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Autore: Monique Namie    22/10/2015    4 recensioni
Nel futuro, la tecnologia per i viaggi nel tempo è diventata realtà. Un'agenzia temporale collegata ad un museo privato si è specializzata in viaggi nel passato, allo scopo di recuperare reperti storici da studiare e poi esibire dietro una teca. Per scongiurare il pericolo di creare paradossi temporali, il personale impiegato deve sottostare ad alcune regole fondamentali.
Questa è la storia di Edra, una ragazza da sempre affascinata dal tempo, brillante studentessa di cronoquantistica teorica e applicata, che ad un certo punto della sua vita, per colpa del passato, inizia a mettere in discussione tutto ciò che ha appresso.
{Racconto scritto per il contest "Verso l'infinito e oltre!" indetto sul forum di EFP}
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Crack Pairing
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sciossione d'Anima

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Cap.3 - Timefixers




In una linea temporale artificialmente modificata.

C’è una tipologia di persone che il computer per la scansione cerebrale identifica come potenzialmente pericolose: a queste persone viene dato il nome di “Tif”, abbreviazione di timefixers, che io preferisco tradurre con aggiustatempo. Ad una conoscenza superficiale, queste possono sembrare persone normalissime, dai solidi princìpi morali e con un alto senso della giustizia, eppure dopo un po’ iniziano ad apparire inaffidabili. Gli aggiustatempo si riconoscono nel momento in cui iniziano a mettere in dubbio l’adeguatezza delle tre regole dell’Agenzia. All’inizio ci ero passata anch’io, avevo posto il computer di fronte a un problema e lui, invece di rispondermi, aveva chiuso la seduta dichiarandomi non idonea. Tempo dopo venni a sapere che la mia scheda personale era stata collocata sotto la dicitura “timefixers”. Mi sentii piuttosto abbattuta. È raro che un Tif venga giudicato idoneo in una delle successive scansioni cerebrali, quindi davo per scontato che mi sarei occupata del tempo sempre e solo a livello teorico e non pratico, come invece ambivo ardentemente. Il giorno in cui il computer mi valutò come idonea, mi presi qualche ora di permesso per festeggiare in un locale della città. Nonostante la musica e la piacevole atmosfera del posto, percepivo in me un velo d’inspiegabile malinconia. Forse già allora il mio sesto senso voleva mettermi in guarda da possibili sciocchezze che avrei potuto compiere in futuro.

Mentre cercavo di contattare Linsdy, intrappolata nella linea temporale passata, rivedevo il mio nome inserito nella lista degli aggiustatempo: se il computer mi aveva rivaluta in modo errato, l’universo intero stava correndo un grave rischio.
Finalmente vidi Linsdy girare l’angolo di un edificio. Camminava guardando sovrappensiero l’orologio che aveva al polso: tre quadranti e cinque lancette per segnare un unico tempo. Per qualcuno poteva sembrare un’esagerazione, ma a lei le cose complicate piacevano. L’indomani a quell’ora si sarebbe trovata in viaggio verso la colonia spaziale orbitante attorno a Europa, nel sistema gioviano. Aveva l’aria felice mentre alzava lo sguardo verso i profili degli imponenti grattacieli a finestre specchiate. Il temporale della sera era ancora lontano: il sole del primo pomeriggio rifletteva nelle sue iridi facendole sembrare due preziosi smeraldi. Indossava lo stesso soprabito che avrebbe indossato al nostro appuntamento. I suoi passi leggeri sul marciapiede lastricato segnavano un ritmo perfettamente in armonia con l’ambiente circostante. La vita di Linsdy apparteneva a quel tempo, ma il tempo continuava a scorrere senza mai fermarsi a guardarla. Se fossi stata io, il tempo, avrei ovviato a quell’inconveniente, mi sarei fermata e le avrei detto: “Ehi! Stai benissimo oggi, sembri in armonia con il tutto.”

