Lover’s
Eyes
“Let
me die where I lie
Neath the curse of my lover’s eyes”
(Per Daniela)
Era molto
inusuale che Enjolras non riuscisse ad attirare l’attenzione di qualcuno e
farla propria. Molto più che per il suo aspetto, egli sapeva come incantare e
persuadere la gente intorno a lui grazie alla sua retorica. Parole dopo parole,
piene, traboccanti di eroismo e voglia di cambiare la situazione, di attuare
una rivoluzione che nessuno avrebbe mai dimenticato. Enjolras credeva
fermamente in ciò che diceva, Enjolras era
ciò in cui credeva. Enjolras era un colore impossibile da ignorare: era il rosso
del sangue che sapeva avrebbe versato.
Chiunque
lo avesse incontrato, lo aveva seguito senza pensarci due volte. Il suo
richiamo era semplicemente irresistibile, come lo era stato il canto delle sirene
per Odisseo, e quella sera, anche il giovane Grantaire sarebbe caduto in
trappola.
Grantaire
era solo un ragazzo, gli occhi ipnotici e bramosi, pieni di giovinezza e
curiosità. Credeva di avere tutta la vita davanti a sé, una vita lunga e
felice. Amava la vita, amava l’amore, amava la bellezza. Grantaire era ogni colore,
ogni colore che inneggiasse a questi sentimenti.
Era solo un
semplice ragazzo quando le sue orecchie udirono la voce squillante di Enjolras.
Portò distrattamente la bottiglia alla bocca, bevve un sorso e si voltò
lentamente, tentando di individuare la fonte di quell’emozionante discorso. C’era
così tanta folla davanti a quel dio terreno, una gioventù assetata di
cambiamento e ansiosa di darsi da fare. Grantaire si avvicinò, la bottiglia
attaccata alla bocca, e cercò, invano, di conquistare uno spazio
nell’improvvisata platea. La curiosità lo stava divorando dall’interno mentre
la voce di Enjolras si faceva sempre più chiara e reale. Parlava di un domani
migliore dove l’uguaglianza avrebbe trionfato, parlava di scendere in guerra e
lottare non per se stessi, ma per l’intera comunità: mettere da parte la
propria persona e lottare per uno scopo più alto, quasi sacro, che annullava il
valore della vita di ognuno. “È ora di decidere chi siamo”, ripeteva affinché
chiunque potesse capirlo. Grantaire bevve un altro sorso e finalmente scorse
l’appassionato oratore dagli occhi accesi di passione e la furia nello sguardo.
Enjolras apparve a Grantaire con una scomposta grazia e una bellezza fuori dal
comune, una statua greca che Venere e Marte avevano trasformato in uomo. Il
modo in cui si muoveva, discuteva, aveva qualcosa di divino. Lui stesso era
divino, frutto dell’amore della dea della bellezza e del dio della guerra.
Grantaire,
fino a quel momento, non aveva mai dubitato di chi fosse e cosa volesse dalla
vita. Tutto gli era sempre stato chiaro e non aveva mai avuto motivo di
rivoluzionare il suo cammino. Eppure, quella creatura dai biondi ricci
scapigliati stava innescando qualcosa in lui, qualcosa a cui era impensabile
ribellarsi. Qualcosa a cui Grantaire non avrebbe mai voluto rinunciare. Più di
un bisogno, più di una necessità, più di un capriccio: doveva lottare al fianco
di Enjolras, doveva senza sé e senza ma, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe
compiuto su questa terra.
Avrebbero
combattuto insieme su quelle barricate, fianco a fianco. Grantaire ne era ormai
persuaso.
“Gran bel
discorso, Cicerone”, gli disse scherzosamente una volta che Enjolras ebbe
finito.
Quest’ultimo
sorrise mostrando a Grantaire un sorriso incantevole che solo Michelangelo
avrebbe potuto dipingere sul volto di un essere umano. Gli offrì un sorso e lo
invitò a sedere, lontano dalla confusione. Enjolras sembrò apprezzare la sua
cortesia e prese posto di fronte a Grantaire, in modo da poterlo guardare
dritto negli occhi. Iniziò a descrivere i suoi piani, le sue intenzioni, i suoi
sogni e anche le sue paure. La moltitudine di colori di Grantaire lo aveva
inizialmente intimidito, ma Enjolras imparò in fretta a muoversi in
quell’arcobaleno che lo aveva colto di sorpresa. Grantaire era tante,
tantissime cose e gli fece ricordare cosa fosse la vita prima che i moti
rivoluzionari lo travolgessero e gli facessero davvero dimenticare se stesso.
