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Autore: Briciole_di_Biscotto    21/10/2015    3 recensioni
Arthur ha due costole rotte, glielo hanno confermato quando l'ha portato all'ospedale. Ha rischiato di morire, dicono i medici: se le costole si fossero piegate di solo un altro millimetro gli avrebbero perforato i polmoni. Allistor non ha dimostrato particolare preoccupazione, ma sotto al tavolo ha stretto i pugni così tanto da farsi male.
Quando gli hanno chiesto come fosse accaduto, ha risposto che Arthur era scivolato dalle scale.
Quando gli hanno chiesto dove fossero i loro genitori, ha detto che erano fuori per lavoro.
Quando i medici lo hanno guardato scettici, dicendogli che era la settima volta in un anno che Arthur cadeva dalle scale e che i loro genitori erano fuori per lavoro, lui ha semplicemente voltato le spalle ed è uscito dallo studio senza salutare.
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[brotherhood!ScotEng]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Scozia
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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A Den, che odia l'angst ma continua a sorbirsi i miei riassunti;
a Norge, che nonostante tutti i problemi me l'ha betata, senza mandarmi mai a quel paese;
a Mattie, che continua a ripetermi che la sfortuna non esiste (però esiste, te lo dico io);
a Liet, che mi vuole ammazzare Allis ma la amo lo steso;
a Pol, che continua a fidarsi del mio giapponese;
alla Brosis, che anche se la bulleggio sempre lo sa che le voglio tanto bene.
Insomma sì, a quelle pazze pervertite pedolunatrici che amano intasare i telefoni di immagini.
Alle ragazze del gdr.
 



Angel With A Shotgun
 

È una luminosa giornata estiva: il vento soffia leggero accarezzando le fronde degli alberi, gli uccelli cinguettano e il fiume scorre indisturbato.
Delle risate spezzano il silenzio, e il rumore di piccoli piedi che corrono annunciano l'arrivo di due bambini che, incuranti del richiamo dei genitori, si buttano in acqua sghignazzando.
Il più piccolo spalanca i suoi occhioni verdi e, con un gridolino, corre verso la riva ed esce dall'acqua buttandosi sulla madre che lo guarda divertita.
̵ Mamma, è freddissima!
Il maggiore, sghignazzando, lo richiama.
̶ Certo che sei proprio un gran freddoloso, Arthur!
La madre lo rimprovera, ma ha lo sguardo divertito.
̶ Allistor, non prendere in giro tuo fratello.
̶ Ma è vero!
̶ E invece no! Non sono un freddosolo!
Allistor ride e scuote i capelli rossi, facendo volare delle gocce d'acqua tutt'intorno.
̶ Freddoloso, stupido. Non freddosolo.
Arthur gonfia le guance offeso e si stringe di più alla madre che, divertita, lo prende in braccio. Si sfila i bei sandali bianchi e con una mano si tira su la gonna color panna, immergendosi nel torrente fino a metà polpaccio. Rabbrividisce.
̶ Arthur ha ragione, è ghiacciata. Allistor, non hai freddo?
Il ragazzo scuote la testa e si immerge in acqua. Quando riemerge tira su di scatto la testa schizzando la madre e il fratellino che, all'unisono, protestano.
̶ Allistor!
La donna ride e mette giù il figlio, che subito corre dal fratello cominciando a schizzarlo per vendicarsi. Lei esce e si siede sull'erba, cominciando a tirar fuori dalla cesta che si son portati la roba per il picnic. Allistor la vede e in fretta risale, avvicinandosi.
̶ Mamma, posso prendere una fetta di formaggio?
̶ Poco, Allistor, che poi torni in acqua.
Il ragazzo rotea gli occhi ed annuisce, afferrando il pezzo di pecorino che la madre gli sta offrendo e mordendolo.
Nessuno dei due nota il piccolo Arthur che, cercando di seguire il fratello, comincia ad arrancare nel fiume. È quasi arrivato, quando mette male un piede. La corrente è troppo forte e Arthur perde l'equilibrio, cadendo in acqua. Lancia un grido, e la madre alza la testa di scatto spalancando gli occhi.
̶ Arthur!
Allistor guarda, senza sapere cosa fare, la madre correre verso il torrente ed entrarvi, cercando di raggiungere il piccolo che annaspa nell'acqua. La donna afferra il figlio per un braccio e lo tira verso di sé, sollevandolo e strappandolo alle grinfie della corrente.
Subito Allistor corre verso di loro e tende le braccia, afferrando il fratellino tremante che la madre gli porge.
Ma l'acqua è infame.