Stava venendo verso di me, ma non si era ancora accorta della mia presenza. Ne approfittai per coglierla di sorpresa.
«Ciao Linsdy! Stai benissimo oggi, sembri...»
«Edra!? Che ci fai qui? Non dovresti essere all’università?»
Mi strinsi nelle spalle. «Un amico mi registra la lezione.»
Linsdy iniziò a scrutarmi con un’espressione stranita in cerca di un indizio che non riusciva a trovare. «Sei diversa, ma non capisco in cosa. Sei stata dal parrucchiere?»
«No.»
«Ci sono! Hai cambiato il colore dell’ombretto!»
«No.»
«Sicura? Hai gli occhi più luminosi.»
Non le risposi. Mi morsi il labbro inferiore per frenare le lacrime che cercavano con prepotenza un varco, e quando capii che non avrei resistito un secondo in più, la abbracciai per nascondere il mio volto. La strinsi a me e affondai la testa sulla sua spalla respirando tra i suoi capelli quel familiare profumo di angelica e riattivante elettrico. Nel giro di qualche secondo, quel contatto ebbe l’effetto di darmi un coraggio inaspettato. Mi sciolsi dall’abbraccio e iniziai a parlare a raffica. «Stasera l’appuntamento è alle sette. Ti prego, non fare affidamento su quell’orologio!», le dissi con tono fin troppo supplichevole, indicando con lo sguardo l’oggetto che portava al polso. «Anzi, è meglio se me lo dai e te lo riporto quando ci rivediamo.»
«Che cosa c’entra l’orologio?»
«Niente. Solo che potrebbe fermarsi, e quando gli orologi si fermano, non sai mai quello che potrebbe accadere.»
Cercai di metterla in guardia lanciandole quel messaggio indiretto. Non potevo dirle: “Linsdy, mi dispiace ma stasera morirai, cerca di arrivare puntale, magari la storia cambierà”. Ci speravo davvero con tutto il cuore che la storia cambiasse, eppure, conoscendo la struttura del tempo, sapevo che gli eventi si sarebbero svolti in modo da riportare l’equilibrio. Invariabilità variabile: il tempo è capace di creare ossimori meravigliosi e tragici insieme.
«Comunque continui a sembrarmi strana», disse Linsdy girandomi attorno con uno sguardo indagatore. «Mi sembri… lontana.»
La fermai posandole le mani sulle spalle e, senza dire una parola, le sganciai l’orologio dal polso e me lo misi in tasca. Quel mio gesto la sorprese abbastanza da lasciarla a bocca aperta.
«Allora a stasera!», mi affrettai a dirle, prima di ritrovarmi di nuovo con le lacrime agli occhi in cerca delle parole adatte a un quarto addio. Indietreggiai di qualche passo continuando a guardarla. Ero combattuta. Se avevo qualcosa da confessarle quella era la mia ultima occasione. Dopo il modo in cui ero sparita senza avvisare, al mio rientro, dubitavo fortemente che mi avrebbero affidato altre missioni. Tornai verso Linsdy e la baciai: le sue labbra erano leggermente umide e sapevano di miele. Non oppose resistenza, ma quando mi scostai lessi nel suo sguardo che qualcosa la turbava. Il mio improvviso moto di coraggio si spense così com'era arrivato. Mi voltai e iniziai a correre.

Al ritorno mi trovai ad affrontare l’effetto della mia decisione impulsiva. Non avevo mai visto così tante persone riunite nella Sala del Tempo prima. C’erano tutti i tecnici, anche quelli che dovevano essere in vacanza e persino il direttore del museo. Davanti all’entrata blindata c’era una squadra di soldati addestrati e prestati al giuramento di segretezza, completi di armatura e armi spianate contro di me.
Scesi dalla navicella con lentamente e con le mani alzate.

