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Autore: MaddaLena ME    23/10/2015    1 recensioni
Dal testo:

Non restava che la notte, con l’oscurità a fargli compagnia, ricoprendolo col suo nero mantello e nascondendolo agli occhi di tutti, alleati o nemici che fossero (amici, non poteva più dire di averne, ormai!). Solo la notte, del resto, poteva in quei giorni tenergli compagnia: null’altro poteva farlo. E prendere quell’abitudine avrebbe allontanato ogni sospetto, quando gli sarebbe stato necessario sfruttare quel tempo per compiere la sua missione. Doveva aspettare, di nuovo: una logorante, snervante attesa del momento propizio, in cui mettere in atto ciò che silente gli aveva raccomandato, sia prima di morire, che dopo la sua morte, attraverso il quadro che ancora lo assisteva, unico confronto, nell’ufficio di Silente. Perché no, quello non era il suo. Non riusciva a farsene una ragione!
Finalmente, inaspettato, l’aiuto arrivò. Provvidenziale e fonte di gioia, per l’occlumante, che, in cuor suo si stava preoccupando, sul da farsi. Il quadro di Phineas Nigellus Black si animò di vibrata concitazione:
«Piton! Ehi! Sono nella foresta di Dean… la Granger aveva preso l’altro quadro, per non farsi vedere, ma ha parlato, quando la borsa era ancora aperta…era questo che dovevo scoprire, no?»
Genere: Introspettivo, Satirico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alecto Carrow, Amycus Carrow, Il trio protagonista, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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A DARK (K)NIGHT IN HOGWARTS - WINTER 1997

Erano giorni che cercava un indizio. Aveva ben presente cosa dovesse fare e quale fosse il proprio compito. Ma riguardo alla realizzazione, beh… era tutt’un’altra faccenda: come consegnare qualcosa a tre soggetti che, datisi alla fuga, avevano come ultimo tra i loro pensieri quello di farsi trovare da lui, che ritenevano ormai il braccio destro di Voldemort?
Come tutti, del resto. Morto Silente, il mago aveva portato con sé il segreto del loro accordo.
Già si prospettava impresa non del tutto ovvia sfuggire non visto dal Castello.
Per forza di cose, non poteva addurre, come spesso faceva Silente, la scusa di un gufo urgente dal Ministero. Il ministero era ormai in mano ai Mangiamorte. “Che avevano metodi ben più brutali per chiamare all’appello i propri adepti” pensò Piton, massaggiandosi il braccio su cui era inciso il Marchio Oscuro.
Non restava che la notte, con l’oscurità a fargli compagnia, ricoprendolo col suo nero mantello e nascondendolo agli occhi di tutti, alleati o nemici che fossero (amici, non poteva più dire di averne, ormai!). Solo la notte, del resto, poteva in quei giorni tenergli compagnia: null’altro poteva farlo. E prendere quell’abitudine avrebbe allontanato ogni sospetto, quando gli sarebbe stato necessario sfruttare quel tempo per compiere la sua missione. Doveva aspettare, di nuovo: una logorante, snervante attesa del momento propizio, in cui mettere in atto ciò che Silente gli aveva raccomandato, sia prima di morire, che dopo la sua morte, attraverso il quadro che ancora lo assisteva, unico confronto, nell’ufficio di Silente. Perché no, quello non era il suo. Non riusciva a farsene una ragione!
Finalmente, inaspettato, l’aiuto arrivò. Provvidenziale e fonte di gioia, per l’occlumante, che, in cuor suo si stava preoccupando, sul da farsi.
Il quadro di Phineas Nigellus Black si animò di vibrata concitazione:
«Preside! Sono nella foresta di Dean… la Nata Babbana...»
«Non usare quela parola!»
«.. la Granger, allora, ha nominato il posto quando ha aperto la borsetta e io l'ho sentita!»
«Bene. molto bene!» gridò il ritratto di Silente dietro la poltrona di Piton«Ora, Severus, la spada! Non dimenticare che dev'essere presa in condizioni di necessità e valore.. e non deve sapere che sei tu a dargliela! Se Voldemort dovesse leggere la mente di Harry e scoprire che lo aiuti...»