Non appena il piccolo è al salvo fra le braccia del maggiore, la donna tira un sospiro di sollievo e si accinge ad uscire.
Non nota quel masso appena sotto il pelo dell'acqua: davanti lo sguardo inorridito dei figli, sente la terra mancare da sotto i piedi. Ha solo il tempo di vedere Allistor che, per un riflesso automatico, stringe a sé Arthur impedendogli di guardare.
Un grido, un tonfo, l'acqua che si tinge di rosso.
Poi il silenzio.
…Gli uccellini riprendono a cinguettare.

 

Allistor sale svogliatamente le scale del palazzo malmesso in cui abitano: non ha nessuna voglia di tornare in quella trappola maledetta che è costretto a chiamare casa.
Sospira e si ferma a metà della rampa, guardando il portone alle sue spalle. Questa sera potrebbe chiedere a Mathias o a Lukas di ospitarlo per una notte… Loro capirebbero…
Sta per fare dietrofront ed avviarsi verso casa di uno degli amici, quando sente un tonfo e grido soffocato provenire dall'appartamentino al primo piano. Il loro.
Questo può voler dire solo una cosa: la bestia è tornata.
Allistor spalanca gli occhi e comincia a salire le scale due a due, più velocemente che può. Corre verso la porta dell'appartamento lasciata socchiusa e la spalanca di colpo.
̶ Arthur!
Il fratello è per terra che annaspa tenendosi lo stomaco. Ha il volto martoriato dai lividi e un sopracciglio spaccato. Sopra di lui incombe minacciosa la figura di quel mostro che, inspiegabilmente, ancora si ostinano a chiamare “papà”.
L'uomo ignora il nuovo arrivato e di nuovo infierisce sull'indifeso corpo del figlio minore, assestandogli un potente calcio sulle costole, e Allistor è sicuro di aver sentito l'agghiacciante rumore dello spezzarsi di un osso. Il bambino geme e, con le poche forze che gli rimangono, cerca di strisciare verso il fratello maggiore che subito accoglie quella muta richiesta di aiuto.
Allistor corre verso di lui prima che l'uomo possa ferirlo nuovamente e, facendogli scudo con il proprio corpo, fronteggia il padre.
Puzza d'alcol. Ha bevuto.
E probabilmente si è appena bucato, a giudicare dal vistoso ematoma sulla vena del braccio.
L'uomo barcolla e lo guarda disgustato.
̶ Levati dalle palle, pezzo di merda.
La sua voce è strascicata, ha decisamente bevuto troppo.
Allistor ghigna: se sarà abbastanza veloce, questa volta la faccenda si potrà concludere in fretta. Ed infatti ecco che l'uomo carica un pugno rivolto al suo viso, e il ragazzo ringrazia mentalmente tutte le risse a cui a partecipato quando riesce, per un soffio, a schivarlo.
Mentre il padre barcolla cercando di riprendere l'equilibrio, Allistor gli si butta addosso e insieme, avvinghiati in una continua lotta, rotolano andando a sbattere contro il muro. Il ragazzo urta la testa e per un attimo vede il mondo sfumare. Poi un colpo ben assestato allo stomaco gli toglie l'aria dai polmoni e lo fa riprendere.
Suo padre è davanti a lui con un'aria minacciosa, e sembra pronto ad ucciderlo in qualsiasi momento; nell'aria aleggia il pianto sommesso di Arthur che ora è accovacciato dietro al divano. Lo sa perché vede la sua zazzera bionda, così simile a quella di loro madre, spuntare da dietro il bracciolo del divano.
Lui invece ha ereditato il rosso di suo padre. Il rosso è il colore del diavolo, quando era piccolo glielo dicevano sempre a scuola per prenderlo in giro, ma da quando loro madre è morta ne ha avuto la conferma fin troppe volte.
Ed ecco, il suo diavolo personale carica un altro colpo e questa volta lo colpisce in pieno viso. Davvero non sa come abbia fatto il suo naso a non rompersi, ma non gli importa poi così tanto.
Fissa con odio l'uomo che lo sovrasta, poi con uno scatto felino gli si avvinghia alle gambe spingendolo e facendolo cadere addosso ad un mobile di legno. Si sente uno scricchiolio sinistro ed è un miracolo se il ripiano non si sia spaccato nell'urto con il capo dell'uomo che ora giace a terra privo di sensi.
Allistor si alza in piedi ansimando in cerca d'aria. Fissa con disgusto l'uomo riverso scompostamente ai suoi piedi e gli sputa addosso.
Bestia.