«Se controllate nella tasca destra troverete l’orologio… voglio dire il nuovo reperto per il museo. Missione compiuta!»
Il direttore fece cenno ai soldati di abbassare le armi poi mi si avvicinò, frugò nella tasca che avevo indicato e ne tirò fuori l’orologio.
«Cosa diavolo pensavi di fare azionando da sola il Timegate?!»
Abbandonai le braccia lungo i fianchi, sconsolata.
«Ti consideravo una persona abbastanza responsabile da comprendere la pericolosità di certi gesti! Giocare con il tempo può provocare effetti devastanti sull’intera struttura dell’universo! E non mi guardare con quegli occhi dispiaciuti, lo sai che a ogni causa corrisponde un effetto!»
Si passò una mano sul volto e sospirò: aveva quasi settant’anni, ma ancora tanta energia da vendere.
«Mi vuole licenziare?», chiesi con un filo di voce, temendo la risposta.
«Licenziare?», ripeté. «Farò smantellare il computer che ti ha valutato come idonea! È chiaro che si è guastato e dev’essere sostituito!»
Fu un piacere constatare che il valore delle mie capacità impediva al direttore di prendersela seriamente con me. La sua predica ad un certo punto mi apparve quasi la ramanzina di un padre preoccupato per la figlia. Mi sentii in dovere di ringraziarlo.
«Non mi ringraziare, questa è stata la tua prima ed ultima missione da DJ», mi rispose. Avrei dovuto immaginarlo che non sarebbe andato tutto liscio.
Mi ritirai nel mio alloggio e, nonostante la stanchezza e il tardo orario, non riuscii ad addormentarmi: troppi pensieri e troppe emozioni mi vorticavano nella mente. Ad un certo punto abbandonai il letto e mi sedetti alla scrivania rivolta verso l’unica finestra della camera. Il cielo era limpido e si vedeva la Luna. Rovesciai la sveglia a led che proiettava l’ora sul soffitto in modo da rendere la stanza completamente buia. La prima volta che avevo guardato fuori da quella finestra avevo pensato che il paesaggio non fosse male. Si vedevano le luci della città e, verso l’orizzonte, persino la torretta più alta dello spazioporto che si trovava a qualche chilometro da lì; di notte s’accendeva come un faro, lampeggiava con un ritmo preciso, matematico, e per il colore brillante ricordava una strobosfera.
«Perdonami Linsdy», dissi con lo sguardo puntato nel cielo stellato oltre il vetro. «Anzi, non mi perdonare, non me lo merito. Avrei dovuto fregarmene della terza legge!»
Improvvisamente la volta celeste fu attraversata da una scia luminosa che terminò proprio in corrispondenza dello spazioporto: una navicella proveniente da chissà dove, aveva fatto ritorno sulla Terra. Considerando la data, poteva benissimo essere la navicella che avrebbe riportato a casa Linsdy, se lei fosse stata ancora viva.
Mancavano meno di due ore all’alba e quell’assenza di sonno mi ricordò il primo periodo all’Agenzia. La notte non riuscivo a dormire: il letto era comodo, ma era un letto estraneo, l’ambiente era accogliente, ma non era quello di casa. Così mi alzavo, percorrevo con passo felpato il corridoio che portava nella Sala del Tempo e, una volta entrata, mi sedevo a gambe incrociate sul pavimento e restavo lì, in ammirazione a guardare il grande cerchio immerso nella penombra. Ricordai la prima volta in cui ero entrata Sala del Tempo di notte: avevo avvertito una strana energia attraversarmi e avevo avuto la certezza di essere destinata a stare lì in quel preciso momento, e che quel luogo fosse il tassello centrale del mosaico della mia vita. Il Timegate sembrava un enorme orologio, che spogliatosi della guarnizione di fondo, ostentava con un certo orgoglio tutti i suoi complicati meccanismi interni. Sul pavimento freddo, a contemplare quel maestoso cerchio intriso di perfezione divina, iniziavo a sentirmi finalmente a casa. Qualche volta mi scoprivo a sorridere pensando che la navicella per lo spostamento temporale, allora poggiata al suolo, somigliasse moltissimo a un vecchio ferro da stiro con le ali, ma poi tornavo subito seria. Nel vuoto di quella stanza avevo l’impressione di sentire la voce di Linsdy: “È possibile che ogni volta che io e te ci incontriamo debba piovere?!” Non mi sarei sorpresa più di tanto se fosse apparsa come un fantasma all’interno del perimetro del Timegate. C’era, e c’è tuttora, qualcosa di misterioso in quella struttura, qualcosa che non può essere spiegato nemmeno dalle stesse formule matematiche che ne hanno reso possibile la costruzione.
È come se il tempo fosse qualcosa di vivo, un’entità senziente.

