?»
«Una
settimana. A me è toccato l’ingrato compito di sorvegliare questo qua…»
E rifilò
a J.J. una gomitata nelle costole.
«… prima
che non vedendoti sveglia gli prendesse un altro attacco di sensi di colpa. Uno
ci è bastato e avanzato.»
Melanie
sbarrò gli occhi: «E tuo padre? Il suo braccio?»
Jack-Jack
sospirò: «Stavo per avere un’altra crisi di sensi di colpa quando ho visto che
si era fatto ibernare il braccio per me, ma ho sottovalutato la sua
invulnerabilità. Qualche mese di riabilitazione e dovrebbe tornare come prima,
per questa volta ha scampato l’amputazione, ma i medici, e soprattutto Siberius, gli hanno fatto presente che non è più un
giovanotto e che è meglio che eviti altri colpi di testa.»
La
ragazza sorrise sollevata: «Meno male… e tu?»
J.J. sospirò:
«Io cosa?»
«I tuoi
poteri? Li hai ancora o sono spariti di nuovo?»
Di tutta
risposta il ragazzo prese un bicchiere di vetro dal comodino, allungò il dito
indice e dalla punta partì un piccolo getto d’acqua che lo riempì in pochi
secondi. Glielo porse.
«Lievemente
frizzante, come piace a te.»
Melanie
prese il bicchiere ma non bevve: «Cosa ti succederà, ora?»
«Ho già
fatto tutte le visite prescritte dal Governo, e sono arrivati alle stesse
conclusioni di Edna. Morale della favola: avrò a mia
disposizione vita natural durante uno psicologo e uno
psicanalista completamente spesati e pronti ad aiutarmi a controllare le mie
emozioni e miei poteri. Mi hanno addirittura offerto uno stipendio da favola se
accettavo di diventare un supereroe a tempo pieno.»
«Ma tu
hai rifiutato.»
«Esattamente.
Questa città ha già abbastanza supereroi, meno problematici e pericolosi di me,
e troppi pochi odontoiatri.»
La
ragazza ridacchiò: «Questo è il Jack-Jack che conosco!»
«Ma ho
accettato di sottopormi a un duro addestramento. Non sarò un supereroe, ma devo
assolutamente imparare ad usare e controllare i miei poteri. Ho assicurato
tutti che seguirò la natura dei miei poteri, e se ce ne sarà bisogno, solo e soltanto se ce ne sarà bisogno,
ritirerò fuori il costume di Edna e mi renderò utile.
I fondo i miei poteri funzionano solo in caso di necessità, no? E stavolta
sembrano tutti d’accordo, persino papà! Vuoi mettere? Potrò essere l’unico
odontoiatra per supereroi!»
J.J. l’aveva
messa sul ridere, ma la settimana che aveva passato era stata davvero pesante,
e solo in quel momento, in cui vedeva nuovamente il sorriso di Melanie, si
sentiva finalmente libero da quel peso e pronto ad affrontare quello che lo
aspettava. Steve aggiunse con un sorriso: «E lo sai che Edna
mi vuole assumere come apprendista?»
«No!
Davvero?»
«Dice che
con il dovuto addestramento potrei cavarmela nel campo della moda supereroistica. Ma mi preoccupa molto la parola addestramento, conoscendola…»
Rimasero
a chiacchierare, ancora per un po’, poi J.J. si alzò.
«Scusate,
ma devo andare dallo psicologo. Buona guarigione, Melanie.»
Fece per
allontanarsi, ma Melanie lo afferrò delicatamente per il polso. Conosceva
quello sguardo, ormai, e aveva capito cosa stava passando per la testa del
ragazzo.
«Tornerai,
vero?»
Il
ragazzo sentì il cuore riempirsi di gioia. Era pronto ad allontanarsi per
sempre da lei, per non metterla più in pericolo, ma in fondo aveva sperato con
tutto se stesso in quelle parole. Con la coda dell’occhio, vide Steve sorridere
e fargli un segno d’incoraggiamento con la testa.
«Ogni
volta che avrai bisogno di me.»
Ciao! Dunque, si direbbe che la storia sia finita... ma nessuno ha notato
che non è ancora comparsa la dicitura “completa”? Già, perché ho deciso di fare
un piccolo extra, qualcosa per farvi capire come andrà la vita di J.J. d’ora in poi.
Per intanto ringrazio mergana per l’ultimo
commento e tutti quelli che mi hanno seguita, vi aspetto per l’ultimo saluto a
Jack-Jack e compagnia!
Alla prossima!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92