Un singhiozzo un po' più forte lo fa riprendere, e lentamente si avvia verso il divano, sedendovisi. Arthur è rannicchiato su se stesso, con la schiena poggiata sul bracciolo, gli occhi serrati da cui sgorgano incessantemente lacrime e i palmi delle mani premuti con forza sulle orecchie. Allistor sbuffa e si appoggia allo schienale del divano accavallando le gambe.
Con calma prende una sigaretta dal pacchetto poggiato sul tavolino lì accanto e la accende. Fa un paio di tiri, cercando di rilassarsi, ma non ci riesce. I singhiozzi di Arthur gli trapanano le orecchie come a volerlo far impazzire.
Sospira e lentamente allunga una mano oltre il bracciolo, che con rudezza va a posarsi sul capo del fratello scompigliandogli dolcemente i capelli. Il bambino sussulta, e seppur con riluttanza leva le mani dalle orecchie. Tira un po' su col naso, cerca di asciugarsi il volto con le maniche della maglia. Lentamente smette di piangere, e Allistor riesce finalmente a fumare in pace.

Arthur ha due costole rotte, glielo hanno confermato quando l'ha portato all'ospedale. Ha rischiato di morire, dicono i medici: se le costole si fossero piegate di solo un altro millimetro gli avrebbero perforato i polmoni. Allistor non ha dimostrato particolare preoccupazione, ma sotto al tavolo ha stretto i pugni così tanto da farsi male.
Quando gli hanno chiesto come fosse accaduto, ha risposto che Arthur era scivolato dalle scale.
Quando gli hanno chiesto dove fossero i loro genitori, ha detto che erano fuori per lavoro.
Quando i medici lo hanno guardato scettici, dicendogli che era la settima volta in un anno che Arthur cadeva dalle scale e che i loro genitori erano fuori per lavoro, lui ha semplicemente voltato le spalle ed è uscito dallo studio senza salutare. Ignorando le proteste delle infermiere ha recuperato il fratello e sono tornati a casa.
La bestia starà fuori per un po'. Per ogni volta che torna, poi sparisce come minimo per una settimana. E ad Allistor questo va benissimo.
Ora Arthur ride di nuovo. Ha il busto fasciato e i movimenti sono impacciati, ma un po' è tornato a vivere. Come sempre ogni volta che il mostro se ne va.
Ed Allistor un pochino si sente morire quando lo vede sorridere, perché non è così che un bambino di dieci anni dovrebbe sorridere.
Ha chiesto a Mathias se poteva mandare Arthur a vivere con lui nel suo appartamento, e l'amico si è detto disponibile. Però poi Arthur ha pianto, ha gridato, si è attaccato alla sua giacca, e alla fine non se n'è fatto niente.
Però non vuole vederlo così, con il sorriso appena ritrovato che si gela sulle labbra al minimo rumore dietro alla porta dell'ingresso; con l'umiliazione sul volto quando la notte va da lui a dirgli che ha bagnato il letto perché, diamine, papà lo odia anche nei sogni; con decine di lividi e tagli a ricordargli ogni giorno in quale inferno lui viva.
Perché, merda, un bambino di dieci anni non dovrebbe vivere così.
Così quel pomeriggio l'ha portato al parco. Sono anni che non vanno al parco: da quando è morta la mamma non c'è più stato nessuno disposto ad accompagnarli. L'ha osservato giocare per una mezz'oretta, poi l'ha chiamato.
Arthur gli si è avvicinato trotterellando allegro, e Allistor gli ha detto che aveva una cosa da fare, che lo lasciava da solo per un po' ma che tornava a prenderlo, di non muoversi e aspettarlo al parco.
Si è sentito in colpa quando ha visto gli occhi del fratellino vacillare e, peggio, si è sentito mancare la terra da sotto i piedi quando l'ha visto sorridere ed annuire con un'allegria che mal si accompagnavano al suo sguardo smarrito. Però doveva portare a termine quell'ingrato compito perché, anche se non lo ammetterà mai, quando gli hanno detto che suo fratello aveva rischiato la vita è stato Allistor a credere di morire.

Rimira un'ultima volta l'arma letale che tiene fra le mani. Ogni volta che la muove, gli intarsi argentati scintillano alla luce del sole che filtra dalla finestra rotta. E dire che ha fregato quella che sembrava meno costosa dalla collezione di Vash.
Gli chiede scusa mentalmente, ma tanto sa già che dopo una prima tremenda incazzatura con tanto di minaccia a morte l'amico lo perdonerà. Magari capirà pure, del resto nemmeno lui e sua sorella Lily hanno vita facile, seppur per motivi diversi dai suoi.