«L’unica domanda che avresti dovuto porti fin dall’inizio, non ti ha nemmeno mai sfiorato la mente.»
È l’angelo dai begli occhi verdi a parlare. È comparso dal nulla, assieme alla sensazione di essere stata sbalzata fuori dalla mia linea temporale originaria. Devo essermi addormenta sulla scrivania: sì, è la spiegazione più plausibile.
Ci troviamo in una stanza poco illuminata, molto simile a quella del primo sogno. Su un tavolo c’è una lampada di sale che spande luce fioca tutto intorno. C’è anche lo specchio vuoto, manca solo la tenda blu dietro la quale, l’altra volta, si nascondeva Linsdy.
Immagino sia un sogno, ma non escludo possa trattarsi di un’allucinazione, un effetto collaterale dell’esposizione alle fluttuazioni quantistiche. Non riesco a scartare nessuna ipotesi.
«Che cos’è il tempo?», azzardo.
«Questo te lo sei chiesto fin troppe volte», mi rimprovera lui.
«Quale altra domanda avrei dovuto pormi?»
«Dove sono finiti i DJ del tempo che lavoravano alla Titraahibe prima di te, per esempio.»
«Giusto! Dove sono finiti?»
«Sono diventati parte integrante della struttura del tempo.»
«Come?»
«Semplicemente, un giorno, prima di partire per una nuova missione, hanno capito che non sarebbero più tornati», mi risponde lui.
«Sono morti?»
«No. Sono diventati parte integrante della struttura del tempo. E tu, è proprio il caso di dirlo, hai combinato un bel caos!»
La rivelazione mi lascia senza parole. Ho sempre agito in buona fede, per cui non capisco in che modo posso aver combinato un casino.
La voce dell’angelo riprende suadente: «Tutti coloro che osano rimescolare gli avvenimenti della storia a loro piacimento, finiscono per ritrovarsi a supplicare. Ad un certo punto anche tu sentirai dentro di te il peso di tutto ciò che avresti potuto fare se solo ne avessi avuto il tempo. La colpa è tua che hai voluto scendere a compromessi con qualcosa di inconcepibile.»
«Ho violato la terza regola, è questo il problema, vero? Quella regola andrebbe modificata. Il passato certe volte è troppo crudele: non si può stare fermi a guardare che tutto si ripeta quando c’è la possibilità di rendere le cose migliori!»
«È questo il tuo problema: ti preoccupi troppo per ciò che è stato. Ma il passato non esiste.»
«Ho sempre cercato un modo per evadere dal tempo», replico, «ho trascorso tre anni di studio all’università chiedendomi ogni giorno “perché tempo e spazio sembrano fusi? perché uno non può esistere senza l’altro? perché succedono certe cose invece di altre?” Le persone continuano a chiamarlo destino…»
«E tu hai trovato una risposta migliore?»
«No, ma credo di esserci vicina.»
L’angelo sorride e s’incammina lentamente verso la parete su cui è appeso il suo specchio vuoto. «Hai tutti gli elementi per comprendere», dice allungando le mani guantate verso il nulla oscuro contenuto nella cornice, poi continua: «Serve molta pazienza per svolgere questo lavoro, sai? Se stringo troppo la presa, il tempo si ribella e l’universo implode.»
Si gira a guardami, mi basta un instante per leggergli negli occhi le sue intenzioni, ma è troppo veloce e non riesco a far nulla per fermarlo. Stringe le dita sui palmi formando due pugni e in quel preciso istante inizio a sentire un fastidioso formicolio su tutto il corpo e un fischio acuto. Poi l’universo implode. I concetti di passato, presente e futuro perdono senso, le distanze si annullano, non esistono più confini tra le cose.