«Lo so» rispose Piton asciutto. Si avvicinò al ritratto di Silente e tirò da un lato la cornice. Si aprì, rivelando una cavità nascosta, dalla quale prese la spada di Grifondoro.
«E ancora non mi vuoi dire perché è così importante dare la spada a Potter?» chiese Piton, gettandosi addosso un mantello da viaggio.
«No, non credo» replicò il ritratto di Silente «Lui saprà cosa farne. Severus, fai molta attenzione, potrebbero non apprezzare molto la tua comparsa, dopo l'incidente a George Weasley....»
Piton si voltò sulla soglia.
«Non preoccuparti, Silente» ribatté imperturbabile «Ho un piano...»
E chiuse la porta.

____________________
«Come al solito… quando tutti perdono la calma, non perdi per nessun ragione al mondo la tua flemma: non è cambiato nulla!» s’illuse Piton, che, in tempi tanto oscuri, necessitava più di chiunque altro di potersi aggrappare ad un volto amico.
Adesso che era arrivato ciò per cui si era preparato con tanta cura, i dubbi lo assalivano. Ma sapeva che ora la cosa più importante era soltanto agire, non poteva perdere tempo.
Ben sapendo che non era il caso di smaterializzarsi nel mezzo del Castello, pur potendolo teoricamente fare, prese con sé la spada di Godric e , nascostala con cura sotto l’ampio mantello, finse di voler fare una ricognizione notturna del castello e, percorrendo tutti i i corridoi, guadagnò l’uscita principale soltanto dopo aver percorso il tragitto più lungo e tortuoso.
Incrociò Minerva, in uno dei corridoi dei piani superiori e le rivolse un tenue sorriso, a cui però la strega non rispose allo stesso modo: anzi, serrò più strettamente la bacchetta, la alzò a mezz'aria e, con sguardo tronfio e passo militare, riprese la propria strada.
Già! Era così da quando aveva ucciso Silente. Quel piccolo dettaglio aveva sconvolto la sua già fragile ed inutile esistenza. Sopratutto, da quando gli erano state assegnate quelle sue teste di legno dei fratelli Carrow. Ma questo aveva dovuto concederlo, a Voldemort:?in guerra, ci sono alcune piccole e grandi concessioni che sono ineludibili.
Tutto sommato, capiva i sentimenti della strega. Anzi, probabilmente, al suo posto non si sarebbe comportato diversamente. Silente non era uno qualsiasi e non era neppure semplicemente il capo dell'Ordine della Fenice: era un grande mago, di cui, nonostante i dissapori, anche il Ministero aveva enorme rispetto.
Lui si era opposto con tutte le proprie forze a quel terribile ordine, intimato con mansuetudine. Aveva esposto più volte il proprio rifiuto e le proprie perplessità al riguardo, persino quando il vegliardo considerava pressoché scontata la sua obbedienza e, quindi, che lui fosse disposto a diventare il suo assassino. Meglio lui, di Greyback o della Lestrange? Ah questa sì che è una consolazione! Con le sue melliflue e lacrimevoli strategie, Silente era riuscito a fargli fare praticamente qualunque cosa. Compresa quella: ucciderlo! E lui non aveva potuto dire di no. Erano legati a doppio filo, come la nassa e l’aquilone, così strettamente dipendenti l’uno dall’altro da non poter fare a meno il primo del secondo. Erano stati un team fantastico, nonostante la differenza di casata, d’età, nonostante le mille differenza che li avevano sempre divisi: questo doveva ammetterlo. Le tante differenze non li avevano mai davvero divisi, perché lottavano insieme e insieme si facevano coraggio, respirando stima ed affetto reciproci. Fino a quel giorno. quel giorno in cui lui aveva dovuto eseguire quell’ordine, terribile e supplicato, che i suoi occhi gli hanno intimato di realizzare.
Com’era possibile che gliel’avesse chiesto davvero? Ancora non se ne capacitava!
«La scelta giusta non è sempre quella più semplice,Severus. E tu lo sai meglio di tutti, ragazzo mio: per questo, hai sempre avuto da me il massimo rispetto, unito a tutto il mio affetto, la mia fiducia e la mia stima!» questo gli avrebbe senz’altro detto il Preside, se avesse colto il suo malumore.
«E adesso invece, non mi rimane più nulla!» grugnì, tra sé e sé.