La impugna e la punta contro la porta della sua camera, se camera si può definire quell'angusto spazio dove a malapena entrano un letto e una scatola dove tiene i suoi vestiti.
Si concentra, chiude un occhio per prendere la mira e spara. Sente la mano sfaldarsi e la spalla quasi slogarsi per via del contraccolpo, ma sorride soddisfatto nel constatare che il proiettile ha sfondato la porta proprio nel punto in cui aveva segnato il centro del bersaglio disegnato sul legno con il pennarello nero.
Si complimenta con se stesso: è portato, magari in futuro potrebbe cominciare a frequentare il poligono. Tanto Vash, che è il figlio del proprietario, lo farebbe entrare gratis. O forse no.
Allistor scuote la testa e ridacchia: meglio far affidamento su Lily, lei è sicuramente meno taccagna del fratello e decisamente più gentile e disponibile.
Il ghigno non scompare dal suo volto quando sente la porta d'ingresso spalancarsi violentemente e venire sbattuta, e nemmeno quando sente il mostro chiamare lui ed Arthur a gran voce, bestemmiando.
Per la prima volta, Allistor non si fa attendere. Si alza dal letto e nasconde la mano che stringe la pistola dietro la schiena. Poi, sorridendo, spalanca la porta e va incontro all'uomo. Lo chiamavano diavolo, e allora si sarebbe trasformato nel diavolo.
̶ Ben tornato, papà!


Quel giorno l'ha aspettato per molto, molto tempo. Ha ingannato il tempo giocando con altri bambini, continuando a ripetersi che Allistor sarebbe venuto a riprenderlo.
Quando anche gli altri bambini se ne sono andati, ha ingannato il tempo giocando da solo. Seduto sull'altalena sospinta piano dal vento ha visto l'ultimo compagno di giochi, Kiku, andare incontro al fratello maggiore ridendo. Yao, così Kiku gli ha detto chiamarsi il fratello, si è accovacciato di fronte al fratellino e gli ha dato un bacio sul naso, poi l'ha notato.
Gli si è avvicinato seguito dal fratello e l'ha chiamato.
̶ Ehi, tutto a posto?
Arthur l'ha guardato e, sotto lo sguardo preoccupato dei due fratelli, ha annuito. Yao però non ha demorso.
̶ Non c'è nessuno con te? Stai aspettando che ti vengano a prendere?
Arthur ha annuito di nuovo ma non ha parlato, e Yao ha sospirato.
̶ Vuoi che ti accompagniamo a casa?
Al ché Kiku ha annuito e gli ha sorriso con quel sorriso timido e sincero adatto ad un bambino di dieci anni, non come il suo che ci deve sempre pensare per riuscire a sorridere.
̶ Sì dai, ti accompagniamo!
Ma Arthur ha scosso la testa e, dopo averci pensato, ha sorriso, e sa che Yao si è accorto che quello non è il sorriso di un bambino di dieci anni, ma non ha detto niente e di questo Arthur gliene sarà grato a vita.
̶ No, mio fratello sta per arrivare.
Yao lo ha guardato dubbioso, poi ha sospirato.
̶ E va bene. Stai attento, d'accordo?
Gli ha scompigliato i capelli, in un gesto molto simile a quello di Allistor quando lo vuole consolare, solo che decisamente più dolce.
Però ad Arthur quel tocco non è piaciuto un granché: sapeva di una carezza data così tante volte che ormai ha perso il suo vero significato.
Le carezze di Allistor erano una ogni morte di Papa, ed erano rudi, però erano più vere. Ed è un miracolo se non è scoppiato a piangere proprio in quel momento invocando a gran voce il fratello.
Yao e Kiku se ne vanno mano nella mano, chiacchierando, e Arthur è da solo in un parco troppo grande, troppo vuoto, troppo silenzioso. È rimasto ad aspettare seduto sull'altalena, dandosi ogni tanto delle lievi spinte con la punta dei piedi.
Poi il cielo è passato dall'azzurro al rosa all'arancione, il sole ha terminato la sua parabola ed ha lasciato spazio alla luna dalla veste di notte con le stelle sue ancelle.
Ed Arthur è rimasto ad aspettare seduto sull'altalena. Poi i lampioni hanno cominciato ad accendersi, illuminando l'ambiente di una luce debole e tremula e Arthur, con gli occhi tenacemente asciutti rivolti a terra, ha visto un'ombra allungarsi davanti a lui e quasi ha gridato di gioia perché quell'ombra la conosce e la riconoscerebbe tra altre mille.