«Bentornata», esordì Karf, medico di fiducia dell’Agenzia, tastandomi il polso per sentire le pulsazioni.
«Ti prego, non dirmi che sono crollata prima di salire sulla navetta e che la missione è stata posticipata!», supplicai.
«Va bene, non lo farò.»
Valutai per qualche istante la situazione: chiaramente non era più notte il che lasciava presumere che io mi fossi svegliata e avessi compiuto delle azioni che mi avevano fatta finire sul lettino dell’infermeria. Mi sforzai di ricordare, ma fu inutile: avevo un vuoto di memoria.
Io e Karf restammo a fissarci per qualche lunghissimo istante senza proferire parola. Avevo il timore di chiedere, ma la curiosità infine ebbe la meglio. «Che cosa è successo?»
«Linsdy ti è venuta a trovare e, quando vi siete incontrate in corridoio, tu hai urlato e poi hai perso i sensi.»
Un senso di stordimento si appropriò della mia mente impedendomi di formulare qualsiasi pensiero coerente.
«Che???»

«La tua amica è venuta a trovarti e poi…»
«La mia amica chi?!», lo interruppi quasi urlando, temendo di avere le allucinazioni uditive.
«L I N S D Y», scandì lui. «Vi siete incrociate in corridoio e tu hai avuto quella spaventosa reazione. Ti ho prescritto un accertamento psichiatrico. Non fraintendermi, non credo che tu sia pazza, ma forse avresti bisogno di una vacanza. Dove vai?! Aspetta!»
Karf non fece in tempo a fermarmi, ero già in corridoio che correvo senza una meta precisa girando la testa a destra e sinistra a ogni bivio. A metà strada tra la Sala del Tempo e il laboratorio di analisi chimiche, inciampai sul camice che indossavo, scivolai e mi ritrovai stesa a terra. Cercai di rialzarmi, ma con un ginocchio dolorante non era un’impresa tanto semplice. Qualcuno mi offrì gentilmente una mano, la afferrai e una volta in piedi mi ritrovai davanti al viso di lei. Nel giro di qualche secondo nella mia mente si affacciarono le possibilità più disparate: pensai di essere nell’aldilà, ipotizzai che l’implosione dell’universo fosse veramente avvenuta, supposi persino lo slittamento dello spazio in una linea temporale alternativa, ma non pensai nemmeno per un istante che la spiegazione risiedesse nell’orologio che avevo le rubato.
«Bel modo di salutarmi dopo cinque anni e due mesi di assenza!» La sua voce mi scosse. Aveva usato lo stesso tono scherzoso di quella sera al pub e mi guardava con quei suoi grandi occhi verdi cercando di carpire qualcosa dalla mia espressione.
«Ti senti meglio?», mi chiese.
Le mie labbra restarono sigillate.
Mi prese le mani e al contatto sentii una scossa. «Hai le mani gelate!» Constatazione eccellente. «E il mio orologio che fine a fatto? Me lo dovevi dare quella sera prima che partissi! Dì qualcosa, sto iniziando a preoccuparmi!»
«L’orologio?», riuscii finalmente ad articolare.
«Sia ringraziato il cielo!», disse con fare teatrale. «Dopo cinque anni ti ostini ancora a fingere di non ricordare? Se proprio ti piaceva tanto, bastava dirlo e te l’avrei regalato.»
La naturalezza con la quale Linsdy mi rivolgeva la parola era incredibile. Sembrava che fosse passato appena qualche giorno dal nostro ultimo incontro. Forse ci eravamo tenute in contatto in qualche modo che ora, per colpa del vuoto di memoria, non ricordavo.
«S-stai parlando di quell’orologio? Quello con tre quadranti?»