La vita era arte, la vita era passione, la vita era amore: al di là della sua
impetuosa battaglia, c’era la vita che stava lasciando indietro in nome della
sua patria.
E adesso
c’era anche Grantaire. Grantaire e quel sorriso strano, incredibilmente felice.
Grantaire e quella sua espressione incredibilmente rapita da ogni parola
pronunciata da lui. Grantaire che lo ammirava di sottecchi come un dipinto di
inestimabile valore. C’era meraviglia in lui, una meraviglia che Enjolras non
aveva mai voluto vedere, tanto si era ormai fatto distrarre dalla sua lotta.
Aveva gli occhi di un amante e Enjolras si sentì come se entrambi fossero stati
maledetti.
Liquidò
come stupidi e insignificanti i pensieri che lo spingevano a scappare con un
estraneo che aveva conosciuto da appena qualche ora. La vita della sua patria
dipendeva dalla sua, al diavolo il resto. Si alzò di scatto e provò con tutte
le forze a scacciare dalla mente la sensazione di benessere che aveva provato
grazie a Grantaire. Non si sentiva così da tempo, ma lasciarsi andare avrebbe
voluto dire sacrificare il destino di migliaia di povere persone.
“Le nostre
piccole vite non contano proprio nulla, Grantaire”, disse più a se stesso che a
quest’ultimo. “È bene che tu lo ricorda se vuoi cambiare il destino della
nostra patria”.
Grantaire
lo guardò allontanarsi, immobilizzato dalla delusione. Cosa aveva creduto di
poter fare? Fermarlo, per caso? Gli dei sono irraggiungibili e la loro nobiltà
d’animo spesso può combaciare con la crudeltà che mostrano nei confronti degli
uomini. Ma Enjolras non era stato crudele con lui: lo era stato con se stesso e
Grantaire non riusciva a darsi pace, ad accettare che colui di cui si stava
innamorando rifiutasse di vivere a causa della sua devozione.
Grantaire
uscì dalla locanda e rincorse, sotto la pioggia, la sagoma di Enjolras che
andava via via svanendo nell’oscurità. Urlò il suo nome più e più volte senza
ottenere risposta.
Enjolras
l’aveva sentito eccome e ogni grido era stato un’impietosa coltellata al suo
cuore maledetto. Resistette faticosamente all’impulso di voltarsi verso
Grantaire e marciò verso il suo eroico avvenire. Il destino di molti vale più
del destino di uno solo.
“Fermati”
Ed
Enjolras si fermò, senza neppure rendersene conto. Grantaire gli stava a
qualche metro di distanza, fradicio.
“Guardami
di nuovo in faccia, se hai il coraggio”.
Enjolras
non ci riuscì. Pensava che non valesse la pena mettere da parte i propri ideali
per qualcuno, non importa quanto unico e speciale fosse. Quante volte aveva
rimproverato a Marius questi frivoli e infantili atteggiamenti!
“Non ti
sto chiedendo di scegliere tra me e i tuoi ideali. Ti sto chiedendo di
combattere insieme. Ti sto implorando di combattere insieme a me”.
Grantaire
avanzò appena e Enjolras, di colpo, indietreggiò.
“Combatti
con me, Enjolras, per favore. Sii il mio Achille, io sarò il tuo Patroclo”.
Nelle
parole di Grantaire traspariva tutta l’innocenza che solo un giovane innamorato
può provare. In quel momento avrebbe potuto anche giurare di essere pronto alla
morte pur di seguire il ragazzo di cui si era infatuato. Si avvicinò a Enjolras
e lo afferrò per le braccia, costringendolo a guardare nient’altro che il suo
viso. Non avrebbe permesso che quel dio sparisse ancora e portasse via con se
la sua grazia. Liberò la presa dalle braccia e prese il suo volto tra le mani,
sorprendendolo in lacrime.
Enjolras
adesso era un colore impossibile da ignorare: bianco come la purezza di un
bambino appena nato che cerca conforto nel petto della madre.
Grantaire
sorrise – un sorriso maledetto, pensò Enjolras – e gli accarezzò una guancia,
naso contro naso, fronte contro fronte.
“Insieme,
Enjolras. Insieme”.
Ed
Enjolras sorrise, consapevole che quello di fronte a sé sarebbe stato l’ultimo
meraviglioso viso che avrebbe mai visto, e pregò, contro ogni suo principio
morale, di poter morire lì, in quel preciso istante, sotto la maledizione degli
occhi del suo amato.