Ha alzato lo sguardo luminoso e ha incontrato quello del fratello, e subito l'euforia è scemata. Lo sguardo di Allistor è spento e stanco, di chi ormai ha visto troppo e non ce la fa più, e Arthur si domanda dove sia finita quella scintilla di strafottenza e vitalità che ha sempre caratterizzato gli occhi di suo fratello, come sia potuta sparire in maniera così definitiva nell'arco di poche ore.
Poi Allistor sorride e lo chiama, e Arthur sussulta perché quel sorriso e quella voce sono quelle di una persona che sta andando a pezzi e lui non vuole che suo fratello vada a pezzi, come il loro papà. Perché lui si ricorda di quando ancora il papà era un papà normale che li coccolava e rideva, poi la mamma è morta e si è rotto completamente, trasformandosi nel mostro che è ora.
Allistor l'ha chiamato di nuovo, ed Arthur è sceso dall'altalena con così tanta fretta che incespica, però poi si butta sul fratello stringendosi a lui e l'unica cosa che gli dice è “non romperti”.
Il fratello lo guarda sorpreso, poi sorride stancamente e gli poggia una mano sul capo e, nonostante tutto, la sua carezza è ruvida e sfuggente, e ora Arthur è sicuro che suo fratello non si romperà mai.
Poi Allistor lo prende per mano e comincia a camminare in direzione opposta a quella di casa loro, e Arthur nota per la prima volta quelle chiazze rosse sulla maglia bianca e sulla felpa blu del fratello, e sente lo stomaco brontolare e pensa che ha voglia di succo all'arancia, però non lo dice perché in quel frangente gli sembra estremamente sbagliato.
Camminano per un po' e Arthur comincia a stancarsi, ha fame e gli fanno male i piedi, però affretta il passo per stare dietro al fratello, e dopo un po' si fermano davanti ad una villetta in periferia.
È buio e non si vede molto bene, ma sembra carina: ha un bel giardino pieno di rose rosse che la circonda, e ad Arthur già piace.
Allistor si avvicina al cancelletto e lo apre entrando nel giardino, e Arthur lo segue. Suonano alla porta e ad aprire viene una bella signorina vestita di nero e bianco.
Porta una croce al collo, luccica ed è proprio bella.
La signorina lo guarda preoccupata, poi si sofferma su Allistor e spalanca gli occhi, e ad Arthur sembra che abbia visto qualcosa che a lui è sfuggito.
…O forse è solo come la mamma, che non sopportava i vestiti macchiati, e quindi è arrabbiata del fatto che Allistor si sia schizzato col succo d'arancia.
Li fa entrare e subito si rivolge a lui, accovacciandosi alla sua altezza. La signorina ha dei grandi occhi verdi e da sotto quello strano cappello escono dei ciuffi biondi. Un pochino assomiglia alla mamma.
Gli chiede se ha fame, e quando annuisce energicamente ridacchia. Il suono della sua risata è dolce, ricorda il rumore cristallino di un torrente.
Li guida in una sala da pranzo e li fa accomodare al lungo tavolo nel mezzo, e poco dopo torna con due abbondanti ciotole di zuppa di legumi.
Lui ed Allistor divorano il cibo come se non mangiassero da anni, ed effettivamente è così se non si contano i pranzi frugali composti da un po' di pane e formaggio, a volte patate lesse e se andava bene del prosciutto. Niente colazione e cena, di soldi non ce n'erano, a parte quando venivano invitati da Lukas o Mathias o, più raramente, da Vash.
La signorina ridacchia contenta nel vederli mangiare con tanto gusto e comincia a chiacchierare amichevolmente.
Si presenta come suor Belle, e Arthur pensa che non ci poteva essere nome più azzeccato per quella signorina tanto carina. Una volta, inoltre, ha sentito l'espressione “bella dentro”. Non sa cosa significhi, ma probabilmente la signorina Belle deve esserlo.
Quando finiscono di mangiare la zuppa, suor Belle porta due fette di torta al cioccolato, e Arthur salta sulla sedia mentre ad Allistor cade la forchetta di mano a vedere quella prelibatezza.
Sono anni che non mangiano dolci, non se li potevano permettere. La mangiano lentamente, assaporando ogni boccone, ed Arthur crede di non aver mai mangiato nulla di più buono nella sua vita, e continuerà a crederlo anche in futuro.
Poi suor Belle gli fa sciacquare il viso e lavare i denti e gli fa mettere il pigiama, poi in silenzio apre la porta di una camera dove ci sono tanti letti. Si mette un dito sulla bocca per intimargli di fare piano e lo accompagna fino ad un letto, dove lo fa coricare. Prima di lasciarlo gli posa un bacio in fronte.