«Sì, parlo di quel prezioso orologio con tre quadranti e cinque lancette di fattura estruviana che mi hai sottratto cinque anni fa.»
Mi appoggiai frastornata a una parete, lei mi imitò continuando a osservarmi con una certa preoccupazione. La nebbia si stava pian piano diradando dalla mente. Durante il mio ultimo viaggio nel passato avevo incontrato Linsdy nel pomeriggio, qualche ora prima del nostro appuntamento all’Ibizu Kilea, avevo trafugato il suo orologio e me n’ero tornata al presente. Quella mia azione doveva essere stata la causa principale della deviazione degli eventi. Avevo creato un ramo temporale alternativo!
In cinque anni il colore degli occhi di Linsdy non era cambiato, inoltre profuma ancora di angelica e riattivante elettrico. «Inizio a dare ragione al medico, forse dovresti riposare un po’», disse apprensiva, poi sorrise e continuò: «Non me ne frega nulla dell’orologio, stai tranquilla, prima scherzavo.»
La spiegazione più probabile era questa: senza il fatidico orologio, Linsdy aveva cercato altrove l’orario riuscendo ad arrivare puntuale al nostro appuntamento, la cena era terminata prima e lei aveva mancato l’incontro con l’auto impazzita.
«Ho combinato un casino! Ma è il più bel casino che avessi mai potuto combinare!», conclusi avvicinandomi in cerca di un abbraccio. Sentii le sue mani accarezzarmi la schiena; restammo qualche minuto così, in silenzio, a nutrirci ciascuno dell’anima dell’altra.
Nella mia testa sarebbe sempre rimasto quel vuoto temporale che si estendeva dal momento in cui ammiravo il paesaggio notturno dalla finestra della mia stanza fino al risveglio in infermeria. Nell’intermezzo, mascherato da quell’enigmatico sogno in cui parlavo con l’angelo, ci poteva essere l’infinito. Rabbrividii al pensiero che l’universo potesse essere veramente imploso sotto la pressione delle mani guantate di una creatura in grado di controllare il tempo da un luogo fuori dalle dimensioni a noi conosciute.

Immaginavo che dopo la mia bravata mi sarebbe stato tolto il ruolo di DJ e riaffidato quello di cronoquantista teorica. Se il mio destino era quello di abbandonare per sempre la possibilità di viaggiare nel tempo, volevo salutare per bene il Timegate: certo, lo avrei rivisto ancora, ma sotto le spoglie di una cronoquantista sarebbe stato diverso, come se un muro invisibile si fosse posto tra noi.
Linsdy non aveva il permesso di entrare nella Sala del Tempo, quindi mi aspettò fuori. Non appena varcai la soglia, la prima cosa che notai, oltre l’imponenza del Timegate, fu l’assenza della statua dell’angelo. Raggiunsi Inck che in quel momento era impegnato ad armeggiare con un robusto cavo d’alimentazione che connetteva la macchina del tempo a un serbatoio atomico. Gli chiesi se sapeva che fine aveva fatto la statua dell’angelo. Lui interruppe momentaneamente il suo lavoro, si passò mano sulla fronte imperlata di sudore e mi guardò. «Di quale statua stai parlando? Le uniche statue che io abbia mai visto in questo edificio sono custodite al museo.»
«Non ti ricordi della statua?!»
Inck sembrò rifletterci su per qualche secondo. «No, non mi ricordo. Come potrei ricordarmi di una cosa che non ho mai visto?»
Possibile? Mi avvicinai per osservare meglio la porzione di pavimento su cui ricordavo fosse poggiato l’angelo e notai una traccia: il segno inequivocabile di un oggetto che era rimasto in quel posto per parecchi anni prima di essere rimosso. In quel preciso momento, si risvegliò in me una certezza: Linsdy era tornata e l’angelo era sparito. Si sa che il tempo è un abile affarista, se salvi la vita a qualcuno lui ne vuole un’altra in cambio, la tua possibilmente. Non importa quanto dovrà aspettare per prenderla, alla fine troverà sempre un modo. Ero convinta che prima o poi avrei sognato di nuovo la stanza illuminata dalla lampada di sale e, quando sarebbe successo, non mi sarei più risvegliata. Ogni istante di tempo sarebbe scorso tra le mie mani guantate e non avrei potuto far altro che contemplare innumerevoli vite contrastate da altrettanti innumerevoli eventi.
Uscii dalla sala e trovai Linsdy che mi aspettava in corridoio giocherellando con un nuovo tipo di orologio. Quando mi vide mi venne incontro e si fermò davanti di me aspettando che io parlassi. Avevo un mucchio di cose da dirle, ma nessuna in quel momento sembrava quella giusta, così sorrisi e lasciai che tre singole parole descrivessero tutto ciò che avevo vissuto in quegli ultimi cinque anni: «Mi sei mancata!»