«Ti rimane Potter! È la nostra speranza! Di tutto il mondo magico!»
«Dannazione, Preside! Potter? Mi odia e non mi si avvicina più da secoli. I suoi occhi erano pieni d’odio, quando mi ha visto uccidere il più grande mago che Hogwarts abbia avuto come Preside!» disse. E si accorse che stava parlando a mezza voce, poco fuori dal castello di Hogwarts, da solo, o, meglio con quello che l’uomo non riusciva a far altro che considerare il Preside della scuola in cui egli stesso era cresciuto! Scosse la testa e si smaterializzò, pensando di trovarsi ben presto nel luogo rivelatogli dall’antenato di Black.
Si guardò intorno
Ricordò ogni parola che Silente gli aveva detto a riguardo di quella spada, comprese le condizioni in cui poteva essere conquistata.
«Sempre complicati, questi Grifoni!» mormorò il Serpeverde, a denti stretti.
Si avvicinò all’acqua del lago e ne osservò con cura la superficie. Man mano che procedeva verso il centro, sembrava sempre meno stabile.
Per prima cosa, doveva accertarsi della reale posizione dei ragazzi: «Oculus in tenebris!» mormorò, appena percettibile. Era un incantesimo di sua recente invenzione. Un paio di occhi magici partirono a folle velocità, finché non raggiunsero l’accampamento dei due ragazzi. Dal tempo impiegato per ritornare, comprese già che non dovevano essere troppo distanti e non perse tempo a guardare le immagini che gli occhi gli svolgevano innanzi.
«Gravio reducto… maxima vis!» enunciò tra sé e sé, prima di procedere, spada alla mano, verso l’altro capo del lago, finché non si fermò che a pochi metri dalla riva. Procedeva con passi leggiadri, quasi fosse una libellula, con la grazia di una ballerina classica. Forse era poco virile questo suo incedere, ma in questo modo evitava di insozzarsi come un babbano, non rischiava di cadere a fondo e non rovinava il manto ghiacciato, di modo che potesse essere in perfette condizioni per il Prescelto. Giunto dove riteneva che fosse il posto migliore, produsse un fuoco di grande intensità ma particolarmente concentrato in un unico punto, così da permettere al ghiaccio di sciogliersi, ma poi richiudersi, così da non far affondare eccessivamente in basso la spada, né correre il rischio di perderla. Certo, d’accordo le prodezze tanto care ai Grifondoro, ma qualche precauzione gli parve opportuno prendersela, vista la particolare propensione del giovane Potter nel riuscire a rendere complicate anche le cose semplici, con la sua straordinaria abilità di spegnere il cervello quando ce n’era invece maggiormente bisogno.
«Come avvisarlo, ora?» pensò per un attimo. Poi si rammentò del metodo sempre utilizzato nell’Ordine e gli fu chiaro di quanto la somiglianza al Patronus di Potter fosse una carta decisamente a proprio favore. Ritornato dunque al proprio peso ed alla propria forza normale, una volta raggiunta la riva più vicina ad Hogwarts, inviò dunque la propria cerva luminosa verso la tenda dei ragazzi.
Come si aspettava, senza nemmeno pensarci, il moro si mise sulle tracce della cerva, a grandi balzi.
«Fortuna che è sempre stato con la riccia… quel Potter si sarebbe fatto prendere in un battibaleno. La sua salvezza è che io sono dalla sua parte. Se così non fosse stato, ora sarebbe certamente già nelle mani dell’Oscuro Signore. Eh sì, che mi ha sempre evitato come la peste. Se avessi voluto, lo avrei messo in trappola almeno una decina di volte!» meditò, tra sé e sé.
«Ah, ma eccolo che arriva! Ha visto il Patronus, pare non sospettare minimamente sia il mio, perché altrimenti, non si avvicinerebbe. Ma che fa? Che sta facendo? Dannata Testa di legno! Hai l’horcrux in collo… Potter, non posso venirti a salvare, ora, dannazione! Manderesti alle ortiche tutto il piano del tuo amato Silente! Perché non usi quel po’ di sale in zucca che ti ritrovi, ogni tanto!» gemette, ormai rassegnato al peggio.