Arthur pensa che è un po' come se la mamma fosse tornata.
Infine suor Belle esce, chiudendo la porta, ma Arthur non riesce ad addormentarsi. Sente la signorina ed Allistor parlare, e poi... dei singhiozzi?
È la voce di suo fratello quella rotta dal pianto?
Arthur non riesce a crederci, suo fratello non piange mai!
Tende un altro po' le orecchie, ma sembra che sia finito tutto. Sta per scendere dal letto per andare a controllare, quando la porta si apre e in controluce vede spiccare la figura di Allistor.
Allistor lo vede e, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle, gli si avvicina sedendosi sul suo letto. Lo guarda per un po', senza dire nulla, e nella penombra Arthur intravede il luccichio degli occhi ancora umidi. Poi Allistor allunga una mano e gli accarezza il capo rudemente.
Non è con l'odore di suor Belle che si addormenta, né tanto meno con quello della mamma. No, è un vago sentore di tabacco e menta che, dolcemente, lo accompagna nel regno dei sogni.
E per la prima volta dopo tanto tempo, Arthur non fa incubi.

Il giorno dopo, quando si era svegliato, era appena sorto il sole, eppure Allistor già non c'era più.
Lo aveva cercato per tutta la mattina, vagando per la villa sotto lo sguardo vigile e dispiaciuto di suor Belle e suor Elizaveta, l'altra gestrice di quello che, in seguito, aveva scoperto essere un orfanotrofio.
Aveva chiamato il fratello con tutto il fiato che aveva in gola e con le lacrime agli occhi era corso verso il cancello - suor Elizaveta l'aveva afferrato prima che potesse buttarsi per strada e l'aveva stretto a sé cercando di calmarlo. L'aveva carezzato e gli aveva sussurrato parole di conforto finché le grida e i singhiozzi non si erano tramutati in un pianto sommesso.
Arthur si era aggrappato alla sua veste nera e aveva fatto scorrere tutte le lacrime che aveva.
Il primo periodo era trascorso nella più totale apatia. Aveva un vago ricordo delle due donne che gli portavano da mangiare e gli rivolgevano dolcemente la parola, e gli sembrava che spesso alcuni bambini gli avessero proposto di giocare con loro, ma lui rimaneva sempre accanto alla finestra a guardare il paesaggio fuori confidando nel ritorno del fratello.
Le due suore avevano cominciato a preoccuparsi e alla fine erano giunte alla conclusione che sarebbe stato meglio fare una visita da uno psicologo, e suor Belle a quella parola era rabbrividita sibilando fra i denti un “strizzacervelli”, ma nemmeno il dottore a cui si erano rivolte era riuscito a farlo scuotere da quello stato di apatia totale.
Aveva compiuto i dodici con la sola consapevolezza che, uno dopo l'altro, la sua famiglia era andata sfasciandosi, e si chiedeva quando sarebbe arrivato il suo momento di sparire.
Poi era arrivato Alfred e tutto era cambiato.
Quel ragazzino di otto anni era così minuto ed esile che Arthur non si sarebbe di certo sorpreso nel vederlo volare via alla prima soffiata di vento, eppure aveva una luce negli occhi che riusciva a scaldare con un solo sguardo. Era una piccola bomba ad orologeria pronta a scoppiare da un momento all'altro in una miriade di coriandoli colorati.
All'inizio Arthur aveva visto Alfred solo come un altro scocciatore, e Alfred aveva visto Arthur come una persona noiosa che non lo assecondava mai nei suoi giochi... Poi un giorno Arthur l'aveva trovato a piangere dietro al muretto del giardino.
Con il libro stretto al petto si era seduto accanto a lui e aveva poggiato la schiena sulle mattonelle, guardando il cielo e aspettando in silenzio che il bambino smettesse di piangere.
Quando infine Alfred, tirando su con il naso, si era calmato, Arthur aveva allungato una mano e gliela aveva posata sul capo in una rude carezza.
Il bambino lo aveva guardato sorpreso con i suoi occhi di cielo, poi aveva riso di quella cristallina risata che ricordava il mare e si era attaccato al suo braccio.
E a sentire quel riso e a vedere quegli occhi Arthur aveva sentito scattare dentro qualcosa ed era rimasto a fissarlo con gli occhi verdi spalancati su una nuova consapevolezza.
Non romperti”, aveva detto quella sera ad Allistor. Ma alla fine era stato lui a rompersi.
E d'un tratto si era sentito così stupido, così ridicolo, e il pensiero lo aveva fatto sorridere.