Questa in definitiva è la mia storia. Scoprii che Linsdy non era arrabbiata per quel bacio che le avevo rubato cinque anni prima; mi confidò che dopo essere partita si era posta delle domande, e la lontananza dalla Terra le aveva fornito le risposte. La sera in cui l’angelo sarebbe venuto a prendermi per portarmi nella stanza illuminata dalla lampada di sale, Linsdy entrò nel mio alloggio e ricambiò il bacio. Mi lasciò di fianco al cuscino un vecchio orologio da tasca con dei numeri romani incisi sulla ghiera e mi disse che la mia carriera di DJ non era del tutto rovinata: la colonia orbitante attorno a Giove stava iniziando a interessarsi ai viaggi nel tempo.
«Come sai, gravità e tempo sono strettamente collegati», disse. «Ecco, prima che io tornassi sulla Terra si parlava di assumere qualcuno di esperto in grado analizzare con precisione i dati cronoquantistici e che fosse disposto a viaggiare nel futuro.» Inutile nascondere che quell’ultima parte del discorso mi aveva esageratamente entusiasmato, tanto che avevo subito accettato di partire con lei alla volta di Giove.
Il futuro?! Chi non sogna di vedere il futuro? Peccato che il destino aveva già scelto per me un’altra strada; non avrei mai più assistito al sorge di una nuova alba da quella prospettiva mortale. Quando riaprii gli occhi credendo d’iniziare un nuovo giorno, davanti di me c’era già lo specchio vuoto, questa volta sorretto da un mobile in legno dall’aria antichissima.
Registrai la mia storia nell’attimo che intercorse tra il sollevare le mani, rendermi conto che erano coperte da preziosi guanti di velluto ricamato, e il protenderle verso l’oscurità dello specchio. Queste memorie, ho voluto chiuderle in un cassetto della mia nuova specchiera, tra le pieghe dello spazio-tempo, in modo che le parole rimanessero indelebili. A tutti i futuri DJ del tempo, voglio lasciare qualche spunto di riflessione: se aveste la possibilità di controllare il tempo, che fareste? Tornereste indietro per cambiare qualcosa del vostro passato o lascereste tutto com’è? Sbircereste nel futuro per agevolare la vostra fortuna? Pensereste a voi stessi o agli altri? Chiedetevelo e cercate di darvi una risposta sincera, e fregatevene delle tre regole.
Io non sono mai riuscita a trovare una soluzione, nemmeno ora che tutto è compiuto, che il cerchio si è chiuso, che la clessidra ha smarrito la sua sabbia nella spiaggia del tempo. Io, che avevo sempre visto il tempo come una prigione, io che cercavo un modo per fuggire dal destino, volevo essere libera, e ora, in un certo senso, lo sono.
Tutto dipende da me, dal modo in cui inclino le mani, avvolte da questi preziosi guanti ricamati, verso l’atarassica oscurità di questo specchio vuoto. E non provo più niente, le emozioni non hanno più senso. Non c’è tristezza, né gioia, solo una scintilla color verde smeraldo che, ogni tanto, illuminando la sconfinatezza del tempo, sembra implorarmi di tornare e allora io le rispondo “sono già lì con te”. Perché il tempo è sempre e ovunque.




Note autore:
Se siete arrivati fino a qui, senza imbrogliare saltando pezzi, vi voglio ringraziare sinceramente per aver letto. Ci terrei davvero che mi lasciaste anche solo una riga di recensione con il vostro parere. Sono beneaccette critiche costruttive.
Grazie anche a Najara per aver indetto il contest e avermi dato, quindi, la possibilità di creare questo racconto. E se come lei vi siete posti alcune domande sulla trama, vi consiglio di leggere la mia risposta sul suo giudizio QUI.
Alla prossima! ^^




Licenza Creative Commons
"Timegate: una porta verso il passato" di Monique Namie
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