Ma un’ombra rossa, nella notte, attrasse la sua attenzione.
«Weasley! Non avrei mai detto di poter essere tanto contento del tuo arrivo!» commentò, dal folto della foresta, mentre vide il ragazzo tuffarsi e riemergere poco dopo, con l’amico impavido ma ingenuo. Li vide parlottare tra loro; probabilmente stavano discutendo del suo Patronus.
Si stupì di quel che aveva fatto. Aveva rivelato a Potter junior quale fosse il suo Patronus. Questa era un’informazione che si sarebbe potuta ritorcere contro di lui.Ma, in quel momento, non era così importante. aveva come l’impressione di essere giunto al giro di boia. Era come un agnello in mezzo ai lupi… per quanto ancora avrebbe potuto resistere?
Importava davvero? L’unica cosa rilevante ora, era rivelare a Potter gli ultimi dettagli, sperando, naturalmente, di trovare il modo per poterlo vedere a quattr’occhi, lontano da occhi indiscreti e pronti a tradirlo e consegnare entrambi al signore Oscuro.
Con uno schiocco, si smaterializzò, per materializzarsi nuovamente ad Hogwarts.
Era notte fonda e solo un pallido quarto di luna illuminava la notte scura. Con uno svolazzo del mantello, si gettò a capofitto tra i corridoi, con passo marziale e cadenzato, pronto a continuare la farsa, nell’intento di sembrare nel pieno di una ricognizione notturna.
«No, non mi cruci… io… stavo solo…» cercò di giustificarsi goffamente un ragazzino biondo, della casata Grifondoro.
«Pff…» commentò, seccato, Piton.
Il ragazzino continuava a mugolare, impaurito.
Ma davvero faceva questo effetto, agli studenti?
«Silencio! Muffliato!» enunciò con chiarezza, poi proseguì: «Sentimi bene. Intanto, ti calmi. Adesso ti riaccompagno al tuo dormitorio e vedi di non uscirne più. Non è mia intenzione cruciare marmocchi Grifondoro che gironzolano per il castello. Chiaro?»
L’incantesimo non era stato annullato, quindi il ragazzino poté solo assentire col capo.
«Bene!» concluse Piton, che pensò sarebbe stato molto più tranquillo, non annullare ancora l’incantesimo.
«Ehi, Piton! Tutto bene? Che ci fai in giro a quest’ora?» Domandò una voce alle sue spalle.
Con la coda dell’occhio, si accertò di chi fosse, senza voltarsi. I due Carrow.
“Ma vanno sempre insieme, come due piedipiatti babbani? Da soli non ci sanno stare?” si ritrovò a pensare, con sarcasmo.
Con un movimento rapido, ricoprì il ragazzino, che era rimasto esterrefatto, ma che non poteva proferir parola, dunque non emise alcun suono.
«È tutto a posto, di qua. Sto tornando di sopra… andate piuttosto alla torre dei Tassorosso: quelli creano sempre problemi!» li incitò, accompagnandosi con una smorfia di disgusto.
Senza sospettar nulla, quelli seguirono le indicazioni e si avviarono velocemente dall’altra parte.
“Fortuna che non brillano per sagacia!” pensò Piton, che prese con malagrazia il ragazzo per un braccio e lo riportò fin davanti al quadro della signora grassa e, conoscendo la parola d’ordine, lo fece aprire.
«Oblivion» mormorò a fior di labbra, muovendole appena percettibilmente.
Con una spinta, mandò il ragazzo all’interno mentre bisbigliò velocemente il controincantesimo per ridargli la parola, proprio mentre la fessura si stava richiudendo, così da essere sicuro che non si mettesse ad urlare, proprio in quel momento.
«Anche questa è fatta!» si disse. E, con un movimento repentino ma aggraziato, fece retrofront e si diresse, al contrario di quel che aveva affermato poco prima, nei sotterranei, dove c’erano sempre state, da ormai diciassette anni, le sue stanze. Quelle, sì, le sentiva davvero sue. Nonostante fossero pur sempre impregnate di troppi, dolorosi ricordi, quelle pareti gli risultavano familiari ed erano le uniche che gli consentissero di chiudere, seppure per poche ore, gli occhi, ogni notte. Da diciassette anni, a questa parte, almeno.



   
 
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