Poi aveva cominciato a sghignazzare sotto lo sguardo confuso del bimbo, e infine era scoppiato in una irrefrenabile risata. Si era piegato su se stesso tenendosi lo stomaco e battendo un pugno per terra, cercando inutilmente di contenere le lacrime.
Ed Alfred, allibito nel vederlo ridere come un pazzo e singhiozzare come un disperato allo stesso tempo, era corso verso suor Belle gridando che aveva rotto Arthur ma che non era colpa sua, lui non voleva, era successo e basta.
E suor Belle, spaventata, era corsa a vedere, e quando lo aveva trovato in quello stato, nel tentativo di asciugarsi le lacrime che copiose continuavano a scendere mentre le spalle erano ancora scosse da singulti divertiti, si era portata una mano alla bocca con gli occhi lucidi e aveva scosso il capo, stringendo a sé il bambino.
̶ Non l'hai rotto, Alfred. L'hai aggiustato.
Poi Arthur quel giorno era entrato in cucina, dove suor Elizaveta stava preparando la cena, ed avvicinandosi a lei le aveva chiesto cosa avrebbero mangiato quella sera, e suor Elizaveta l'aveva fissato sconvolta mentre il coperchio della padella le scivolava dalle mani cadendo sul pavimento con un fragore assordante.
E quando il ragazzo le aveva chiesto preoccupato se si sentisse bene lei gli si era avvicinata e lo aveva stretto a sé in un abbraccio così dolce e materno che Arthur sentì che sarebbe potuto scoppiare a piangere di nuovo. Si strinse a lei e lasciò che lo coccolasse dolcemente, mentre lacrime di sollievo le rigavano il viso.
Il giorno dopo, quando Antonio gli aveva proposto di andare con loro a giocare a calcio, più per dovere che per altro, aveva accettato lasciando spiazzati tutti gli altri ragazzini.
Lentamente aveva ripreso a parlare, a giocare e a ridere.
Poi c'era stato il primo bacio, e diamine se Francis non aveva delle labbra da Dio.
Poi la prima fumata da dimenticare, perché non è molto bello rischiare di morire soffocati dal fumo, e la prima bevuta che era terminata con una sbronza colossale, i rimproveri delle due donne il giorno dopo e le prese in giro degli amici per i seguenti sei mesi.
E poi, lentamente aveva ripreso a vivere.


̶ Rana, smettila. Non qui!
̶ Oh avanti, quanto la fai lunga. Non ci beccheranno.
Arthur scansa con un gesto nervoso il braccio di Francis che lo tiene intrappolato fra lui e un albero e si scosta, rimettendosi apposto la camicia sgualcita dai tocchi troppo irruenti del biondo.
Il francese lo guarda con un sorriso a metà fra il divertito e il tremendamente dolce, e Arthur si sente messo in soggezione da quegli occhi blu come il mare.
Francis gli si avvicina da dietro e gli cinge la vita poggiando il mento sulla sua spalla.
̶ E dai lapin, non verranno a disturbarci.
Arthur sta per rispondere che no, non è davvero il caso: Alfred sembra avere un radar quando si tratta di trovarlo per poi trascinarlo in una delle sue solite immani cazzate e farsi vedere in atteggiamenti equivoci da colui che ormai considera un fratellino non è proprio in cima alla sua lista dei desideri, quando sente la voce di suor Elizaveta chiamarlo a gran voce.
Scocca un'occhiataccia a Francis che scuote le spalle e lo lascia andare.
̶ Be, è solo un errore di calcolo. Eppure non è ancora ora di pranzo...
Arthur sbuffa e alza gli occhi al cielo, poi si dirige verso la donna che lo chiama a gran voce.
Appena lo vede, suor Elizaveta gli si avvicina con un sorriso raggiante, mescolato ad una punta di preoccupazione ben celata nei suoi occhi che comunque stona con quell'aria esaltata che ha, e il ragazzo un po' si insospettisce.
La donna lo afferra per un braccio e lo trascina verso la casa continuando a parlare a macchinetta, e Arthur in verità non è che ha capito molto di quello che sta accadendo.
La donna si ferma davanti alla porta del salone, stranamente chiusa, dalla quale provengono la voce di suor Belle e quella di un uomo.
Arthur inarca un sopracciglio guardando scettico suor Elizaveta: insomma, ha sedici anni. Non è un po' troppo grande per venire proposto come possibile figlio adottivo?
Suor Elizaveta intuisce i suoi pensieri e scuote la testa ridacchiando, poi lo sospinge piano verso la porta. In quel momento in giardino scoppia una rissa e la donna, prima di andare a dividere i due contendenti, gli accarezza la spalla in un gesto rassicurante, poi scompare oltre la porta d'ingresso.
