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Autore: polymerase3    22/10/2015    0 recensioni
Indubbiamente l'ispirazione è nata leggendo Hunger Games; ho apprezzato molto la storia, il mood, i temi, la presentazione del personaggio. Con "La Casa" ho messo in opera la volontà di creare una mia personale versione, partendo dal concept originale, cercando di far leva su due punti: primo fra tutti, "italianizzare" l'ambientazione e quindi l'assetto del dispotismo; creare, poi, un personaggio affine al mio modo di pensare e alle mie caratteristiche.
Anche questa è in piena fase di sviluppo e progettazione.
Spero che vi piaccia.
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi fanno salire sul treno ed il mio mondo scompare.

La mia casa, la mia terra, tutto. Ciò non mi appartiene più, o almeno, non mi apparterrà più per un po’ di tempo. La Città mi aspetta, non posso farci niente.

Sul treno veniamo smistati e catalogati, prelievo di sangue e DNA a campione. Siamo una decina, tutti del Settore 3 Sud. Il piccolo, povero, disabitato 3 Sud.

Il viaggio non è tanto lungo, almeno non più della maggior parte degli altri concorrenti. Eppure, la vicinanza alla Urbs non ci ha mai aiutati. Non per niente, i Settori sono pari e, avendo numerazione complementare, vengono classificati in Nord e Sud. Settore 1 Nord, Settore 1 Sud; 2 Nord, 2 Sud e così via.

E’ quel punto cardinale a fare la differenza.

E’ la Capitale al centro che ci divide.

Ho paura che possano sentirmi. Sono qui da soli trentacinque minuti e già hanno assimilato il settanta percento delle informazioni che posso fornire.

Il peso, l’altezza, il gruppo sanguigno, il fattore Rh.

Il treno scorre veloce e inesorabile.

Il viaggio non durerà molto.

Sento una voce metallica dentro la mia testa. Rimbomba, risuona e si scontra contro le pareti del mio cervello.

Il conto alla rovescia comincia. Manca poco. Manca davvero poco.

 

Pausa. Ho bisogno di tornare indietro.

Sarà la velocità a cui non sono abituato, ma tutto sta procedendo così confusamente.

Mi sono addormentato, ho appoggiato la testa contro il finestrino cosparso di condensa.

Forse questo viaggio non è poi così breve come pensavo.

Il mio vagone è vuoto e anche la parte a me accessibile di corridoio. Non ho mai viaggiato su un treno, ma non mi sembra un’esperienza degna di nota. Nessun suono, nessun movimento, tutto è ovattato e terso. Sono rinchiuso in una cabina metallica che, incurvandosi, forma un sedile rigido, rivestito di gommapiuma, su cui siedo. Niente perde la sua omogeneità, sembra che tutto nasca e si formi dalla stessa materia. Non esiste la diversità, siamo come immersi in un magma mono-materiale.

Approfitto della totale assenza di passeggeri per accendermi una sigaretta. Posso concedermene una prima delle telecamere, anche se nella Casa non importerà comunque a nessuno.

Il fumo comincia a salire in volute leggere, sottile e flessibile, la ventola si attiva e comincia a risucchiarlo verso di se.

Sarà la mancanza prolungata di nicotina, ma il mio cervello comincia a recepire una nuova, strana sensazione. Un ronzio, quasi impercettibile che attraversa tutto il mio corpo, il pulsare periferico del mio cuore. Ansia, eccitazione, adrenalina.

Dovrò farci l’abitudine.

 

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Lì nel 3 Sud era tutto diverso, e le cose non erano fatte della stessa materia.

Le pareti erano cemento e quel che rimaneva di una carta da parati malconcia, poco piena di polvere, se eri fortunato.

C’erano sedie di legno, di plastica e qualche poltrona imbottita; i piatti erano di ceramica, ma mai dello stesso colore, le posate appartenevano a servizi diversi. I bicchieri no, quelli erano uguali. Avevamo un servizio da sei, tutti di vetro con cerchi decorati a mano. Mia madre ne era gelosa, ma faticava ad abituarsi all’uguaglianza che spiccava in mezzo a quel mare multietnico che era la nostra tavola da pranzo. Non ho mai capito il perché, ma non avrei azzerato quella diversità per nulla al mondo. Era gratificante, era casa.

Non m’importava se l’asfalto nero non proseguiva indisturbato per chilometri, non notavo con facilità che il mio banco di scuola fosse uno dei più bassi.

Il 3 Sud era una coperta di pezze rattoppate che mi avvolgeva. Ogni riquadro occupava il suo posto e rappresentava un ricordo.

 

Roma non delude le aspettative di un povero ragazzo che ha appena imparato a guardarla dietro lo schermo del suo televisore.

E’ immensa, è aperta è unica.

L’omogeneità, che non imparerò mai a conoscere, qui raggiunge livelli artistici.

Roma è raccordo tra vecchio e nuovo, continuità in assoluta armonia.

Il treno volteggia gravemente verso le vene della nostra Capitale, il treno si ripopola e una voce metallica ordina di preparare le nostre cose per lo sbarco.

Marmo bianco e proiezioni digitali sfrecciano davanti i miei occhi, l’immagine fugace di un passante.

La tavola della mia cucina non c’è più, solo un mare identico di bicchieri, tutti con i cerchi.

   
 
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