Arthur guarda confuso la donna andarsene, poi sospira. Allunga una mano scettico e finalmente si decide ad aprire la porta. Nella stanza, seduti al tavolo, ci sono suor Belle ed un ragazzo avvolto in una felpa blu elettrico. Ha il cappuccio alzato e quindi non riesce a vederlo in viso, ma dal fisico e dalla postura delle spalle non deve avere più di venticinque anni. Ascolta pacatamente suor Belle parlare e ogni tanto annuisce, magari facendosi sfuggire una risata.
Arthur rimane in piedi davanti alla porta per qualche istante, finché la donna non si volta verso di lui con un sorriso allegro e lo nota. Il suo sguardo si illumina e lo chiama.
̶ Arthur! Eccoti finalmente.
Il ragazzo dalla felpa blu sussulta e si volta verso di lui. Ha il volto in ombra per via del cappuccio e quindi non riesce a vedergli gli occhi, ma c'è qualcosa nella sua voce e nei tratti del suo volto che gli sono familiari. Magari è un vecchio ospite dell'orfanotrofio, oppure...
 ̶ Arthur. Sei cresciuto.
Arthur sussulta e si sente congelare sul posto, mentre fissa con gli occhi spalancati il ragazzo tirarsi giù il cappuccio mostrando due intensi occhi verde smeraldo gemelli ai propri e una zazzera di capelli rossi ben conosciuta, anche se quell'orecchino dorato gli è del tutto nuovo.
Allistor lo fissa ghignando, di quel sorriso così strafottente che un po' gli fa salire i nervi, ma un po' dolce, quel tanto che basta per farlo sentire di nuovo a casa.
 ̶ Cos'è, non si saluta più?
Gli occhi di Allistor brillano di quella luce di vita che l'ultima volta che l'aveva visto non era riuscito a scorgere, e nonostante le profonde occhiaie che segnano il suo volto smagrito lo vede brillare di quella sua esuberanza e vitalità che quella lontana sera di sei anni fa credeva fosse sparita per sempre dal fratello.
Ed è stupido, tremendamente stupido, ma la prima cosa che gli dice è “non ti sei rotto”.
Allistor sghignazza e lo guarda con aria di superiorità, e Arthur si sente un grandissimo stupido.
Come gli è solo venuto in mente che suo fratello si sarebbe potuto rompere?
Ma un po' è anche sollevato, perché in fondo quella paura c'è sempre stata.
Arthur sente gli occhi pizzicare e, senza poterci fare niente, comincia a piangere come un bambino, perché effettivamente si sente proprio come un bambino che è finalmente riuscito a tornare a casa dopo aver vagato per tanto tempo nel bosco con la paura di incontrare il lupo cattivo. E il ghigno di Allistor un po' si addolcisce quando gli si avvicina e Arthur ha la possibilità di constatare che suo fratello rimane comunque più alto.
Si porta le mani al viso cercando di asciugarsi le guance ma è inutile perché le lacrime continuano a scorrere copiose e, anzi, ora comincia anche a singhiozzare.
E tra i singhiozzi, con la voce spezzata, riesce a sussurrare un “ben tornato”, e Allistor gli posa la mano sul capo in quella carezza rude che non cambierà mai ed annuisce guardandolo dolcemente.
 ̶ Sono a casa.








N.d.A.
  E insomma si, dopo un paio di mesetti di inattività ritorno in carreggiata. Con che cosa? Ma con del sano angst, obv!
  Perché checché se ne dica, l'angst è il sale della vita (ho fatto rima *^*). E per chi odia l'angst e vorrebbe linciarmi, beh... io dico loro: in fondo non è completamente angst, no? Arthur e Allistor si ritrovano no? Alla fine finisce bene no?
  Okay, va bene: la mamma è morta, l'affettuosissimo papà pure... ma son dettagli, suvvia!
  Ora fuggo: non dovrei essere qui *persone che usano il pc illegalmente nonostante gli sia stato sequestrato. Ma io dico, bah, che gente oh!*
  E con il cellulare sfracassatosi cadendo giù dalle scale, non so quando potrò riapprodare in questi dolci lidi nuovamente (si, se qualcuno del gdr sta leggendo, ora sa perché son sparita dalla circolazione e.e)
  Addio, mi eclisso prima di finire in mezzo ad un attacco incrociato da parte dei miei quando mi scopriranno e delle vostre alabarde *vi vedo che le state affilando, vi vedo!*
  Bye!
                  BdB (or Scottie, if you know what I mean)
  
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